La Danza della Coscienza: dialogo con Valentina De Piante

Una bellissima prospettiva sul complesso universo della danza al giorno d’oggi ce la offre Valentina De Piante, docente universitaria presso l’U.N.A.T.C. I.L. Caragiale, dottoressa in arti performative, coordinatrice di progetti, coreografa e performer, insegnante del metodo Feldenkrais®. Le sue coreografie sono state presentate all’Explore Festival, all’ImPulsTanz-Vienna, al Centro Nazionale della Danza di Bucarest, al Trois C-L di Lussemburgo, in diversi musei nazionali, in spazi urbani non convenzionali e nella natura. Ha tenuto conferenze arricchite da un’intensa attività corporale presso i Wasp Studios, al simposio Teching the Teachers-Bucarest-Budapest, al Centro Cinetic e al TEDxYouth Romania. Nel dicembre del 2020, ha ricevuto il premio CNDB come artista indipendente, e nel dicembre 2019 ha ricevuto il premio CNBD 2019-via Descentrat dalla prof.ssa Raluca Ianegic.

(Nell'immagine, Valentina De Piante, foto Silvia Ioana Niculae)

Come artista, studia un approccio circonferenziale sulla consapevolezza in diversi formati, condividendo le pratiche performative con altri artisti e specialisti. Negli ultimi anni Valentina estende la sua pratica alla dimensione dell’ascolto e dell’attenzione nei confronti dell’altro: nel 2018 e nel 2019, è stata invitata al progetto The Agency of Touch della coreografa Mădălina Dan e nel 2021 nell’ambito di Consultațiilor, incontri 1:1, al Centro Nazionale della Danza di Bucarest (CNDB), in collaborazione con il Theatre de la Ville.
In veste di teorica, Valentina De Piante desidera creare un ampio discorso sul corpo, che comprenda lo studio anatomico, fisiologico, immaginario, politico e mitologico. Nel 2021, pubblica il lavoro di ricerca Corpul Cunoscător (Il Corpo Conoscente, UNATC Press, Bucarest), e partecipa come ospite a diversi spettacoli e podcast. 
In veste di docente, è interessata a realizzare progetti artistici interdisciplinari nelle scuole, che integrino nell’educazione il corpo: come i progetti H.e.art-Humans embodying Art, Leonardo.500, Family Arts Project. Tiene laboratori settimanali di Awareness through Movement rivolti a chiunque sia appassionato al movimento cosciente, alla conoscenza di sé e alla scoperta del proprio potenziale.
Tra le sue coreografie troviamo: La Voix de la Mère, Corporis Memoriae, The Thing doesn’t Touch Me, Body of Grace, M.E.L.T. Motion, Emotion and Lateral Thinking e la performance duratura del progetto Infuzion#1 (Montage). Nel 2020, è stata mentore nel progetto Love for Forest.
Dal 2017 collabora assiduamente con IndieBox per ricerche, spettacoli e performance: Earsight, Bad Mamma da Singing Bodie’s Trilogy e il futuro (M)others. È membro fondatore dell’associazione Viu Grai e collabora con Indie Box, il Centro Nazionale della Danza, Arhipera, Montage, Graphis 122, Re-Creăm e con l’associazione Dante Alighieri-Bucarest. Dal 2021 è artista AREAL


Cosa l’ha ispirata ad abbracciare l’arte della danza?

