Dumitru Ţepeneag e il suo ultimo romanzo, «Il Camion bulgaro. Cantiere a cielo aperto»

Nel 2021 è uscito Il Camion bulgaro. Cantiere a cielo aperto (Criterion Editrice), l’ultimo romanzo scritto nel 2010 da Dumitru Ţepeneag, uno dei più noti e tradotti scrittori romeni, nato a Bucarest nel 1937 e residente da anni in Francia. Negli anni Sessanta, insieme al poeta Leonid Dimov, è l'esponente di spicco dell'onirismo, l'unica corrente letteraria che ha il coraggio di opporsi al realismo socialista imperante. Nel 1975 il regime di Ceauşescu gli ritira la cittadinanza rendendo la sua creazione letteraria, le opinioni culturali e civiche inaccessibili al pubblico romeno. Nei lunghi anni di esilio a Parigi scrive solo in francese e traduce autori come Malraux, Robbe-Grillet e Derrida. Ricomincia a scrivere in romeno solo dopo la rivoluzione del 1989. Il 19 maggio 2008 riceve il Premio Unione Latina di Letterature Romanze (XVIII edizione) per l’eccellente qualità artistica dei suoi romanzi, saggi e memorie, ma anche per il suo impegno a favore della difesa delle forme letterarie e della libertà di espressione.

Dumitru Ţepeneag è già presente in Italia con due libri: Hotel Europa (Nikita Editore, 2011) e La belle Roumaine (Aìsara, 2012), tradotti da Ileana M. Pop. Il Camion bulgaro, traduzione e cura di Giovanni Rotiroti, è un libro di lettura e insieme un esercizio di scrittura – una scrittura in perpetua fuga che si accompagna a un’esperienza di specchialità fatta di paradossi sia formali che concettuali – e rappresenta un’esemplare dimostrazione della sua arte. Un testo che è molto più di un semplice «romanzo»: si tratta di uno scavo fino alle profondità più estreme, fino a toccare l’«abisso» delle parole dove Eros e Thanatos si fronteggiano tenebrosamente. È l’espressione del mistero stesso, tra il silenzio e la scoperta di qualche forma di verità, della giustificazione di una vita in un continuo transito tra l’enigma conoscitivo delle origini e la terra promessa dell’avvenire. In questa perdita di luogo, inconscia e interrogante, c’è tutta la posta in gioco del Camion bulgaro, vale a dire l’esistenza stessa della letteratura, da leggersi e da scriversi, nella sua costruzione interminabile tra la vita e la morte, tra il passato e l’avvenire, tra la deriva dell’abbandono e il desiderio di dimora, tra la soglia dell’indicibile e quella dell’irraffigurabile.


Da «Il Camion bulgaro. Cantiere a cielo aperto»


Ora è venuto il momento che io le scriva una lettera, una vera lettera da spedire per posta, con francobollo, timbro, senza che manchi nulla. Ho fatto riparare la stampante, sembra nuova, non ho più nessuna scusa. Poi porterò la lettera all’ufficio postale, la metterò direttamente nelle mani dell’impiegata allo sportello, per timbrarla sotto i miei occhi. Voglio vederla mentre le mette il bollo e poi, con un gesto che ha fatto forse migliaia di volte, lanciarla nella cesta stracolma di altre lettere che attendono di essere spedite.
Non la metto nella buca delle lettere all’angolo della strada, perché non sono sicuro al cento per cento che al postino che passa a prenderle non ne scivoli qualcuna a terra, senza farlo apposta, e poi, si è visto anche questo, che la raccolga, mettendosela sbadatamente in tasca. Vuoi per distrazione, vuoi con intenzione. Ho letto da qualche parte che ci sono dei postini che rubano le lettere. Sì, è proprio così, se le portano a casa per leggerle. Non leggono nient’altro, né libri né giornali, leggono solo lettere, a volte le conservano, le collezionano, altre volte, se non le considerano interessanti, riappiccicano la busta e la spediscono all’indirizzo segnato sul plico. Non posso correre questo rischio…


