In memoriam Marco Cugno (1939-2012)

Il 5 giugno 2012 si è spento improvvisamente a Torino il professor Marco Cugno, titolare della cattedra di lingua romena della medesima Università. Insigne studioso della letteratura romena, con all'attivo prestigiose traduzioni (tra le più note, alcune opere di Norman Manea e una monumentale antologia della poesia romena del Novecento), Cugno ha dedicato la sua vita alla promozione della cultura romena in Italia. Pubblichiamo gli interventi in memoriam dei professori Lorenzo Renzi, Smaranda Bratu Elian, Marinella Lőrinczi e del traduttore Mauro Barindi.


Un punto di riferimento scientifico costante


Marco Cugno era nato a Avigliana (Torino) nel 1939, è morto a Torino il 5 giugno 2012.
La vita e la produzione critica di Marco Cugno sono state scandite lungo il tempo dalla presenza di sempre nuovi e importanti scrittori romeni: agli inizi Tudor Arghezi e Marin Sorescu, poi Mircea Eliade, Nichita Stӑnescu, Norman Manea (che resterà nei suoi interessi dal 1990 fino al momento della morte), Lucian Blaga, Paul Goma, Constantin Noica, Ana Blandiana. Alcuni di questi autori erano suoi contemporanei, e Marco Cugno li ha conosciuti personalmente ed è stato legato loro da amicizia, come nel caso di Marin Sorescu che aveva già conosciuto nel suo soggiorno come lettore di italiano a Bucarest (1965-69), Ana Blandiana e Norman Manea.
Questi autori non esauriscono naturalmente gli interessi e i campi di intervento di Marco Cugno. Cugno ha studiato il più grande poeta romeno, Eminescu, e ha scritto su di lui: il suo libro sulla genesi di Luceafӑrul di Eminescu, un raro saggio di critica delle varianti (o critica genetica come si dice piuttosto oggi, sotto l’influenza francese) è forse la sua opera migliore, quella che io stesso, se ne fossi stato capace, avrei voluto scrivere [1].   
                                                                             
Con la collaborazione di Dumitru Loşonţi, allora al suo fianco come lettore di romeno a Torino, aveva allestito una antologia del folclore letterario romeno, con bella e ricca Presentazione dal titolo La poesia popolare in Romania [2]. La preparazione di antologie, particolarmente poetiche, sempre munite di precise introduzioni storiche letterarie, ha scandito tutta la vita di Marco Cugno: nel 1980 ha pubblicato da Feltrinelli, in collaborazione con Marin Mincu, la Poesia romena d’avanguardia (testi e manifesti da Urmuz a Ion Caraion), preceduta da un’antologia dell’avanguardia storica romena (da Tristan Tzara a Saşa Pana in «L’Europa letteraria e artistica», 1975). Nel 1986 pubblica un’antologia di poeti contemporanei, Nuovi poeti romeni, Firenze, Vallecchi (anche questa volta preceduta da una più ristretta in «Nuova rivista europea», 1981), infine una scelta di poeti più recenti (da Bacovia e Arghezi a Mircea Cărtărescu), La poesia romena del Novecento, Edizioni dell’Orso, Alessandria 1996. Molte altre sono le raccolte poetiche pubblicate in opere collettive o in riviste, e le raccolte di singoli autori, come quella trilingue dedicata a Marin Sorescu, di cui Cugno ha curato la parte italiana (Poezii, Poesie, Poems, Arti Grafiche Giacone, Romania, Chieri 1995).
Con le sue traduzioni, le sue raccolte, come con i saggi che le accompagnano, Marco Cugno ha contribuito in modo essenziale alla conoscenza della poesia e della cultura romena all’estero e a fissarne il canone. Lo stesso vale per la sua attività, che è stata intensissima, di traduttore di narrativa contemporanea: Zaharia Stancu, Paul Goma, Norman Manea, Ana Blandiana. Ma anche di saggistica: Lucian Blaga, Constantin Noica, Adrian Marino.

