Inedito. Andrei Cornea e «I cani» dal suo Cuvintelnic fără frontiere («Paroliere senza frontiere»)

L’autore romeno che qui proponiamo in traduzione italiana è Andrei Cornea. Nato a Bucarest nel 1952, dopo gli studi di Storia e di Teoria dell’arte presso l’Accademia di Belle Lettere, egli ha conseguito il dottorato in Lettere classiche presso la stessa università. Ha svolto l’attività di museologo (presso il Museo d’Arte Nazionale), di ricercatore (presso l’Istituto di Storia dell’Arte, e poi l’Istituto di Studi Orientali), di professore (alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest). Filosofo, saggista, storico dell’arte e giornalista, dal 1990 è collaboratore permanente di 22, settimanale bucarestino independente di analisi politica e attualità culturale edito dal Gruppo per il Dialogo sociale (GDS) di cui è oggi presidente. Come traduttore dal greco antico in romeno, ha curato l’edizione critica di Repubblica, Filebo, Teeteto di Platone (1986; 1998); della Metafisica (2001)e di Sulla degenerazione e corruzione di Aristotele (2010); delle Opere, I-III (2003-2009) di Plotino, ed è autore di Vita e opera di Epicuro (2016). Fra i suoi saggi e articoli (di filosofia, storia dell’arte e delle mentalità) si possono citare: Scriere și oralitate în cultura antică (Cartea Românească, 1988; Humanitas, 2006); Penumbra (Cartea Românească, 1991; Polirom, 1998); Platon, filozofie și cenzură (Humanitas, 1995); Mașina de fabricat fantasme (Clavis, 1995); Turnirul khazar (Nemira, 1997; Polirom, 2003); Când Socrate nu are dreptate (Humanitas, 2000, 2005; Presses de l’Université Laval du Québec, 2009, tradotto in francese da Anne-Marie Frotin e Eugenia Duta); Cuvintelnic fără frontiere (Polirom, 2002; Humanitas, 2013); De la școala din Atena la Școala de la Păltiniș (Humanitas, 2004); Noul, o veche poveste (Humanitas, 2008); Povești impertinente și apocrife (Humanitas, 2009); O istorie a neființei în filozofia greacă (Humanitas, 2010); Realitatea și umbra (Humanitas, 2013); Miracolul – Despre neverosimila făptură a libertății (Humanitas, 2014).È anche prosatore e ha pubblicato i romanzi: Uimitoarea istorie a lui Șabbatai Mesia (romanzo storico, Humanitas, 2015); Lanțul de aur (thriller storico, Humanitas, 2017, Premio per la prosa dell’Unione degli Scrittori di Romania); Amintiri din epoca lui Bibi. O post-utopie (Humanitas, 2019).
L’antologia di testi apparsi dal 2000 al 2001 nella rivista bucarestina «Observator cultural», intitolata Cuvintelnic fără frontiere («Paroliere senza frontiere»), Humanitas, 20132, inizia senza giri di parole così: «Al principio fu il Verbo. Poi l’Errore. Di traduzione, d’interpretazione, di comprensione». L’opera è un breve trattato di lessicografia ludica, un elenco (con metodo dotto a contropelo) di certi travisamenti (non solo) etimologici, un’evocazione ironico-nostalgica delle vecchie e nuove aberrazioni che fondano e piombano l’edificio di una pensiero-lingua – ma, in fin dei conti, una lingua, cos’è? L’importante, è questo l’interrogativo, sembra concludere Andrei Cornea, sta nel fatto che: il cammino vale dieci (improbabili) risposte...

