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    Tatiana Niculescu con «Nae Ionescu. Il seduttore di una generazione»  
       
     
     È uscito in libreria, per la collana «Storie» dell’editore  Castelvecchi di Roma, la traduzione italiana della biografia di Tatiana  Niculescu, Nae Ionescu. Il seduttore di  una generazione (edizione originale: Seducătorul  Domn Nae, Humanitas, București 2020), a cura di Horia Corneliu  Cicortaș e dello scrivente. 
      Dopo le memorie di Mircea Vulcănescu (Nae Ionescu așa cum l-am cunoscut, pubblicate postume nel 1992),  affezionato discepolo di Nae Ionescu, e la monumentale biografia di Dora  Mezdrea (giunta alla seconda edizione nel 2015), ricercatrice presso il Museo  Nazionale della Letteratura Romena (MNLR) di Bucarest e curatrice delle opere  del filosofo, il lavoro della scrittrice Tatiana Niculescu, specializzata nel  genere biografico, autrice per la prestigiosa Humanitas di diversi best-seller,  tra cui – oltre a quello su Nae Ionescu – quelli su Corneliu Zelea Codreanu  (2017, traduzione in polacco nel 2020) e sul Re Carol II (2019), affronta, in  questo medaglione, una delle figure più complesse e rilevanti della scena  pubblica romena tra le due guerre mondiali, restituendoci un ritratto a tutto  tondo del suo protagonista. Il lavoro, che si basa su una buona documentazione  (fornendo anche alcuni inediti dello scambio epistolare tra Nae  Ionescu e il monsignor Vladimir Ghika), si rivolge a un pubblico ampio, andando  a colmare il vuoto di conoscenza che esiste – in Italia ma in generale fuori  dall’area culturale romena – attorno alla figura del filosofo, tutt’al  più noto per essere stato il mentore della «giovane generazione» infrabellica, a cui appartengono tra gli altri Mircea Eliade ed Emil Cioran, e per la  sua controversa militanza politica a favore della Guardia di Ferro. 
      L’autrice, di cui era già stato pubblicato in Italia il romanzo Confessione a Tanacu (trad. di Anita  Bernacchia, Hacca, 2013), alla base del film Oltre le colline, premiato a Cannes nel 2012, ripercorre con  competenza storica e fine sensibilità psicologica la vicenda esistenziale di  Nae Ionescu, cominciando con l’esplorare il luogo che gli ha dato i natali nel  1890, Brăila, multietnica città danubiana, primo porto nell’esportazione dei  cereali, e col sondare le radici contadine della sua famiglia, all’origine del  senso di rivalsa che lo ha accompagnato per tutta la vita, ma anche del suo  viscerale attaccamento alle tradizioni della propria terra. Concluso il  percorso liceale, segnato da alcune intemperanze dovute al carattere ribelle,  Ionescu approda all’Università di Bucarest, dove studia filosofia sotto la direzione  di Constantin Rădulescu-Motru e approfondisce la conoscenza della cultura  europea, immergendosi in letture che ne plasmano la mentalità, tra cui gli Esercizi  Spirituali di Ignazio di Loyola. Gli anni universitari sono anche quelli  dell’incontro con Elena-Margareta Fotino, la giovane che diverrà sua moglie e  con la quale intrattiene una fitta corrispondenza, che Niculescu sfoglia  insieme al lettore, soffermandosi sui momenti più intimi e toccanti. Separati a  causa degli studi dottorali intrapresi da Ionescu in Germania, prima a Gottinga  e poi a Monaco, i due fidanzati si sosterranno a vicenda, affrontando sacrifici  e privazioni che, se all’inizio sembrano cementare il loro rapporto, alla lunga  finiranno per comprometterlo. Ritrovatisi, si uniranno in matrimonio, ma sarà  la guerra a separarli di nuovo, nel 1916, quando in seguito all’ingresso della  Romania nel primo conflitto mondiale, Nae Ionescu sarà internato nel campo  tedesco di prigionia di Celle-Schloss (vicino a Hannover) e non potrà assistere  alla nascita del suo primo figlio, Radu-Mircea. Il secondogenito, Răzvan, nasce  nel 1918, un anno prima che i coniugi Ionescu facciano ritorno in patria. Qui  il pensatore di Brăila si dedica all’insegnamento, dapprima come professore di  tedesco e direttore di studi presso il liceo militare dell’ex Monastero Dealu  (nei pressi di Târgoviște), poi all’Università di Bucarest, collabora con la  casa editrice Cultura Națională, e a partire dal 1926 inaugura  sul quotidiano «Cuvântul», di cui diventerà direttore e perfino proprietario,  una intensa attività pubblicistica, che contribuirà ampiamente alla sua  notorietà.  
      Dotato di una presenza carismatica e fautore di una concezione  socratica dell’insegnamento, Nae Ionescu ha esercitato un fascino irresistibile  sui suoi studenti, che hanno guardato a lui come a un maestro di vita e una  guida spirituale. Seduttore delle menti e dei cuori, il filosofo ha  intrattenuto diverse relazioni amorose, alcune delle quali, particolarmente  importanti, hanno di fatto scandito le tappe della sua vita pubblica: la  liaison con la principessa Maruca Cantacuzino, tra il 1928 e il 1933, che gli  ha aperto le porte dell’alta società proiettandolo nella dimensione dell’agone  politico, a fianco del re Carol II; dal 1933 al 1938, quella con Lucia  Popovici-Lupa, la donna che ha segnato il suo avvicinamento alla Guardia di  Ferro di Codreanu e la sua caduta in disgrazia presso il re, e infine con la  pianista Cella Delavrancea, con la quale trascorrerà gli ultimi anni della sua  vita, confinato nella villa di Băneasa, a nord di Bucarest, dove si era  stabilito dopo essere stato rilasciato dal campo di prigionia di Miercurea  Ciuc, prima che un infarto lo stroncasse nel 1940, all’età di quarantanove  anni. 
       
