Andrei Oişteanu, «Le droghe nella cultura romena. Storia, religione e letteratura» (IV)

Andrei Oişteanu (n. 1948) è stato ricercatore presso l’Istituto di Storia delle Religioni (Academia Română) e professore associato all’Università di Bucarest. I suoi campi di ricerca prediletti sono l’etnologia, l’antropologia culturale, la storia delle religioni e delle mentalità. Autore di importanti monografie e saggi su temi “scottanti” come l’antisemitismo, le droghe o la sessualità nella cultura moderna (alcuni dei quali pubblicati in vari Paesi), è stato tra l’altro insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana conferitagli nel 2005 dal presidente Carlo Azeglio Ciampi.
In italiano sono usciti finora i suoi volumi Il diluvio, il drago e il labirinto. Studi di magia e mitologia europea comparata (Fiorini, Verona 2008) e L’immagine dell’ebreo. Stereotipi antisemiti nella cultura romena e dell’Europa centro-orientale (Belforte, Livorno 2018).


Emil Botta e la «lezione di oppio»


È difficile documentare in maniera esaustiva la relazione dei poeti interbellici con le droghe, e questo soprattutto perché l’argomento è stato e, sfortunatamente, è ancora un tabù. Un argomento che, quando non è ignorato, è affrontato da un punto di vista morale e non storico-letterario. Si possono tuttavia fare degli esempi: Tristan Tzara, Ion Barbu, Ion Vinea, Emil Botta…
La morfinofilia del poeta Emil Botta appartiene alla mitologia della storia della letteratura romena. Si sa e si parla del vizio di questo aristocratico del teatro e della poesia, ma nessuno ne scrive. Sembra che alcuni storici e critici letterari avessero intuito sin dall’inizio la tossicodipendenza del poeta. Commentando il suo volume di debutto Întunecatul april [Cupo aprile] (che ha ricevuto il Premio delle Fondazioni Reali nel 1937), G. Călinescu usa espressioni come «grandi allucinazioni romantiche», «l’automatismo degli alienati» o «la divagazione demenziale».[1] A sua volta, recensendo lo stesso volume, Mihai Sebastian ridusse l’universo poetico di Emil Botta non solo a «un mondo di artificio, di mistero», in cui «sicuramente, non è difficile riconoscere un ricordo di Baudelaire o Poe». Non credo sia casuale il fatto che Sebastian paragonasse Emil Botta ad altri poeti tossicomani: Charles Baudelaire, E.A. Poe e Arthur Rimbaud (Rampa, 11 luglio 1937).
Uno dei primi componimenti di Emil Botta, tratto dal volume Pe-o gură de rai [Su una soglia d’elisio] (1943), si intitola Coleridge, dal nome del poeta romantico amante dell’oppio, Samuel Taylor Coleridge. Il poema Vizite II [Visite II], dal volume Întunecatul april (1937) ha come personaggio «il mangiatore inglese di oppio» Thomas De Quincey.[2] Un’altra poesia tratta dal suo volume di debutto si intitola addirittura Lecția de opium [La lezione di oppio]. È significativo il fatto che questa poesia sia stata esclusa dalla censura dalle nuove ristampe del volume nel periodo comunista, benché il poeta avesse insistito per la sua inclusione, anche nel suo ultimo volume pubblicato in vita (Un dor fără sațiu [Un desiderio insaziabile], 1976). La poesia è stata ripubblicata solo postuma.[3] Leggendola, capiremo perché è stata censurata. In Lecția de opium, il poeta – tra i «sognatori con la barba bianca» sembra si «autodenunci» come «fumatore incallito» di oppio:

Ero schiacciato dal bosco ingigantito,
l’albero dell’abulia sussurrava il mio nome:
Emil, fumatore incallito, silenzioso,
congedati da questa terra […]
Le mani degli oppiomani cercano nell’etere,
il luogo di diafane avventure,
Le vite che non sono ancora nate,
mendicano allucinate un bacio
.

