Cioran in scena (nel teatro «decomposto» di Vișniec)

Nella pièce Mansarda a Parigi con vista sulla morte, di recente pubblicata in italiano dalla casa editrice milanese Criterion, Matei Vișniec rende un «omaggio soggettivo» a Cioran: un periplo allegorico e commovente, fantastico e beffardo, ideato da uno dei più importanti drammaturghi contemporanei. Il testo che qui pubblichiamo è la prima parte (pp. 203-210) della postfazione omonima contenuta nel volume di Matei Vișniec, Mansarda a Parigi con vista sulla morte, testo romeno a fronte, traduzione e cura di Horia Corneliu Cicortaș, Criterion Editrice, Milano 2022.

«Cuvintele mele cerșesc încarnarea»
Matei Vișniec

Nel settembre del 1987 un giovane scrittore romeno, insegnante di storia e geografia nelle scuole medie, otteneva un visto turistico per la Francia. Mentre si trovava a Parigi, una sua pièce, Caii la fereastră (I cavalli alla finestra), venne vietata alla vigilia della prima al Teatro Nottara di Bucarest. Erano gli anni più cupi del regime di Ceauşescu. Quell’autore trentenne, dal nome Matei Vișniec, che da anni faceva il pendolare tra la capitale e un posto sperduto nel profondo sud della Romania, aveva esordito sulla scena letteraria come poeta e aveva vinto, nel 1984, il premio dell’Unione degli Scrittori per il volume di poesie Înțeleptul la ora de ceai (Il saggio all’ora del tè). Parallelamente alla produzione lirica, dal 1977 si era dedicato anche alla letteratura teatrale (e alla sceneggiatura), fruita perlopiù in cerchie ristrette e in formato samizdat, giacché le autorità del tempo non ne avevano permesso la pubblicazione. Lo spettacolo vietato all’ultimo momento era un’ulteriore riprova del potenziale sovversivo delle opere teatrali, le quali, a differenza di altri generi letterari destinati alla lettura individuale, una volta rappresentate in scena avrebbero potuto indurre nel pubblico stati emotivi virtualmente pericolosi, moti d’animo non facilmente controllabili e comunque non desumibili dal contenuto del testo, attentamente vagliato dalla censura (e, per questo motivo, altrettanto attentamente calibrato dal singolo autore).
Così, il mese dopo, Matei Vișniec chiede asilo politico in Francia, ponendo fine alla sua vita di insegnante di campagna e a tutto il resto. Nel primo anno di esilio francese, in cui entra in contatto con gli intellettuali di spicco dell’emigrazione romena, frequenta assiduamente i teatri parigini e comincia a tradurre le proprie pièce in francese: è l’inizio di una rinnovata e frenetica attività sul versante letterario, soprattutto in ambito teatrale, che si amplierà progressivamente, consolidandosi negli anni a venire. Un nuovo pendolarismo, questa volta tra due idiomi (e tra i loro relativi codici culturali), connesso ai viaggi liberi tra l’est e l’ovest del Continente, resi possibili in seguito al crollo del comunismo nell’Europa centro-orientale. Nel frattempo, nel 1988-1989, prima di tornare in pianta stabile a Parigi, Vișniec lavora a Londra, come giornalista radiofonico presso la sezione romena della BBC. Anche questa nuova esperienza segnerà tanto la sua carriera lavorativa in senso stretto (l’insegnamento e la carriera accademica verranno definitivamente accantonate, dopo alcuni studi di specializzazione post-laurea, a favore del giornalismo radiofonico, per la RFI) quanto quella di scrittore. Scrittore e giornalista, Vișniec è un autore a tutto tondo: non solo poeta e autore drammatico, ma anche romanziere. Quarantacinque anni dopo quella rappresentazione negata, le sue opere teatrali sono tradotte in decine di lingue, messe in scena in vari Paesi [1], discusse in tesi di dottorato e convegni scientifici. Non è un caso se, dopo Eugène Ionesco (Eugen Ionescu), Vișniec sia oggi il drammaturgo romeno più noto nel mondo. «La forza di penetrazione della sua opera nel panorama internazionale, in particolare tra le giovani generazioni», osserva Eva Marinai,