    
 Igor Tavilla 
     In seguito, le recensioni uscite in Italia: 
         
          L. Forte, Il seduttore di una generazione. Amava i  contadini ma sognava Nietzsche, in «Tutto Libri», inserto settimanale del  quotidiano «La Stampa», 2 ottobre 2021, p. XVIII; 
           
          «Conoscevamo i suoi allievi, primi fra tutti Mircea Eliade ed Emil  Cioran. Ma del Maestro poco o nulla si sapeva. Eppure Nae Ionescu, docente  rumeno di filosofia nato nel 1890 a Brăila, città portuale sul Danubio, fu un  personaggio originalissimo, dai mille volti, inafferrabile e coinvolgente. Ce  lo ricorda la vivace biografia di Tatiana Niculescu edita da Castelvecchi a  cura di Horia Corneliu Cicortaş e Igor Tavilla, che ha come sottotitolo “il  seduttore di una generazione”». 
           
           
          G. Sessa, Nae Ionescu e la seduzione di una  generazione che guardava alla Guardia di Ferro, in «Barbadillo», 3 ottobre  2021.  
           
          «Nella cultura del secolo XX, la Romania ha giocato un ruolo  centrale. […] Si pensi, tra i tanti, a Cioran, Eliade, Noica, Vulcănescu,  esempi eminenti della “giovane generazione” formatasi alla scuola di Nae  Ionescu che, da quei precoci e vivaci studiosi, fu ritenuto Maestro indiscusso». 
           
           
          E. Favale, Nae Ionescu di Tatiana Niculescu, in  «Linkiesta», 8 ottobre 2021. 
           
            «Tatiana  Niculescu apre una prospettiva nuova su una personalità carismatica e  controversa, con un approccio sereno, scevro da ogni faziosità e basato su una  solida documentazione». 
             
             
      L. Gallesi, Ionescu, maestro  con legioni di allievi, in «Il Giornale», 31 ottobre 2021, p. 20. 
           
            «Nonostante la personalità caleidoscopica, il carisma irresistibile e la  cultura sterminata, Nae Ionescu è pressoché sconosciuto in Italia. Con il suo  “sguardo abissale dai bagliori d’acciaio” non trasmetteva nozioni ma infiammava  i cuori». 
             