Mi accorgo che quanto scrivo rischia di diventare un’arida rassegna di titoli, che mostrano la versatilità di Cugno nel muoversi tra campi che di lontano possono sembrare affini, ma che richiedono in realtà competenze in campi molto diversi. Ma bisognerà dire qualcosa anche di come arrivava a quei risultati. Per ogni lavoro Marco Cugno eseguiva uno strenuo lavoro di documentazione. Tornava da ogni viaggio in Romania con la valigia piena di libri, che si annidavano poi in ogni angolo di casa sua. La sua bibliografia, risultato di un lavoro appassionato e senza tregua, conta 130 titoli. Eppure Cugno ha lamentato a lungo che il periodo passato nella scuola come docente e come preside (si può immaginare quale professore e preside coscienzioso!), abbia sottratto tempo alle sue possibilità di pubblicare altre opere dedicate alla letteratura romena. In realtà, arrivato relativamente tardi all’Università (ordinario solo nel 2000), ha lavorato con il massimo del suo impegno nell’insegnamento e anche nell’amministrazione, che rientra pure nei compiti del docente universitario (molti lo dimenticano). Benché la sua presenza fosse necessaria negli incontri dei rumenisti italiani, e molti lo pregassero di non mancare, Marco Cugno si faceva spesso pregare: avrebbe preferito in fondo rimanere a Torino e dedicarsi alle sue traduzioni e ai suoi studi. Alla fine cedeva e la sua presenza illuminava sempre di una luce di serietà e di competenza, ma anche di bonarietà, le riunioni di rumenisti e di rumeni. L’ambiente non era (non è) sempre immune dalle malignità e dai pettegolezzi, ma totalmente immune ne era Marco Cugno.
Per me, che l’avevo già conosciuto nel 1967 a Bucarest, dove lui era giovanissimo lettore alla cattedra di Italiano diretta da Nina Façon, era un amico su cui potevo sempre contare, e un punto di riferimento scientifico costante. E un’immagine della rettitudine. L’ho incontrato per l’ultima volta al Salone del Libro di Torino che aveva tra gli ospiti dell’anno la Romania. Marco vi aveva contribuito da par suo. Aveva presentato l’ultima traduzione da Norman Manea, alla presenza dell’autore, in seduta generale: Il rifugio magico (Il Saggiatore). Nuovi progetti di lavoro lo animavano.
Con lui la romanistica italiana perde il suo rappresentante più insigne. Al suo modello altri hanno potuto solamente avvicinarsi.

Lorenzo Renzi
(Università di Padova)

NOTE

1. Mihai Eminescu: nel laboratorio di «Luceafărul», Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2007.
2. Folclore letterario romeno, a cura di M. Cugno e D. Loşonţi, Torino, Regione Piemonte, 1981.



Tenacia e umiltà

Mi è molto difficile parlare del professore e amico Marco Cugno al passato: un mese fa lo abbracciavo a Torino augurandogli buon lavoro. Non immaginavo che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro. Il primo fu quando lui iniziava la sua carriera di lettore all’Università di Bucarest, mandato dallo Stato italiano. La mia generazione ha avuto il privilegio di averlo come professore durante tutti gli anni di facoltà e ha potuto conoscerlo da vicino: eccezionalmente preparato, sobrio eppure allegro, cordiale eppure riservato, aperto a qualsiasi forma di dialogo eppure sostenendo con mite fermezza il proprio punto di vista, e in più, giovane e solare. In quegli anni tutti e tutte, credo, ne siamo state innamorate: di nascosto, perché il suo calore escludeva la familiarità. Il dipartimento di italianistica di quel tempo ha riconosciuto subito il suo valore e l’ha accolto come si fa con un italianista di spicco. Solo dopo, noialtri ex-studenti, abbiamo saputo della diligenza e tenacia con cui aveva imparato il romeno, delle amicizie con i poeti e narratori romeni, del formidabile impegno di assorbire la cultura romena, e l’abbiamo saputo quando lui era già tornato in Italia ed era diventato quello che si dice «un romenista». E quello che da romenista ha edificato in Italia è inestimabile: in quanto professore, insigne traduttore di opere fondamentali della nostra letteratura, ricercatore e interprete della cultura romena. I riconoscimenti di tali contributi non sono mancati né in Italia né in Romania, ma essi non hanno raggiunto né l’altezza della sua dedizione né il valore dei libri che ci ha lasciato. Ed è forse questo il destino di tutti quelli che, in un Paese di grande prestigio culturale (come l’Italia), si dedicano con passione a un campo culturale (come quello romeno) di scarso interesse per il grande pubblico e soprattutto per le grandi case editrici – dato che non appartiene a un potere mondiale e non si esprime in una lingua di circolazione internazionale – e a un Paese che stenta a decantare i propri valori e tarda a celebrarli. Per questo, l’opzione per la letteratura e cultura romena deve aver recato anche a Marco Cugno lunghe attese o persino rifiuti da parte delle case editrici mentre, da parte sua, deve aver generato la resistenza all’opacità del mercato e al senso di vanità che esso periodicamente infonde. Tale resistenza costa e so che è costata anche a Marco, ma, a quanto mi è sembrato, lui ci si è murato dentro, come Anna nella leggenda romena del mastro Manole, con tenacia e umiltà. Credo che queste sono state le parole che ho sempre associate a Marco: umile tenacia, che non è la modestia di chi si compara con spiriti più alti o più produttivi, ma di chi giudica se stesso, incessantemente, in rapporto a ciò che da solo si prefigge e che, per lui, è qualcosa di altissimo e di sterminato. Questa umiltà superiore aleggiava anche nel suo parlare sempre con misura, sempre con sostanza ed incapace di enfasi, nel suo atteggiamento riservato, quasi timido, interrotto di tanto in tanto da uno scatto di brio, una favilla. Al nostro recente e ultimo incontro al Salone del Libro di Torino ho sorpreso più volte quella favilla: e mi è sembrato che non aveva a che fare col presente ma col passato, con le rimembranze – perché allora riappariva il giovane solare, il professore e la guida della nostra gioventù. 
Mi auguro che il suo ricordo sia questa favilla, e che essa ci illumini finché, a nostra volta, saremo solo un ricordo.