Penso che il compito per cui nasciamo appaia come una serie di immagini, un forte desiderio, flash di consapevolezza quando si è ancora bambini. Ricordo che avevo sei anni e creavo la mia prima coreografia con le mie quattro amichette, nel cortile del condominio. A nove anni vaticinavo che avrei sposato un russo e ballato al Bol’šoj di Mosca. Ricordo anche che a fine lezione di danza classica, la mia insegnante, Parva Favilla Lupieri (meravigliosa perché ha saputo costruire la mia tecnica, e il primo maestro è fondamentale), ci chiedeva di improvvisare. Nelle improvvisazioni entravo in quello stato di trance che avrei poi studiato nei miei spettacoli e progetti, uno stato modificato di coscienza che va oltre l’esperienza quotidiana, caratterizzato da una grande creatività.
Ora, guardando al passato penso che la danza abbia scelto me, nel senso che tutto si è legato meravigliosamente: dalle prime audizioni, al primo lavoro in compagnia, ai miei studi successivi in coreografia. Adesso posso dire che la danza mi ha aiutato ad accedere a un altro tipo di conoscenza: una conoscenza ancorata alla terra, che passa attraverso l’esperienza dell’ascolto del proprio corpo, del sentirsi grazie a un pensiero nutrito dall’osservazione dei meccanismi interni. Con lo studio del movimento, ho intrapreso uno studio su me stessa. Il percorso è stato travagliato, con alti e bassi e due infortuni che mi hanno costretta a fermarmi.
Negli anni ho imparato a indossare diverse pelli e ruoli, simultaneamente: danzatrice, coreografa e docente, ricercatrice. Ho imparato a studiare i tessuti e i sistemi corporei grazie ai metodi somatici e al metodo Feldenkrais® in particolare. E... mi sono anche fermata per diventare tre volte madre.
Grazie alla docenza in università ho sviluppato un pensiero teorico interdisciplinare da applicare nell’ambito del laboratorio coreografico. Poiché attualmente è il movimento del pensiero filosofico, culturale, antropologico, politico che si incontra con il pensiero nel corpo,nel fare spettacolo.
Per me è affascinante assistere e guidare il processo di ogni studente che dal laboratorio giunge allo spettacolo, dove i diversi elementi, azioni, testi, immagini, suoni, si compongono in strutture estremamente diversificate e per questo originali, che trasmettono messaggi simultanei.



Silvia e Theodor, progetto Infuzion (crediti foto: Victor Vidu)

Secondo lei quali sono gli ingredienti del successo in questa professione?

Gli ingredienti sono l’amore per la professione ma allo stesso tempo l’essere aperti a ridefinizioni della professione stessa e quindi della danza. Per esempio considero che parte fondante dell’atto scenico siano la scrittura, la documentazione del processo, l’incontro con altri artisti, lo studio scientifico applicato all’arte dello spettacolo.
La performance nasce poi con l’ingrediente segreto della novità, sperimentato dallo stesso creatore. Voglio dire che non è necessario conoscere tutto sull’argomento che si vuole trattare nello spettacolo. Creare qualcosa non vuol dire esserne esperti ma essere aperti a tematiche che non si conoscono ancora.
Le arti, dagli anni Sessanta in su, e la danza in particolare, vivono in stretto dialogo con gli eventi sociali, culturali e politici. La danza vive di contatti umani fra artisti e pubblico, contatti che si ridefiniscono. In questo preciso momento è fondamentale introdurre creatività, movimento di vita, bellezza, in contesti svantaggiati come sono gli ospedali, le case di riposo, ma anche nelle scuole, dove i curricoli non mirano allo sviluppo psicomotorio del bambino ma alla competizione acerba. Il pubblico dello spettacolo contemporaneo si trasforma, da osservatore disciplinato nella sala di un teatro, a qualsiasi persona incontrata per strada, nei musei o in luoghi non-teatrali.
Un altro ingrediente del successo è il lavoro sotterraneo di consapevolezza, da nutrire ogni giorno. Perché la danza è studio di coscienza, e per questo bisogna imparare ad amare il silenzio, a interloquire con il vuoto, ad aspettare le parole che nascono dal respiro.
Un aspetto indispensabile è capire a fondo le strutture che si creano durante i processi laboratoriali e la loro perdita temporanea, il caos. Per esempio, studiando il metodo somatico Body-Mind Centering è affascinante osservare che ogni sistema organico nasce con un diverso linguaggio corporeo, un altro stato mentale, un altro tipo di ordine e disordine, quindi con una diversa struttura.
Una componente essenziale è tessere un dialogo fra le arti dello spettacolo, le teorie scientifiche ed altre discipline. Per esempio faccio riferimento alla teoria dei sistemi dissipativi di Ilya Prigogine, allo studio della fisica quantistica con l’ambivalenza di materia ed energia, al corpo-e-coscienza studiati dalla somatica che entra a livello cellulare, alla Biologia Cognitionis di Humberto Maturana e di Francisco Varela, assieme all’epigenetica e allo studio del genoma, alla cyber filosofia, ai nuovi media, senza dimenticare letteratura, antropologia e biopolitica.
Da ultimo, un insostituibile ingrediente di successo sono le persone che incontri, i mentori, che sviluppano ciò che non è ancora a te visibile, e i collettivi artistici in cui interagisci.


