Omaggio degli intellettuali romeni e italiani alla memoria dello storico Ion Bulei (1941-2020)

Il 9 novembre 2020 è venuto a mancare Ion Bulei, il noto storico che si è distinto per la sua notevole carriera accademica e diplomatica. Nato il 30 marzo 1941, a Comarnic, distretto di Prahova, Ion Bulei è stato ricercatore all’Istituto di Studi Storici e Socio-Politici (1971-1989), professore alla Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest (dal 1992), diplomatico (addetto agli affari culturali a Roma, 1990-1993), direttore dell’Istituto di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali (ISPRI) dell’Accademia di Romania (2003-2011). Per la sua intensa attività è stato insignito del Premio «Nicolae Iorga» dell’Accademia di Romania (nel 1990, per il volume Sistemul politic al Romaniei moderne. Partidul Conservator, pubblicato nel 1987), Premio dell’Unione degli Scrittori (nel 2003, per i volumi Breve storia dei romeni, pubblicato nel 2000 in Italia, e 35 anni di relazioni italo-romene, 1879-1914. Documenti diplomatici italiani, a cura di Ion Bulei e Rudolf Dinu, pubblicato nel 2001), Premio «Ion Ghica» della rivista «Magazin istoric» (nel 1997, per il volume Scurtă istorie a românilor, pubblicato nel 1997). Nel 2000 gli è stata conferita la più alta onorificenza romena, l’«Ordine della Stella di Romania», con classe di benemerenza di cavaliere.

Profondamente legato all’Italia, Ion Bulei è stato direttore dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia dal 1997 al 2003 e professore all’Università Ca’ Foscari di Venezia negli anni 1998-2003. Abbiamo realizzato questa pagina in sua memoria con la collaborazione di intellettuali di primo piano, romeni e italiani, che hanno avuto l’onore di conoscere il compianto professore e che ringraziamo tanto per il loro prezioso contributo. Le nostre sentite condoglianze alla famiglia e la gratitudine alla signora Mariana Avanu Bulei per le fotografie che ci ha generosamente concesso di pubblicare.




Il prof. Ion Bulei all'IRCCU Venezia



Grigore Popescu (scrittore, critico e storico dell’arte, direttore dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia)