I sintomi della depressione del poeta sono presenti quasi in ogni poesia: «disperazione», «frustrazione», «nevrastenia», «grande apatia», «malinconia», «paura della morte» ecc. Alcuni critici (la maggior parte) hanno rintracciato già nella giovinezza del poeta-attore «una malinconia strutturale» e «una tristezza insanabile». Agli occhi dei suoi amici, Emil Botta era un uomo vecchio già a vent’anni: «Botta è in tutto un tipo particolare – ha stile in tutto ciò che fa, sente, pensa. Ha un sorriso amaro, una sorta di Greta Garbo al maschile. Lo chiamano «il cantante della sua tristezza» – perché davvero porta in sé una tristezza irrimediabile», così scriveva Petru Comarnescu nel suo diario dell’aprile del 1932.[4] Emil Botta era negli anni Trenta «straordinariamente lucido e persino devastato», come ricorda Cioran nell’aprile 1969.[5] D’altronde a Emil Botta, come anche a Eminescu, fu diagnosticata solo la depressione psichica:

Ѐ così tormentato il mio cuore,
percosso dal dolore e avvolto dall’oscurità …
Un’avida voglia mi ha dominato
e non so che sete mi strugge continuamente.
(Un dor fără sațiu,1943)

Alcuni elementi interessanti riguardo gli stati depressivi del poeta oniromane si trovano all’interno di un diario tenuto all’epoca da una buona amica, la regista teatrale Jeni Acterian. «E[mil] B[otta] mi diceva triste – scriveva Jeni Acterian il 3 gennaio 1939 – che si era convinto dell’inutilità e povertà delle “chimere” per le quali ancora viveva. Diceva questo stando di spalle con lo sguardo fisso nel vuoto e dimenticando completamente tutto il mondo intorno». Oppure un altro passo di diario, datato 21 dicembre 1938, ancor più interessante, specialmente dal punto di vista di una regista: «E[mil Botta] ha bevuto troppo e l’ha assalito la disperazione. Ha iniziato a recitare versi. Prima Eminescu, poi, non proprio di colpo, la disperazione ha assunto le sembianze di una sorta di demenza e ha recitato gorgogliante, come un pazzo, con occhi sofferenti e gesti pesanti tutto ciò che gli passava per la mente. Da Joc secund [Secondo gioco] fino a Duhovnicească [Spirituale] [di Arghezi] e [Jules] Supervielle, i versi hanno riempito le ore della notte. Aveva bevuto, ma era molto lucido». [6]
L’alcol è stato davvero uno dei rimedi per curare la malinconia di cui il poeta soffriva:

Passeri di lusso attraverso il ricordo degli annegati
quando si ritraggono gli specchi di alcol
un tronco atroce, il giglio dei decapitati
hanno rubato in sogno il misterioso mongolo.
(Centru, [Centro]1932) [7]

Ma, anche se aveva bevuto «un po’ troppo» nella notte evocata da Jeni Acterian, l’ebrezza «molto lucida» del giovane poeta sembra rivelare anche un’altra sostanza psicotropa diversa da una qualche bevanda alcolica. «Mentre il vino intacca le facoltà mentali – scrive il poeta Thomas De Quincey nel 1821 – l’oppio al contrario (se assunto come si deve) crea un ordine e un’armonia mentale perfetta».[8] Partendo dalle osservazioni del poeta inglese, Charles Baudelaire a sua volta ha scritto pagine memorabili sulla differenza fondamentale tra la sbronza provocata dall’alcol e quella provocata dall’hashish o dall’oppio (Du vin et du haschisch, [Del vino e dell’hashish] 1851; Les Paradis artificiels [I paradisi artificiali], 1860).[9] Un secolo dopo De Quincey, Jean Cocteau, basandosi su esperienze personali, scrisse dal canto suo: «L’alcol provoca slanci di follia. L’oppio provoca slanci di saggezza». [10]



