Ricordando Renato Del Ponte (1944-2023)

Un anno fa (il 6 febbraio 2023) si spegneva a Fivizzano (Massa-Carrara), Renato Del Ponte. A lui, che è stato nostro insegnante presso il Liceo «L. Da Vinci» di Villafranca in Lunigiana, vogliamo rendere omaggio nei giorni della ricorrenza del primo anniversario della morte, rivolgendo un saluto di cordoglio alla moglie, professoressa Rosanna Peruzzo, alle figlie e ai nipoti.
Nato a Lodi, durante un bombardamento anglo-americano nel giorno del solstizio d’inverno del 1944, era figlio del capitano di lungo corso Augusto Del Ponte, I° tenente di vascello della Regia Marina militare negli anni Trenta, nonché medaglia di Capo Horn. Rimasto orfano di madre all’età di tredici anni, compì i propri studi liceali presso il prestigioso «Andrea Doria» di Genova, dove la famiglia si era trasferita fin dalla sua infanzia. Tra i banchi di scuola scopre Il mistero del Graal (1937) di Julius Evola, una lettura che suscitò in lui un’impressione così forte e “invadente” da rendere necessario un periodo di decantazione di un anno. Si dedica precocemente all’attività politica, militando nelle organizzazioni giovanili del Movimento sociale italiano. Iscrittosi alla Facoltà di Lettere dell’Università di Genova nell’autunno del 1965, è coinvolto nelle vicende del ’68 e, sull’onda del fermento di quegli anni, decide di fondare a Genova un “Centro Studi Evoliani”, al fine di divulgare e approfondire il pensiero di Julius Evola, attraverso conferenze, articoli, recensioni e monografie, ristampando alcuni testi del filosofo romano di difficile reperibilità e favorendone la circolazione anche all’estero (in Francia e Belgio). Collabora anche con varie testate pubblicistiche, tra cui «L’Italiano» e «Il nazionale». Nel frattempo, Del Ponte conosce personalmente Julius Evola, frequenta il suo appartamento, all’ultimo piano di Corso Vittorio Emanuele 197 a Roma, e intrattiene, tra il novembre del 1969 e l’agosto del 1973, una corrispondenza su temi inerenti le attività del CSE, l’esoterismo e la Tradizione [1], che egli intenderà principalmente, ma non esclusivamente, come tradizione romano-italica, ossia come fedeltà all’ideale religioso che accomuna tutti i popoli d’Italia nel nome della civiltà di Roma.
Nell’autunno del 1972 va in stampa il primo numero della rivista di studi tradizionali «Arthos» di cui Del Ponte è direttore [2]. Il titolo della rivista, come spiega nell’editoriale del n. 1, viene dal celtico arth, analogo al greco arktos ed al latino ursus, ossia «orso», o meglio «orsa», con esplicito riferimento all’Orsa Maggiore, perno immutabile delle costellazioni del cielo, simbolo di quella Tradizione “una” a cui la rivista si ispira. Poco prima della morte del filosofo romano, avvenuta nel ’74, Del Ponte cura la prima antologia di scritti evoliani, inerenti la metafisica della montagna: «Meditazione dalle vette» (prima edizione: Il Tridente, La Spezia 1974) – tra le sue curatele sicuramente quella alla quale il professore era più affezionato e quella che ha anche goduto del maggior riscontro di pubblico, conoscendo ben cinque edizioni [3]. Lo stesso Del Ponte, proprio come il giovane Evola, praticava alpinismo ad alta quota, vivendo però questa esperienza non in termini di esaltazione del sé fino all’auto-superamento, ma con religiosa umiltà e spirito di ascesi, accostandosi alla montagna come a un’entità sacra. Nell’agosto del 1974 ebbe parte attiva nella spedizione alpina che doveva dare compimento alle volontà testamentarie dello stesso Evola, il quale desiderava che le sue ceneri fossero calate in un crepaccio del Monte Rosa poco sotto al colle del Lys, a circa 4100 metri di altitudine.
Frattanto si laurea (1969), specializzandosi in studi medievistici, diventando in particolar modo esperto del periodo storico-politico del ’300 (segnaliamo, tra i vari contributi, l’edizione critica del manoscritto De potestate summi Pontificis di Guglielmo da Sarzano nel 1971). Quindi, insegna Italiano e Latino prima nelle scuole superiori di Genova, poi in Lunigiana dove si trasferisce all’inizio degli anni Novanta e dove rimane fino al pensionamento, avvenuto nel 2001.