Su Ion Bulei: frammenti di memoria affettiva

Il senso di queste righe è prima di tutto di rinfrescarmi la mente con alcuni ricordi affettuosi che mi legano a un quasi-compaesano, collega e amico. Con Ion Bulei ci siamo incontrati nelle aule della Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest, nell’autunno del 1962, dopo il mio trasferimento dall’Università Babeș-Bolyai all’Università della Capitale. Abbiamo vissuto insieme per tre anni negli stessi studentati (Collegio «6 Marzo», «Carpazi» e «Bruto»).
Ci incontravamo più volte al giorno, ai corsi, alla mensa, nelle biblioteche etc., e abbiamo scoperto di essere originari della stessa zona. Lui era nato e cresciuto a Comarnic, nella Valle Prahova, io sono nato e cresciuto a Pietrosița, nella Valle Ialomiță. Le due località erano separate da una catena di colline alte, subcarpatiche, rimboschite, con macchie di pascoli, di fieno e alberi da frutto, qua e là. Per arrivare a Comarnic, partendo da casa mia, bisognava percorrere a piedi tre chilometri, fino a Moroieni, risalire a nord lungo un ruscello che portava alla Valle del Cavallo, dove mio padre aveva ancora un fazzoletto di terra non confiscato, con due ettari di noccioli e quattro di erba da fieno, dove, da bambino, mi recavo qualche volta all’anno, per falciare l’erba, per raccogliere il fieno, per incontrare i pastori che arrivavano con le greggi al pascolo e ci portavano delle porzioni di formaggio, con cui negli anni ‘50 molte famiglie della zona surrogavano alle mancanze croniche di cui si soffriva.
Oppure ci andavo quando nei boschi, previa autorizzazione, si tagliavano i vecchi alberi, destinati a diventare legna da ardere durante l’inverno. Al di là della Valle del Cavallo, vi era un villaggio, ancora abitato negli anni ‘50 da alcune famiglie di emigrati italiani, i quali spinti dalla povertà, verso la fine del XIX secolo si erano spostati in Romania, ricevendo un pezzo di terra su cui hanno costruito le loro case, conducendo per qualche decennio una vita rurale, fino a quando la storia non si è di nuovo rovesciata su di loro e sulle loro case, alcune collocate sui terreni della famiglia Grigorescu, i cui esponenti, dopo il 1948 furono costretti al domicilio coatto, alcuni sparsi per il paese e altri in carcere, considerati “nemici di classe”.
Di là di Talea, posizionata come uno spartiacque, si ‘scendeva’ verso Comarnic, mentre svoltando a sinistra si entrava nei sentieri che conducevano a Breaza. Il paesaggio era stupendo, la foresta e i prati mi affascinavano: ho vissuto beatamente tra loro nel periodo della scuola elementare. A Ion Bulei mi hanno legato inizialmente i nostri ricordi d’infanzia quasi coetanea, quando ci siamo conosciuti all’università. Avevano molte cose in comune, anche se i ‘fatti d’arme’ della nostra infanzia si erano compiuti su due versanti diversi delle colline che delimitavano il confine nord-orientale. Quando ci siamo incontrati in Facoltà, a Telea si era scelta per di più la polvere. Non funzionavano più gli stessi «rapporti di produzione», due riforme agrarie e la nazionalizzazione avevano prodotto una reale «rivoluzione».
Per i piccoli produttori e i contadini che si guadagnavano il pane improvvisandosi fittavoli, essa ha rappresentato un colpo mortale. Talea, i boschi, le valli, i nocciòli, l’infanzia hanno creato un legame solido con Ion che si avvertiva in ogni nostro incontro. Era «uno di casa». Le nostre vite hanno viaggiato in parallelo, come per l’infanzia, anche sul versante dell’ambiente sociale. Lui ha intrapreso la strada degli studi frequentando il ciclo di studi post-universitari destinato alla preparazione dei giovani funzionari del Ministero degli Esteri, dove d’altronde è anche entrato, insieme ad altri colleghi «di Storia», per rimpolpare le fila di un gruppo di analisi necessario allo Stato in un momento di riorientamento verso una politica «flessibile», con una maggiore capacità di iniziativa all’interno del «lager socialista». Che fossimo in un «lager» ne eravamo coscienti, noi come altri, tanti altri, colleghi.
Dopo una breve partecipazione come redattore dell’Edizione Scientifica e Enciclopedica, ha lavorato all’ex Istituto di Storia del Partito dei Lavoratori (diventato nel 1966 Istituto di Studi Sociali e Politici del Partito Comunista).  A capo di questa «trasformazione» dell’Istituto vi era il nostro professore, Titu Georgescu, Segretario scientifico dell’Istituto e uno dei principali attori, che manovrava le leve dei documenti storici, della rivisitazione del percorso di obbedienza – vera o presunta – nelle relazioni con l’URSS, e della politica comunista romena dagli anni ‘50 fino agli inizi degli anni ‘60 (suppergiù).
Come studente, mi sono guadagnato il pane, grazie a quello stesso professore, trascrivendo, negli scantinati dell’Accademia Romena, i materiali che sono stati usati per la pubblicazione di alcuni imponenti volumi coordinati dal prof. Augustin Deac, relativi alla stampa socialista e operaia del XIX secolo. Sono utili ancora oggi per chi volesse conoscere la storia della «classe operaia» (che ancora esiste, anche se sono cambiate le sue capacità tecnologiche) della Romania, una classe senza la quale non si può erigere uno Stato, per quanto i liberisti di oggi cerchino di spostare l’attenzione dalla «produzione dei beni» al Capitale.
Ho seguito, quindi, una strada parallela a quella di Ion: la stampa, gli scritti, la mia breve incursione nell’«ambiente accademico» romeno e quella più lunga nella storia dell’arte. Con Ion ci siamo incontrati di frequente per ventidue anni, fino al 1987, nelle stesse biblioteche e anche nel suo ufficio dell’Istituto, in via del Ministero n. 4, dalla cui finestra si vedevano i due ingressi del Comitato Centrale: entrambi conducevano verso la sezione Esteri, Stampa e Propaganda. Gli ho chiesto spesso degli articoli storici da inserire nelle pubblicazioni su cui stavo lavorando.
Ha risposto quasi sempre «sì» oppure «no, non ho affrontato il problema», il che significava che non voleva trattare tematiche che erano sottoposte alla vigilanza speciale della Commissione Ideologica, i cui rappresentanti erano preposti a intervenire. Non ho mai insistito, c’era tra di noi un accordo tacito di «protezione» della credibilità dell’altro.  Da ricercatore nell’ambito di un Istituto divenuto super controllato e in cui l’autore del riorientamento verso una «nuova storia» si era trasferito a Craiova per fondare l’Università di cui l’Oltenia non poteva essere privata, Ion ha iniziato a indirizzare i suoi studi verso un esame critico della storia di partito, approfondendo principalmente il periodo tra le due guerre mondiali. 
Ha scritto su quest’onda volumi memorabili, di cui ne cito solo alcuni: Arcul așteptării - 1914. 1915. 1916 (Ed. Eminescu, 1981); Lumea românească la 1900 (Ed. Eminescu, 1984); Sistemul politic al României moderne. Partidul conservator (Ed. Politică, 1987). La sua onestà intellettuale e la capacità di evitare compromessi evidenti ha fatto sì che dopo il 1989 fosse rispettato sia «dalla sinistra» che «dalla destra» (quella «audace», derivata, chiaramente, sempre «dalla sinistra»), ragion per cui non ha avuto obiezioni da parte della nuova classe politica nel suo riposizionamento nelle strutture «post-rivoluzionarie», diplomatiche o accademiche.
In una notte di fine inverno del 1990, verso le 4 del mattino, nel Palazzo Vittoria, si consumò un’animata discussione con il Ministro degli Esteri Sergiu Celac per la ricostituzione del «gruppo di storici» - smantellato a causa di alcune antipatie rivolte contro Mircea Maliţa, il quale lo aveva costituito chiedendo la collaborazione di Dinu Giurescu e Virgil Cândea – e uscirono alcuni nomi. Tra i primi ve ne furono alcuni a noi noti, i quali vantavano una gamma di conoscenze storiche avvalorata nelle inevitabili discussioni con gli omologhi stranieri o dei paesi confinanti: Ion Calafețeanu e Ion Bulei. Entrambi in quel momento si trovavano in una sorta di «sala d’attesa del purgatorio» insieme all’intero personale dell’Istituto di Studi Sociali e Politici, già alla deriva.
Dopo qualche ora (sembra verso le 8.30), l’Ambasciatore Traian Chebeleu, Capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri, telefonò alle due personalità invitandole a recarsi al Ministero degli Esteri in giornata. Per essere assunti. Ciò che ne seguì è un capitolo a parte che preferisco venga scritto dai colleghi più giovani, allievi di Ion Bulei, come professore alla Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest, o come guida dell’IRCCU, Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica, di cui fu antesignana la Casa Romena, inaugurata in «pompa magna» nel 1930, ed entrata dopo la Seconda guerra mondiale in una lunga fase di congelamento, durata fino al 1990.

Grigore Popescu
(Traduzione di Ida Libera Valicenti)




Davanti all'IRCCU Venezia



Ioan-Aurel Pop (storico, attuale Presidente dell’Accademia di Romania, Direttore dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia negli anni 2003-2007)