«è dovuta principalmente alle peculiarità della sua scrittura: una modalità ideatica e compositiva rivolta alle problematiche della contemporaneità veicolate attraverso un linguaggio aggiornato ai tempi, multiforme, impregnato di una miscela di corporeità e lirismo, epicità e drammaticità, evocazioni letterarie e materialità scenica, privo di psicologismi eppure in grado di delineare situazioni emotivamente coinvolgenti».[2]

Come ci racconta lo stesso autore, le fonti all’origine del suo amore per il teatro sono tre. [3] In primo luogo, lo spettacolo vivente delle tradizioni popolari della sua Bucovina natale (nel nord della Romania), con i loro rituali e cerimoniali segnanti momenti particolari della vita degli individui, soprattutto nelle campagne; in secondo luogo, gli spettacoli circensi (e in particolare, «l’agitazione dei buffoni e i loro numeri sistematicamente “falliti”». Infine, il teatro di Ion Luca Caragiale, «uno spirito satirico e caustico senza pari», maestro in quel genere breve e «frammentario» riecheggiato nella «modularità» dei testi teatrali di Matei Vișniec. Se queste sono le radici biografiche del suo interesse per il mondo del teatro, i temi della sua produzione drammaturgica, sui quali non possiamo soffermarci in questa sede, sono molto più numerosi e in qualche modo ruotano attorno alle contraddizioni dell’essere umano nella società contemporanea; antinomie spesso sfociate in devianze, conflitti o prevaricazioni di ogni genere, sottoposte al contempo a una radiografia ironica, a una decostruzione spietata e a una ri-composizione «cubista».[4]
Non sorprende, dunque, che tra i vari soggetti scelti dall’autore bilingue che fa la spola tra la Francia e la Romania sognando un mondo altro, a dispetto dello scorso «secolo di nebbia» (come recita il titolo del suo recente romanzo [5]), si trovi anche il personaggio storico Emil Cioran. Eppure, c’è chi si è domandato se si ha il «diritto» di mettere in scena Cioran, di teatralizzarlo rendendolo personaggio (principale) di una pièce. [6] La questione si pone, peraltro, per autori addirittura teatrali, come Čechov e Mejerchol’d, maestri di Vișniec, ai quali egli rende pure lo stesso «omaggio soggettivo» [7] tributato allo scrittore di Rășinari. Omaggio basato sulla legittima libertà dello scrittore di scegliersi i personaggi, che però può essere visto, in certi ambienti (teatrali), come potenzialmente blasfemo o almeno sospetto. [8] L’accostamento teatrale di Vișniec a Cioran risulta invece, per chi abbia una minima conoscenza dei due autori, un approdo del tutto naturale; può essere visto come un omaggio ai numi tutelari, un modo di «sdebitarsi» nei confronti di «figure “formative”» [9] tra le quali, appunto, Cioran. Non un mito né una semplice «icona» da venerare, ma un anziano alle prese con la frantumazione e la perdita progressiva della memoria, «cosparso di cenere come Giobbe sul suo mucchio di letame, povero ottantenne consumato dalla malattia». [10]
