«L’albero della Gnosi» e l’ultimo Culianu

Esito di una ricerca ultradecennale, cominciata all’Università Cattolica di Milano nel 1973, dove, sotto la guida di Ugo Bianchi, Culianu maturò il proprio interesse per lo gnosticismo, e coronata dal conseguimento del prestigioso Doctorat d’État alla Sorbona – ma conclusa di fatto a Wassenaar (L’Aja), mentre l’autore beneficiava di una fellowship presso il NIAS (Netherlands Institute for Advanced Study) –, Les gnoses dualistes d’Occident veniva annunciata dall’editore Payot nel 1987, ma usciva di fatto soltanto all’inizio del 1990, presso l’editrice Plon, curiosamente un anno dopo che in Italia era apparsa la traduzione I miti dei dualismi occidentali, a cura di Dario M. Cosi e Luigi Saibene (Jaca Book 1989). Quella italiana risulta dunque essere a tutti gli effetti la prima edizione dell’opera pubblicata da Culianu [1].
Nel 1992 l’editore statunitense HarperCollins pubblicava, postuma, la traduzione inglese rivisitata e rimaneggiata della seconda edizione francese, The Three of Gnosis: Gnostic Mythology from Early Christianity to Modern Nihilism, a cura dello stesso Culianu e della sua compagna Hillary S. Wiesner, preceduta da una nuova prefazione. Di questa nuova opera esiste una versione romena (Arborele Gnozei. Mitologia gnostică de la creștinismul timpuriu la nihilismul modern, ultima edizione: Polirom, 2015), ma non una italiana. Non è questa la sede per entrare nel merito dei rimaneggiamenti a cui il lavoro di Culianu è andato soggetto durante il processo di traduzione e rielaborazione. Basterà accennare brevemente alle differenze di impostazione che corrono tra le varie redazioni del libro, che si riflettono, oltre che nel nuovo titolo, anche nelle relative prefazioni scritte dall’autore.
Quella alla traduzione italiana (datata Wassenaar, 11 novembre 1986) si può considerare in linea di massima una prefazione “di servizio”, in cui Culianu salda il proprio debito di riconoscenza con i vari maestri incontrati lungo il suo percorso di formazione: Ugo Bianchi, che «convertì» il giovane studioso romeno alla storia dei dualismi occidentali – anche se, a ben vedere, si trattò soltanto di una «conversione a metà», come scrive lo stesso Culianu, cioè di «una parziale adesione alle sue opinioni [di Bianchi – n.d.r.]»; Michel Meslin, professore di storia comparata delle religioni e supervisore dei due dottorati francesi di Culianu e, infine, Mircea Eliade, che gli aveva tra l’altro agevolato l’approdo negli Stati Uniti, presso la Divinity School di Chicago dove lo stesso Eliade ha insegnato ininterrottamente dall’autunno del 1956. Una sola notazione di metodo compare al terz’ultimo paragrafo, dove Culianu, oltre a rivendicare a sé il primato di aver analizzato estensivamente i miti in uso presso le correnti religiose dualiste, dichiara che la sua intenzione non era quella scrivere un’«opera di consultazione» e di aver pertanto «seguito il filo dei problemi storici per quanto era strettamente indispensabile», ragion per cui nella bibliografia figurerebbero soltanto un quarto dei riferimenti da lui consultati. [2]
La prefazione all'edizione francese, datata Chicago, 19 settembre 1989, riprende in parte il contenuto della prefazione alla traduzione italiana, apparsa quest’ultima, «per ragioni che sarebbe troppo lungo esporre qui» – scrive Culianu – un anno prima dell’edizione francese. Lo storico delle religioni romeno menziona inoltre gli echi suscitati dalla pubblicazione de I miti dei dualismi occidentali e della traduzione inglese di Eros et magie à la Renaissance, ironizzando, di passaggio, su alcune recensioni critiche che lo hanno definito uno «strutturalista sospetto», un «pluralista senza mezze misure», «avvocato di certe dubbie libertà mentali e sociali», e si compiace, al tempo stesso, di avere goduto del favore di una vasta platea di lettori qualificati, tra i quali figurano anche Elémire Zolla e Grazia Marchianò. [3]