Un’eredità spirituale di grande rilievo

La notizia del trapasso alla vita eterna del professor Ion Bulei ha rattristato tutti noi, allo stesso modo, amici, colleghi, ex studenti, borsisti romeni che all’epoca sono stati a Venezia e a Roma, e tutti coloro che hanno avuto modo di conoscere questo grande intellettuale distintosi per la sua intensa attività lavorativa. L’espressione «trapasso alla vita eterna» racchiude qui non solo un contenuto di speranza cristiana, ma anche laico, poiché lo storico Ion Bulei ci ha lasciato un’eredità spirituale di grande rilievo. I romani – leggendo i saggi greci – ci hanno trasmesso un pensiero profondo: «La vita è breve, l’arte lunga» (Ars longa, vita brevis). L’«Arte» di Ion Bulei è la sua opera storica, destinata a sopravvivere al di là  del tempo limitato della sua vita terrena e a rimanere come un testamento per i posteri. Specializzato in storia moderna del popolo romeno, ci ha saputo offrire una ricostruzione profonda che resiste alla prova del tempo ma, allo stesso modo, ha elaborato sintesi di storia del popolo romeno di interesse comune tradotte nelle principali lingue e molto apprezzate dagli «addetti ai lavori». Grazie a questa sua attività di ricerca la storia e la vita dei romeni del passato e del presente sono oggi finalmente a disposizione di tutti gli appassionati della materia sparsi ai quattro angoli della Terra. Ma il professor Ion Bulei è stato capace di dar vita anche a un altro tipo di «arte», quella di formare storici e intellettuali. L’eleganza del suo stile gioviale, l’ottimismo di ricerche ininterrotte, l’umore fine, accompagnato da un’ironia bonaria, lo zelo nel sostenere i coraggiosi e i capaci, sono tutte qualità che lo hanno caratterizzato lungo tutta la sua vita e la sua carriera.

L’ho conosciuto direttamente nelle sue vesti pro-tempore di direttore dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, denominazione barocca che non può nascondere che alle spalle di questo nostro istituto in Italia c’è un’identità molto più antica e meglio radicata, quella cioè di «Casa Romenă» o di «Casa Iorga». In realtà, dopo la caduta del comunismo, lo storico Ion Bulei ha ricalcato le orme del grande fondatore, Nicolae Iorga, anticipando di gran lunga la missione di istruire i giovani romeni, illuminandoli di cultura di altissimo livello. «I nostri verranno qui, soggiorneranno in queste stanze ricche di memorie, contempleranno dalle grandi finestre un’enorme distesa di tetti rossi e i vasti orizzonti. Passeggeranno per quelle bellissime stradine del mondo e rimarranno lunghe ore a contemplare quelle pietre in cui si è incarnato il Signore della bellezza eterna. Quando ritorneranno in patria, qualcosa di Venezia li accompagnerà», diceva Iorga nel suo discorso inaugurale della «Casa Romena» della Laguna, ospitata all’interno di Palazzo Correr, edificio storico, le cui fondamenta furono gettate nel 1500. Il nostro primo incontro avvenne allorquando fummo invitati a tenere una conferenza a Venezia su un altro romeno passato e fermatosi in Italia, ovvero il vescovo Ioan Inochenție Micu, morto a Roma nel 1768, che sognò di dormire il sonno eterno a casa, perché «in verità, è solo dalla terra della patria che si può resuscitare».
Quando la sorte ha voluto che io prendessi il posto di Ion Bulei come direttore del prestigioso istituto fondato da Iorga, mi ha accolto a cuore aperto, mi ha accompagnato per le viuzze di Venezia, ricche di storia e cultura, mi ha presentato uomini in vista, mi ha parlato dei segreti della missione e mi ha lasciato tutti i biglietti da visita con i contatti ufficiali assolutamente necessari per il buon andamento delle attività. Non mi sono mai sentito estraneo e sono rimasto impressionato dalla sua affabilità e serietà, dal suo altruismo e ancor di più dal suo calore umano. Per questo, non potrei immaginare il professor Ion Bulei in un posto diverso da quelle stanze di Palazzo Correr, per le strette «calli» della Serenissima, in visita al museo del Palazzo dei Dogi, alla Biblioteca Marciana o all’Archivio di Stato del Monastero di Santa Maria Gloriosa dei Frari.        
È triste per me pensare che d’ora in poi Ion Bulei farà parte – come avrebbe detto Nicolae Iorga – degli «uomini che furono». Tuttavia mi consola il fatto che questo storico discenda da quegli uomini che hanno lasciato ai loro posteri la loro «arte», vale a dire un’opera perenne. Sit tibi terra levis!

Ioan-Aurel Pop
(Traduzione di Elena di Lernia)




In Campo di Santa Fosca, Venezia



Rudolf Dinu (storico, attuale direttore dell’Accademia di Romania in Roma, ha diretto l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia tra il 2011 e il 2017)