             
A. Scarabelli, Tatiana Niculescu: «Nae Ionescu, tra  Faust e Mefistofele», recensione intervista, in «Attuali e inattuali», 18  novembre 2021.  
             
            «Una vita ricostruita  attraverso un’imponente mole di informazioni e testimonianze, che restituiscono  i chiaroscuri di un uomo in bilico tra Faust e Mefistofele (con una spiccata  predilezione per il secondo)». 
             
             
  M. Congiu, Nae Ionescu, maestro di generazioni  brillanti, in «Il manifesto», 22 dicembre 2021, p. 11.  
             
          «Un seduttore di giovani menti,  come suggerisce il titolo del libro; intellettuale brillante, spirito  irrequieto con doti di affabulatore, vive un’esistenza breve ma intensa,  caratterizzata da restrizioni e successi in un alternarsi di  situazioni che appare sovente privo di vie di mezzo: o tutto o nulla». 
          
           
            
           
           
           
      Il Professore 
       
     
      
       
      Il Professore è sempre di una puntualità teutonica. Nessuno osa  entrare dopo di lui. Una volta che la porta dell’anfiteatro si chiude, al  ritardatario non resta che origliare, oppure, sbirciando attraverso il buco  della serratura, cercare di cogliere frammenti dello spettacolo grandioso che  comincia all’interno. Le parole, l’argomentazione, la presenza del maestro si  concentrano quindi nell’unico dettaglio che può comunque essere seguito  dall’esterno, dal momento che il Professore ha l’abitudine di sedere immobile  alla cattedra: la sua mano destra.  
          Nella coreografia della mano, lo studente ritardatario Mircea  Vulcănescu, rimasto nel corridoio, segue la cadenza di un pensiero di cui gli  studenti non sarebbero mai stati in grado di dire se fosse il pensiero del  professore oppure il loro. È un incontro tra la maieutica socratica e il  fascino esercitato su di loro dalla messa in scena trepidante e aleatoria delle  idee, praticata dal Professore con consumata arte. Il buco della serratura  diventa una lente d’ingrandimento che convoglia sulla retina dell’occhio  insaziabile l’unico movimento di un corpo immobilizzato dalla trance della  comunicazione: la mano «ora palpitante come una fiamma accesa, ora divenuta  improvvisamente una freccia puntata, ora sbocciando come un fiore vorticoso,  ora infrangendo gli slanci di netto come una pietra di confine – mentre egli  spiegava agli studenti il senso della “rivelazione”» [1].  
          In un corso sul Problema della salvezza in Faust,  nell’anfiteatro dove si faceva «un silenzio innaturale» non appena entrava  quell’«uomo bruno, pallido, con le tempie scoperte, le sopracciglia nere,  folte, arcuate, che gli davano una certa aria mefistofelica, e grandi occhi di  un azzurro intenso e metallico, straordinariamente brillanti», vestito «con  elegante trascuratezza», le mani del Professore sono seguite da altri occhi  incantati, come in una seduta di ipnosi, poiché egli «aveva le mani più belle  ed espressive che io abbia mai visto, con dita lunghe, affusolate e nervose.  Quando parlava, sembrava che plasmassero il suo pensiero, sottolineando le  sfumature, anticipando le difficoltà, e i punti di domanda» [2]. 
          La mano destra a volte cessa il suo battito d’ali in aria per  prendere tra le dita uno dei fogli sul tavolo, su cui il Professore era solito  annotare il filo, solo a lui noto, della lezione. I corsi di Nae Ionescu  sembrano una continua improvvisazione, magia e miracolo, un dialogo con se  stesso, cosparso di dubbi e passaggi da un’idea all’altra, da un autore  all’altro, interrotto da piccole osservazioni quotidiane, come un’irruzione del  palpito della vita nel campo del pensiero speculativo.  
          Chiunque riesca a intrufolarsi nell’anfiteatro strapieno è  tutt’occhi e tutt’orecchi per il modo in cui il Professore articola il suo  discorso. Dopo un breve silenzio, in cui sembra raccogliere tutti i suoi  pensieri e le sue energie, la sua presenza si impadronisce del pubblico,  folgorandolo ironicamente con lo sguardo: «Come, voi siete tutti filosofi?»  [3].  
          Poi l’eloquio «succinto, scarno, grezzo, zeppo di digressioni, lancia  una parola qui, dischiude dall’altro lato una porta segreta, colpisce da qua  una pietra incontrata lungo il cammino. È tutta improvvisazione, per certi  versi tutto in balia del caso. E poi, alla fine dell’ora, quando guardi  sconsolato il campo di pensiero che ha devastato in questo modo, di colpo le  cose cominciano a trovare un loro ordine, non so come, non so sotto quale  impulso. Le idee gettate a destra e a manca in tre quarti d’ora, senza nesso  alcuno, nell’ultimo quarto d’ora ritornano a casa, tranquille, chiare,  necessarie, seguendo un sorprendente rigore logico che pone fine a un ciclo di  ragionamento come se si trattasse di una composizione sinfonica» [4].  
          Nae dice agli studenti che solo «ciò che accade» ha valore, e  questa non è solo una frase ben trovata, dal sapore filosofico, ma un programma  di vita. Quando, nel pieno di una lezione carica di enfasi sui sistemi  economici, ode il suono di una fanfara proveniente dalla strada, si alza  immediatamente dalla cattedra, apre la finestra e, con stupore del pubblico,  inizia a muovere il capo al ritmo del tamburo che accompagna una marcia  militare. Poi, come una volta il grande Wedekind di Monaco, si rivolge agli  studenti con una domanda a trabocchetto con la quale li lascia a vedersela da  soli: «A voi non piace la strada?». Il corso diventa improvvisamente un avvenimento,  un’avventura senza certezze, un tuffo nell’ignoto. La «tecnica  dell’inquietudine», come la chiama un altro studente, insinua in coloro che  presenziano ai suoi corsi una vasta notte oscura dell’anima, un totale  disorientamento: «per poter sperare di capire qualcosa nella vita, devi  renderti conto per sette anni che non capisci niente», dice socraticamente il  Professore, insegnando loro a non credere nei libri, nelle astrazioni, nelle teorie  generali, nei filosofi e nei sistemi filosofici. La filosofia non è altro che  una finzione ben congegnata. Siano invece disperati, stupiti, spaventati dalla  libertà, assetati di realtà, sinceri nella loro ignoranza. Lo studente annota  le parole del Professore come un motto della sua stessa vita: «Sai solo ciò di  cui tu fai esperienza; porti frutto solo nella misura in cui scopri te stesso.  Ogni via è buona, se conduce nell’intimo del tuo essere, ma soprattutto le vie  sotterranee, le grandi esperienze organiche, i rischi, l’avventura. Una sola  cosa è essenziale: che tu rimanga te stesso, che tu sia autentico, che tu non  tradisca il tuo uomo spirituale» [5]. 
       