La prefazione all’edizione americana, che presentiamo qui per la prima volta in traduzione italiana, può essere letta invece come manifesto programmatico della “svolta cognitivista” maturata dall’ultimo Culianu, in linea con il saggio System and History, pubblicato nel primo numero della rivista «Incognita», fondata dallo stesso Culianu nel 1990, e considerato da Sorin Antohi – autorevole interprete dello storico delle religioni romeno – «il manifesto epistemologico di Culianu» e «per la tragica fine dell’autore, il suo testamento». [4]
Nel presentare il suo lavoro al pubblico americano, per un verso Culianu auspica che gli studi storici possano rinnovare la propria epistemologia alla luce dei mutamenti di paradigma intervenuti in altri domini dello scibile umano, segnatamente nel campo della fisica e della cosmologia, ponendo così rimedio a una obsolescenza, quella del metodo storiografico, che non esita a definire «imbarazzante», per l’altro, sottolinea la diversità di approccio che distingue la sua proposta da quella strutturalista. Mentre lo strutturalista ragiona, infatti, in termini prettamente morfologici, Culianu intende calare la morfologia dei sistemi religiosi nella diacronia della storia. Ne risulta un approccio «morfodinamico» in cui gli oggetti ideali vengono colti nella loro evoluzione spazio-temporale.
Nello specifico, la storia dei dualismi occidentali proverebbe, secondo Culianu, che non si può stabilire una discendenza diretta tra una tendenza dualistica e l’altra (in base a un modello trasmissivo, che si illude di poter comprendere sistemi di idee complessi unicamente in termini di “origine” e “trasmissione”), e tantomeno ricondurre la sua mitologia a questa o quella tradizione spirituale (giudaismo, religione iranica, cristianesimo), sulla base della premessa, rivelatasi infondata alla prova dei fatti, della «circolazione delle dottrine». Anche la ricerca di elementi di invarianza tra i diversi dualismi appare, del resto, alquanto problematica a fronte della incompletezza delle informazioni a disposizione dello storico.
Si tratta piuttosto di riconoscere, con l’antropologia, l’origine cognitiva del mito, a partire dall’assunto fondamentale che «nella storia umana niente compare che non sia prima nella mente umana». [5] Ogni sistema multidimensionale di idee tende una volta messo in movimento, a permutare l’intera gamma delle varianti, potenzialmente infinite, che esso contiene in nuce, in base alla regola generativa che lo presiede, fondata, nel caso dei miti gnostici, sulle opposizioni binarie. Facendo astrazione dal fattore tempo, gli oggetti ideali appaiono dunque come soluzioni simultanee escogitate dalla mente umana a partire da un sistema che si moltiplica all’infinito, ramificandosi. Ogni sistema presenta perciò una struttura ad albero, la cui complessità si presta ad essere colta e modellizzata dalla teoria matematica dei frattali. Se da una parte, proprio in ragione di tale complessità, Culianu tendeva a escludere che lo storico potesse riuscire a spiegare «perché una certa possibilità del sistema venga selezionata in questo o quel momento temporale», per lo meno in assenza di una tecnologia adeguata a “processare” la mole di informazioni generata dalla interazione dinamica dei vari sistemi (culturale, sociale, politico, religioso, ecc.) interferenti tra loro, dall’altro era convinto che la «storia del pensiero umano è un’interazione di sistemi di pensiero complessi» [6] e i sistemi religiosi, i quali in nulla differiscono da altri ordini di sistemi (filosofici o scientifici), si offrono come campo privilegiato di indagine in ragione della loro relativa semplicità.