Tra gli scrittori-esuli Emil Cioran e Matei Vișniec sono rintracciabili diversi elementi comuni, sul piano biografico come su quello della riflessione filosofica; in particolare, quella attorno alle varie declinazioni della «decomposizione», fondamentale nel teatro vișniechiano (qui, insieme al suo correlato ricompositivo). [11] Pur appartenendo a generazioni e contesti politici differenti, entrambi hanno dovuto scegliere l’esilio francese come riparo dalle avversità politiche. Per entrambi, ciò si è manifestato come nuova tappa creativa, attraverso l’adozione della lingua francese – parziale in Vișniec, esclusiva in Cioran – per le loro rispettive opere. Entrambi, pur sperimentando da giovani l’esilio, hanno abbracciato una forma di dissidenza-resistenza culturale e filosofica che ha al suo centro l’interrogazione radicale attorno alla nostra condizione «ontologica» di viaggiatori (nel cristianesimo) o esiliati (nello gnosticismo e nel bogomilismo che Cioran amava) sulla Terra. Il passaggio da una lingua materna «marginale» a un idioma di circolazione internazionale ha indubbiamente agevolato la conoscenza, la traduzione e la ricezione critica dei loro scritti. [12] Comune è anche l’interesse costante per le origini «balcaniche», cioè per la sfera delle proprie radici culturali. «La Romania mi ha dato le radici, la Francia mi ha dato le ali», dichiara Vișniec in un’intervista rilasciata in Giappone.
E come non citare qui un altro, fondamentale punto di contatto? Si tratta del filone lirico, menzionato all’inizio di queste pagine. Infatti, Vișniec è notoriamente un poeta, anche quando scrive teatro (così come nella sua produzione narrativa è evidente, sempre, il filone drammatico). In particolare, è un poeta appartenente alla cultura allegorica, minimalista e ironica della «generazione Ottanta» [13], che comprende, fra gli altri (perlomeno tra quelli viventi in Romania, non nella diaspora), anche lo scrittore contemporaneo romeno più noto e tradotto in Italia, Mircea Cărtărescu. Quanto a Cioran, può essere considerato un pensatore d’impronta lirica che scrive in prosa; per l’esattezza, in una prosa che – con l’eccezione di Schimbarea la față a României (1936) – predilige il saggio concentrato, il frammento e l’aforisma. Una predilezione per il genere breve che, d’altra parte, è propria anche di Vișniec-drammaturgo. [14] In entrambi gli scrittori, la dimensione poetica è intimamente intrecciata a quella filosofica (nel senso più ampio dell’espressione, non in quello tecnico e «professionalizzato»), quest’ultima spiegabile, solo fino a un certo punto, con il loro curriculum studiorum.
Al di là degli autori coltivati, dei temi di riflessione – che rivelano spiccate similitudini, accomunate da una specifica, personale forma di resistenza culturale – o delle particolarità stilistiche, una differenza rilevante consta nel fatto che, mentre Cioran è rimasto fedele al suo «parassitismo» esistenziale anche in Francia (dopo un solo anno di insegnamento in un liceo di Brașov), l’esule Vișniec ha scelto di dedicarsi, come dicevamo, alla professione di giornalista, la quale gli ha fornito una ulteriore, specifica «lente» di osservazione della società umana; sarebbe del resto difficile prescindere, nella valutazione complessiva del Vișniec-drammaturgo, dal Vișniec-giornalista.[15] In questo modo, egli ha scelto di «diventare, per il mondo occidentale, ciò che era stato per quello comunista» (dove, ricordiamo, fu pubblicato come poeta ma non come drammaturgo), ovvero «un rilevatore di comportamenti nascosti e di logiche subliminali; di rituali e di problematiche universali, di deliberate occlusioni e di intuitive scoperte dell’armonia originaria fra gli esseri e le cose». [16]