Smaranda Bratu Elian
(Università di Bucarest)

In un’altra dimensione dell’esistenza

Sicuramente i miei genitori, Liana Pasquali e László Lőrinczi, soprattutto mio padre, potrebbero raccontare di più di Marco. Ma anche loro ci hanno lasciati, mio padre qualche mese addietro. Così cerco di farne la portavoce, per quel che posso ricordare dei suoi ultimi contatti e delle sue ultime conversazioni con Marco.
Abbiamo conosciuto Marco a Bucarest, quasi certamente al ristorante di «Casa universitarilor», nella bella villa neogotica Liebrecht-Filipescu. Quasi certamente, perché mi aveva colpita la presenza di un ‘occidentale’, per di più italiano,  tanto da ricordarmelo ancora, alto e coi folti capelli rossicci, in un angolo della sala, potrei senz’altro indicare il punto col dito se fossi lì. Io ero studentessa e con i miei genitori e con l’amica e compagna di studi Maria Grossmann, pranzavamo spesso in quel ristorante. Marco era appena arrivato come lettore d’italiano. Mia madre era italiana, tra di noi parlavamo italiano, era inevitabile che ci incontrassimo per lo meno in quell’ambiente senz’altro privilegiato.
Poiché io non frequentavo la sezione d’italiano della Facoltà di lingue, non ho avuto Marco come docente.
Qua devo compiere un importante salto temporale. Dopo essermi trasferita in Italia, ho ricominciato a frequentare regolarmente Marco, e Marisa, molto tempo dopo, durante gli incontri dell’Associazione Italiana di Romenistica, di cui egli era socio fondatore. Questo avveniva più o meno quando anche i miei genitori erano in procinto di trasferirsi in Italia, e Marco mai si dimenticava di chiederne notizia. Successivamente si son sentiti con mio padre per telefono, per la bellissima ragione che entrambi hanno esercitato durante l’intera loro vita la nobile missione della mediazione e trasmissione culturale per mezzo delle traduzioni: Marco dal romeno in italiano, mio padre dal romeno (e da altre lingue) in ungherese. Ma v’era una ragione in più, specialissima: entrambi si erano cimentati con grande passione nella traduzione di Baltagul, il capolavoro di Mihail Sadoveanu. Mio padre era stato fortunato e aveva pubblicato la sua versione nel 1960, con una copertina molto graziosa, seguita da riedizioni. Marco ha dovuto conservare la sua nel cassetto, a causa di meschine e assurde ragioni di diritti d’autore fatti valere da discendenti miopi. Ne era molto amareggiato e ne parlava spesso, anche con mio padre.
Forse il loro amabile dialogare si sta protraendo in un’altra dimensione dell’esistenza.

