Antologia Dino Terra. Dal romanzo «Una storia meravigliosa»

Per gentile concessione della Fondazione Dino Terra proponiamo un brano da Una storia meravigliosa (Ceschina, 1964).

È un aratro, è un trattore, ma poi è anche locomotiva. E non basta, quella stessa sedia può essere cannone o slitta, montagna da valicare o cavallo fremente.
Sarebbe interessante conoscere i rapporti segreti che collegano il bambino ai suoi mezzi. A volte un cordone di tenda lo attira passionalmente; un tegame, una scatola di cerini vuota, due bottoni, un paio di forbici diventano dei tesori. Una fanciulla si era effezionata alle pigne dorate di una poltrona antica: erano per lei due bambine oscuramente condannate a essere pigne. Una di queste poi le faceva molta compassione perchè scheggiata: poverina com'era stata ferita; e ogni tanto, quando se ne ricordava, le faceva una carezza di nascosto.
Sebbene Agata non mancasse affatto di interesse ai fervorosi esercizi dei sensi, non si trattava mai - per lei - di ghiotti giuochi o di eclettici divertimenti: seria, protesa a conoscere, a trovar la ragione essenziale della propria persona, l'accensione dell'eros l'aiutava ad avvicinarsi a un superamento agognato, andar di là, più in là, nella luce, quasi una cieca talpa che scavasse furiosamente in se stessa per arrivar finalmente a una vista acuta.
Da qualche tempo la sua smania si rendersi conto addirittura la tormentava. Con i suoi ventotto anni saentiva di non essere ancora adulta: nella speranza assurda che gli adulti non dovessero più restare confusi dinanzi alla problematica dei tempi moderni e di ogni tempo. In queste condizioni Riccardo diventava la pietra di paragone, l'alter ego, la lavagna sulla quale ogni sorta di tema a svariate incognite veniva delineato; delineato in attesa di una risposta che spesso dava adito ad altri più gravi interrogativi.
Gli scriveva sempre lunghe e folte lettere saltando da quel che le passava per il capo ai minuti avvenimenti, dai problemi della famiglia alle sue difficili condizioni di spirito, lettere piene di inerrogativi e di incitamento. Lo rimproverava di adagiarsi nelle situazioni, di essere diventato meno combattivo. E lo spronava genericamente all'energia e alla battaglia, tuttavia senza saper almeno indicare quale genere di battaglia avrebbe dovuto intraprendere. Soprattutto lo rimproverava di non interessarsi più profondamente a lei, ai suoi nodi, come nei primi tempi del loro incontro. « Ti bastano le nostre gite, i viaggetti di due o tre giorni. E diciamo pure francamente: ti basta di far l'amore con me. Non ti preoccupi del mio stato, della mia logorante incertezza. Ma porca miseria, che la vita sia una faccenda anche stupida, lo sappiamo, ma non è soltanto stupida. Non dobbiamo dimenticarlo mai. Capito? Hai capito? »
Ma se spesse volte lo rimproverava per integrità di affetto, perchè avrebbe voluto da lui come da una bacchetta magica la soluzione della sua angoscia, più spesso e anzi sempre (in commistione alle insane accuse) gli ricordava quanto assegnamento faceva sul suo affetto, un affetto che a momenti le sembrava sopraterreno. « Io ho estremo bisogno del tuo aiuto. Tu rimpiazzi per me la mamma, il padre, i figli - che non ho - e tutti gli amici. Solo sapendo che tu ci sei, che tu mi vigili, che tu non hai paura, io posso avere un po' di serenità. Io approfitto delle tue spalle larghe per appoggiarvi la mia giovinezza ancora incostante, ancora malcerta. Tu non mi tradirai, vero? Io ho bisogno della tua forte mano che mi sostenga, ho bisogno che la tua intelligenza affili tutti i suoi coltelli, o magari anche coltelli nuovi che finora la vita non ti ha mai richiesto. »
E sebbene le espressioni eccessive sembrassero paludate di facile letteratura ( « La tua telefonata è stata per me un balsamo. Caro Riccardo io sento il tuo affetto che mi protegge come una grande ala. Io credo che la vita ti abbia mandato nella mia strada perchè mi proteggessi proprio in  questo periodo così difficile della mia vita » ), in realtà essa non si curava affatto di far della vieta letteratura, e gli scriveva ciò che veramente sentiva senza curarsi d'altro.
Ma se l'acuta fantasia le arrecava tanta ansia, la stessa fantasia, però, l'aiutava anche a non precipitare nella fossa dei serpenti. E le era sufficiente un cavalluccio di plastica trovato sul litorale, un piccolissimo cavallo ridotto a tre gambe, frammento di chi sa quale giocattolo, per riconoscervi da archeologa dello spirito una allegoria carica di significati presso che magici. Tanto che nella sua stanza aveva addirittura costituito una raccolta di oggetti variamente simbolici. E non si trattava nemmeno di un giuoco infantile, chè la sua strana collezione le serviva almeno come cinta di difesa: un baluardo stregonesco contro gli attachi di una realtà fatta di unte ipocrisie, feroci egoismi, ultra-mondanità, spregevoli leccapiedi, stupidi convenzionalismi, avidi interessi. Per lo meno il misero cavalluccio di plastica, una conchiglia o un rametto di olivo spezzato dal vento, le offrivano una realtà più vera, più integra, la buona realtà degli alberi, del mare, della vita primordiale. Una realtà in contrapposto a quella di una società che proprio non riusciva a rispettare.
Per le feste di Natale la famiglia di Agata si era trasferita al completo a Cortina d'Ampezzo. La madre assai malaticcia aveva voluto tutta la famiglia attorno. Del resto i giovani ne approfittavano per due settimane di vacanza e di sci.


Dal romanzo Una storia meravigliosa di Dino Terra ( Ceschina, 1964)

Per gentile concessione della Fondazione Dino Terra


(n. 9, settembre 2024, anno XIV)