Presentazione, traduzione dall’inglese e note a cura di Igor Tavilla








Prefazione

Apparentemente, ma solo apparentemente, il tema di questo libro è lo studio di una serie di tendenze, innanzitutto religiose poi filosofiche, letterarie e scientifiche, che hanno in comune un insieme di presupposti condivisi, come ad esempio che questo mondo e il suo creatore sono, se non malvagi, quanto meno di grado inferiore. In questo senso, non solo gli studenti di storia medievale riconosceranno in questo libro una versione completamente aggiornata del classico di Steven Runciman, I manichei medievali [7], oggi superata, ma gli studenti della tarda antichità si troveranno di fronte la più completa esposizione della mitologia gnostica (compreso il manicheismo e il Marcione non-gnostico) mai tentata sino ad ora.
Sebbene ritenga che il libro risulti abbastanza stimolante per gli specialisti di tutti gli ambiti che ho sopra menzionato, dagli storici della tarda antichità ai medievalisti, penso che la novità fondamentale di questo lavoro non consista tanto nella mole delle informazioni raccolte per la prima volta quanto nel suo metodo. La nostra idea moderna di storia è vaga e obsoleta. C’è bisogno di una revisione radicale alla luce di ciò che sta accadendo in più sofisticati ambiti del sapere, la cui visione del mondo ha iniziato a cambiare un centinaio d’anni fa. La storia in quanto disciplina ha mancato di agganciarsi a questa tendenza, e, a dire il vero, non ha messo esplicitamente in discussione le sue premesse generali forse per millenni. Il che è imbarazzante. La situazione richiederebbe un rimedio ben più radicale di quello rappresentato dall’invenzione di qualche etichetta di tendenza, in tedesco o più di recente in francese, capace di appagare studiosi e pubblico al massimo per qualche decade. Qualcuno potrebbe obiettare dopo aver letto il libro che in realtà esso non va molto oltre la metodologia dello strutturalismo, dal momento che il suo più grande merito consiste nel mostrare come le idee delle diverse tendenze di Gnosi dualistica, dallo gnosticismo ai catari ai poeti romantici, ai filosofi e ai biologi del XX secolo, si tengano assieme in virtù della comune appartenenza a un medesimo sistema, generato da premesse simili tra loro. Esse non possono essere spiegate come se fossero derivate le une dalle altre o comunque non secondo il concetto dominante di derivazione o “discendenza” comunemente impiegato nelle discipline storiche (come avremo modo di osservare, in alcuni casi ci troviamo di fronte un processo che può essere definito di “trasmissione cognitiva”). Ma questo non è forse quel che gli strutturalisti intendono quando affermano che le idee sono “sincroniche”?
Non lo si può negare. Uno strutturalista potrebbe in effetti individuare parte di ciò che noi chiamiamo oggetti ideali, cioè, sistemi di idee che esistono nella loro “dimensione logica” (per una spiegazione si veda l’Introduzione). Allo scopo di individuare l’intero sistema, si dovrà tener conto del criterio della complessità (quanti più saranno i dati a nostra disposizione, tanto più esatta sarà l’individuazione). La forma di strutturalismo praticata da Claude Levi-Strauss si sposa bene anche con questa esigenza.
Allora in quale misura il mio approccio pretende di andare oltre le possibilità e le intenzioni dello strutturalismo? Come l’introduzione a questo libro tenta di mostrare, gli oggetti ideali interagiscono nel tempo formando la storia. In altre parole la semplice “morfologia” di un sistema, che la descrizione strutturalista ha di mira, è inserita in un processo dinamico di proporzioni straordinarie dato dall’interazione temporale di tutti questi sistemi. Chiamiamo storia questo processo di infinite dimensioni. Dato il suo carattere infinito-dimensionale, possiamo mai sperare di comprenderlo? Non sarebbe forse più saggio ritornare a semplici “morfologie” degli oggetti ideali piuttosto che tentare uno sguardo d’insieme sui loro straordinariamente complessi modelli di interazione? A questo stadio della ricerca è forse difficile spingersi oltre la morfologia dei sistemi. Eppure, non ci stancheremo di ripeterlo, ciò a cui noi miriamo è una “morfodinamica”, lo studio degli accadimenti nello spazio-tempo. In altre parole, io prediligo un approccio cognitivo che comprende la diacronia come una dimensione ineludibile del mondo, non una dimensione di cui si possa fare a meno.
