Tradurre poesia: Mihai Eminescu, «La steaua»

Nelle diete si raccomanda la varietà. Passando dagli appetiti gastronomici a quelli letterari, in questo caso alla poesia, questo consiglio è prezioso in particolare per i critici letterari nel novero dei quali però non rientro. Mi nutro quindi liberamente, segnatamente in poesia, dei miei autori preferiti, con particolar riguardo ad alcuni loro componimenti. Ciò premesso, passo ad illustrare in primis la circostanza che ha suscitato in me lo stimolo a scrivere quest’articolo.

Il 16 gennaio 2019, presso l’Accademia di Romania in Roma, si è festeggiata la Giornata Nazionale della Cultura Romena; in questo caso, la Giornata è stata festeggiata il 16 per farla coincidere con i mercoledì letterari dell’Accademia, e non il giorno prima, scelto dalla Romania ufficialmente ed espressamente in quanto data di nascita del grande poeta nazionale Mihai Eminescu (15 gennaio 1850). Nel corso dell’evento, sottolineato da musiche egregiamente eseguite al pianoforte dalla Prof.ssa Marina Ciubotaru, è stato presentato il saggio Mihai Eminescu e la «letteratura italiana» – Ricezione e confronti di Giuseppe Manitta. Il libro è stato illustrato dalla Prof.ssa Angela Tarantino, titolare della Cattedra di Lingua e Letteratura Romena presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università «La Sapienza» di Roma, e dall’autore stesso.

Fra i temi affrontati dai due oratori, uno in particolare ha richiamato la mia attenzione: l’importanza di aderire al testo originale di una poesia da parte del traduttore, sottolineata dalla       Prof.ssa Tarantino, e l’opportunità di una maggiore libertà traduttiva ai fini di una migliore resa estetica, sostenuta dal Dott. Manitta, autore del saggio. È emersa con chiarezza la diversità di vedute fra i due oratori ed è stato scherzosamente fatto loro osservare che comunque al riguardo su un punto almeno i due studiosi sembravano d’accordo: quello di non essere d’accordo! Fra i traduttori presenti e passati è stata ricordata, va da sé, la compianta Prof.ssa Rosa del Conte, quest’ultima legata a Eminescu sia nelle vesti di esegeta (Mihai Eminescu o dell’Assoluto) che in quelle di traduttrice (Mihai Eminescu – Poesie). La divergenza fra i due oratori sul punto testé menzionato non è squisitamente accademica, ma riflette un interrogativo che si pone a ogni traduttore, segnatamente di poesie, soprattutto di poesie di alto valore esistenziale ed estetico come quelle del grande poeta romeno.

I miei amici e colleghi traduttori accolgono perlopiù di buon grado due mie riflessioni in proposito, una seria e una scherzosa. Passo alla prima: «Il traduttore, in particolare di poesie, è come l’alpinista: se, paralizzato dalla paura, si attacca alla roccia e basta, non potrà resistere a lungo e cadrà nel vuoto. Se, spavaldo, si stacca troppo dalla roccia, perderà ogni appiglio e cadrà nel vuoto. Tradurre è l’arte di capire quando e quanto bisogna aderire e quando e quanto bisogna staccarsi». La seconda riflessione, non vorrei essere frainteso, è solo una battuta aforistica di tono goliardico: «Le traduzioni sono come le mogli: più sono belle, più c’è il rischio che siano infedeli». 

Tornando a essere seri, nel suo citato e interessante saggio, il dott. Manitta osserva, riguardo a Eminescu, che «Esiste una certa disaffezione (o meglio dimenticanza) nei confronti dello scrittore romeno e una sua circolazione perlopiù in ambienti elitari e accademici, o in circoli legati all’origine romena». La difficoltà di tradurre Eminescu ha in effetti vari motivi: è un autore che mira in pochi versi all’assoluto; nelle sue poesie ogni parola è quella giusta, al posto giusto; e i suoi versi, metrici e rimati, se tali li vogliamo anche in italiano, non sono facili da tradurre, anche se, ove in ciò riuscissimo senza forzature, il mantenere metro e rima anche nella lingua d’arrivo meglio risponderebbe a un’esigenza fondamentale in poesia: la musicalità.