Theodor Pallady, Fumatrice di oppio


Nel 1969, il regista Lucian Pintilie realizzò il film Reconstituirea [La ricostituzione], ispirato a un racconto scritto da Horia Pătrașcu. La premiazione del film, oramai un punto di riferimento, avvenne il 5 gennaio 1970 (ebbi la fortuna di essere in sala), ma fu proibito dalla censura dopo pochi giorni di proiezione. Per il regime comunista, il film era sovversivo da tutti i punti di vista. Per un ruolo secondario – un umile insegnante di provincia – Pintilie aveva scritturato l’attore Emil Botta. Il professore di liceo Paveliu cura la propria depressione psichica con l’abuso di alcol. Dopo aver chiesto ostentatamente al Pubblico Ministero di ammanettarlo per il «reato di opinione», il professore si ritira ad ubriacarsi in un’osteria popolare. Chiede una bottiglia di «li - quore O - rien - tal» (un nome pieno di significati) con una voce intermittente e assillante, nello stesso modo in cui un tossicomane chiederebbe una dose senza la quale non vivrebbe. Botta ha dato vita ad un ruolo memorabile! Molti spettatori allora hanno associato la «leggenda» della tossicodipendenza dell’attore al ruolo a cui il regista l’aveva accortamente destinato. Dopo quarant’anni, nel settembre 2009, ho parlato di questo con il regista Lucian Pintilie. Mi ha confermato il fatto che il ruolo del professor Paveliu era quello di un «drogato» che si auto-isolava dalla società. Pintilie mi ha parlato, inoltre, della riservatezza di Emil Botta sul proprio vizio.
Negli stessi anni, in un periodo di relativa liberalizzazione del regime comunista, Arșavir Acterian cercò di pubblicare il diario di sua sorella Jeni. Il suo tentativo fu fallimentare. Egli inviò per posta a Cioran, a Parigi, alcuni frammenti diaristici trascritti, soprattutto quelli riguardanti il loro comune amico, il poeta e attore Emil Botta: un’occasione per Cioran di commentare il labile stato psichico di Emil Botta, ma anche di fare alcune allusioni alla narcomania del poeta. Cioran parlava nelle lettere di «forma di decadenza», dell’«uscita [di Botta] dall’inferno», delle «sue ultime “avventure”», di «questo nuovo ottenebramento [di Botta], riferendosi al suo vecchio ottenebramento e al volume Întunecatul april, pubblicato nel 1937. Sembra che in quel periodo, alla fine degli anni Sessanta o all’inizio degli anni Settanta, Emil Botta abbia sofferto di una forte depressione psichica, tale da essere ricoverato (forse anche per disintossicarsi) all’ospedale n. 9, per le malattie mentali e nervose. La corrispondenza tra Cioran e Arșavir Acterian si riferisce proprio a questa circostanza.
Il linguaggio più o meno allusivo utilizzato da Cioran nelle lettere aveva anche l’obiettivo di ingannare i servizi segreti comunisti che – non vi è alcun dubbio! – leggevano lo scambio epistolare a Bucarest. «Sono molto sensibile – scriveva Cioran a Arșavir Acterian su Emil Botta nel 1969 – al suo profondo sconforto al suo angelismo funebre. La nostra generazione ha conosciuto tutte le forme di sconfitta: come non esserne orgogliosi?» (11 giugno 1969); «Di recente ho visto in “România literară”una foto di Emil Botta: questa maschera tormentata, contratta, tesa fino al punto di scoppiare, con quale simpatia l’ho osservata! C’erano anche questi versi che, in questo caso, hanno assunto il valore di un commento: “a volte, guardandomi allo specchio, rabbrividisco dinanzi agli occhi che vedo”» (6 gennaio 1972); «Mi hai fatto un gran piacere, soprattutto in questo momento, a raccontarmi della svolta morale di Emil B[otta]. Lui è uscito dall’abisso, e io ho preso il suo posto» (11 luglio 1972); «Il ritratto che mi hai tracciato di Emil Botta lo ritengo accurato, ma va da sé che trovo difficile immaginare la versione attuale del suo întunecare [tramonto]. Il ricordo che conservo di lui è quello di un ragazzo incantevole, triste e innocente, o, se vuoi, di un maledetto temperato dalla dolcezza e dall’eleganza» (12 aprile 1974); «Che uomo E[mil] B[otta]! Forse la figura più intrigante della nostra generazione. Quello che mi racconti sulle sue ultime “avventure” lo rende ancora più attraente. Avrei voluto vederlo nell’Amleto!» (20 dicembre 1979, due anni dopo la morte di Emil Botta).