Parallelamente all’attività di docenza, approfondisce lo studio dei miti, dei riti e dei simboli della tradizione sacrale di Roma antica, venendo apprezzato per la serietà dei suoi contributi anche negli ambienti accademici, presso i quali si accredita come qualificato storico della religione. Tra le principali pubblicazioni al riguardo: Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica, Genova, Ecig, 1985 (giunto oggi alla quarta edizione riveduta e accresciuta, Genova, Arya 2020); La religione dei romani, Milano, Rusconi 1992 (seconda edizione, riveduta e ampliata, Genova, Arya 2017), opera quest’ultima che gli valse il «Premio Isola d’Elba» – riconoscimento di cui erano stati insigniti in precedenza anche lo storico delle religioni romeno Mircea Eliade, nel 1984, ed Elémire Zolla nel 1988 [4].
Il suo interesse per il fenomeno religioso non si consuma però entro i necessari ma pur sempre angusti limiti della ricerca erudita. Del Ponte è convinto infatti che le forme sacrali dell’antica Roma, solo in apparenza quiescenti, custodiscano in sé degli archetipi eterni suscettibili di essere “ri-attivati” a fronte di una rinnovata sensibilità al mito e al rito. Promuove a tale scopo iniziative associative come il Movimento tradizionalista romano, fondato nel 1988, volto alla riscoperta della via romana agli dèi e il cui organo di stampa è la rivista «La Cittadella» diretta dal professor Sandro Consolato e alla quale Del Ponte collabora regolarmente. Nell’ordine di queste idee, va intesa anche la pubblicazione a partire dagli anni ’80 del Kalendarium, la cui ultima edizione risale al 2021.
Durante la sua lunga permanenza in Lunigiana svolge una intensa attività di animazione culturale e conferenziere, contribuendo in misura fattiva agli studi storici e preistorici del territorio ligure apuano. Le informazioni raccolte durante le sue numerose esplorazioni nella Valle delle Meraviglie, confluiscono nella prima monografia dedicata al popolo dei Liguri, che andava a colmare un vuoto nell’ambito degli studi delle antiche popolazioni italiche: I Liguri. Etnogenesi di un popolo. Dalla preistoria alla conquista romana, Ecig, Genova, 1999 (terza edizione, riveduta ed ampliata, Edizioni Arya, Genova 2019). Rientrato in pianta stabile a Genova a seguito del suo pensionamento, collabora con l’editore Arya di Genova, che ristampa alcuni suoi testi divenuti nel frattempo irreperibili e ne pubblica di nuovi, in cui raccoglie contributi e articoli pubblicati su rivista negli anni trascorsi. Ricordiamo tra gli altri Il Grande Medioevo (2021) e Roma Amor. Roma e la sua sacralità (2022). Dal 2008 è membro della Società Italiana di storia delle religioni.
Del Ponte si spegne a Fivizzano, in Lunigiana, sua terra di adozione, il 6 febbraio 2023. Le esequie, officiate da Don Giovanni Barbieri, si sono celebrate presso la Chiesa parrocchiale di S. Giovanni in Villafranca, mentre le sue ceneri riposano presso il Cimitero di Cairo Montenotte (Savona).
Sostenuta da un’intelligenza eclettica e da una memoria straordinariamente capace, l’iniziativa culturale di Renato Del Ponte si è spesa con generosità e ad ampio raggio, risultando in ugual misura incisiva in una molteplicità di ambiti – la storia delle religioni, in particolare della religione e del diritto romano arcaico, ma non solo, la ricezione del pensiero evoliano, e più in generale della Tradizione, il platonismo rinascimentale e l’esoterismo, nelle sue varie declinazioni storiche e letterarie. Oltre a una cospicua mole di testi, che auspichiamo possano offrire impulso a nuove ricerche e approfondimenti, Del Ponte lascia in vita la rivista «Arthos», centro di convergenza di uomini e idee, oggi affidata alle cure di Nicola Crea.