Cara Marianne,
Mi manchi. Provo per te una forte nostalgia. Non ti rendi conto fino a che punto mi manchi. Mi mancano le nostre discussioni. Soprattutto adesso, quando ho ricominciato a scrivere questo romanzo che mi trascino da tanto tempo. Questo mastodontico camion!... Nel frattempo si è completamente acciaccato, non so neppure se è in grado di funzionare. Il motore, si sente solo un ronzio sempre più spento di un grosso insetto preso nella carta moschicida (cancello…). Gli manca una ruota, più precisamente, uno pneumatico. Il freno a mano va a vuoto, e l’altro non lo posso verificare, perché non me la sento di accendere il motore. Per fortuna il mio camion rimane immobile, se lo riparassi o gli comprassi una nuova gomma di scorta tutta fiammante, se lo mettessi in moto, avrei paura poi di non riuscire a fermarlo. E allora che faccio? Come me la cavo? Devo confessarti che non lo so, non sono sicuro di guidare un camion così grande e anche un po’ rammollito, comunque arrugginito da quando è rimasto chiuso in garage (cancello anche questo).
Vedi, per questo ho bisogno di te, per parlarti… di questo camion, per sproloquiare davanti a te, improvvisando senza ritegno, perché tu mi rimetta in riga, perché non ti ci vuole molto per capire che sto semplicemente vaneggiando e che non ho nessun romanzo sul tavolo di lavoro; non contano niente qualche inizio di capitolo, qualche scena disparata che devo unire in un testo per lo meno coerente, annotazioni scarabocchiate su pezzi di carta che il più delle volte finisco per smarrire o perdere del tutto. Ebbene sì, hai indovinato, ti parlo di un romanzo da scrivere che ho solamente in testa, devo scriverlo assolutamente, e il più presto possibile. Il progetto di un romanzo… Mi trascino a rimorchio il progetto di un romanzo. E alcune pagine scribacchiate durante l’estate, in campagna. Alle quali credo di dover rinunciare, perché non mi piacciono o, meglio, perché non vanno bene con la vita che conduco attualmente. La mia vita è cambiata da quando sei andata via…
So che tolleri con difficoltà tanto disordine e trascuratezza da parte di un grattacarte che non è mai soddisfatto di ciò che gli esce dalla penna, sognando la luna e le stelle, e sperando stupidamente che proprio ciò che non ha ancora scritto possa essere un capolavoro. Ma tu sei una donna intelligente e generosa. Per questo ho bisogno di te, della tua lucidità, della tua energia, del tuo rimettermi a posto, il che mi impedirebbe di allontanarmi troppo dal soggetto, anzi no, diciamo meglio, dall’oggetto, dall’oggetto della discussione, ossia della lettera…
Sono un adulatore? E in fondo perché non dovrei esserlo?... Perché non dovrei essere un adulatore? Un oceano ci divide in questo momento, cosicché la buona educazione potrebbe non bastare. In amore, diceva Dimov, bisogna sempre esagerare. Solo così si può essere sicuri che il messaggio passi.
Il romanzo, forse te l’ho già detto, si intitolerà Il Camion bulgaro. Di fatto, forse non si tratta neanche di un romanzo. Forse ciò che scrivo non può essere definito così. E allora come? Non ne ho la più pallida idea…
È chiaro che ho sentito parlare del film di Marguerite Duras al quale tieni tanto. Negli ultimi tempi, ho cominciato anch’io a pensare seriamente che dovrei leggere i suoi libri. Non sto affatto scherzando. È comunque uno scrittore, pardon, una scrittrice molto importante della letteratura francese, per non dire che ha rappresentato per le donne di questo paese un tantino reazionario un modello e un impulso all’emancipazione. Senza di lei, non ci sarebbero state né Christine Angot, né Camille Laurens, né altre scrittrici di grande talento. E sarebbe un peccato… To’!, ho dimenticato Justine Lévy, di cui ho letto un articolo nel Journal du Dimanche firmato da una nota giornalista letteraria Laure Delorme, o qualcosa di simile. Lasciamo perdere, la letteratura francese è in buone mani! Il nostro paese ha un futuro d’oro…
Non ti arrabbiare se di tanto in tanto non posso impedirmi di fare certe allusioni… Innocenti ironie. Spero che tu non me ne voglia per così poco. Ma se te la sei presa ti chiedo sin d’ora perdono.
In ogni caso, hai perfettamente ragione quando dici che la letteratura, ai giorni nostri, è creata soprattutto dalle donne, dal momento che gli uomini non riescono più ad appassionarsi in un campo che dà sempre più evidenti segni di esaurimento. Non è più redditizio da alcun punto di vista: né la gloria, né i soldi (è vero che ci sono ancora i best-seller, ma per questo non è più sufficiente scrivere in funzione dei gusti del pubblico, bisogna anche avere un briciolo di fortuna). Così sono gli uomini, se non hanno niente da guadagnare … Solo io e pochi altri, che abbiamo il senso della gratuità e che siamo spinti dal desiderio assurdo ed esacerbato di sopravvivere in virtù della nostra opera (magari per qualche anno…), cerchiamo ancora di fare il nostro lavoro in questa corte occupata e dominata sempre più dalle donne.
Un tempo, si parlava dell’arte per l’arte, oggi si può parlare solo di arte a qualsiasi prezzo… Hai ragione, neanche io ho capito bene cosa voglio intendere con questo!
Tu mi dici, le donne leggono, è naturale che scrivano, mentre gli uomini leggono solamente i quotidiani distribuiti gratuitamente all’uscita del metrò. Giornali sovvenzionati solo dalla pubblicità, penosi supporti per le inserzioni. È vero che neanche io leggo tanto, cioè non leggo romanzi, preferisco la poesia, la filosofia e altre qualità di formaggi e prelibatezze di questo genere, e se continuo a scrivere, nonostante tutto, è perché non so fare altro. E poi lo faccio soprattutto per piacere a te, amore mio…