Solo una volta Cioran ha rinunciato al suo linguaggio sibillino: «Recentemente, mi hanno parlato per due ore del nostro caro [Emil] Botta, delle sue esperienze à la Quincey, delle sue avventure estreme, del suo emozionante squilibrio…. Di tutti noi, è lui che è andato più lontano. Non si recita l’Amleto impunemente. Mi sarebbe piaciuto vederlo recitare in quel ruolo.» (lettera ad Arșavir Acterian del 2 novembre 1968).[11]
Parlando delle «sue esperienze à la Quincey» (prendendo come punto di riferimento lo scrittore oppiomane per eccellenza), Cioran si riferiva apertamente alla tossicodipendenza di Emil Botta. È molto probabile che l’agente di servizio che monitorava le lettere tra Cioran e Acterian non avesse capito che le esperienze «à la Quincey» si riferissero al poeta – attore di Bucarest, non sapendo chi fosse «questo caro»! Chiedendo al CNSAS di consultare il dossier della Securitate su Emil Botta, la ricercatrice Ioana Diaconescu è rimasta delusa. Ha ricevuto un «dossier sottile e censurato» (sono esattamente le sue parole) contenente alcune schede rinumerate, completamente insignificanti. Considerando la biografia del poeta e di suo fratello (Dan Botta è stato un legionario e, dopo la guerra, detenuto politico), è poco probabile che la Securitate non considerasse Emil Botta un «obiettivo» e non avesse aperto un DUI (dossier di indagine informativa). [12]
È possibile individuare un legame tematico sotterraneo tra il carteggio Emil Cioran-Arșavir Acterian, da una parte, e il diario di quest’ultimo, dall’altra. Subito dopo aver ricevuto la lettera di Cioran commentata sopra (spedita da Parigi il 2 novembre 1968), Acterian commenta nel diario a margine dell’«oppiomania» di Emil Botta ( il 12 novembre 1968). Acterian non contesta la dipendenza del poeta. Al contrario, la conferma. Egli contesta solo il fatto che la poesia di Botta sarebbe la «visione incoerente di un oppiomane giunto al disfacimento», come «dicono alcuni» (forse si riferisce a Cioran, forse a coloro che hanno parlato a Cioran di questo tema «per quasi due ore»). Secondo Arșavir Acterian, la poesia di Botta è «una tragica tensione di vita, disgregante. La disperazione poetica, il vaneggiamento metabolico trasformati immediatamente in una letteratura dai nobili significati. Dai dubbi e dalle paure, dall’ansia, dalla paura della morte e dal sentimento di dissoluzione, nasce un mondo che lo include e che si sforza di trasformare in sogno e poesia per renderlo sopportabile». [13]
Arșavir Acterian è stato molto vicino ad Emil Botta. Un amico che ha sempre cercato di attenuare l’instabilità psichica, l’eccesso di emotività, l’ipersensibilità. Acterian è stato tra i pochi amici ad aver avuto accesso all’intimità del poeta burbero, soprattutto nei suoi penosi momenti di disintossicazione e dipendenza dai narcotici. «Nel covo in cui si rinchiude […] – scriveva Acterian nel diario il 6 novembre 1971 – l’ho sorpreso agitato, sfiduciato, con una voce cavernosa come se provenisse dal profondo, tanto che difficilmente capisco ciò che dice. […] L’ho trovato con difficoltà il giorno prima in solitudine e nel silenzio, che respirava a fatica, devastato da tutti i caffè in tazze grandi e che fumava come un indemoniato, ostile ad ogni consiglio e qualsiasi forma di assistenza.» [14]
Come altri scrittori e attori del periodo comunista, Emil Botta si procurava caffè di qualità dal negozio del celebre commerciante di caffè Gheorghe Florescu (Bd. Hristo Botev n.10), che aveva pubblicato di recente un libro di memorie.[15] Ma, a parte numerose tazzine di caffè forte, il poeta assumeva spesse volte fiale di caffeina e pillole di luminal, che si procurava in farmacia. Inoltre, fumava esageratamente, accendendosi in pratica una sigaretta con il mozzicone di quella appena fumata. Era insonne e anoressico. Agli amici che chiedevano se avesse mangiato qualcosa, il poeta era solito rispondere: «ho mangiato un caffè e, come dessert, un caffè solubile». Sembrava uno scherzo, ma non lo era. [16]