L’oggetto principale della mia ricerca è costituito da numerose tendenze religiose, dallo gnosticismo, ai Catari provenzali e lombardi, solitamente definite dualiste. Una certa generica somiglianza tra queste tendenze era già stata riconosciuta dagli eresiologi medievali, poi confermata con riluttanza dagli studiosi moderni (comprensibilmente inclini a rigettare i resoconti degli eresiologi), cominciando da Ignaz von Döllinger (1890) [8], secondo procedimenti variabili che tendevano a diventare più sofisticati negli anni Sessanta. Nella maggior parte dei casi veniva ricercata (e solo da studiosi spregiudicati provata) la discendenza diretta di una di queste tendenze medievali da una cronologicamente antecedente. Questo approccio portò a risultati inaspettati soltanto in presenza di enormi salti cronologici (come tra l’origenismo e il catarismo); questo voleva dire che antiche ideologie ascetiche furono semplicemente riportate in voga da movimenti medievali revivalistici.
Allo stesso tempo, si assisteva a una costante ricerca delle invarianti del “dualismo”, la quale portò, almeno in alcuni circoli, alla convinzione che le tendenze dualistiche occidentali condividessero numerose caratteristiche, come l’anticosmismo, ovvero l’idea che questo mondo sia malvagio; l’antisomatismo, ovvero l’idea che il corpo sia malvagio; l’encratismo, cioè, un ascetismo talmente radicale da condannare il matrimonio e la procreazione.
Altre caratteristiche, sebbene non universali, sono state spesso riconosciute in questi movimenti, come il docetismo (la credenza che la passione e la morte di Cristo sulla croce fossero illusorie, come illusorio era il suo corpo, sebbene l’entità dell’illusione e il canovaccio potessero variare) e il vegetarianesimo, integrale o parziale. Analogamente, dai vari sistemi morali delle divere epoche (sistemi anche in contraddizione tra loro), compresi quello romano, ebreo, e cristiano, queste tendenze sono state considerate antinomiche, cioè, opposte all’ordinamento comune (nomos). Una volta liquidata come illusoria la ricerca delle origini “pre-cristiane” dello gnosticismo, il primo, in termini cronologici, di una lunga serie di movimenti dualistici che animarono l’ormai del tutto compromessa Scuola tedesca di storia delle religioni (religionsgeschichtliche Schule), resta lecito domandarsi se il dualismo occidentale non sia altro che una frangia estrema del cristianesimo. Una tale soluzione, proposta in numerose occasioni, con rinnovate argomentazioni, ha certamente il suo fascino.
