L’istroromeno: un testo orale inedito

A completamento del mio articolo apparso nel numero di settembre di questa stessa rivista, pubblico qui un breve testo istroromeno inedito, accompagnato dall’audio originale [1]: esso è stato pronunciato, alcuni mesi fa, spontaneamente, anche se con mio preavviso, da Maria Liubicich lu Čərče [2], mia informante di 78 anni, nativa di ʹBəršćina, località la Bwoška [3], che vive a New York dal 1956, ma continua a parlare il vlwaški (qui vl.) con parenti ed amici istroromeni della metropoli e dell’Istria. Credo che i parlanti istroromeni di New York, nonostante il nuovo contatto linguistico con l’inglese (americano), evento che, a quanto mi risulta, nessuno ha mai studiato, abbiano conservato meglio la lingua che si parlava nei villaggi storici prima dell’ultima pesante pressione del croato, verificatasi dopo l’annessione della regione alla Jugoslavia di Tito e al conseguente esodo degli anni 1945-55 circa.
Va tenuto presente che la registrazione non è professionale, ma è stata realizzata da me stesso attraverso il telefono. L’intonazione del brano risulta un po’ forzata per via dell’emozione della parlante. Ho fatto una traduzione piuttosto letterale per conservare l’andamento sintattico del testo originale.

Registrazione audio

Yo mayʹmund de kəta nu štivu če vwoy gaʹney, nego stvwari de unʹtrwat, kun-a ča fwost: me domisʹles vreama de vwoyska, n-a fwost muʹšwat za lu niʹčur, mik ni mware, tirar ni beʹtər, twotz pljir de frika ke vwor-ne nimtsi učide. Benj, čwa nu s-a dogoʹdit, ramwas-an twots viyi. Čwače fwost-a ən ʹWafrika, zeruʹbit di la Ingleži za pwatru wanj, yo nu l-am ni konosʹkut dokle nw-a veʹrit kwasa, vut-am devet let, twots skupa-n fwost devet ən faʹmiliye, n-a fost nič, pinez pwok ziče doboto za nič, ča se užeya ziče «nanki za pre sware». Pa čwače, dupa zwalik vreame, dičidit-a meare ćwa ən ʹTwaliye ši s-a əmbarʹkeyt za ʹMeriku. Čuda r-a fi za spunjaʹvey, ma za mwoče samo kəta.

Waze-m gaʹneyt ku Marčela lu Kunʹčić, ča-y mea priʹyatelitsa tota življenja, pa m-a domisʹlit kən-a čelji nwostri komuništi lwat ljey čwače ši l-a pus ən pərʹžun ən Pwazin, fost-a akuʹžeyt k-a čwače štiʹvut ke va filju skaʹpwa preste kunʹfin din ʹIstriye-n Trst. Pwazin əy dwosti lwargo dende nwoy viʹren, dende nwoy-n žiʹvit: čwale dwobe, far de koryera, far de vetura, twot na nwoge. Pa ywa mnwat-a din Kostərʹčwan preste ʹbrigure ən Tserwovlje, mayʹmund de do ure, za kaʹtswa trenu za Pwazin, štesa kwale moreyt-a fwače nwazat za veʹri kwasa štesa zi. Čəsta-y samo ʹzwalika de tot če s-a treʹkut, ši ne samo nwoy, nego čuda watslji.
E pwokle dupa twot, nuškət wanj pwokle, verit-an ən ʹMerika pomwalo ur dupa wat, ən fuʹrešt peʹmint, ne šti limba, ne vea pinez, ne puʹtea zwayno flaw lukru, ke saki zwayno əntrebwat-a: E ganešti ingleški? Ma pomwalo twot-an treʹkut ši zgoʹyit faʹmiliya ši yelj mwoče waru sea faʹmiliye, seale kwase e žiʹvwot, e nwoy watslji, dupa twot, ʹnuškarlji viyi ʹnuškarlji mworts, ši šwa življena meare renće.
Prin nuntru fwost-a ši muʹšwat za domisli-se, twots skupa, priʹywatelj, ćwaro-n fwost priʹyatelj twots, meare la misa-n Bərdo, vut-an ćwaro bur prevt, kware s-a kljeʹmwat Frane ʹKrizmančić, mware priʹyatel lu twots, ši ganeyt-a ku nwoy vlwaški kaši k-a fwost ur de nwoy, pa nu se pwote uʹtwa. Noy ʹtirari priʹyatelji ši priʹyatelitse lukrwayan ən kampwanje, dipenʹdea kun a-raʹbit, e de ʹsəmbata s-a megaʹveyt na ples twots skupa ši vro vwota-n čine, ni čwa nu se pwote uʹtwa, ča n-a fost ćwaro muʹšwat. E seara čuda vwote se flaveyan la suʹsez, yuva se skərtseya, kəntwaya, spunjaveya ʹštworiye, de lume, de ʹBibliye, e šwa renće.
Čuda ra fi za spunjaʹvey de twot, kun ši če, de nwostra limba, de nwostru žiʹvwot: fworši o zi vrur va piʹsey libru, češlji ʹtirari če-s nasʹkut wanča: vwaru škwole, bure ʹlukrure, napredvesku dosti bire, ʹnuškarlji sku ši dosti zemoʹžit. E ši če-ren mayʹmund de kəta, Domnu štiye če ne inka šteapta do krwaya, uʹfen-se za bire ši mir pre česta lume.