Interessante è uno scambio di opinioni avuto al riguardo a Roma con la poetessa romena Ana Blandiana, nel corso della presentazione, il 19-3-2018, del suo libro di poesie L’orologio senza ore, nell’egregia traduzione italiana del Prof. Bruno Mazzoni. Io, sottolineando l’importanza del fattore musica, ho ricordato il primo e l’ultimo verso de L’Art poétique di Verlaine: «De la musique avant toute chose … Et tout le reste est littérature» (Musica innanzitutto... E tutto il resto è letteratura). La poetessa mi ha chiesto: «Per musica lei intende la rima?». Ho risposto: «No, la rima, che è un arricchimento musicale, può esserci come non esserci; quello che io ritengo fondamentale è il ritmo». Al che Ana Blandiana ha risposto: «Sono completamente d’accordo con lei; se manca il ritmo, non è poesia, è altra cosa». Due giorni dopo, incontrata di nuovo a un concerto, la poetessa mi ha espresso i suoi più vivi apprezzamenti per un libro che le avevo precedentemente regalato di mie poesie (Adriatico/Adriatică) in lingua italiana e francese, alcune rimate altre senza rima, accompagnate dalla bellissima traduzione romena di Laura Vincze nella quale la traduttrice, discutendo con me verso dopo verso, aveva posto il massimo impegno nel conservare, ove possibile, le rime in romeno e, dove non possibile, nel dare al verso un ritmo ben calibrato.

Riprendendo ora un tema posto dal Dott. Manitta, quello cioè di una certa disaffezione nei confronti di Eminescu da parte del pubblico italiano, vorrei offrire qui una mia considerazione personale, un po’ fantasiosa, se volete: immaginiamo di presentare una nostra traduzione in italiano di una poesia di Eminescu, facendola passare per nostra poesia, a un concorso di poesie in lingua italiana la cui pur qualificata giuria ignori (l’ipotesi non è inverosimile) il vero autore del componimento. Quante probabilità avrebbe la nostra traduzione di ottenere un buon piazzamento nel concorso? Presumo poche. Il Dott. Manitta, con riferimento a Eminescu, ha un suggerimento che mi trova consenziente: «… per l’opera poetica sarebbe auspicabile una traduzione, magari a più mani, da inserire nelle importanti collane editoriali italiane». Tempo fa ho tradotto in italiano, metricamente e in rima, una delle poesie di Eminescu che più amo, La steaua, e che fra l’altro so a memoria. Nel verso finale mi sono concesso, come il lettore vedrà, una libertà traduttiva. Ma un dubbio mi assale: il dott. Manitta la inserirebbe nell’auspicata antologia di traduzioni a quattro mani?

 

Verso l'astro

Verso l'astro che in cielo ora spuntò
Così lunga è la strada che conduce,
Che mille e più d'anni camminò
Fino a noi per giungere la luce.

Da tempo forse, lungo il suo cammino,
Si è spento nelle azzurre lontananze,  
Ma il suo raggio, ora appena, a noi vicino,
Risplende, nonostante le distanze.

L'icona della stella ch'ora è morta
Sale lenta nel cielo, fin lassù;
Quando c'era davvero, non fu scórta;
Oggi che la vediamo, non c'è più.

A lei simìle, quando il nostro ardore
Perì, svanì nella notte profonda,
La luce del perduto spento amore
Ci segue, insegue ancora, come l'onda.

 

La steaua

La steaua care-a răsărit
E-o cale atât de lungă,
Că mii de ani i-au trebuit
Luminii să ne-ajungă.

Poate de mult s-a stins în drum
În depărtări albastre,
Iar raza ei abia acum
Luci vederii noastre.

Icoana stelei ce-a murit
Încet pe cer se suie;
Era pe când nu s-a zărit,
Azi o vedem, şi nu e.

Tot astfel când al nostru dor
Pieri în noapte adâncă,
Lumina stinsului amor
Ne urmăreşte încă.



Alessio Colarizi Graziani
(n. 6, giugno 2019, anno IX)