L’ultima frase la cancello. Cancello anche il passaggio in cui parlo dell’adulazione e del messaggio d’amore che non può passare senza esagerare. Forse lo potrei mettere in esergo, subito dopo la pagina del titolo. Ma non ha senso avere fretta, ho tutto il tempo. Dunque annullo il comando Cancella e le parole di Dimov riappaiono magicamente, come d’incanto. Viva il computer! Senza di lui dovrei scrivere a mano, tra le righe, cancellare, correggere e di nuovo scrivere, aggiungere una parola qui e là, o molte di più, frasi intere, poi ricopiare, rileggere ed eventualmente modificare di nuovo. Mi ricordo quando avevo la macchina da scrivere, non so dove trovassi tutta quella pazienza. Non battevo velocemente, e perdevo un sacco di tempo. Talvolta c’erano così tante cancellature che ero costretto a ricopiare tutto quello che avevo scritto.
Certo, a quei tempi, non andavo a tentoni, non giravo intorno alle cose, sapevo cosa volevo dire, o meglio cosa volevo scrivere, per lo meno avevo questa impressione… Riuscivo a concentrarmi. E andavo dritto al punto.
E se cancellassi tutto e ricominciassi da capo?
Ci sono alcune scene che ho scritto tempo fa, alle quali tengo; le potrei introdurre accanto a tutto questo parlottio. Per cancellare, ho sempre tempo.