Performer e pubblico, progetto Infuzion (crediti foto: Victor Vidu)

In che momento ha deciso di uscire dal mondo stretto dello spettacolo e ampliare i suoi interessi riguardo al concetto di movimento?

Ho sempre sentito il mio lavoro come un processo continuo di approfondimento, un processo alchemico di costruzione, dissoluzione e integrazione di conoscenze. C’è stato certamente un lungo processo di cambiamento, con una vera rivoluzione nelle prospettive, quando ho cominciato a lavorare in contesti diversi. In quegli anni, dal 2003, collaboravo con centri prestigiosi come il CNDB, Centro Nazionale della Danza di Bucarest, con l’associazione Artlink, 4Culture, con la Fundație Proiect DCM e iniziavo la mia docenza all’Università. E quest’ultima, secondo un disegno a me sconosciuto, rivelava una splendida sincronicità! Perché proprio nel giorno in cui partorivo la mia secondogenita, Olga, mi veniva offerto il lavoro in Facoltà dalla professoressa Raluca Ianegic, confermato un anno più tardi anche dalla collaborazione con la professoressa Liliana Iorgulescu. Tutte queste realtà hanno richiesto conoscenze attualizzate e complesse riguardo al movimento, alle teorie performative e all’atto performativo.
Poco dopo la nascita di Gregorio, il mio terzogenito (era il 2008), ho cominciato uno studio pionieristico in Romania su alcuni metodi somatici, per poi concludere nel 2014 un dottorato di ricerca all’U.N.A.T.C. e poi diplomarmi, nel 2017, nel metodo Feldenkrais® presso l’Istituto di Formazione IsFel, diretto dalla straordinaria Mara Della Pergola. Il metodo lavora proprio sulla consapevolezza attraverso il movimento e sugli aspetti integrativi del movimento, un tutto legato a percezione, emozione e pensiero.
La dicotomia cartesiana di res extensa e res cogitans, di corpo e mente, entra in discussione quando ci si muove e si osserva il proprio corpo che ci trasmette una valanga di immagini, percezioni, intuizioni, memorie, pensieri... I nuovi progetti di ricerca fra danza/medicina/tecnologia dimostrano il coinvolgimento di tutte le aree cerebrali nell’atto del danzare. [1] 


Progetto Singing Bodies (crediti foto: Lavinia Pollak)

Quali sono i benefici della consapevolezza del proprio corpo in movimento?