Restitutor Romaniae Scholae in Venetie Civitate

La mattina del 9 Novembre si è spento il professor Ion Bulei (1941-2020), noto al mondo accademico romeno e italiano come storico di alto valore scientifico, autore di alcuni tra i libri più letti di storia romena moderna, ma anche come direttore, tra il 1997 e il 2003, dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia.
A tutti coloro che gli sono stati accanto mancherà il suo modo equilibrato e bonario di argomentare, il suo rispetto verso tutti e, più di ogni altra cosa, l’amicizia affettuosa che accompagnava il suo responsabile impegno intellettuale. È stato un professore stimato per il suo temperamento piacevole, per il suo spessore scientifico e umano, per la grazia con la quale sapeva presentare la storia romena ed europea a coloro che ne erano interessati, per la premura e il calore con cui accoglieva le proposte di collaborazione.
Ha amato profondamente la sua professione di storico e, cosa assai rara, ha saputo costruire una scuola alla sua maniera assolutamente scevra da paludamenti. Non temeva di essere sorpassato dagli studenti e la sua preoccupazione maggiore, in quanto docente, era quella di lasciare dietro di sé il maggior numero possibile di storici ben preparati. Con il suo carattere sereno, ma con molto calore, si è occupato del percorso di studi di un centinaio di studenti, fra masterandi e dottorandi, creando riviste, centri di studio, coordinando progetti di ricerca finanziati con fondi europei, sviluppando rapporti di collaborazione con istituti di una terra che lui considerava come una seconda patria, l’Italia.
Per tutto quello che è riuscito a realizzare con coloro che ha guidato e formato, nella Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest, nell’Istituto di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali dell’Accademia Romena, ovunque, ha ricevuto in cambio così tanto amore, idee e ambizione da ricostruire, aiutato da molti amici italiani, professori e accademici, una seconda scuola all’estero, soppressa dal regime comunista per più di cinquant’anni, e con questo progetto ha cambiato la vita a decine di altri giovani ricercatori.
Nei miei ricordi, la figura del professor Ion Bulei è stata e sempre sarà legata, al di là di ogni altra cosa, a Venezia e all’Italia. Ha ricevuto l’incarico di condurre l’IRCCU tra il 1997 e il 2003, missione che ha affrontato con una passione e un senso di responsabilità fuori del comune, recuperando per la casa fondata da Nicolae Iorga il tradizionale mandato istituzionale-accademico e lanciando iniziative coraggiose, in particolare a beneficio dei ricercatori in ambito umanistico.
Il professor Bulei va annoverato tra gli intellettuali romeni legati culturalmente e sentimentalmente all’Italia che si sono mostrati interessati fin dalla metà degli anni Novanta alla creazione di un coerente programma di ricerca nei centri culturali romeni della Penisola. Si è speso per il recupero della vita accademica della Casa Romena di Venezia essendo contrario alla dispersione delle sue attività verso direzioni e settori per i quali non erano disponibili reali risorse e competenze, sostenendo di contro le ricerche umanistiche di lunga durata, negli archivi e negli istituti importanti di Venezia e dell’Italia. Tra i direttori post-decembristi dell’Istituto di Venezia è stato il primo ad aver deciso di dirigerlo come una scuola di formazione post-universitaria orientandone decisivamente l’attività verso la ricerca, sostenendo la presenza del maggior numero possibile di borsisti all’interno delle mura di Palazzo Correr, battendosi per stabilire quante più collaborazioni accademiche possibili con atenei veneziani e italiani.
Seguendo l’esempio del compianto prof. Marian Papahagi, il direttore che ha restituito al mondo scientifico l’Accademia di Romania in Roma, collaborando a stretto contatto con quest’ultima, il prof. Bulei si è fatto in quattro per far ritornare i ricercatori a Casa Romena a Venezia, fossero essi storici, archivisti, filosofi o architetti, storici d’arte, artisti plastici. Così sono nate, grazie anche ai suoi continui sforzi, sostenuti da molti intellettuali con le sue stesse idee, nel 1998, le borse «N. Iorga». Contemporaneamente, riannodando la tradizione seguita durante il periodo interbellico dai ricercatori umanisti romeni di frequentare gli archivi e le biblioteche della Dominante, è rinata anche la scuola romena di Venezia.
L’anno di rinascita della Scuola di Venezia è stato anche l’anno di inaugurazione del lettorato di lingua, letteratura e storia romena all’Università Ca’ Foscari di Venezia, un’impresa di straordinaria importanza per la collaborazione accademica italo-romena, resa possibile grazie al sostegno inestimabile del professor Gianfranco Giraudo, capo del Dipartimento di slavistica, uno dei più grandi sostenitori di Casa Romena di Venezia e del suo direttore di allora, il prof. Ion Bulei. Unico nel suo genere in Europa e fuori, il lettorato di Venezia sopravvive ancor oggi nel formato immaginato dal suo creatore, che si è assunto da solo il difficile compito di tenere i corsi di lingua e storia romena, ma anche grazie agli sforzi dei suoi successori come l’accademico Ioan-Aurel Pop, direttore dell’IRCCU tra il 2003 e il 2007, che ha rafforzato questa istituzione attraverso il reclutamento tra i referenti dell’istituto di un universitario italianista che lo coadiuvasse nell’attività didattica di Ca’ Foscari.
Strettamente legata alla missione accademica che bisognava restituire all’Istituto e alla sua tradizione interbellica, il prof. Bulei ha fatto della fondazione di riviste specializzate, crogiolo dei frutti delle ricerche dei borsisti e degli specialisti romeni e italiani coinvolti nel dialogo culturale, un obiettivo fisso, rincorso con ostinazione e passione. In questo modo sono nate, già dal 1999, le due riviste dell’IRCCU, l’Annuario e Quaderni della Casa Romena, presenti oggi in numerose biblioteche italiane, romene ed europee.
Il professor Bulei non ha creduto nemmeno per un istante che sarebbe stato facile mantenere in vita una scuola che doveva impegnarsi a fondo per farsi notare, avendo a disposizione solo l’energia e l’immaginazione del suo direttore, un budget esiguo e sei borsisti senza esperienza. La discontinuità emersa nell’assegnazione delle borse di Roma e Venezia, poco dopo l’avvio della prima serie di ricercatori, nell’autunno 2000, non lo ha colto di sorpresa ma gli ha rafforzato sempre di più l’idea che le due istituzioni necessitavano di una profonda ristrutturazione. Dopo quasi due anni di petizioni e sollecitazioni, nel 2002, ha avuto la soddisfazione di vedere riavviato il programma di borse in Italia, mentre un anno più tardi, quando il suo mandato a capo dell’Istituto di Venezia volgeva al termine, si è accomiatato dalla nuova serie di borsisti «N. Iorga» con la netta convinzione che la scuola rinata fra tante difficoltà sarebbe durata per molte generazioni ancora. Dalla Romania ha continuato a vigilare e a sostenere l’andamento delle due accademie romene in Italia, essendo pienamente convinto dell’enorme importanza di ricongiungere la cultura e la società romena all’Europa.
Ho avuto il privilegio e la fortuna di partecipare a questa trasformazione dell’Istituto come membro della prima serie di borsisti «Nicolae Iorga» (1999- 2000). Il nostro tirocinio di ricerca, dopo un concorso rimandato, è iniziato nel gennaio 1999, in circostanze drammatiche dovute alla scomparsa inaspettata del professor Marian Papahagi, che non ha visto arrivare in Italia i borsisti alla cui selezione aveva presieduto poco meno di due mesi prima. Come in tutti i nuovi inizi, i primi passi della scuola rinata materializzatasi nei borsisti «Vasile Pârvan» e «Nicolae Iorga» sono stati timidi, con ostacoli logistici, con difficoltà finanziarie dovute al mancato pagamento delle borse (mitigate a Venezia dalla decisione del professor Bulei di aprirci un credito presso la cassa del ministero), ma non per questo meno segnati dal sentimento straordinario dell’entusiasmo, della meraviglia e della curiosità offerte dal contatto con realtà più vecchie e più nuove della civiltà che avevamo conosciuto solo dai libri e dai film.
Ricordo come all’inizio della nostra vita veneziana si impegnasse, giorno dopo giorno, a farci penetrare in quel dedalo galleggiante della città per prenderne dimestichezza, chiedendoci di vivere tra le sue calli,  tra le dozzine di palazzi sedi delle facoltà dell’Università Ca’ Foscari, le biblioteche, gli archivi e i musei, o «a contare i ponti e le chiese di Venezia», che eravamo poi tenuti a elencare nei rapporti mensili o a presentare ai gruppi di studenti che si succedevano nelle visite studio a intervalli di due-tre settimane. Un suo modo questo di assicurarsi che scoprissimo quanto più possibile l’impressionante patrimonio monumentale della Dominante e che non sprecassimo il nostro soggiorno nella città lagunare limitandoci a frequentare sempre gli stessi archivi e le stesse biblioteche, mete specifiche dei nostri progetti di ricerca a cui ci avevano condotto gli obiettivi propri dei progetti di ricerca per i quali avevamo vinto la borsa «N. Iorga».
Trascorso qualche mese, l’abitudine di vagabondare da solo per Venezia dalla mattina fino al calar del sole e, di nuovo, dopo cena, in gruppo, era diventata una routine portatrice di sensazioni straordinarie di pienezza. In nessun altro posto dopo questa esperienza ho provato in seguito questa straordinaria sensazione di felicità generata dalla combinazioni di soddisfazioni e di circostanze felici: un ambiente straordinario per uno storico e, del resto, per qualunque ricercatore umanista, che permetteva di tuffarsi quotidianamente nel passato di cui si era appassionati, la libertà assoluta di organizzare il proprio tempo senza vincoli reali e la gioia immensa che derivava dalla fortuna di aver studiato ciò che letteralmente si amava di più.
Il nostro rapporto con il professor Bulei è cresciuto rapidamente fino a raggiungere una profonda intimità, ma il tempo che realmente potevamo trascorrere con lui veniva centellinato tuttavia dalla continua attività all’Istituto, di cui noi avevamo solo un’idea superficiale, che lo teneva occupato per gran parte delle sue giornate. Dopo un po’, ogni mattina, insieme al collega Șerban Marin, avevo preso l’abitudine di andare a trovarlo in ufficio, prima di uscire dall’Istituto. Mi ricordo che allora, quando ci vedeva sulla soglia della porta, di solito divertiti dal disordine che regnava sulla sua scrivania, il viso gli si illuminava come sempre e, anche se molte volte non era dell’umore per sorridere, si immergeva nella nostra atmosfera un po' adolescenziale. Per molti anni non ho capito perché, dopo il consueto scambio di battute scherzose, nel congedarci da lui il suo viso ritornava composto e un po' avvolto dalla tristezza. Solo più tardi, quando, spronato sempre da lui ad accettare l’incarico di Venezia, ritrovandomi dietro la stessa scrivania, ho capito da dove aveva origine quella malinconia: dal pensiero che noi andavamo a immergerci nelle bellezze di Venezia, mentre lui restava a sbrigare le pastoie amministrative dell’Istituto.
Ci ha guidato, come meglio ha saputo, a comprendere meglio, con molta premura e amore, con l’attenzione e la gentilezza di un maestro elementare, a inserirci negli atenei veneziani e italiani dove avremmo svolto le nostre ricerche, coinvolgendoci in attività culturali dell’Istituto, nella pubblicazione delle riviste e nell’organizzazione delle conferenze scientifiche. Ha avuto sempre, per tutti noi, una parola buona, un incoraggiamento, un consiglio, mai una cattiveria.
Sono stati due anni straordinari, determinanti per la mia carriera e tra i più belli della mia vita. Per loro, ma anche per le sue innumerevoli dimostrazioni di sostegno e di affetto, fatte successivamente e che mi hanno cambiato la vita spingendomi a prendere strade che altrimenti non avrei mai intrapreso, gli sarò riconoscente. Ha fatto tutto con grande amore e costante amicizia. E non so se lo meritavo.
Sia il suo ricordo sempre vivo e onorato!

