I classici da riscoprire. Ion Creangă, «La storia del fannullone»

Nato nel 1837 a Humulești, villaggio moldavo ormai indimenticabile; deceduto nel 1889 a Iași, capitale storico-culturale della Moldavia, Ion Creangă, spesso soprannominato «il Rabelais romeno», potrebbe benissimo rivendicare lo stesso un’affinità con Nikolaj Gogol, quello delle gustose Veglie alla fattoria presso Dikanka.
Maggiore di otto figli di una coppia rurale liberata dalla servitù della gleba ma senza terra, dovette all’ambizione di sua madre Smaranda (che gli augurava una brillante carriera ecclesiastica) di esser mandato alla scuola preparatoria di Fălticeni, poi, nel 1855, al seminario di Socola, a Iași. Solo per attenersi alla regola degli ordinandi ortodossi, nel 1859 prese in moglie la figlia del ministro della cattedrale dei Quaranta-Santi, il suo futuro diaconato; cambierà tre volte di parrocchia. Laureatosi nel frattempo all’Istituto Normale, vinse nel 1865 il concorso per una carica di maestro alla scuola custodita dalla chiesa metropolitana dei Tre-Gerarchi, per finire poi relegato nel 1870 nella periferia di Iași. Chi ha degli anni ha dei malanni: nel 1871, accusato di andare a teatro, di sparare alle cornacchie sulla freccia di un santo edificio, di vivere separato di fatto e di tagliarsi i capelli, l’indomabile si fece spretare e, conseguentemente, licenziare nel 1872. Malanni eppure sinonimi di liberazione: infine divorziato, il già coautore di due lavori didattici collettivi (Metodă nouă de scriere și cetire pentru uzul clasei I primare, 1868; Învățătoriul copiilor – carte de cetit în clasele primare de ambele sexe..., 1871, 1872, 1874), ritrovatosi una carica di maestro di campagna, farà nel 1875, all’occasione di una giunta pedagogica, un incontro determinante, quello col poeta Mihai Eminescu, colui che diventerà il suo migliore amico e il primo ammiratore del suo talento, che gli aprirà le porte della cerchia della «Junimea», diretta dall’insigne critico-teorico letterario Titu Maiorescu, e quindi le pagine della rivista Convorbiri literare, in cui Creangă pubblicherà fiabe, racconti, storielle e le prime tre parti delle famose Amintiri din copilărie, autobiografia esemplare delle traversie di un monello meno di un modello, “felice natura” che si gode la vita, goffo e ingenuo, ribalzando sempre.
Fiabe: Soacra cu trei nurori, Capra cu trei iezi (1875); Punguța cu doi bani, Dănilă Prepeleac, Povestea porcului (1876); Povestea lui Stan Pățitul, Fata babei și fata moșneagului (1877); Ivan Turbincă, Povestea lui Harap-Alb (1878); Povești (Scrierile lui Ion Creangă, tomo I, H. Goldner Editore, Iași, 1890, postume). Storielle: Poveste (in Învățătoriul copiilor..., 1874); Moș Nichifor Coțcariul (1877); Povestea unui om leneș (1878); Popa Duhu (1881); Cinci pâni (1882). Amintiri din copilărie: I (1881); II (1881); III (1882); I-II-III-IV (Scrierile lui Ion Creangă, tomo II, H. Goldner Editore, 1892, postume).

Che proceda da memorialista, da moralista o da stilista lirico smaltando le sue frasi di rime, di assonanze, persino di brani di poemi, Ion Creangă rimane, fino alla punta della lingua, un raccontatore trasportato dalla sua narrazione che a sua volta trascende da maestro, solvendo il «sostanziale midollo» di varie fonti testuali e linguistiche, romene o straniere, popolari o colte, nel suo linguaggio personale, saporito, inconfondibile, gremito di umorismo, di adagi e di proverbi (alcuni sui generis). Il suo spirito sarebbe pure proseguibile al di là del tempo e delle possibili influenze...
Per esempio, il famoso «ciondolone» della Storia del fannullone (Povestea unui om leneș) ci potrebbe ricordare il protagonista del racconto Bartleby di Herman Melville, col suo I would prefer not to...: un refrattario per principio all’arnia umana. La «morale» della storia supera lo schema tradizionale della «pigrizia castigata» e del «trionfo della virtù», attingendo a una vera e propria filosofia esistenziale. Si tratta lì di assumere le conseguenze di una volontà a prova di bomba: una volta risoluto a «non agire» lo «sfaccendato» non potrà più (neanche per istinto di conservazione) rassegnarsi a «mollar da solo i suoi biscotti». Meglio lasciarsi «impiccar alla forca» che fare un compromesso per serbar una vita che del resto gli importa un corno: «troppa fatica»!