Traduzione

Io più di tanto non so che cosa dirò, se non le cose di una volta, com’era allora: mi ricordo il tempo di guerra, non è stato bello per nessuno, piccolo né grande, giovane né vecchio, tutti pieni di paura che i tedeschi ci uccidessero [4]. Beh, questo non si è verificato (nella nostra famiglia), siamo rimasti tutti vivi. Mio padre si trovava in Africa, prigioniero degli Inglesi per quattro anni, io neppure lo conoscevo finché non è ritornato a casa, avevo nove anni, tutti insieme eravamo nove in famiglia, non c’era niente (in casa), denaro posso dire quasi per niente, questo si usava dire «neppure per il sale». E allora il babbo, dopo un po’ di tempo, decise di andare via in Italia e si imbarcò per l’America. Molto ci sarebbe da raccontare, ma per ora basta così.
Oggi ho parlato con Marcella lu Kunčić, lei è mia amica di tutta la vita, e mi ha ricordato di quando quei nostri comunisti (cioè quelli di Tito) hanno portato via suo padre e l’hanno messo in prigione a Pisino, veniva accusato che il padre (stesso) sapeva che il figlio sarebbe scappato oltre il confine dall’Istria a Trieste. Pisino è abbastanza lontano da dove noi veniamo, dove noi vivevamo: a quei tempi, senza una corriera, senza un’auto, tutto a piedi [5]. E lei ha camminato da Costerzani [6] attraverso i monti fino a Cerreto, più di due ore, per poter prendere il treno per Pisino, e la stessa strada dovette fare di nuovo per tornare a casa nello stesso giorno. Questo è solo un po’ di tutto quello che si è passato, e non solo noi, ma molti altri.
E poi dopo tutto, alcuni anni dopo, siamo arrivati in America, pian piano uno dopo l’altro, in terra straniera, non sapere la lingua, non avere denaro, non poter subito trovare lavoro, che ciascuno subito ti chiedeva: E parli inglese? Ma pian piano abbiamo superato tutto e fatto crescere la famiglia e loro (cioè i figli) ora hanno la propria famiglia, le proprie case e la loro vita, e noi altri dopo tutto, alcuni vivi alcuni morti, e così la vita va avanti.
Fra l’altro era anche bello da ricordare, tutti insieme, amici, eravamo molto amici tutti, andare a messa a Berdo, avevamo un prete molto bravo, che si chiamava Francesco Krizmančić, grande amico di tutti, e parlava con noi il vlwaški come se fosse stato uno di noi, e non si può dimenticare. Noi giovani amici e amiche lavoravamo in campagna, dipende da come era necessario, e di sabato si andava al ballo tutti insieme e qualche volta al cine [7], e neppure questo si può dimenticare, era una cosa per noi molto bella. E di sera molte volte ci trovavamo dai vicini, dove si scherzava, si cantava, si raccontavano storie, del mondo, della Bibbia, e così via.
Molto ci sarebbe da raccontare di tutto, come e che cosa, della nostra lingua, della nostra vita: forse un giorno qualcuno scriverà un libro, questi giovani che sono nati qui [8]: hanno studiato, hanno buoni lavori, progrediscono piuttosto bene, alcuni sono anche piuttosto benestanti. E cosa vogliamo più di tanto, Dio sa che cosa ancora ci toccherà fino alla fine, speriamo in bene e pace su questo mondo.

 




A cura di Antonio Dianich
(n. 10, ottobre 2015, anno V)




NOTE

1. Per le notizie storico-linguistiche riguardanti l’Istroromeno (vlwaški, qui vl.) ed i metodi di trascrizione di questa lingua trasmessa solo oralmente, il lettore può riferirsi a quanto da me accennato nei miei due articoli precedenti apparsi su questa rivista (anno IV, n. 6, giugno 2014 e anno V, n. 9, settembre 2015), oltre che, naturalmente, alla bibliografia essenziale ad essi allegata.
2. Čərče è il nome della casa dove l’informante è nata ed è vissuta prima dell’esodo in America. In vl. le case sono chiamate con un econimo, come Kun ʹčić, Petər’hulj, Vitsina, Šćavina, ecc., che conservano anche se gli abitanti cambiano: le persone vengono indicate, più che con nome e cognome, con il nome o il soprannome, seguiti da lu (it. di) e il nome della casa, come qui.
3. ʹBəršćina (it. Briani) è uno dei villaggi in cui si parla il vl. meridionale, a ovest del Monte Maggiore, in Istria (Croazia). Il vl. settentrionale si parla a Žeʹywan.
4. Si riferisce al periodo dopo l’8 settembre 1943, quando la regione passò sotto la Germania nazista. In precedenza la guerra aveva interessato solo marginalmente i villaggi istroromeni, mentre dopo quella data essi furono preda di nazisti, fascisti, comunisti.
5. Sono molto tipiche del vl. le proposizioni narrative nominali o infinitive, presenti anche in seguito nel brano.
6. In vl. Kostərʹčwan, la località relativamente più popolosa di ʹBəršćina.
7. Non a ʹBəršćina, dove non c’era la corrente elettrica, ma a qualche chilometro di distanza, a Čepić (it. Felicia).
8. Cioè in America.