I cani

Come ben si sa, Socrate sempre giurava sul Cane (cioè, si pensa, su Cerbero – il cane degli inferi), e gli stessi filosofi cinici derivavano il loro nome dal termine greco «cane» (kyon-kynos), nei cui attributi vedevano un’immagine ideale della filosofia tenuta a proferire una verità mordente a dispetto d’ogni convenienza. E ciò a buona ragione: infatti – Platone l’aveva ben notato –, i cani sono degli animali davvero filosofici, o almeno penetrati dallo spirito filosofico, che sanno meglio di chiunque altro discernere l’amico dal nemico e non lasciarsi ingannare né indurre in errore da false apparenze. Ebbene, cosa potremmo augurarci di più prezioso dai filosofi se non, appunto, quella vigilanza al cospetto della verità?
Ma qualunque fossero gli indizi libreschi della vecchia parentela tra la gente filosofica e la gente canina, è sempre preferibile considerare la realtà «della vita» (e non quella «degli scritti»). Allora, ecco ciò che constatiamo:
Al pari dei cani, esistono innanzitutto i filosofi «da guardia». Questi se ne stanno imbronciati, alteri, coscienti della loro gran missione; dei veri e propri «cerberi», benché purtroppo solo possessori di tre fauci ma non di tre cervelli: vigili intrattabili dei «grandi valori dell’umanità», del «prezioso bene della riflessione universale», oppure di vari «tesori nazionali d’inestimabile valore». Vorresti forse avvicinartene, prenderne qualcosa in prestito, oppure, Dio ce ne guardi! penseresti che qualcosa là dentro fosse da spolverare, o peggio, che non meritasse tanta cura –, eccoti accolto da latrati infuriati che ti seguono da dietro il recinto delle riviste; delle zanne accademiche sono pronte a sbranarti e, se non indietreggi rapidamente, corri il rischio di trovarti addiritura fatto a brandelli. Nel frattempo, essi latrano rumorosi, si rimpettiscono, fulminandoti collo sguardo – peccato per loro che portino una catena al collo!
Ci sono poi i filosofi «d’appartamento», o «da compagnia». Questi sono piccini, carini, divertenti, persino spiritosi. Una sorta di giocattoli! Essi fanno la delizia dei loro padroni, che li vezzeggiano, gli regalano cibo fino in conserva di realtà e persino li addobbano di nastri a colori ontologici. Talvolta, come barboncini o pechinesi filosofici si azzardano nondimeno a morsicchiare un po’, per celia, ricevendo in cambio una ben meritata ma delicata punizione. Badate che non meritano di più!
Avanti i prossimi, i filosofi «poliziotti», anche loro divisi in parecchi ordini: il più indiavolato – una specie di «mastino tedesco filosofico» – si occupa della «polizia del pensiero», cioè censura tutti gli altri, politically correct,in nome dei suoi padroni. Basta vederli, quelli, come fiutano le orme di ciò che è dichiarato proibito! Fanno razzia di libri, recensiscono, criticano, denunciano, si pronunciano, annunciano, in guerra sempiterna contro qualche nemico che assalgono senza tregua, e per il bene comune – non c’è da dubitarne. Perciò a loro vanno la riconoscenza, le medaglie onorifiche ecc. In compenso, a costoro occorre mettere assai spesso una museruola!
Parecchio interessanti si sono resi, ultimamente, anche i filosofi «da mostra», o «mediatici»: adornati, azzimati, col «pedigree» filosofico e ideologico ben indicato sulla targhetta che ostentano al collo, si fanno sollecitamente portare a passeggio davanti a «tavole rotonde» e a vari simposi. Nei tempi antichi, i cani-filosofi di questo tipo si chiamavano «sofisti» e ricevevano sia bastonate sul didietro, sia un buon osso da rosicchiare. Il loro stile è di grugnare alle spese di chiunque non si pieghi ai loro capricci. Abbaiano dialogicamente, per pura formalità, gli uni contro gli altri, esibiscono il petto, la coda, le zanne asettiche strofinate accuratamente collo spazzolino ermeneutico; dopo essersi così lasciati fotografare, filmare, inquadrare dalle tv, si vedono ancora onorati in tal o tal modo: inviti a nuovi simposi, borse di studio ecc. Magari sono più gentili degli altri e, la maggior parte di loro, intelligenti e di buona razza. Da farti quasi dimenticare con che sorta di creature hai a che fare. Certo, fino a scoprire qualche muretto più ritirato!
Un caso particolare, di vecchia tradizione in tanti paesi, è costituito dai filosofi «vagabondi», «senza padrone», persino, se volete, «randagi». Questi sempre corrono avanti e indietro, senza dimora, senza posa; certi cittadini onorevoli li perseguitano con rabbia, denunciandoli come dannosi per l’igiene della città e, benché impotenti (in generale) a farli cacciare via, immaginano diverse soluzioni di accalappiamento. Ma si trovano pure dei protettori, anime caritatevoli, di solito qualche «paradigma femminile» disposto a coccolarli e a spidocchiarli. Anzi, detti «randagi» si fanno vanto di rimanere liberi, di dare ascolto – dicono – solo «alla voce della verità». Di cui hanno tuttavia una concezione, diciamo, «relativista». Fate quindi un test: offrite loro un osso!
Naturalmente, i più degni di considerazione sono i filosofi assomiglianti ai cani da caccia. I quali – direbbe Platone (robusto levriero!) – annusano ai quattro venti, braccano la verità e, senza più preoccuparsi del resto, si lanciano a precipizio a «caccia all’Essere», senza mollare la loro preda se non dopo aver catturato qualcosa, o essersi accasciati a terra spossati dalla fatica, ma dopo aver ripreso fiato un momentino raddrizzano il muso al vento per una nuova corsa. Peccato che la selvaggina di pregio si sia fatta così rara ai nostri tempi (boschi d’ogni sorta sono stati tagliati), di modo che la razza degli autentici filosofi «da caccia» è anch’essa sotto minaccia d’estinzione.
Ovviamente, ci sono in filosofia sia i «bassi» sia i «grandi», cioè tanto i Cocker quanto i San Bernardo. Ci sono filosofi di «razza» – costoro hanno un unico padrone, un unico serbatoio di citazioni, un unico Dio e un unico colore del pelo. Peraltro, ci sono nel mondo della filosofia, come fra i cani, i «bastardini» – gli ecclettici, i troppo difficili da piazzare, da collegare alla tradizione, e che scodinzolano davanti qualsiasi dolciume. Ci sono, al pari dei cani, dei filosofi «da combattimento» – vale a dire i polemisti – e filosofi che abbaiano poco ma mordono ferocemente: gli autori di aforismi. Ci sono sia i «cagnoni» sia i «levrieri», così come i «cagnolini»; spesso si trovano, purtroppo, anche dei «cagnacci», che alcuni soprannominano «filosofi cortigiani». Ci sono persino dei filosofi «mioritici» e «carpatini»; ma al pari dei cani così battezzati, si tratta di razze più recenti e, siamo spiacenti di dirlo, non ancora omologate*!
Una gran varietà, insomma: innumerevoli sono le tribù filosofali, tante quanto quelle canine! Ciò nonostante, cani da un lato e filosofi dall’altro, hanno tutti quanti in comune due usanze, che non trascurarebbero a nessun costo: un amore senza limiti per passeggiare (nei giardini del Liceo, sulla Philosophenweg o sui terreni abbandonati attorno ai condomìni); e poi le conversazioni notturne con la Luna – o con ciò che potrebbe celarsi al di là di questa...


A cura di Anca-Domnica Ilea
(n. 4, aprile 2020, anno X)



* Allusione ironica alle controversie del momento, tra gli allevatori di cani, circa l’omologazione come razza distinta del cosidetto «cane mioritico», varietà del buon grosso cane pastore dei Carpazi romeni dal pelo folto.