Horia Corneliu Cicortaș




Di seguito, per gentile concessione dell’Editore, un frammento tratto dal volume Matei Vișniec, Mansarda a Parigi con vista sulla morte, testo romeno a fronte, traduzione e cura di Horia Corneliu Cicortaș, Criterion Editrice, Milano 2022.





Da «Mansarda a Parigi con vista sulla morte»

SCENA 2


Proiezione sul telone in fondo. Immagini del Parco Luxembourg. In primo piano, un cieco che gira la manovella di un organetto di Barberia e una Signora che sbriciola pane per i piccioni. A un tratto, i piccioni si alzano in volo e scompaiono.
Le immagini con il Parco Luxembourg si dissolvono lentamente, come se il volo dei piccioni avesse disturbato la proiezione.
Resta in scena LA SIGNORA CHE SBRICIOLA PANE. Compare CIORAN, si avvicina a lei e la guarda a lungo.

CIORAN: Sono completamente stupidi.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Prego?
CIORAN: Questi piccioni… sono completamente stupidi. Come del resto tutti gli altri uccelli da città.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Perché dice questo?
CIORAN: Hanno completamente perso la loro libertà.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: E che fa, se hanno perso la loro libertà?
CIORAN: Non sono più capaci di nutrirsi da soli.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: E che fa, se non sanno più nutrirsi da soli?
CIORAN: Meno male che lei viene ogni giorno per dar loro da mangiare. Si dice sia una buona terapia per gli ansiosi...
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE (gli tende un pezzo di baguette): Tenga… Vuole provare a gettargli un po’ di briciole?
CIORAN: Mi dica, lei non è per caso la signorina Domnaru?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: No. Perché?
CIORAN: Lei mi ricorda una persona che conobbi un tempo, molti anni fa… Le sorelle Domnaru, a Sibiu…
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Mi spiace. Non sono io la signorina Domnaru.
CIORAN: Eppure sono diversi anni che viene qui a nutrire i piccioni.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sì, è vero.
CIORAN: A volte mi chiedo se lei venga davvero per i piccioni.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: No, non vengo per i piccioni.
CIORAN: Non ho mai osato rivolgerle una domanda, ma oggi…
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: In realtà vengo per lei.
CIORAN: Ah, ecco. Questa era anche la mia impressione. In effetti lei mi gira intorno da una decina di anni.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Da sempre, signor Cioran.
CIORAN: E queste belle lettere, che ricevo una volta la settimana, sempre da dieci anni…?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: No, non provengono da me. [1]
CIORAN: Forse lei sa dove abito?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sì.
CIORAN: Le chiedo questo perché oggi mi è accaduta una cosa incredibile. Stamattina sono andato alla casa editrice Gallimard e, uscendo per rientrare a casa, non ho più ricordato la via di ritorno.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Lo so.
CIORAN: Davvero? Come lo ha saputo?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: [Lo so perché] io sono la sua memoria, signor Cioran.
CIORAN: Sì… Perché no… Infine… Ma non trova strano, mia distinta Signora Memoria, che io non ricordi più la via di ritorno verso casa?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: [Sì, è strano.
CIORAN: Non è vero? Almeno a questo riguardo siamo d’accordo. D’altronde era per questo che mi sono permesso di importunarla. Dato che la sua presenza mi è talmente familiare, ho pensato che, forse… forse mi avrebbe fatto questo favore, di dirmi dove abito…
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE:] Lei abita in rue de l’Odéon al numero civico 21, signor Cioran.
CIORAN: Strano. È un indirizzo che non mi dice proprio nulla.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Il palazzo ha quattro piani, più la mansarda. E lei abita in due stanze minuscole della mansarda, proprio sotto il tetto. [2]

CIORAN estrae dalla tasca una chiave.

CIORAN: Suppongo sia la chiave dell’appartamento.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Può darsi, non saprei…
CIORAN: [Abita anche lei in questo quartiere?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: No, io abito molto più lontano.
CIORAN:] L’anno scorso, credo fosse in ottobre se ricordo bene, feci una lunga passeggiata in riva al mare, a Dieppe… Era proprio nella fase del reflusso, e passeggiai per circa quattro ore… E a un certo momento una donna uscì dal mare e venne a chiedermi se io non avessi visto la sua bicicletta. Non era lei, per caso?
[LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sì, ero sempre io.
CIORAN: E poi lei è scomparsa subito… Come ha fatto ad eclissarsi così in fretta?]

LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE non risponde.