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Ci sia concesso aggiungere a queste brevi note panoramiche, alcune considerazioni personali, che hanno ragione di essere dal momento che chi scrive di Del Ponte è stato allievo “sui banchi di scuola”. Nel corso del triennio 1996-1999, il professore fu infatti nostro insegnante di Lingua e cultura latina e italiana presso il liceo «L. Da Vinci» di Villafranca in Lunigiana [5]. L’impressione che ne ricavammo fin dal primo momento fu quella di un uomo le cui qualità umane (su tutte la pazienza, che mettemmo in varie occasioni alla prova, ottenendone sempre comprensione, mai rimproveri), cedevano il passo solo di fronte a una sconfinata erudizione, che conquistava ogni platea, senza ricorrere ad enfasi o artifici di sorta. Dobbiamo a lui la scoperta del mondo latino nei suoi aspetti religiosi, giuridici, antropologici e finanche culinari (memorabile la ricetta del garum di Apicio) [6]. Ci insegnò a tradurre nei due sensi e a leggere l’esametro. Le sue lecturae Dantis erano avvincenti e animate da continue digressioni, storiche, filosofiche, metafisiche, permeabili al dominio del mito e del simbolo. Del Ponte seppe veicolare ai propri allievi il senso di una civiltà, e di una religio informata dal principio della «tolleranza» nella consapevolezza che il mistero divino è insondabile e abbraccia tutti gli uomini animati di retta intenzione. Quella tolleranza in nome della quale il prefectus urbi Quinto Aurelio Simmaco perorava il ripristino dell’Ara Victoriae e la restaurazione del culto della dea alata: «È giusto che sia considerato un unico essere, qualunque sia quello che ognuno venera. Guardiamo le medesime stelle, comune è il cielo, un medesimo universo ci racchiude: che importa con quale dottrina ciascuno ricerca la verità? Non si può giungere fino a così sublime segreto per mezzo di una sola via» [7]. A tale proposito, Del Ponte amava ricordare come la rivista «Arthos» fosse una rivista tradizionale in senso integrale, capace cioè di aggregare uomini di ogni confessione o credo religioso: cattolici, buddhisti, finanche agnostici attorno all’idea di Tradizione, da intendersi quest’ultima come un sapere metafisico e superstorico, unità trascendente delle diverse religioni [8]. E a nostro avviso è proprio il simbolismo del centro, nelle sue molteplici declinazioni (di Graal, centro iniziatico, montagna, simbolismo della fondazione di Roma, labirinto, simbolismo polare, Arthos…) il motivo che più di ogni altro ha interessato la personalità e l’opera di Del Ponte.
Dopo il nostro diploma, abbiamo perso di vista il professore, ma dopo un lungo arco di tempo, di circa vent’anni, abbiamo riallacciato i rapporti con lui e abbiamo avuto il privilegio di collaborare alla sua rivista. Un giorno ci inviò la fotocopia di un articolo relativo al mito di Shambala, raccomandandocelo come il «più filosofico» dei suoi scritti: «Ritorno a Shambala. J. Evola e il mistero del tempo e della decadenza» [9]. Del Ponte prendeva le mosse dalla lettera spedita da Evola a Mircea Eliade il 28 maggio 1930, nella quale il filosofo romano si diceva interessato a sapere cosa il giovane Eliade avesse trovato laggiù [in India, a Calcutta] «nell’ordine di cose che interessa a noi: quello della pratica, più che quello della dottrina e della metafisica» e poi faceva proposito di recarsi a sua volta in India, «per restarvi». Evola allude ad alcuni centri che conservano ancora la tradizione, ubicati verso il Kashmir e il Tibet [10]. L’articolo, che sappiamo essere stato scritto in un momento di grande prova, è in realtà una meditazione su come, citando Evola «ogni vittoria o sciagura materiale, è l’ombra di un significato spirituale corrispondente» [11]. Il decadimento delle realtà fisiche corrisponde all’individuazione dell’Io, alla sua caduta nello spazio e nel tempo.
Dalla condizione di decadenza in cui ciascuno di noi si trova, si tratterebbe dunque di riconquistare il centro – quel centro a cui la tradizione ha alluso velatamente sotto vari simboli (il secondo albero della vita, il Vello d’Oro, la Grande Opera, etc.) –, innanzitutto spiritualmente. «Allora il Regno nascosto (in quanto superiore alla storia) può manifestarsi anche visibilmente» [12]. Chi è giunto a esperire il presente centrale, ha già ottenuto in questa vita la liberazione e l’immortalità.


