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Armando Santarelli: «È un demonio, quel Proust!» 
 Ma è proprio così? Proust è davvero il maggior  scrittore del Novecento? Naturalmente, è impossibile stilare una graduatoria, un  podio dei più grandi letterati di ogni epoca. Però, le classifiche che ogni  tanto vengono redatte intervistando scrittori di ogni paese del mondo, vedono  sempre, al primo posto, Marcel Proust. Il perché di questa quasi unanimità è  presto detto: la sua opera maggiore, À la recherche du temps perdu, è un  immenso capolavoro, un romanzo dove troviamo tutto: il senso, lo stile, la bellezza,  la poesia, l’originalità, le concezioni più profonde riguardo al tempo,  all’amore, alla malattia, all’amicizia, alla lettura, all’arte. Come ha  affermato il grande filologo tedesco Erich Auerbach, Proust è il primo  scrittore «che ha applicato in modo metodico e coerente la concezione del mondo  come funzione della coscienza». Nell’ambito dell’ineguagliabile processo di penetrazione psicologica che caratterizza l’opera di Proust, un tema che mi colpito in modo particolare e che percorre l’intera Recherche è quello del doppio. La grande strategia di Proust è quella di osservare i suoi personaggi e cogliere i diversi io che abitano e si manifestano in ciascuno di essi. Il doppio riguarda la contaminazione fra tratti estetici e comportamenti etici, lo snobismo che si cerca di dissimulare, le tendenze sessuali che si tende a nascondere, riguarda – e qui l’autore è davvero geniale e inarrivabile – la vera natura di certi sentimenti. In particolare, Proust insiste sul carattere soggettivo dell’amore: la persona che amiamo è, in qualche modo, una nostra costruzione, e la vera realtà è ciò che discende dall’amore, in primis la gelosia. L’amore sdoppia i personaggi, fenomeno che riguarderà lo stesso Narratore, che si accorge di diventare egli stesso una diversa persona a seconda delle Albertine cui si rapporta. Sublime e terribile è una delle affermazioni di Proust sull’amore: «Come ci si può augurare di vivere, come si può agire per preservarsi dalla morte in un mondo in cui l’amore non è provocato che dalla menzogna e consiste nel bisogno di vedere le nostre sofferenze lenite dall’essere che ci fa soffrire?» Concludo dicendo che Proust  è lo scrittore che più di altri ci ha fatto scoprire che l’arte rivela la vita a  sé stessa; l’arte coglie l’essenza delle cose, sottraendole al contingente, ed  è quindi non solo conoscenza (come voleva un precetto del Decadentismo) ma  anche salvazione, l’unica via concessa all’uomo per sfuggire al tempo e alla  morte. Ed è infatti alla distruzione operata dal Tempo che sopravvivranno per  sempre le pagine della Recherche.  Nella sua biografia di Proust, André Maurois ricorda il silenzio carico di  commozione che subentrò alla lettura del brano della Prigioniera dedicato alla morte dello scrittore Bergotte: «Lo  seppellirono, ma per tutta la notte prima dei funerali, nelle vetrine  illuminate, i suoi libri, disposti a tre a tre, vegliarono come angeli dalle  ali spiegate sembrando, per colui che non era più, un simbolo di resurrezione».     
    
 
 Armando Santarelli  | 
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