CIORAN: Ha detto rue de l’Odéon, numero 21, giusto?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sì.
[CIORAN: Ne è sicura?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sicura.]
CIORAN: Allora… va bene. Me ne vado. Come devo fare per ritrovare la strada?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Vede quell’edificio grande con il tetto?
CIORAN: Sì.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Quello è il Teatro dell’Odéon. E la rue de l’Odéon è proprio lì di fronte.
CIORAN: Chiaro, distinta Signora Memoria… Ho incominciato a perderla… Ma ciò che è strano, è che la sto perdendo nel disordine. [Direi anzi nel più totale disordine…

Pausa. La Signora continua a sbriciolare pane, anche se i piccioni non sono più ricomparsi.


CIORAN:] Le piace questo parco?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Non molto.
CIORAN: Ma è questo il parco del Luxembourg, giusto?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sì.
CIORAN: Ecco, almeno questo lo ricordo. Quando sono uscito dall’editrice Gallimard e mi sono ritrovato in strada, non sapevo più dove volessi andare. [Non sapevo se girare a sinistra o a destra. Per un momento ho esitato, e poi mi sono detto: «ecco, voglio andare da me, voglio tornare a casa». Solo che quest’espressione, “a casa”, non mi diceva proprio più niente. Ho sentito dentro di me una sorta di enorme buco nero…] Come un attore che dimentica d’un tratto una battuta… una battuta essenziale… Lei immagini un Riccardo III dimenticare la battuta «Un cavallo! Il mio regno per un cavallo!»… [Una battuta chiave, tuttavia… Come dimenticare una battuta chiave? Se la dimentichi, hai rovinato tutto… Non è consentito dimenticare una battuta chiave, nemmeno una parte di una battuta chiave… Un regno per… la mia memoria… No? Suona male.]
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Un regno per poche briciole…
CIORAN: [Esatto, è proprio quello che intendevo io…] Un regno per poche briciole della mia memoria… Le piace questo parco?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Non più di tanto.
CIORAN: Nemmeno io ci vado pazzo. Anche se è un parco ormai mitico. [Dire Parigi è dire Jardin du Luxembourg.] Nemmeno a me piace, eppure mi sento bene quando passeggio sui suoi viali e penso solo a cose banali. In alcuni periodi dell’anno vengo qui una volta o perfino due volte al giorno. E cerco di concentrarmi solo su pensieri banali… Esistono idee banali mattutine e idee banali serali… Che piacere, pensare alle banalità in questo parco mitico, tra i turisti che scattano foto, le mamme e i padri che portano a passeggio i loro bambini… Devo ammettere che talvolta mi sento come un assassino in mezzo a tutta questa gente. [E so che si sentirebbero molto offesi se sapessero quanto mi è utile questo parco mitico per decantare i miei pensieri banali…]
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Gli manca un po’ il verde. In realtà, ciò che gli manca è l’erba.

Mentre proseguono la loro conversazione, i due personaggi iniziano ad affondare lentamente, molto lentamente, nella terra, come se fossero risucchiati dalle sabbie mobili. [Né Cioran né la Signora danno alcuna importanza a questo fatto.]


CIORAN: Sì, quando piove, passeggiare nel parco diventa un tormento. Tutta questa terra si ammorbidisce, si trasforma in un impasto. [Impossibile passeggiare per il parco Luxembourg quando si cammina su vialetti d’impasto. In pratica rischi in ogni momento di essere inghiottito da questa materia appiccicosa, di essere aspirato nelle viscere di questi vialetti cartesiani.] Mi chiedo se la Prefettura parigina avrà mai il coraggio di pubblicare le vere statistiche circa i pedoni che scompaiono, nei giorni piovosi, nel parco Luxembourg.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Non lo faranno mai. Io ho lavorato alla Prefettura e li conosco bene quelli.

Pausa.