Rudolf Dinu
(Traduzione di Valentina Elia)




Rudolf Dinu e Ion Bulei all'IRCCU Venezia, 2000



Francesco Guida (storico, Università Roma Tre)

«Strângeri de mână dincolo de granițele Europei noastre». Un affetto ricambiato: Ion Bulei

Arrivammo a Venezia ambedue, sebbene non contemporaneamente, negli anni Novanta, quando erano caduti da poco i regimi comunisti in Europa e il mondo intero stava vivendo gli effetti di una svolta epocale, mentre si apriva la breve epoca dell’unipolarismo. L’Italia aveva ripreso a guardare con maggiore attenzione al proprio Oriente e la Romania si scrollava di dosso i residui e la polvere del regime di Ceausescu, protesa verso l’Occidente. Venezia, con l’Università Ca’ Foscari cuore pulsante della città, era un’ottima posizione per seguire quei processi, la porta d’Oriente della penisola, non meno di Trieste. In particolare lo era per il mondo romeno perché ospitava la Casa Iorga, ormai silente da molti decenni, ma istituzione la cui rinascita sembrò a molti del tutto opportuna. Vi riprese vita, sia pure con inevitabili difficoltà, l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica. Ion Bulei, dopo l’esperienza da addetto culturale a Roma che già ci aveva fatto incontrare, ebbe in sorte di dirigerlo e di dargli opportuna dignità ed efficacia. A me, professore nell’Università veneziana, capitò di poter collaborare già dai primi passi con la nuova importante rappresentanza della cultura romena. Credo che il primo grande convegno italo-romeno dell’epoca post-comunista sia stato appunto quello organizzato a metà di quel decennio da Università e Istituto, per illustrare un rapporto diacronicamente esteso attraverso molti secoli: il titolo era Due popoli e due storie a confronto.
La stima e la simpatia nate allora tra di noi non vennero meno negli anni seguenti, quando Ion tornò alla sua Bucarest e io alla mia Roma. Anche dalle nuove sedi continuò la collaborazione di cui fu buona prova la costituzione di un Centro romeno-italiano di studi storici sulla base di un accordo tra l’Università di Bucarest e quella di Roma Tre. Come capita tra studiosi e colleghi, al di là delle occasioni non frequenti di rivederci di persona o di salutarci più spesso attraverso la nuova posta, quella elettronica, continuammo soprattutto a leggere rispettivamente i nostri libri e i nostri scritti che talora si trovavano nello stesso volume collettaneo, magari proprio perché insieme avevamo organizzato un colloquio scientifico o insieme vi avevamo partecipato. Quelle letture rinsaldarono una stima che so reciproca. Ancor più degli studi sulle relazioni diplomatiche italo-romene a me interessavano, tra i suoi saggi, quelli sul partito conservatore romeno, una pagina di storia della Romania non troppo frequentata (per cui meritò il premio «Nicolae Iorga» dell’Accademia romena), non meno che le biografie dei reali romeni.
Il ricordo più caro è però l’ultimo, almeno de visu. Un anno fa Ion volle spingersi in una giornata piovosa e fredda, e di traffico pesante, al grande salone del libro di Bucarest «Gaudeamus» per presentare un mio libro edito in traduzione romena, nonostante per lui e la sua salute fosse uno sforzo fisico notevole. Riuscimmo a parlare e stare insieme non per moltissimo tempo. Volle però prolungare idealmente l’episodio con una recensione del libro appena presentato, apparsa da lì a poco sulla rivista «Luceafărul» (consultabile in pdf, pag. 16), da cui traggo la frase presente nel titolo. Essa dimostrava interesse e apprezzamento per l’opera ma soprattutto, se mi è lecito dirlo, affetto per l’autore. Un affetto che gli ricambio, con gratitudine, stringendogli ancora la mano al di là dell’ultima frontiera

