Tormentato da Dio. Il nichilismo mistico di Emil Cioran

Il lavoro di Mirko Integlia costituisce un punto di vista importante, un tassello fondamentale, un anello essenziale per l’analisi e la ricostruzione dell’opera di Emil Cioran, nell’ambito della storia della filosofia continentale contemporanea. È la prospettiva di un uomo di fede, di un sacerdote, di un credente, che si confronta (e si scontra talvolta) con il filosofo di Răşinari, ripercorrendo le tappe del suo percorso esistenziale e del suo pensiero tragico, con particolare attenzione alla questione religiosa e al tema di Dio.

Sì, perché la faccenda (complessa) è tutt’altro che chiusa, dal momento che Cioran è uno spirito religioso che non crede in Dio, un mistico ateo che si scaglia contro l’Essere supremo. Cioran non prega Dio, inveisce, impreca, bestemmia, grida il proprio assurdo dolore nella situazione limite di essere sempre «al culmine della disperazione». Ma è proprio qui, nel fondo abissale della solitudine e del cafard, che sorge lo spiraglio (ideale) di un Essere assoluto, come ultimo «interlocutore» (fittizio) per sopportare l’angoscia e l’insostenibile «male di vivere», il peso di essere al mondo:

«Je n’ai pas la foi, certes, mais j’ai une relation avec Dieu, si vous voulez, Oui, c’est bien exact, mais une relation dépourvue de foi. J’ai écrit, quelque part : quand on est dégoûté des hommes, de la vie, de tout, même sans la foi Dieu est un interlocuteur. À l’extrême de la solitude, avec qui parler ? Il n’y a qu’avec Dieu que vous voulez parler.
Il faut un dialogue, et puisque les gens sont exclus, Dieu apparaît automatiquement. C’est une sorte de foi qui n’en est pas une. Malgré les tourments, la solitude, l’angoisse, l’important est que la religion a joué un rôle dans ma vie, même sans la foi». [1]

Ha forse ragione, allora, il Padre domenicano Marie-Dominique Molinié quando definisce Cioran «un croyant à l’envers» [2], espressione paradigmatica ed efficace che può essere applicata, e quindi fungere da filo conduttore, anche al lavoro ermeneutico di Integlia. Basta sfogliare Lacrime e santi, o ancora leggere qualche passaggio dei Quaderni, per constatare quanto sia vivo, sofferto e turbolento il rapporto di Cioran con Dio, quanto sia intenso e struggente il dramma interiore di un giovane, poco più che ventenne, che desidera ardentemente oltrepassare la propria inquieta coscienza infelice, proiettandosi in Lui:

«Io sono come un mare che ritiri le sue acque per fare posto a Dio. L’imperialismo divino presuppone il riflusso dell’uomo. Oppresso dalla solitudine della materia, Egli ha pianto gli oceani e i mari. Da ciò il richiamo misterioso delle distese marine, e la tentazione di una immersione definitiva, come scorciatoia verso di Lui… Colui che, di fronte ai cieli e ai mari, non ha rasentato le lacrime, costui non ha mai abitato le nebulose contrade del divino, dove la solitudine è tale che ne richiama un’altra ancora più grande». [3]

E ancora, nei Cahiers:

«Non è facile scrivere su Dio quando non si è né credenti né atei: probabilmente il nostro dramma è di non poter più essere né l’uno né l’altro». [4]

«Nonostante tutti i miei sogghigni, mi rendo perfettamente conto che un giorno potrei dissolvermi in Dio, e questa possibilità che mi concedo mi rende un po’ più indulgente verso i miei sarcasmi». [5]

«In me di religioso c’è soltanto il disgusto per il mondo. Ma persino questo disgusto è impuro. Di qui i miei rapporti intermittenti e senza esito con l’assoluto». [6]

Per tutta la vita Cioran lotterà con Dio, sarà il «bersaglio» privilegiato delle sue maledette notti insonni. Per tale ragione è importante prestare la massima attenzione, all’articolazione, allo svolgimento e all’evoluzione psicologica di Cioran (tenendo, in costante considerazione non solo le opere pubblicate in vita, ma anche le interviste e i carteggi), al fine di porre in luce (certo in maniera mai esaustiva e definitiva) i motivi e i moventi di una perenne «crisi religiosa», di un travaglio spirituale che accompagneranno il pensatore rumeno-parigino, dagli anni dell’adolescenza trascorsa a Sibiu, sino alla fine dei propri giorni, nel Quartiere Latino.