Igor Tavilla

(n. 2, febbraio 2024, anno XIV)





NOTE

[1]
J. Evola, Lettere 1955-1974, La Terra degli Avi, Finale Emilia 1996, pp. 121-155. A questa raccolta deve aggiungersi la lettera, datata Genova, 19 gennaio1972, pubblicata nel numero monografico Julius Evola. Trent’anni dopo de «La Cittadella», a. IV, nn. 14-16, 2004, pp. 238-240.
[2] La prima serie della rivista uscì sino al n. 33/34 del giugno 1990. Dopo un’interruzione di sette anni, la ripresa della nuova serie avvenne nel 1997. A partire dal 2008 sono le edizioni Arya di Genova a curare la pubblicazione della rivista.
[3] Ricordiamo: Simboli della tradizione occidentale, Arktos, Carmagnola 1988; L’individuo e il divenire del mondo, Arktos, Carmagnola 1989; Fenomenologia della sovversione. L’Antitradizione in scritti politici 1933-1970, SeaR, Borzano 1993; René Guenon, Lettere a Julius Evola (1930-1950), SeaR, Borzano 1996; Il mondo alla rovescia, Edizioni Arya, Genova 2008; Le sacre radici del potere, Edizioni Arya, Genova 2010; Scritti sulla Massoneria volgare speculativa, Edizioni Arya, Genova 2012; Etica Aria, Edizioni Arya, Genova 2018.
[4] L’opera ha goduto dell’apprezzamento di studiosi di vaglia, tra cui l’orientalista Pio Filippani Ronconi e il filosofo Piero Di Vona, intervenuti alla presentazione del volume, presso i locali della Libreria Europa di Roma.
[5] Rimandiamo al nostro articolo Un ricordo dai banchi di scuola, in «Arthos», n. 32, 2023, pp. 13-24.
[6] Salsa di interiora di pesce salate e macerate al sole, con cui vengono condite molte delle pietanze raccolte nel De coquinaria, un ricettario compilato tra il III e il IV d.C. e attribuito a un certo Marco Gavio Apicio (I a.C.), amante del lusso e della buona cucina.
[7] Quinto Aurelio Simmaco, Relazione sull’altare della Vittoria, a cura di R. Del Ponte, Il Basilisco, Genova 1990, pp. 37-38. Relatio III, 10: «Eadem spectamus astra, commune coelum est, idem nos mundus involvit. Quid interest qua quisque prudentia verum requirat? Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum».
[8] Del Ponte – come Evola del resto – era fermamente persuaso che occorresse evitare di irrigidire le idee tradizionali, chiudendosi in una concezione esclusivista che alimentasse lo spirito di fazione tra questa o quella manifestazione storica della Tradizione. La Tradizione non si colloca sulla superficie della storia e non consiste nell’obbedienza passiva a un sistema di idee o a una dottrina. È richiesto piuttosto un lavoro di profondità, volto “a penetrare quel che di una tradizione è veramente universale, eterno e incorruttibile, realizzando il vero scopo di ogni ordinamento tradizionale: l’integrazione effettiva delle più alte possibilità umane in una realtà trascendente” (J. Evola, Tradizione chiusa e tradizione cosciente, in «Diorama Filosofico», 17 aprile 1934, ora in Ethica Aria, a cura di R. Del Ponte, Edizioni Arya, Genova 2019, p. 23).
[9] In «Atrium. Studi Metafisici ed Umanistici», a. XVI, n. 4, 2014, pp. 8-22, poi ripubblicato in H.T. Hakl (a cura di), Octagon. La ricerca della totalità, Scientia nova, Gaggenau 2017, pp. 469-480. Il testo prendeva spunto dall’intervento tenuto nel luglio del 2014 presso Villa Piccolo.
[10] Non posso omettere qui di ricordare che lo stesso Del Ponte intraprese un viaggio in Buthan, che amava definire «riserva naturale e spirituale dell’umanità». R. Del Ponte, Nella Terra del Drago, note insolite di viaggio nel Regno del Bhutan, Il Tridente, La Spezia, 2012, p. 5.
[11] R. Del Ponte, Ritorno a Shambala, etc., cit., p. 4.
[12] Ivi, p. 10.