Marinella Lőrinczi
(Università di Cagliari)


In ricordo del Professor Marco Cugno

Ho ricevuto la dolorosa e inaspettata notizia della scomparsa del Professor Marco Cugno mentre mi trovavo a Iași, proprio nel Paese alla cui cultura letteraria l’eccelso romenista che è stato Marco Cugno ha dedicato una vita di studio fatto di passione e devozione.
Il primo «incontro» con Marco Cugno non è stato personale ma con un suo libro – uno dei tanti da lui pubblicati – Folclore letterario romeno, testo di studio durante gli anni di università a Padova, che ci introduceva ai segreti della poesia del folclore romeno.  
In quegli anni per noi studenti di romeno Marco Cugno era una delle personalità della romanistica italiana e la prima volta in cui ebbi finalmente l’occasione di incontrarlo di persona fu a un convegno a Milano, sul finire degli anni ’80 o inizio dei ’90, al quale, fra l‘altro, era stato invitato anche il poeta Marin Sorescu, del quale era il traduttore dell’opera poetica. Proprio a Marin Sorescu e al professor Marco Cugno è legato un mio ricordo personale, così, un po’ particolare, che ricollego a un piccolo episodio accaduto pochi giorni prima della sconvolgente notizia.
Mi trovavo a Bucarest. Ero entrato in un «anticariat» e, scorrendo gli occhi sugli scaffali fitti di libri, lo sguardo mi cadde su un libro dalla copertina leggermente ingiallita e con un titolo a caratteri rossicci, che avevo già visto durante altre visite negli «anticariat» bucarestini in precedenti occasioni: 80 poezii, Marin Sorescu, 80 poesie, Editura Eminescu, 1972. Sapevo ovviamente che il traduttore delle poesie era Marco Cugno. Ma chissà perché l’impulso di sfilare quel volume dalla pila di libri e di acquistarlo scattò in quel momento come se istintivamente dentro di me fosse sorta l’idea che se non lo facevo in quel preciso istante e luogo, quel libro sarebbe svanito per sempre, quasi fosse l’ultimo esemplare di un prezioso manoscritto, carico dell’eco di un insondabile richiamo.
Ma l’annuncio della sua scomparsa mi lasciava ancor più impietrito perché vivo e presente continuava il suo ricordo a sole poche settimane dalla conclusione del Salone del Libro di Torino di quest’anno, dove il professor Cugno era, come sempre, in prima fila durante gli eventi e i dibattiti o ai lanci di traduzioni di opere di autori romeni: una presenza costante che, tanto in questa edizione – così significativa perché la Romania era uno dei Paesi ospiti – come nelle precedenti costituiva un punto di riferimento per tutti coloro che hanno al centro dei propri interessi, per studi, per passione o per intime affinità, la cultura, la lingua e la letteratura romene.
Termino qui condividendo con chi mi legge un ultimo ricordo, forse il più bello, per me, anche se ne serbo dentro di me altri: quello del suo viso sorridente, di palese soddisfazione, nel momento in cui, avvicinandosi al gruppo di persone fra cui mi trovavo, ci svelava con gioia la notizia che avrebbe tradotto il romanzo di Ana Blandiana, Sertarul cu aplauze, della quale aveva già mirabilmente tradotto i racconti fantastici di Progetti del passato.
È quel sorriso che continuo e continuerò ad avere impresso negli occhi e nella mente, come evocato… fotografato in una di quelle poesie di Marin Sorescu da lui tradotte in quel libro trovato a Bucarest che qui riproduco:

tutto / totul*

Tutto accadde in fretta:
la terra improvvisava qualche filo d’erba,
l’albero improvvisava alcune foglie,
un uccello – non ebbi il tempo di sapere il suo nome –
improvvisava un canto,
una donna improvvisava un canto eterno…
Ed io improvvisavo un sorriso
per la fotografia della mia vita.

*Totul s-a petrecut la repezeală:/ Pămîntul improviza cîteva fire de iarbă,/ Copacul improviza cîteva frunze,/ O pasăre – n-am avut timp să văd cum o cheamă – / Improviza un cîntec,/ O femeie improviza un cîntec etern… / Iar eu un surîs/ Pentru fotografia vieţii mele.

Grazie, professor Cugno!

Mauro Barindi

(n. 7, luglio 2012, anno II)