[…]


Marianne riceve la lettera, mette mano al telefono e mi chiama.
– Cos’è questa lettera? Cosa vuoi da me o dalla mia anima? Se hai bisogno di un consiglio, come pretendi, risparmiami la tua teoria della letteratura, non provare a conquistarmi con queste considerazioni da quattro soldi…
Sto zitto, non rispondo, anche se capisco molto bene e penso persino che abbia ragione.
– Mi senti?
– Sì, ti sento…
– Allora perché ti sei ammutolito?
– Non mi sono ammutolito, è che non so cosa dire…
– Allora comincia a dirmi prima di tutto qual è il soggetto del romanzo, parlami dei personaggi. E soprattutto chi guida il camion?
– Un camionista bulgaro
– Allora dillo. Un camionista bulgaro che trasporta delle merci in Europa
– Anche la Bulgaria è in Europa…
– D’accordo, d’accordo… La Bulgaria, la Romania, ci sono e non ci sono. Diciamo, non ha importanza.
– Certo che ce l’ha. E il fatto che il camionista sia bulgaro lo scopri proprio dal titolo.
– Vuoi litigare con me? Dillo! È questo che vuoi?
– Ma no. Come posso volere una cosa del genere…
– E chi altri c’è nel camion?
– Nessuno, chi vuoi che ci sia?
– Qualche zingaro nascosto, che ne so.
– No. Parola d’onore. Perché non te lo dovrei dire… A un certo punto, ha fatto salire una vecchietta, l’ha portata per quindici-venti chilometri, da dove stava lei nel suo villaggio fino a quello vicino, dove viveva la figlia, sposata con il macellaio del paese… Si era ammalata.
– Così… Continua
– Questo succede in Bulgaria, il camion non aveva ancora attraversato il confine con la Macedonia. Il suo uomo la picchiava duro e lei urlava, si lamentava forte. Tutti i vicini la sentivano. E allora uno dei vicini lo disse alla vecchietta, quando la incontrò al mercato. Un giorno il macellaio la ammazzerà veramente, le disse.
– Appassionante!
– Sei tu che me le tiri dalla bocca, non avevo pensato di parlartene.
– E che merce trasporta il camion?
– Non lo so…
– Come non lo sai! Devi saperlo, è importante. Comunque, parlami del camionista. Quanti anni ha?
– È importante?
– Ma senti, certo che è importante. Ha una moglie, dei bambini?
– No. Non ha moglie, cioè l’ha avuta, si è separato. Non so se hanno anche divorziato, la donna è fuggita a Sofia.
– A Sofia?
– Laggiù ha incontrato un romeno e l’ha seguito a Giurgiu.
– A Giurgiu?
– Anche lei era romena, cioè sua madre era romena e veniva dalle parti del Danubio. Parlava un po’ anche la lingua.
– Quale lingua?
– La lingua romena… Sua madre era di Zimnicea…
– Di dove?
– Di Zimnicea, una cittadina dell’altra sponda del Danubio. Come Giurgiu, solo un po’ più piccola…
– Quanti anni hai detto che ha?
– Il camionista?
– Sì, non è forse lui il personaggio principale?
– Sì e no.
– In che senso?
– Ci sono anche altri personaggi. In primo luogo il narratore, che qui è anche autore e in più c’è pure un personaggio, cioè altri personaggi che parlano di lui, e lo coinvolgono nell’azione. Poi…
– Che fai, ricominci?
– No, ma è importante l’autore, soprattutto perché è anche narratore, e personaggio, e ciò mi consente di farlo sembrare onnisciente senza sconvolgere troppo la verosimiglianza della narrazione.
– Stupidaggini! Mi devi dire il soggetto, voglio sapere cosa succede. Questo voglio sapere…
– Cosa succede? Ancora non lo so bene. Ho scritto solo trenta pagine.
– Vuoi dirmi che non sai cosa succederà dopo?
– No…
– Non sai neanche come va a finire, non conosci il finale…
– So come mi piacerebbe il finale, ma non so ancora come arrivarci.
– Cioè tu scrivi senza sapere su cosa scrivi, senza avere in mente l’azione dei personaggi, le loro relazioni. In una parola, il soggetto e la trama del romanzo. Non ci posso proprio credere…
– Credi a quello che vuoi. Io sono… cioè, non sono…
– Non hai la più pallida idea di quello che sei o di quello che ti immagini di essere, ma di certo non un romanziere…
Furiosa, Marianna mi chiude il telefono in faccia.

(© 2021 Criterion Editrice per gentile concessione)





(n. 5, maggio 2022, anno XII)