CIORAN: Rue de l’Odéon numero 21, accanto al Teatro dell’Odéon… [Eppure era una battuta essenziale… Immaginate Amleto che dimentica di dire «to be or not to be»…] È da qualche ora che continuo a girare in questo parco… Un po’ mi mette a disagio dirlo, ma… ho un po’ di fame… (Pausa) [Come sono stato fortunato a incontrarla…] Sa, lei con la sua abitudine di venire qui per dare da mangiare ai piccioni, mi si è fissata nella memoria meglio del mio indirizzo… E mi fa bene raccontarle tutto ciò… In realtà, glielo racconto senza alcuna riserva perché lei è una sconosciuta. [Per me è la signora che sbriciola pane.] E ciò che le ho detto non l’ho ancora confessato a nessuno. [Nemmeno a me stesso ho avuto il coraggio di confidare sinceramente quel che ho rivelato a lei…]
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE (estrae un altro pezzo di pane): Vuole mangiare un po’ di briciole?
CIORAN: Sì, grazie.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Sono un po’ secche.
Cioran: [Non fa nulla. (Beccucchiando dal pane.)] Non si capisce dove sono finiti i piccioni… Peccato per questo mare di briciole. [Di solito si lanciano subito sulle briciole.]
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Verranno.

I due personaggi continuano a sprofondare gradualmente nella terra.

CIORAN: Deve tuttavia riconoscere che gli uccelli che vivono in città sono sempre più stupidi.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Non c’è dubbio. Per questo porto loro delle briciole.
CIORAN: Gli uccelli che vivono in città volano, in media, meno di quelli che vivono in campagna. Si potrebbe dire che gli uccelli di città sono stanchi delle loro proprie ali, del fatto di avere ali. Ma forse avviene lo stesso con la specie umana, forse è nata in questo modo. All’inizio, gli esseri umani erano una specie di uccelli, una specie completamente libera che sapeva volare… Gli individui di questa specie diventarono poi sempre più pesanti, più pigri, più stolti… E sono arrivati a sbarazzarsi delle loro ali, e sono scesi per sempre sulla terra. Ed è così che nacque l’uomo. (Pausa. Cioran continua a sgranocchiare briciole di pane.) In Prefettura ha lavorato per quale ufficio?
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Per l’Ufficio Apolidi.
CIORAN: Mi scusi se insisto, ma io non ho ancora capito chi è lei, di fatto.
LA SIGNORA DISTINTA CHE SBRICIOLA PANE: Eppure glielo già detto, sono la memoria del signor Cioran, la sua memoria.

I due sono quasi completamente inghiottiti dalla terra, sono visibili solo le loro teste.

CIORAN: [Sì… Non ci ho pensato, anche se…] Sì, perché no, se pensiamo che… In fin dei conti… Sì, lei è la mia memoria, è normale, sebbene… Cosa volevo chiederle… In realtà, perché sbriciola tanto pane?


(n. 9, settembre 2022, anno XII)