Secondo me questa è la medicina del nuovo millennio: portare la coscienza nel corpo e riunire mente e corpo. Il corpo è un incubatore di memorie e di esperienze, un incubatore dalle primissime esperienze affettive che condizioneranno indelebilmente le azioni e i pensieri futuri. Per me è fondamentale portare i miei studenti, professionisti e non, in primissimo luogo a sentirsi nel corpo. Il sentirsi e il muoversi dal punto di vista cronologico precedono il pensare. È anche vero che non si può parlare di mente senza corpo. È il concetto di corpomente, che abbraccia due aspetti di noi stessi: uno materiale, il corpo, e l’altro immateriale, la mente.
Nell’ambito delle scienze cognitive, negli anni ’90 è nata il concetto di cognizione incorporata: un pensare che entra nei tessuti e nei vissuti del corpo. Paradossalmente i pensieri quotidiani ci portano lontano dal corpo, lontano dalla realtà e dal presente, ci fanno entrare in un mondo alienato e molto spesso ancorato a condizionamenti, a pensieri ed emozioni passati.
Nel mio libro Corpul Cunoscător (Il Corpo Conoscente), recentemente pubblicato, parlo per esempio del fatto che l’esperienza del neonato si costruisce dai primi battiti del cuore grazie a un dialogo tonico e fonico, con la madre prima di tutto e poi con il padre, con i loro gesti, le loro parole, le loro emozioni. Questo dialogo motorio permette al bimbo di esplorare più tardi uno spazio che è simbolo della sua relazione affettiva con la madre.
Lo spazio, la casa sono sempre l’estensione del proprio corpo. Per la Neurobiologia ogni processo di individuazione passa dall’accudimento e condizionamento famigliare e sociale a una decostruzione e ricostruzione di se stessi. Se pensiamo che l’identità è sempre corporea, allora in questa precisa fase il metodo Feldenkrais® usa la decostruzione e ricostruzione del movimento, nuove azioni ed esplorazioni che procedono per tentativi e a errori. Facciamo esperienza quindi di un ciclo somato-psichico dove le nuove azioni diventano nuove emozioni e pensieri, che funzionano come un’unità.
Per Moshe Feldenkrais, per Ida Rolf, per Bonnie Bambridge-Cohen pensieri ed emozioni si riflettono su posture e atti di cui non siamo assolutamente consapevoli, ma è vero anche l’opposto, che il diventare consapevoli di cosa facciamo cambia gli altri elementi del sistema pensieri-emozioni-percezioni. E le neuroscienze ce lo confermano, parlando di neuroplasticità del cervello, che cambia forma, costruisce nuove sinapsi a seconda delle esperienze consapevoli e nuove che operiamo.
Vorrei offrire un altro esempio. Moshe Feldenkrais e Bonnie Bainbridge osservano attentamente le componenti invisibili che preparano il movimento stesso: le intenzioni, le aspettative preconcette. Queste sono le motivazioni inconsce per le quali normalmente agiamo: sete di potere, bisogno di approvazione, diverse forme di paura.
Ma nel momento in cui investighiamo nuovi movimenti, come fosse la prima volta, creiamo un potenziale nuovo di azioni. Il nostro sistema nervoso si basa su movimento, su sensazioni, su immaginazione cinestesica e sul piacere. Feldenkrais scopre che sensazioni piacevoli unite al movimento microscopico (la cosiddetta legge di Webern-Fechner) creano subito nuovi schemi percettivi, cognitivi e motori. Per concludere: diventando consapevoli del corpo, si genera una forma mentis focalizzata, presente, equilibrata, sintonizzata con il presente e non con i pensieri riflessi e frammentati. La mente è effettivamente incorporata, ma dobbiamo diventarne consapevoli!


Progetto H..E.ART- Humans embodying Art, progetto educativo partecipativo-CNDB
(crediti foto: Alina Usurelu)

Quanto interesse ha riscontrato da parte del pubblico in relazione alla diversità delle manifestazioni proposte?

Come dicevo alla seconda domanda, il pubblico contemporaneo a volte viene sorpreso dagli artisti in contesti non-teatrali, grazie agli happening che dagli anni ’60 ai giorni nostri hanno creato un connubio fra arte e vita. Noto un’espansione del concetto di pubblico, di osservatore ma anche di artista. Questo ci stiamo chiedendo noi artisti, ai tempi del covid: a chi ci indirizziamo?
È importantissimo uscire dalla turris eburnea dello spettacolo per abbracciare una missione etica e politica dell’artista. Soprattutto ora che in piena pandemia, il livello di paura e angoscia è cresciuto esponenzialmente.
Per il pubblico dello spettacolo contemporaneo in Romania è il momento di comprendere il valore della percezione ed educazione corporea e di aprirsi all’esperienza corporea. Ricordo che il regista Eugenio Barba chiamava i critici dello spettacolo a partecipare fisicamente ai suoi laboratori.
I segni usati nello spettacolo sono diversamente recepiti se il fruitore si conosce attraverso il corpo. Per questo le ultime mie creazioni sono partecipate, invitando l’osservatore ad ascoltare-esplorarare il proprio corpo, in questo momento i singoli filtri percettivi vengono amplificati, integrati, potenziati grazie al sentirsi vita in pieno movimento. In questo momento lo spettacolo può diventare un atto conoscitivo profondo, che è sempre un atto spirituale.



Progetto Singing Bodies
(crediti foto: Catalina Cosma)





Valentina De Piante, progetto Infuzion
(crediti foto: Victor Vidu)





Progetto Leonardo 500 per gli alunni della Scuola Italiana Aldo Moro, Bucarest




Valentina De Piante, assolo Bad Mamma, terza parte della trilogia Singing Bodies




Spettacolo M.E.L.T. Motion, Emotion and Lateral Thinking, Vienna 2016
(crediti foto: Claudiu Popescu)



A cura di Serafina Pastore
(n. 6, giugno 2021, anno XI)





NOTE
1. Rimando al mio libro, Corpul Cunoscător (Il Corpo Conoscente, UNATC Press, Bucarest, 2021), per eventuali approfondimenti.