Francesco Guida




Convegno Memorialistica e Letteratura della Grande Guerra, IRCCU Venezia 2015



Alberto Basciani (storico, Università Roma Tre)

Ion Bulei e l'arma della diplomazia culturale

Nella mia memoria la figura del prof. Ion Bulei è stata e sarà sempre legata alla mia prima esperienza di studio in Romania. Lo conobbi, infatti, all'inizio di settembre del 1992 presso la sede dell'Ambasciata di Romania a Roma quando andai a ritirare il visto allora necessario per entrare nel Paese. Ero un giovane studente universitario, non sapevo quasi nulla della Romania e quel signore gentile e premuroso con la complicità di un caffè mi mise subito a mio agio. Una formalità di pochi minuti si trasformò in una piacevole chiacchierata di un'ora, fu allora che mi rivelò che nonostante il ruolo ricoperto in ambasciata egli era in realtà uno storico e volle sapere tutto del progetto di studio che mi portava a trasferirmi per qualche mese a Bucarest.
Da quel lontano pomeriggio a via Tartaglia mi è capitato tante altre volte di incontrare Ion Bulei in Italia, in Romania e nella Repubblica di Moldavia e posso dire che tra di noi c'è sempre stato un rapporto di grande stima e affetto reciproci. Come tanti studiosi della sua generazione, il prof. Bulei dopo il 1989 ha dovuto scrollarsi di dosso la pesante eredità degli anni più bui del regime che della falsificazione sistematica della storia aveva fatto uno degli strumenti di legittimazione politica. Ion Bulei ha atteso a questo compito di necessario profondo rinnovamento degli studi storici romeni con l'energia della sua forza intellettuale che lo ha portato a esplorare con una buona messe di studi e in maniera originale e mai banale i percorsi di modernizzazione dello stato romeno negli anni precedenti e seguenti la Prima guerra mondiale. Non è stato quello l'unico sentiero di studio percorso da Bulei, ma non c'è dubbio che l'altro grande importante contributo che egli ha offerto alla causa della sapere romeno è stata l'arma della diplomazia culturale.
Negli anni in cui ha ricoperto la carica di direttore dell'Istituto di Cultura e di Ricerca Umanistica di Venezia, Ion Bulei con energia e determinazione ha liberato quell'istituzione dalle tossine dell'immobilismo dei decenni precedenti per trasformarlo in un vero strumento di contatto e scambio culturale e intellettuale con l'Italia: manifestazioni, presentazioni di libri, conferenze, pubblicazioni, davvero l'Istituto di Venezia con Bulei ha ripreso il suo ruolo di fucina degli studi romeni in Italia. Né, secondo me, va dimenticato il suo ruolo nell'accogliere e forgiare tanti borsisti che oggi, in tanti casi, rappresentano le punte avanzate di una nuova e valida generazione di studiosi che proprio a Venezia hanno iniziato un percorso di necessario rinnovamento delle scienze umane romene, di cui è possibile ora apprezzare i risultati davvero notevoli. Così mentre gli studi storici e la diplomazia culturale romena hanno perso un valido protagonista del loro rinnovamento, l'accademia italiana piange la perdita di un amico sincero e leale che tanto ha dato per l'incontro intellettuale fruttuoso e costante tra i nostri due Paesi.

Alberto Basciani




Ion Bulei insieme ai romenisti italiani



Antonio D’Alessandri (storico, Dipartimento di Scienze Politiche, Università Roma Tre)