Tuttavia, si è costretti ad ammettere che, a partire dagli immediati successori degli apostoli, i padri della chiesa condannarono il docetismo. Dalla metà del II secolo, con Giustino Martire († 165 ca.), risuonò la prima dura condanna dello gnosticismo (e di Marcione, considerato uno gnostico, sebbene non lo fosse). Già dal 180-185, quando l’eresiologo Ireneo, originario dell’Asia Minore, divenuto vescovo di Lione nella provincia romana di Gallia (l’odierna Francia), scrisse la sua lunga «Esposizione e confutazione della falsa gnosi» (Elenchos kai anatropē tēs pseudōnymou gnōseōs) gli gnostici rappresentavano la maggiore preoccupazione del cristianesimo ufficiale. Nella giungla delle sfumature diplomatiche che lo studioso evita molto meno di quanto amiamo pensare, era prevedibile che alcuni studiosi accentuassero l’indipendenza dello gnosticismo dal cristianesimo mentre altri cercassero di scagionare gli eresiologi mostrando che, dopo tutto, gli gnostici erano a tutti gli effetti dei cristiani eretici. Quali che siano le ragioni per cui generazioni di studiosi tedeschi cercarono (e alcuni di loro ancora cercano) di enfatizzare le estremamente improbabili origini iraniche e dello gnosticismo e del cristianesimo, e la derivazione di quest’ultimo dal primo piuttosto che il contrario, non dovrebbe scandalizzare nessuno il fatto di riconoscere una connessione più che flebile tra questa curiosa opinione e lo Zeitgeist da cui è conclamato che il Nazismo scaturì in un secondo tempo. Che la tendenza si sia oggi capovolta, e lo gnosticismo sia diventato quasi una eresia giudaica, rappresenta certamente un passo in avanti, solo però nel senso che gli gnostici utilizzarono il Tanakh e forse i primi midrashim non meno dei cristiani, e talvolta, a quanto pare, un po’ di più.
La mitologia gnostica originale è tanto poco giudaica quanto iranica o cristiana.
In cosa consiste, allora, la mitologia gnostica? Gli studiosi dello gnosticismo hanno il loro background nella filologia e nella teologia biblica, tuttavia conoscono a malapena il modo in cui gli antropologi definiscono e analizzano il mito. Pertanto, ogni qual volta le origini puramente “dualistiche” del mito gnostico vengono portate alla loro attenzione, essi liquidano la faccenda affermando con orgoglio che, se anche fosse vero che gli gnostici “presero in prestito” alcune narrazioni popolari della creazione, le elaborarono in qualcosa di assai superiore e semifilosofico. Tuttavia si pone anche un’altra questione, che i teologi tendono a interpretare in maniera piuttosto ingenua in una prospettiva fortunatamente abbandonata dagli antropologi: Se di un “prestito” si tratta, si deve trovare una fonte precisa. In altri termini, se il mito gnostico è un “prestito” dalla “religione popolare”, indipendentemente dove e quando questa trasmissione abbia avuto luogo dev’essere precisamente documentata. Gli antropologi, al contrario, hanno riconosciuto da molto tempo che il mito esiste in innumerevoli varianti che sono trasformazioni le une delle altre e potrebbero avere origine del tutto indipendentemente dalle operazioni della mente umana in qualsiasi contesto. In questo senso il mito gnostico è una trasformazione particolare che appartiene a un’ampia gamma di miti noti come “dualistici” (v. capitolo I). La perenne e frustrante ricerca volta a stabilire inequivocabilmente le “origini” del mito gnostico viene pertanto rigettata come oziosa, dal momento che ogni trasformazione del mito ha per definizione un’origine cognitiva. Si rende necessario spostare l’accento dalle “origini” del dualismo occidentale al sistema della Gnosi in quanto tale, ed è appunto quello che questo libro intende fare.
Questa prospettiva ci aiuterà a comprendere che il primo anello nella catena dei dualismi occidentali, lo gnosticismo, non è una dottrina monolitica bensì semplicemente un insieme di trasformazioni che appartengono a un sistema multidimensionale e variabile che contempla varianti illimitate. Questo sistema si basa su diversi assunti ereditati, invariabili sebbene interpretabili, di cui il mito del Libro della Genesi sembra essere il più comune (chiaramente, come ha notato Birger Pearson [9], ciò spiega perché lo gnosticismo abbia così tanto in comune con il giudaismo: gli elementi fondamentali vengono dalla Torah, ma il tipo di esegesi a cui l’hanno sottoposta spesso contraddice i principali assunti della Torah). Ma gli gnostici non costituiscono una vera e propria tradizione, basata sulla continuità ermeneutica, al punto da poter essere definiti da “invarianti”. In realtà ogni definizione dello gnosticismo per invarianti è destinata a fallire, in quanto basata soltanto su un’inferenza incompleta contraddetta da interi campi di dati in nostro possesso. Perciò non tutti gli gnostici furono anti-cosmici, encratici, o docetisti; non tutti credevano nel Demiurgo di questo mondo o perfino che questo mondo fosse malvagio, e non tutti credevano nella metemsomatosi o nella reincarnazione dell’anima preesistente.