Nel 1938, Emil Botta pubblicò un volume di prosa poetica, Trântorul [Il fannullone], che passò in qualche modo inosservato. Nella prima novella del volume, Un timp mai prielnic [Un tempo più propizio], scritta nel periodo 1934-1937, appare un alter ego multiplo dello scrittore. Sembra di ritrovare Botta in tutti i personaggi della novella. Egli è tanto «il dottore» (che «si imbottisce di droghe», ingerendo pillole che conserva «in una scatolina su cui è disegnato un orologio»), quanto «il narratore» (che, «abusando di caffè e sigarette», si sente «intrappolato nell’insonnia»), ma anche il protagonista del romanzo scrive del «narratore», Brutus (che «non aveva né fame, né sete»). La liberazione del «narratore» dallo stato di insonnia si traduce successivamente in una visione narcotico-erotica: «Arabela, mormoravo, il caffè e il tabacco mi hanno stordito e mi hanno attorcigliato i nervi; dammi un narcotico, lasciami cadere nel potere del sonno... Elemosinavo quasi, e lei si è piegata pervasa da un’incomprensibile carità e mi ha baciato sulla fronte. Solo allora mi sono addormentato».[17]
Il 27 giugno 1973, qualche anno prima della morte del poeta, Arșavir Acterian scrive nuovamente nel suo diario della «narcotizzazione» di Emil Botta (e di Mihai Eminescu!) allorquando «si vede attanagliato dall’infelicità»: «Spesso E[mil] B[otta] mi ricorda Eminescu. Come lui appassionato di bellezza, come lui assetato di conoscenza, come lui spinge la vita a limiti estremi, come lui innamorato delle donne, disperato, sconvolto dalla sofferenza, stravagante nel comportamento, bizzarro, matto, come lui cerca di narcotizzarsi nel momento in cui si vede attanagliato dall’infelicità, come lui a un passo dalla scissione e dalla follia».[18]
Non è casuale il fatto che proprio nel diario di Arșavir Acterian si trovino alcune informazioni sulla tossicodipendenza del poeta Emil Botta. Acterian aveva un certo interesse per gli effetti delle droghe e soprattutto per il modo in cui esse influiscono sulla creatività degli scrittori e degli artisti. Basta sfogliare il diario. Nel 1932, per esempio, gli sembra «lodevole» il film Cocaina (con l’attrice Marcelle Chantal), che vede assieme ad Eugen Ionescu. Va detto tra parentesi, che in quegli anni, per Jeni Acterian, sorella di Arșavir, il cinema era «il miglior narcotico possibile» (annotazione del diario, 17 ottobre 1933).[19]
Nel 1969, Acterian commenta nel suo diario un articolo elogiativo sul poeta René Daumal (1908-1944), morto a trentasei anni di tubercolosi, malattia che avrebbe contratto poiché si drogava con tetracloruro di carbonio, più raramente con etere e protossido di azoto (gas esilarante). «Anche lui ha cercato l’assoluto, anche lui ha imbrattato la carta, ma si è anche drogato per riuscirci, come Quincey, Aldous Huxley e gli hippy di oggi. Precursore di questi ultimi. A quanto pare, un loro ispiratore, tra gli altri. Aveva un’intera cerchia di scribacchini esperienzialisti simili per certi versi ai surrealisti, ma si distingueva da loro per la rabbia dell’esperienza e l’intensità dello spirito ardente che lo condusse presto alla tomba (la cellula umana difficilmente sopporta gli eccessi).»
Infine, nel 1972, Arșavir Acterian menziona nel diario un certo pittore, figlio di un amico (difficile da identificare), che sconvolgeva la propria sensibilità per l’eccesso di stimolanti psicotropi – alcol, caffè, tabacco. «Il vizio alla fine porta alla nevrastenia e alla pazzia. Probabilmente, il talento del pittore (e lo stesso discorso vale per tutta la categoria di creatori con vizi simili) è quindi sferzato, l’intelligenza si acuisce, la sensibilità è percossa per essere ingentilita e raffinata». [20]