«Più in alto del piacere di invocare Dio, troviamo quello di attaccarlo. I mistici come gli atei mi sono vicini. Comprendo la furia d’amore degli uni e l’odio rabbioso degli altri, eppure mi trovo meglio in compagnia di questi ultimi: non è forse più lusinghiero lottare che inginocchiarsi? E poi, quale soddisfazione scegliere Dio come bersaglio, prenderlo di mira! È vero che è un gioco, che Egli non cade sotto i nostri proiettili né sotto i nostri colpi. Ma che importa! Quando non possiamo amarlo, dobbiamo combatterlo. I nostri malumori devono scaricarsi su qualcuno. Anche se si tratta di Lui. Lo odio per umanità – per risparmiare gli uomini, ma soprattutto me stesso. La mia avversione non è dettata dalla malevolenza: è un semplice esercizio, una ginnastica, o un rito del cafard. In fondo, ho bisogno delle mie sessioni di odio che vedono in Lui il centro o il pretesto. Ognuno si allena come può: per il mio equilibrio, non posso rinunciare a vivere in guerra contro di Lui. Siamo d’accordo così. Va da sé che all’occorrenza il mio metodo cambia: è allora che faccio mie le assurdità della preghiera…» [7]

Meritevole dunque l’esegesi, attenta e rigorosa, dell’amico Mirko Integlia per inquadrare la specificità e l’originalità di Cioran, nell’ambito del pensiero novecentesco. L’indagine di Cioran, su Dio, al di fuori ogni schema teorico-speculativo, oscilla – meditando –, tra filosofia, teologia e a-teologia, lasciandoci continuamente spiazzati, perplessi, conseguendo poche certezze e molti dubbi. È il suo metodo scettico-paradossale, fatto di provocazioni e dileggi, che non vuol giungere ad una verità ultima, ma tenersi sempre aperto allo spazio del nulla e della libertà:

«Non riesco a riconciliarmi né con me stesso, né con altri, né con le cose. E neppure con Dio. Con lui in nessun modo. Rifugiarmi, come un adoratore stupido, nelle sue fredde braccia? Ma io non ho bisogno di un giaciglio buono per vecchie allo stremo. Mi riposo meglio sulle spine di questo mondo e quando mi irrito divento a mia volta una spina nel corpo del Creatore e delle sue creazioni». [8]






Antonio Di Gennaro
(n. 11, novembre 2019, anno IX)



NOTE

1. L. Chantigny, Cioran: le dialogue avec Dieu aux confins de la solitude, «Le Beffroi», n. 5, 1988, p. 167.
2. Cfr. lettera di Marie-Dominique Molinié a Cioran del 13 maggio 1944, in Cahier Cioran (n. 90), a cura di L. Tacou e V. Piednoir, L’Herne, Paris 2009, p. 496.
3. E. Cioran, Lacrime e santi, a cura di S. Stolojan, tr. it. di D. Grange Adelphi, Milano 1990, p. 44.
4. E. Cioran, Quaderni 1957-1972, tr. it. di T. Turolla, Adelphi, Milano 2001, p. 249.
5. Ivi, p. 258.
6. Ivi, p. 818.
7. Cahier Cioran [n. 90], cit., p. 163.
8. E. Cioran, Breviario dei vinti 1957-1972, tr. it. di C. Fantechi, Voland, Roma 2019, p. 58.