Tuttavia, se gli gnostici furono liberi di credere tutto e il suo contrario, perché noi continuiamo a insistere sull’esistenza del fenomeno chiamato gnosticismo?
Questo libro mostrerà che il sistema del dualismo occidentale parte da determinate premesse e ha una innegabile esistenza nella sua dimensione logica. Io riconosco come delle sezioni gnostiche attraverso questo sistema, che sono trasformazioni le une delle altre nella misura in cui il sistema lo consente.
A un livello più generale, tuttavia, abbiamo due buoni criteri che ci permettono di spiegare perché, e in che misura, lo gnosticismo fu rivoluzionario rispetto al suo contesto culturale. A questo stadio della ricerca, la selezione dei criteri potrebbe apparire arbitraria; in seguito, diverrà assai evidente che essi sono al centro delle preoccupazioni di ogni cultura. Uno è il criterio dell’intelligenza ecosistemica, cioè il grado in cui l’universo in cui viviamo può essere attribuito a una causa buona e intelligente. L’altro è il principio antropico, cioè l’affermazione dell’incommensurabilità e della reciproca connessione tra gli esseri umani e l’universo.
Se esaminiamo le più importanti proposte culturali pronte all’uso all’inizio dell’era cristiana – platonismo, giudaismo e cristianesimo – dobbiamo concludere che esse condividevano sia il principio dell’intelligenza ecosistemica (questo universo è creato da una causa buona e in sommo grado intelligente ed è perciò essenzialmente buono) e il principio antropico, l’appropriata adeguatezza dell’universo ai suoi abitanti umani. Lo gnosticismo invece rifiuta entrambi questi principi: anche quando il Demiurgo gnostico è abbastanza buono, resta inferiore ed ignorante, mentre gli esseri umani non appartengono a questo mondo. Questa posizione è stata tradizionalmente definita come pessimistica, tuttavia essa rappresenta, ovviamente, una forma eccessivamente radicale di ottimismo acosmico, perché gli esseri umani appartengono a un mondo più elevato e migliore di questo. Hans Jonas sembrò accorgersi di ciò quando mise a confronto lo gnosticismo e la filosofia esistenzialista, quest’ultima essendo una trasformazione ingenuamente eccessiva del pessimismo nella misura in cui rifiuta il principio antropico ma nega che via sia parentela tra gli uomini e un mondo migliore (secondo l’esistenzialismo, siamo semplicemente perduti in un mondo a cui non apparteniamo; secondo lo gnosticismo, siamo perduti in un regno inferiore fintanto che ignoriamo di appartenere a un altro più elevato).
Messo a confronto con le principali tendenze che definiscono la cultura [del suo tempo], lo gnosticismo è sicuramente un fenomeno di controcultura, e lo stesso può ben dirsi, seppure in varia misura, per tutte le tendenze dualistiche occidentali che esamineremo in queste pagine. Il sistema dello gnosticismo è estremamente complesso, poiché implica innumerevoli trasformazioni. Al confronto, tutte le altre tendenze dualistiche sono più semplici. Marcione (capitolo V) condivide le regole dell’esegesi gnostica senza essere gnostico. Il manicheismo (capitolo VI) è piuttosto una trasformazione di un certo tipo di gnosticismo. Tra i movimenti medievali, gli scenari sono assai variegati. Il paulicianesimo (capitolo VII) è la trasformazione del marcionismo, mentre i Bogomili (capitolo VIII) sono solamente una sia pur stravagante forma di cristianesimo ortodosso arcaico. Il catarismo (capitolo IX) consiste di due dottrine: una è il bogomilismo classico, l’altra la trasformazione dell’origenismo del IV secolo, senza dubbio sintetizzate in un circolo di monaci orientali revivalisti. Tuttavia, al di là delle loro multiformi apparenze, tutte le tendenze dualistiche occidentali possono essere affrontate come diverse sfaccettature di un unico e più ampio sistema. Dall’inizio del XV alla fine del XVIII secolo il dualismo sembra esistere soltanto come una curiosità storica nei libri degli eresiologi e degli enciclopedisti. Tuttavia a partire dal 1850 c’era già stata una intera fioritura di miti romantici che mostravano straordinarie somiglianze con il mito gnostico. L’ultimo capitolo di questo libro esplorerà il meccanismo che produce scenari pseudo-gnostici come parte di un sistema messo in moto dal nichilismo moderno.