NOTE PRESENTAZIONE

[1] In Italia, la prima messa in scena di un testo di Vișniec (Vecchio clown cercasi) risale al 1994, in un workshop presso il Piccolo Teatro di Milano, per la regia di Ștefan Iordănescu; l’allestimento teatrale andrà in scena come spettacolo vero e proprio il 19 febbraio del 1998.
[2] Eva Marinai, Train de vie. Il miraggio proibito dell’Occidente nel teatro di Matei Vișniec, in «Caietele Echinox», 39, 2020 , p. 267 .
[3] M. Vișniec, Le trois sources de mon amour pour le théâtre, in «Caietele Echinox», cit., pp. 223-225. Qui e di seguito, la traduzione in italiano dei brani citati, là dove non diversamente indicata, è nostra.
[4] Per un’analisi complessiva del teatro di Vișniec, vedi Gerardo Guccini, Pensare i corpi. I teatri di Vișniec, in M. Vișniec, Drammi di resistenza culturale. I cavalli alla finestra. La donna come campo di battaglia, Titivillus, Corazzano 2009, pp. 5-65; per le convergenze letterarie (Čechov, Camus, Beckett, Ionescu) e le caratteristiche della scrittura drammatica vișniechiana cfr. inoltre E. Marinai, Train de vie, cit., pp. 265-275.
[5] M. Vișniec, Un secol de ceață, Polirom, Iași 2021.
[6] Gilles Losseroy, L’avantage d’être mort, ou Tentative de théâtrification avec vue sur la chambre à coucher du philosophe, postfazione a Matei Vișniec, Les Détours Cioran, ou Mansarde à Paris avec vue sur la mort, Lansman, Manage 2007, pp. 69-71.
[7] Vedi la Nota dell’autore a questa edizione, supra, p. 9.
[8] Così ad esempio G. Losseroy (L’avantage d’être mort, cit., p. 69), considera che, per quanto il teatro sia «popolato da personaggi che hanno proferito parole filosofiche», non si può essere che «legittimamente circospetti dinanzi all’impresa di teatralizzazione di Cioran da parte di Matei Vișniec ». Proseguendo, lo studioso francese che è anche metteur en scène – afferma che gli elementi biografici comuni (la romenità, l’«isoglottismo», l’esilio ecc.) non sono ragioni sufficienti; anzi, messo in scena, Cioran muore una seconda volta, perché è anche «un’icona» (ibi, p. 70). Tuttavia, nel finale del suo breve contributo (ibi, p. 71), Losseroy riconosce nell’«arte sottile e irriverente» di Vișniec «un autentico esercizio di ammirazione .  Da notare il titolo ironico (De l’avantage d’être mort, ecc.) del testo di Losseroy.
[9] Mirela Nedelcu-Patureau, Pur și simplu un dramaturg, in M. Vișniec, Mansardă la Paris cu vedere spre moarte, cit., p. 276.
[10] Ibi, p. 277.
[11] Da qui in poi, riprendiamo, riformulata, una parte di un nostro contributo, al quale rinviamo per i relativi approfondimenti: H.C. Cicortaş, Un personaggio in cerca d’autore. Cioran, l’esilio e il ‘teatro decomposto’ di Matei Vișniec, in «Caietele Echinox», 39, 2020, pp. 283-296.
[12] Per il tema del bilinguismo nella drammaturgia di Vișniec, si veda in particolare la monografia di Emilia David, Consecințele bilinguismului în teatrul lui Matei Vișniec, Tracus Arte, București 2015 e, della stessa studiosa, il saggio Tradurre in bilinguismo di uno scrittore che si autotraduce: Matei Vișniec, in «Caietele Echinox», cit., pp. 226-238.
[13]G. Guccini, Pensare i corpi, cit., p. 37.
[14] Anche l’ultimo romanzo menzionato in precedenza, Un secol di ceață, di ben 868 pagine, è suddiviso in ottanta capitoli molti dei quali hanno l’aspetto di singole, autonome «scene teatrali» o «quadri di una mostra», come notava G. Banu a proposito del «teatro decomposto» di Vișniec (v. infra, p. 223, nota 36). A parte la rilevante componente autobiografica, numerosi temi e finanche personaggi di questo romanzo sono presenti nelle opere teatrali di Vișniec.
[15] A questo proposito, G. Guccini osserva che il giornalismo come attività professionale aggiunge ai cinque riferimenti fondamentali delle «competenze drammatiche di Vișniec» un «sesto riferimento, che Vișniec stesso non riconosce come costitutivo del suo teatro e che, però, s’è introdotto con forza nel vissuto dell’autore, modellandone le conoscenze, lo sguardo sulla realtà e le attitudini alla trasparenza comunicativa» (G. Guccini, Pensare i corpi, cit., p. 37); così, il passaggio dalla dittatura romena alla società occidentale trova nuova espressione in una scrittura teatrale che, moltiplicando le declinazioni della «resistenza culturale», diventa una «drammaturgia degli attraversamenti interiori» (ibi, p. 30).
[16] Ibi, p. 29.



NOTE SCENA 2

[1] Nella versione francese la risposta è invece affermativa: « Oui, c’est toujours moi ».
[2] In realtà, oltre al quinto piano mansardato c’è un sesto piano, dove era ubicata la mansarda abitata da Cioran e Simone Boué, l’unica dell’immobile ad avere un balconcino, che si affacciava sulla retrostante rue Casimire Delavigne.