La storia del fannullone


Si dice che c’era una volta in un paese un gran fannullone: pigro da non masticare addirittura i bocconi nemmeno di tritatura. Orbene il paese accortosi dall’accanita fannullaggine di quell’uomo, si decise a impiccarlo alla forca, di modo che la sua trista fine togliesse ad altri la voglia d’infingardirsi. Cosicché due aguzzini elettisi tra i paesani vanno alla casa del detto fannullone, lo colgono alla sprovvista, lo buttano in un carro trainato da buoi, tale un torpido ceppo, e poi via con lui, alle forche!
Quell’era la costumanza del tempo.
Strada facendo coloro inciamparono nella carrozza di una boiara. Colei, vedendo in quel carro trainato da buoi un uomo che gli sembrava ammalato, impietosita inchiese i due contadini con queste parole:
– Brava gente! Quell’uomo nel carro dev’essere ammalato, poverino, e voialtri lo dovete portare da qualche guaritrice che lo faccia star meglio.
– Nemmanco, madama, rispose uno dei contadini; costui, faccia grazia! è un fannullone che crediamo senza pari in questo mondo, Vostra Signoria, cosicché lo portiamo alle forche, per sbarazzar il nostro paese da un infingardo.
– Giusto cielo! brava gente, ribatté quella boiara, rabbrividita; prendete peccato di questo povero diavolo e non lo fate morire da pagani, come un cane! Portatelo piuttosto sulle terre mie: ecco il mio maniero, sul ciglio di quel colle. Ci tengo pronto un gran fienile ricolmo di biscotti, in caso di malanno, Dio ce ne guardi! Costui potrebbe maciullar dei biscotti e trovar asilo negli annessi miei, poiché sono sicura che’l Signor non mi manderà in rovina per un tozzo di pane. Beh! il nostro dovere di cristiani è di aiutarci gli uni gli altri.
– Hai ben sentito, ciondolone, la proposta di madama? quella di metterti a ingrassar, in un fienil ricolmo di biscotti, disse uno dei paesani. Fortunato te, dannato mascalzone, peste dell’umanità! Salta a terra da quel carro, dài! per ringraziar madama di risparmiarti una mala morte, di prenderti così sotto le ali, beato te! Noialtri ci apprestavamo a metterti la corda al collo. Madama invece, pella sua bontà, ti darà un tetto e dei biscotti: ci sarà la cuccagna! Ma che uno sia disposto a farsi garante per un verme come te, e a rimpinzar un bighellone, me ne meraviglio un mondo! Fortuna cieca, da mala parte sbieca... Ben saggio colui che disse: «Buoi strapazzati, cavalli vezzeggiati». Su! rispondi a madama, chiaro e tondo, poiché le chiacchere non fanno farina.
– Ma quei biscotti, li abbian’almeno mollati? barbugliò allora fra i denti il fannullone, senza spicciarsi affatto.
– Cos’ha detto? rinchiese la boiara quei paesani.
– Tanto per dire, madama pietosa, fece risposta uno di loro, ecco: ‘sto briccone vorrebbe saper se quei biscotti, li abbian’almeno mollati?
– Misera me! disse la boiara, sbalordita, in vita mia non avrò sentito tale faccenda! Ma non potrebbe mica mollarseli se stesso?
– Hai sentito, ciondolone? T’impegni a mollar da solo i tuoi biscotti, sì o no?
– No! ribatté il fannullone. Avanti tutta, voialtri, sarà meglio così! C’è troppa fatica sfamar ‘sta bocca!
Uno dei paesani allora disse alla boiara:
– Lodata la vostra bontà, madama, ma sarebbe gettar le perle ai porci. Ben vedete adesso che non lo portiamo alle forche per una bazzecola, soltanto perché ci dà fastidio. Badate che un intero paese riunito avrà fatto ogni sforzo per cavarne qualcosa, non dubitatene! Purtroppo non c’è modo di lavar la testa all’asino. Scansafatiche, da cascar nell’ortiche oppur nelle bricche, non val la pena di contar le miche!
Quella boiara allora, lasciando perdere la sua benevolenza, scansatasi di tale beneficenza, scansatasi di tutto, disse:
– Brava gente, fate dunque a vostra foggia, Dio vi schiari e vi consigli!
Quinci i detti paesani portano il fannullone al posto giusto e gli fanno rendere l’anima.
Ecco saldati ormai tutti i conti: tra quel fannullone e i suoi compaesani, tra coloro e lui.
Guai agli altri sfaccendati che si arrischierebbero a radicarsi nel detto paese, a proprie spese, se non temono le contese!
In quanto a me raccontatore, a cavalcioni di un cavolfiore, non mi date del mentitore.

               




Ion Creanga
Traduzione e presentazione di Ana-Domnica Ilea
(n. 7-8 luglio-agosto 2019, anno IX)