Avendo a che fare con strutture e sistemi, questo libro non può indugiare su vaghe e romantiche ipotesi volte a mostrare le interazioni tra dualismo e società. Si può soltanto rigettare con forza la folle pretesa, troppo spesso avanzata, secondo cui esisterebbe una correlazione tra dualismo e “crisi” sociale. La storia è un meccanismo troppo vasto per offrirci delle ricette segrete. Essa può consentirci, di tanto in tanto, la visione di sistemi di idee nella loro dimensione logica, ma ancora ci preclude l’infinitamente complessa mappa di interazione di tali sistemi.

Ioan Petru Culianu

[fonte: Ioan P. Couliano, The Tree of Gnosis: Gnostic Mythology from Early Christianity to Modern Nihilism, HarperCollins, New York 1992]

(n. 10, ottobre 2022, anno XII)





NOTE

[1] I miti dei dualismi occidentali è stato ripubblicato dalla Jaca Book nel 2018 e, in edizione economica, da Rusconi Libri (2022).
[2] I.P. Culianu, I miti dei dualismi occidentali. Dai sistemi gnostici al mondo moderno, Jaca Book, Milano 2018, p. 13.
[3] I.P. Couliano, Les gnoses dualistes d’Occident. Histoire et mythes, Plon, Paris 1990, p. 9.
[4] S. Antohi, nota introduttiva a I.P. Culianu, Sistema e Storia, in Ioan Petru Culianu. Argonauta della quarta dimensione, a cura di H.C. Cicortaș, R. Moretti e A. Scarabelli, fascicolo monografico di «Antarès. Prospettive antimoderne», n. 18, 2021 (pp. 195-200), p. 195.
[5] I.P. Culianu, Sistema e Storia, cit., p. 197.
[6] Ivi, p. 200.
[7] S. Runciman, The Medieval Manichee. A study of the Christian Dualist Heresy, Cambridge University Press, Cambrdige 1982. Steven Runciman (1903-2000) è stato uno storico medievalista e bizantinista britannico, la cui fama è legata soprattutto al suo studio in tre volumi sulle crociate, A History of Crusades (1951-1954). Curiosamente, anche Runciman, come Culianu, leggeva i tarocchi e fu protagonista di alcune singolari esperienze al confine con il paranormale.
[8] Ignaz von Döllinger (1799-1890), storico, sacerdote cattolico e teologo tedesco. Strenuo oppositore del dogma dell’infallibilità pontificia, fu scomunicato in seguito al Concilio Vaticano I, restando alla testa dei Vecchi Cattolici (Altkatholiken). Culianu si riferisce qui al suo lavoro Beiträge zur Sektengeschichte, uscito nel 1890, che approfondisce tra l’altro le origini gnostiche e manichee delle eresie medievali dualiste.
[9] Birger Pearson (1934-), docente e studioso americano, esperto delle origini del cristianesimo e dello gnosticismo. Fu uno dei primi traduttori dei codici di Nag Hammadi, raccolta di testi cristiani, gnostici e pagani rinvenuti in Egitto, presso l’omonima località, nel dicembre del 1945.