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«Il Nulla per tutti». Con Vincenzo Fiore sulle lettere di Cioran ai suoi contemporanei
Caro Vincenzo, è appena uscito in Italia un volume di lettere tra Cioran e vari interlocutori, curato da lei. Come è stato concepito e preparato questo libro? Questo progetto editoriale è nato da lei? Un libro del genere non nasce all’improvviso. Il nulla per tutti è il frutto di diversi anni di studio e di ricerche, nei quali si è tentato di ricostruire la biografia sommersa di Cioran e di tracciare il filo della sua fitta rete di conoscenze in giro per il mondo. In questo modo, oggi, è possibile comprendere i retroscena delle sue opere e sciogliere più facilmente alcuni nodi del suo pensiero. Non perché la scrittura dell’esule parigino risulti oscura, ma poiché spesso la sua filosofia – se di filosofia in senso stretto si può parlare – ha subito diversi tentativi di usurpazione e di semplificazione. Cioran sosteneva che occorreva cercare la verità su un autore non nelle sue opere, ma nella sua corrispondenza, poiché le pubblicazioni a volte potrebbero risultare delle maschere. Avere la possibilità di leggere i carteggi di un autore lungo tutto il corso della sua esistenza e poter aver a disposizione i suoi scambi privati con alcuni dei più grandi del Novecento, ci consente di toccare le vette più intime della sua disperazione e di immergersi nel suo disinganno quotidiano. Questo progetto editoriale ha rappresentato il coronamento di un desiderio che avevo in mente da tempo.
Le fonti sono state numerose e, talvolta, imprevedibili. Mi è persino capitato di dover far comprendere a eredi di persone che in vita avevano incontrato Cioran che fosse in loro possesso del materiale prezioso. La difficoltà di un lavoro come questo è che non esiste una mappatura delle lettere esistenti, né tantomeno confini precisi. Ho ritrovato lettere in America, in Asia e in archivi dimenticati sparsi in Europa. Non posso non citare a questo proposito Antonio Di Gennaro, che è stato un fondamentale supporto, una spalla preziosa con cui potersi interfacciare.
Nel volume è presente un elevato numero di corrispondenti le cui lettere si è ritenuto opportuno collocare non in ordine cronologico, ma alfabetico, per dare al lettore la possibilità di avere a disposizione non un continuum disorganizzato, ma tanti piccoli carteggi ben delineati. Ho cercato di inserire, nei limiti del possibile e nella disponibilità dei diritti editoriali, il maggior numero di lettere. Approfitto per ringraziare tutti coloro che sono stati preziosi nel percorso di trascrizione e traduzione, a partire da Laureto Rodoni, Magda Arhip, Ionuț Marius Chelariu e Massimo Carloni.
È impossibile qui riportare i numerosi passaggi lirici o ironici del testo, ma è straordinario, ad esempio, leggere di Beckett che gli scrive: «Mi sento a mio agio nelle sue rovine», dopo aver letto il Funesto demiurgo. Oppure di Cioran che scrive al suo editore Gallimard di inviare copie negli Stati Uniti per «pervertire la gioventù yankee»; o ancora quando le spiagge d’estate adombrate di gente gli fanno scrivere a Marcel della «superstizione del sole». Al di là della bellezza dello stile e della scrittura di Cioran, attraverso queste lettere è possibile colmare lacune e addentrarsi in anfratti delle opere e della vita del pensatore romeno.
È difficile rispondere in maniera sintetica a questa domanda. Questa raccolta di lettere offre la possibilità di scoprire e leggere un Cioran che non appare nelle opere. Dai suoi commenti su Ceaușescu, passando per i suoi contatti impensabili, fino agli ultimi anni della sua vita; una raccolta di lettere è uno scrigno che custodisce i segreti di un’intera esistenza, lascio a ogni lettore la possibilità e il desiderio di scoprirli tutti.
A cura di Rodrigo Menezesi |