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Epistole sarde di Ofelia Prodan e Daniel D. Marin
Dentro la vertigine: Epistole sarde e l’impossibile spazio dei riflessi dopo aver ripreso il cammino Ancora una volta, come già nei precedenti lavori, Prodan e Marin traducono in poesia le contraddizioni e i drammi della contemporaneità attraverso un registro drammatico sapientemente diluito in frammenti di realtà da cui emerge, con straordinaria intensità, l’isolamento e la profonda solitudine dell’uomo moderno, sempre più incapace di autodeterminarsi all’interno di una realtà inaccessibile e innominabile, liquida e inafferrabile, che fagocita identità e aspirazioni: mia cara amica, qui sto abbastanza bene, Ma attenzione: lo stile è frutto di una raffinata intelligenza d’arte, è una ballata che canta lo spazio del gioco verbale e della consapevolezza, ma sempre con piacevolezza, sempre con eleganza. Il mascheramento del reale è il solo espediente concesso ai poeti per disvelare la realtà: a questa gli autori sorridono, ma se si voltano, come moderni Giano bifronti, o se vi si specchiano, o s’interrogano, si perdono e si riconoscono: solo specchi, così Ofelia si vedeva E qui veniamo al gioco di specchi, alla duplicità, all’assetto dialogico che innesca la visione relativistica e la porta al suo punto di rottura, alla fiaba che lascia il posto al carteggio epistolare, al sapore agrodolce di una ricerca di senso cui non basta il conforto creativo di chi trova appagamento nell’idilliaco esilio del cielo in una stanza. L’afflato di evasione, il viaggio di Ofelia, la strada per il convento e poi l’incrocio di gnomi, i funghi avvelenati, i soldatini di stagno, i tipici ingredienti delle fiabe dei Fratelli Grimm, ma non solo, i doppi metaletterari della campagnola e dei locandieri, la mosca e gli elementi magici come il medaglione, e la testa di pagliaccio, e poi le lettere da Sassari e da Milano, la poetica dello sguardo, tutto fa da contorno a quell’angoscioso alternarsi di quelle coppie di opposti che determinano sul piano identitario e umano una lacerazione. Si tratta, in particolare, dei binomi antinomici di spazio- tempo e sogno- realtà: così ho pensato fosse solo un bel sogno Sono sguardi, quelli degli autori, che guardano un mondo alla deriva, che pure fa sorridere di nostalgia e muta commozione, che pure si fa amare, ma sempre volti a scardinare quel confine tra reale e fittizio, tra emarginazione identitaria e disumanizzazione collettiva. Emerge così, nella trama testuale della raccolta, una verità «metaforica» finalizzata ad ampliare, nonostante il mascheramento linguistico, l’intenzione «realistica» che è propria del potere di ridescrizione del linguaggio poetico. Come già in Paul Ricoeur, la connotazione metaforica della parola poetica «implica un uso “tensivo” del linguaggio solo per suscitare un concetto “tensivo” della realtà». Epistole sarde sovverte con sensibilità e acume tutti i paradigmi della realtà, i principi di identità e non contraddizione, la logica, i concetti di tempo e spazio, percorre regni dominati dal paradosso (che per Deleuze è il «rovesciamento simultaneo del buon senso e del senso comune») per dire che forse non c’è un senso, in una contemporaneità che perde di vista l’uomo e il suo universo ontologico. Come nello specchio di Carroll, attraverso il filtro della poesia gli autori non guardano il mondo, ma loro stessi. Vorrebbero riconoscersi, confermarsi, ma ogni tentativo è sempre un incontro mancato, i poeti si specchiano e si ritrovano nella loro reciproca solitudine.
Ofelia Prodan, attualmente una delle poetesse romene più apprezzate, esordisce con L’elefante nel mio letto (2007; Premio per il Debutto dell’Associazione degli Scrittori di Bucarest, 2008) a cui hanno fatto seguito altre numerose raccolte poetiche, tra cui due edite in Italia, Elegie allucinogene (2019; Finalista al Premio Letterario Città di Sassari 2020; Premio speciale del presidente della giuria nell’ambito del Premio Bologna in Lettere 2021) e Periodicamente ricicliamo cliché (2023; Premio speciale Virginia Woolf per la poesia edita, nell’ambito del Premio Nabokov 2023; Finalista al Premio Lorenzo Montano 2024). Tra le sue raccolte poetiche romene: La guida (2012; Premio Nazionale Ion Minulescu, 2013); Senza uscita (2015; Premio Nazionale George Coșbuc, 2015; Premio Nazionale Mircea Ivănescu, 2016); Il clone dell’Ofelia in mongolfiera (2021; Premio della Rivista Familia nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia di Sighetu Marmației, 2022). È membro dell’Unione degli Scrittori di Romania e del PEN Club Romania. Daniel D. Marin, poeta e traduttore, è autore di cinque raccolte poetiche, tra cui L’ho preso in disparte e gli ho detto (2009; Premio Marin Mincu, Bucarest, 2010) e I corpi che non ci calzano mai a pennello (2022; Premio Libro d’autore al Festival Internazionale di Poesia Getafe-Madrid, 2023; Finalista con menzione d’onore al Premio Sygla, città di Chiaramonte Gulfi, 2024). Curatore della prima antologia retrospettiva della Generazione 2000 della letteratura romena (2010), e di BorderLine 2000. Dieci autrici per un’antologia della poesia di oggi (edizione italo-romena, 2021). Attualmente è redattore della rivista Orizzonti culturali italo-romeni, per la quale cura una rubrica dedicata alla traduzione della poesia italiana contemporanea.
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