      (frammento tratto dal volume di Tatiana Niculescu, Nae Ionescu. Il  seduttore di una generazione, 
      a cura di H.C. Cicortaș e I. Tavilla,  Castelvecchi, Roma 2021, pp. 130-133)] 
       
           
       (n. 5,  maggio 2022, anno XII) 
         
       
         
         
         
        NOTE       
         
        [1] Mircea Vulcănescu, Nae  Ionescu așa cum l-am cunoscut, Humanitas, București 1992, p. 45.  
        [2] Mircea Eliade, Mircea Eliade, Memorii, 1907-1960, 2 voll.,  Humanitas, București 2004, p. 160 [Le promesse dell’equinozio. Memorie 1.  1907-1937, traduzione e cura di Roberto Scagno, Jaca Book, Milano 1995, pp.  111-112].  
        [3] Mircea Vulcănescu, op. cit., p. 29.  
        [4] Mihail Sebastian, De  două mii de ani, Humanitas, București 1990, p. 55 [Da duemila anni,  trad. it. di Maria Luisa Lombardo, Fazi Editore, Roma 2018, pp. 47-48].  
      [5] Mircea Eliade, Un cuvânt  al editorului, in Nae Ionescu, Roza  vânturilor, Ed. Roza Vânturilor, București 1990, p. 431.
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