Ion Bulei e l'attenzione verso le nuove generazioni

Ho incontrato Ion Bulei la prima volta nell’autunno del 2002, se la memoria non mi inganna. Eravamo all’Accademia di Romania in Roma ed era in corso uno dei numerosi seminari e incontri di studio che periodicamente erano e sono tutt’ora organizzati da quell’istituto. Non ricordo però l’argomento di quella conferenza. Avevo conseguito da qualche mese la laurea in Scienze politiche all’Università Roma Tre e, subito dopo, avevo iniziato il dottorato di ricerca. Avevo già sentito il nome di Ion Bulei poiché, durante le ricerche per la tesi di laurea, mi ero imbattuto nella figura di Nicolae Iorga. Il mio relatore, Francesco Guida, mi aveva consigliato di leggere, fra i numerosi studi disponibili, anche una raccolta di saggi, apparsa l’anno precedente, intitolata Quaderni Nicolae Iorga. Si trattava degli atti del convegno italo-romeno, svoltosi a Venezia nel novembre del 2000, curati da Bulei e Şerban Marin. Bulei, infatti, era direttore dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia che lui stesso aveva contribuito a far riaprire nel 1992, dopo la lunga chiusura durante i decenni della dittatura comunista. Giovani studiosi e artisti romeni, anche grazie a lui, ebbero di nuovo la possibilità di svolgere un periodo di formazione nella città lagunare e, più in generale, in Italia, rinnovando così quei ben noti legami culturali fra i due Paesi. Da poco tempo, inoltre, era stata pubblicata in italiano la sua Breve storia dei romeni che io, giovane studioso che si avvicinava in quel periodo alla storia romena, ebbi modo di consultare in più occasioni.
Quando, dunque, incontrai Bulei a Roma nel 2002, il suo nome mi era già noto. Iniziammo a scambiare qualche idea sulle mie ricerche: quella, conclusa, della tesi di laurea, sulla Serbia nel XIX secolo, e quella appena avviata per il dottorato, su Dora d’Istria (Elena Ghica). Bulei, come spesso gli vidi fare anche negli anni successivi, si mostrò entusiasta di quei primi miei studi e mi incoraggiò a proseguire. Ancora, fu prodigo di incoraggiamenti e di curiosità quando seppe della mia successiva ricerca sull’esilio rivoluzionario romeno dopo la rivoluzione del Quarantotto, confluita poi nel volume Sulle vie dell’esilio, del 2015. In occasione del nostro primo incontro,volle persino propormi di pubblicare un articolo nei Quaderni della Casa Romena di Venezia, la rivista dell’Istituto da lui diretto. Per me fu una proposta del tutto inaspettata. Del resto, ero solamente un neolaureato con pressoché nessuna esperienza di ricerca svolta in maniera professionale. Bulei avrebbe gradito un contributo su Dora d’Istria ma, in quel momento, io non ero ancora in grado di consegnare nulla di serio, poiché le mie ricerche sull’argomento erano solo all’inizio.
Dopo essermi confrontato con Francesco Guida e con Alberto Basciani, pensai che un pezzo della mia tesi di laurea avrebbe fatto al caso dei Quaderni di Venezia. Quel lavoro era intitolato La Serbia nel XIX secolo (1844-1868). Lineamenti e peculiarità della rinascita nazionale. Nel terzo capitolo, dedicato agli anni che videro il ritorno degli Obrenović sul trono del Principato autonomo serbo, c’era una parte riguardante il sistema di alleanze balcaniche realizzato dal governo di Belgrado nel corso degli anni Sessanta. I dirigenti serbi, pur essendo alla guida di un’entità non sovrana alla quale, dunque, era teoricamente preclusa la facoltà di svolgere una politica estera vera e propria, avevano ritenuto che lo strumento migliore per cercare di risolvere il problema del consolidamento e della piena indipendenza del Paese fosse quello di cercare intese con le altre popolazioni cristiane dei Balcani. Da ciò derivò una serie di accordi con il Montenegro, con esponenti dell’emigrazione bulgara, con la Grecia e con la Romania. Proprio l’analisi dell’alleanza segreta fra Belgrado e Bucarest, vista nel quadro più ampio dei rapporti di collaborazione fra i due governi nel corso degli anni Sessanta, fu il tema del mio primo saggio scientifico, poi pubblicato sul numero 2 del 2003 dei Quaderni della casa romena di Venezia, curato da Bulei, Şerban Marin e Rudolf Dinu. Il titolo era Il trattato serbo-romeno del 1868. Aspetti e problemi della collaborazione tra Belgrado e Bucarest negli anni Sessanta del XIX secolo.
L’attenzione di Ion Bulei verso le nuove generazioni di studiosi era il tratto del suo carattere che più mi aveva colpito. Era sempre pronto ad ascoltare i progetti di ricerca svolti dai giovani, animato da grande curiosità intellettuale e sempre pronto a sostenere le loro attività, stimolandoli a raggiungere risultati scientifici originali e innovativi. Una ulteriore testimonianza di ciò è la serie in più volumi, pubblicata dalla casa editrice dell’Università di Bucarest, Ipostaze ale modernizării în Vechiul Regat, contenente contributi spesso frutto di tesi di laurea o di altri progetti svolti presso la Facoltà di Storia di Bucarest.
Negli anni successivi ci sono stati numerosi incontri e rapporti di collaborazione, culminati con la fondazione del Centro romeno-italiano di studi storici (CeRISS), voluto proprio da Bulei per rafforzare il tradizionale campo di indagine relativo alle relazioni storiche fra Italia e Romania nel corso dell’età contemporanea. Il CeRISS fu costituito nel 2009 su iniziativa della Facoltà di Storia dell’Università di Bucarest e dell’allora Dipartimento di Studi internazionali (ora di Scienze politiche) dell’Università Roma Tre.
A Bulei, dunque, va la mia gratitudine per avermi incoraggiato negli studi e per avermi dato fiducia accettando di pubblicare il mio primo saggio scientifico su una rivista, offrendomi così un’opportunità che difficilmente altri avrebbero dato in quel momento a un giovane neolaureato.    

Antonio D’Alessandri




Ion Bulei insieme a Şerban Marin e Ovidiu Cristea



Ovidiu Cristea (storico, direttore dell’Istituto di Storia «Nicolae Iorga» dell’Accademia di Romania)