Andrei Oișteanu
Traduzione a cura di Valentina Elia
(n. 3, marzo 2022, anno XII)




NOTE

[1] Nicolae Manolescu, Istoria critică a literaturii române. Cinci secole de literatură [Storia critica della letteratura romena. Cinque secoli di letteratura], Paralela 45, Pitești 2008, p. 904.
[2] Emil Botta, Scrieri [Scritti], vol. I e II, a cura di Ioana Diaconescu, Minerva, București 1980, p. 57.
[3] Ivi, p. 55.
[4] Petru Comarnescu, Pagini de jurnal [Pagine di diario], vol. I, Noul Orfeu, București 2003, p. 42.
[5] Emil Cioran, Scrisori către cei de-acasă, Humanitas, București 2004, p. 208. [Emil Cioran, L’orgoglio del fallimento. Lettere ad Arșavir e Jeni Acterian, a cura di A. Di Gennaro, tr. it. di M. Arhip e L. Rodoni, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2021, p. 29.]
[6] Jeni Acterian, Jurnalul unei fete greu de mulțumit [Il diario di una ragazza difficile da accontentare] (1932 – 1947), a cura di Doina Uricariu, Humanitas, București 2007, pp. 258, 265.
[7] Ivi, p. 251.
[8] Thomas De Quincey, Confessioni di un oppiomane, Einaudi, Torino 1996. Esiste anche un’edizione romena, intitolata Spovedania unui mâncător de opium, traduzione di I.D. Gherea, Casa Școalelor, București 1946. La traduzione di Corneliu Rudescu è stata ripubblicata nel 2010 da Polirom, p. 240.
[9] Charles Baudelaire, Paradisi artificiali, Rusconi Libri, Milano 2017, pp. 5, 107.
[10] Jean Cocteau, Oppio, SE, Milano 2001.
[11] Emil Cioran, Scrisori, cit., pp. 208-210, 214-215, 222, 236. [L’orgoglio del fallimento, cit., pp. 31, 40, 42, 56, 51, 28].
[12] Informazioni ottenute dalla poetessa Ioana Diaconescu (27 novembre 2009), che ringrazio. Diaconescu è ricercatrice accreditata alla CNSAS (Consiglio Nazionale per lo Studio degli Archivi della Securitate) per studiare i dossier della Securitate relativi ad alcuni importanti intellettuali romeni (Mircea Eliade, Emil Cioran, Mircea Vulcănescu, Ion Petrovici, Nicolae Steinhardt, Vladimir Streinu, Ion Barbu, Emil Botta ecc.). Inoltre, è stata amica fidata di Emil Botta negli ultimi anni della sua vita (1974-1977). Dopo la morte del poeta, Ioana Diaconescu ha raccolto le poesie pubblicate in vari volumi e riviste (Emil Botta, Scrieri, voll. I-II, a cura di I. Diaconescu, Minerva, București 1980).
[13] Arșavir Acterian, Jurnal 1929-1945/1958-1990, Humanitas, București 2008, p. 179.
[14] Ivi, pp. 305-306.
[15] Gheorghe Florescu, Confesiunile unui cafegiu [Confessioni di un bevitore di caffè], Humanitas, București 2008, p.123.
[16] Ivi.
[17] Emil Botta, Trântorul, Editura pentru Literatură, București 1967, pp. 17-33.
[18] A. Acterian, Jurnal, cit., p. 367.
[19] Ivi, p. 54.
[20] Ivi, pp. 119, 194, 328.