Ion Bulei: una vocazione

Ci sono persone che con discrezione e come angeli custodi ti cambiano la vita in bene. Lo fanno senza aspettarsi nulla in cambio, senza sbandierare ai quattro venti l’aiuto che ti hanno dato, senza la volontà di creare clientelismo. Fare del bene è pura e semplice vocazione. Per loro gli uomini, in cui hanno riposto fiducia, meritano questo impegno e sono convinti che gli stessi faranno la medesima cosa. Il professor Ion Bulei è stato una di queste persone. Anche se non ho avuto l’occasione di averlo come maestro e nonostante non sapesse chi fossi, quando ne ha avuto l’occasione non ha esitato ad aiutarmi. Non dobbiamo cadere nell’errore di parlare di noi stessi quando desideriamo onorare la memoria di uno degli «uomini che furono». Ma mi sembra inevitabile farlo nelle righe successive che sono una riflessione su come l’ho conosciuto.
Non ho avuto un primo contatto diretto, ma mediato da due suoi libri – Lumea Românească la 1900 e Atunci când veacul se năștea. Scritti prima del 1989, svelavano al lettore non solo un mondo affascinante, ma un modo insolito di pensare e scrivere la storia. Senza fare sconti al rigore scientifico necessario, i due libri proponevano un nuovo approccio e un nuovo tipo di discorso. Al posto di un testo semplice, arido, sovraccarico di rimandi a documenti e riferimenti eruditi, lo storico Ion Bulei, partendo da una documentazione impressionante, intesseva con maestria le parole, accompagnando i lettori nella società romena dall’inizio del XX secolo. Era un esercizio di virtuosismo che trasmetteva un messaggio semplice, dimenticato da alcuni servitori della musa Clio: le fonti storiche non rivelano implicitamente il passato. È necessaria la grazia dello storico per trasformare un fatto apparentemente banale in un avvenimento rilevante.
Il mio primo contatto diretto risale a un decennio fa. Ho avuto allora l’occasione di conoscere il direttore Ion Bulei, colui che ha ridato vita a un’importante istituzione del periodo interbellico, l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, che alla fine della guerra conobbe una lunga traversata nel deserto. Il professor Ion Bulei ha fatto parte di quei pochi che hanno lottato per la rinascita di questo istituto e per ripristinare lo scopo per cui era stato creato. L’Istituto di Venezia doveva essere un centro di ricerca che sosteneva l’attività di professori, ricercatori, dottorandi e studenti a cui veniva offerta l’opportunità di lavorare nella laguna di Venezia. Si è impegnato con successo per istituire nuovamente le borse di studio «N. Iorga» e «V. Pârvan», per portare periodicamente a Venezia professori e studenti (era convinto che il semplice contatto con l’affascinante città di San Marco potesse lasciare orme profonde nella formazione di uno storico) e ha lasciato la porta aperta anche a coloro i cui passi si sono persi, per più o meno tempo, nelle biblioteche e negli archivi veneziani. Ma non è stato solo questo. Con risorse estremamente esigue è riuscito a dar vita a pubblicazioni che in poco tempo hanno ottenuto l’apprezzamento di colleghi italiani e romeni (Annuario dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica e Quaderni della Casa Romena di Venezia) e ha organizzato, superando difficoltà burocratiche, difficili da immaginare, e facendo ogni volta tutto il possibile, manifestazioni scientifiche per le quali si è impegnato a riunire ricercatori italiani e romeni. Oggi la formazione di simili «reti» sembra qualcosa di banale, ma in un’epoca in cui la Romania non faceva parte dell’Unione Europea, le cose erano sorprendentemente complicate.
Ho conosciuto il professor Ion Bulei molto più indirettamente, grazie al contatto con alcuni dei suoi discepoli a cui ha forgiato la carriera, ma anche direttamente, attraverso un piccolo gesto che ci dà la misura della qualità del professore. Una sera, durante una conversazione informale nel 2003 con i borsisti a Venezia, è nata una piccola discussione tra il professore e uno dei presenti legata ai Signori di Mantova appartenenti alla famiglia Gonzaga. La sera successiva, di fronte allo stesso pubblico, il professore si è scusato con il borsista dicendogli che aveva ragione e che lui, il maestro, si era sbagliato. Mi sono chiesto quanti appartenenti a quel rango ed esperienza di Ion Bulei avrebbero avuto l’eleganza di fare un simile gesto. Allora come oggi si potrebbero contare sulle dita di una mano.
Servirebbero molte parole e decine di pagine per parlare di Ion Bulei. Mi basta dire che, finché ho avuto il privilegio di stargli vicino, aveva sempre per coloro che lo circondavano uno sguardo sereno, un sorriso affabile, una parola dolce. Anche quando non era soddisfatto del risultato delle ricerche di un collega più giovane faceva osservazioni con una dolcezza tale e con un tatto rari da incontrare. Era del parere che ci fosse sempre qualcosa di buono da poter costruire per far capire all’interlocutore che cosa e quanto andava modificato.
È molto difficile parlare al passato di un uomo che ha fatto moltissimo nei confronti dei suoi simili. La vita di un uomo si prolunga nel tempo finché continuerà a esistere qualcuno che si ricorderà di lui. Non credo di sbagliarmi se dico che grazie ai suoi discepoli, ai suoi libri e all’istituto che ha lasciato, il professore, lo storico, il direttore e l’uomo Ion Bulei continuerà a vivere per molto tempo da oggi in poi.

Ovidiu Cristea
(Traduzione di Elena di Lernia)







Şerban Marin
(storico, Archivi Nazionali di Romania)

Quando un secolo si fermava…

La parafrasi su cui è costruito, non senza tormento, il succitato titolo parrà forse irriverente? Colui che nel 1990, con l’opera Quando un secolo nasceva (Atunci când veacul se năștea), faceva luce sugli anni di passaggio da un secolo all’altro (frenetici, come un po’ tutti i secoli) potrebbe forse sentirsi ferito da questa parafrasi?
No, perché Bulei non c’è più… Neanche per lui il tempo ha avuto più pazienza. Quella che, in maniera assordante, persiste è la domanda: ha lasciato qualcosa dietro di sé? Su diversi siti, blog e su altri social, sono stati già elencati (con o senza copia-e-incolla) tutti i lavori di Ion Bulei. L’elenco degli incarichi assunti nel corso degli anni è già stato oggetto degli stessi necrologi. Non ha senso elencarli nuovamente.
Personalmente, ricordo che allo scoccare dell’anno 2000 mi trovavo seduto accanto a Ion Bulei. Nella sala «Marian Papahagi» di Casa Romena, ascoltavamo insieme alla tv il messaggio di Papa Giovanni Paolo II. Era il primo grande passaggio di cui io abbia memoria. Sfortunatamente, a quasi vent’anni da allora, Ion Bulei ce ne offre un secondo.
Ti ringraziamo, Professore! Addio!
Ci rivedremo in una Venezia immaginaria. Quella reale l’abbiamo conosciuta entrambi molto bene…Questo è tutto.

Şerban Marin
(Traduzione di Valentina Elia)



A Şerban Marin e a Rudolf Dinu si uniscono in questo omaggio corale alla memoria del professor Ion Bulei, espresso in maniera artistica con una serie di dipinti veneziani firmati da Şerban Savu, anche gli altri borsisti «Nicolae Iorga» dell'Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, quelli della prima generazione 1999-2000 – Mihaela Gavrilă, Ileana Benga, Barbara Bartos, Ileana Zbîrnea – e quelli della seconda generazione 2002-2004 – Maria Bulei, Afrodita Carmen Cionchin, Cristian Luca e Şerban Savu.


















A cura di Afrodita Carmen Cionchin

(n. 12, dicembre 2020, anul X)