Matei Vișniec, «Il Cabaret Dada» tra comunismo e mondo globalizzato

Segnaliamo la recente pubblicazione del volume di Matei Vișniec, Il Cabaret Dada, testo romeno a fronte, traduzione e cura di Irma Carannante, Criterion, Milano, 2022. Il testo che segue riprende, in forma abbreviata, la postfazione dal titolo Matei Vișniec: Il Cabaret Dada annuncia una «catastrofe per reversione totale» (pp. 209-230).

Nell’attuale società, che in passato ha visto l’orrore delle dittature e dei lager nazisti e comunisti, il drammaturgo romeno Matei Vișniec intravede ancora l’assurdità della condizione umana, proseguendo il percorso di Kafka, Sartre, Camus e altri che avevano scorto nelle realtà del dopoguerra la stessa incoerenza della vita. Per lo scrittore romeno la società del nuovo millennio non è ancora in grado di far fronte alle trappole tese da nuove forme di autoritarismo. Quale corrente poteva dunque meglio descrivere il caos vissuto negli ultimi anni se non quella del Dadaismo, una corrente di negazione e nonsense come annunciato nel Manifesto del 1918 («Dada non significa nulla» [1])? Nasce così Il Cabaret Dada [2], una pièce teatrale che, come si legge già nel sottotitolo, è «alla rinfusa e in continua lavorazione», proprio come il susseguirsi imprevedibile degli eventi attuali cui fa allusivamente riferimento l’autore, in un continuo rimando a scene disastrose che evocano la tragedia della prima guerra mondiale.
Matei Vișniec (Rădăuți, 29 gennaio 1956) [3], autore tradotto in oltre venti lingue, ha cominciato con la poesia a soli sedici anni, pubblicando sulla rivista del poeta surrealista Virgil Teodorescu, «Luceafărul» [4], si è affacciato poi al mondo del teatro negli anni della dittatura di Ceaușescu, vedendo le sue pièce circolare clandestinamente negli ambienti letterari a causa della censura.[5] Lasciando la Romania, poco prima della rivoluzione, e approdando in Francia, scriverà non solo in romeno, ma anche in francese e lavorerà per Radio France Internationale.
Il contatto con il mondo del giornalismo avrà sicuramente acuito il suo interesse per gli aspetti più crudi e allo stesso tempo contraddittori dell’umano, e lo stesso giornalismo non manca di essere oggetto d’analisi da parte di Vișniec che lo pone in contrasto con la sua vena letteraria:

La letteratura ti porta su, verso l’alto, verso tutto ciò che è sublime nell’uomo. Il giornalismo, al contrario, soprattutto quando lo si pratica quotidianamente, ti riporta a terra, alla realtà, all’attualità. La letteratura ti dà una speranza, ti aiuta ad esplorare l’umano nelle sue zone di purezza, di mistero cosmico. Il giornalismo ti obbliga a scoprire la miseria della realtà, la mancanza di speranza reale nel futuro, e a scoprire che l’uomo commette all’infinito gli stessi errori storici, restando sempre allo stesso modo odioso. [6]

Le due professioni, quella di scrittore e quella di giornalista, diventano per Vișniec affascinanti e necessarie, solo che nel momento in cui vengono a riunirsi nella stessa persona «lo scrittore comincia a non avere più fiducia nell’uomo poiché la sua immagine, presentata dal giornalista, è catastrofica, mentre il giornalista comincia a non avere più fiducia nello scrittore perché tutto ciò che costui immagina sull’uomo viene contraddetto dalla realtà». [7]
Tale approccio consente però all’opera di uno scrittore di svilupparsi nella sua forma più autentica, senza restare isolata in un mondo lontano dal reale, seppur i mezzi adoperati per la sua rappresentazione facciano appello all’espressione lirica e surreale. Le numerose poesie e canzoni in rima presenti nella pièce di Vișniec – per le quali in traduzione si è preferito mantenere la musicalità dei versi, talvolta a scapito dei contenuti, trattandosi di voluti nonsense – non fanno altro, infatti, che evocare momenti di guerra, massacri, dittature, estremismi, abusi sessuali, in una forma ironica e grottesca per esasperare l’irrazionalità delle nefandezze umane.
Il Cabaret Dada, come si legge nella Nota dell’autore, è stato scritto nello spirito dei testi dadaisti con un intento didattico, al fine di collocare l’esplosione dadaista nel contesto dei disastrosi eventi della Prima guerra mondiale e della rivoluzione bolscevica. Alcune delle scene sono state ispirate dalla lettura del saggio di Dominique Noguez [8], secondo cui Lenin, trovandosi a Zurigo nel 1916, era entrato in contatto con il movimento dadaista, altre invece hanno tratto spunto dal libro di Tom Sandqvist [9], il quale sostiene che Bucarest era stata una città dadaista ben prima della Grande Guerra. Altra fonte d’ispirazione è stato lo studio di Marc Dachy [10], il quale ha studiato il Dadaismo da una prospettiva storica, cogliendo i meccanismi attraverso cui Dada ha distrutto i concetti dell’arte e del bello che sono esistiti fino al 1916 [11].
L’autore confessa, inoltre, che dietro questa pièce ci sono prima di tutto gli articoli, i manifesti e le stesse poesie dadaiste, con in testa Tristan Tzara: «Ho avuto praticamente nelle mie mani e sotto il mio sguardo la sua intera opera pubblicata da Flammarion» [12]. Di fatto, esistono alcuni passi in cui i riferimenti all’opera di Tzara sono piuttosto palesi, si veda ad esempio questa breve citazione tratta dalla scena 7, in cui il Signor Dada incalza Tristan Tzara con le sue domande: «Tristan Tzara, cosa sussurrava alle tue orecchie quella ragazza che hai sedotto semplicemente perché ti annoiavi di stare in campagna d’estate… Cosa ti sussurrava?». La ragazza in questione sembra proprio essere una di quelle che compaiono già nei versi di Tzara in romeno (a conferma di quanto scrive Dachy nel suo studio sul Dadaismo), come si vede nelle poesie Verișoară, fată de pension [13] e Vacanță în provincie [14], che verranno poi tradotte in francese con i titoli Cousine, interne au pensionnat…[15]e Vacances en province [16], per l’edizione Flammarion adoperata, come afferma l’autore stesso, per la stesura di Cabaret Dada.
Matei Vișniec si avvale di Tristan Tzara sia per rendere omaggio al Padre del Dadaismo e a tutta una tradizione romena che vede come capostipite Caragiale, seguito da Urmuz e Ionesco, sia per adottare il suo stesso distacco ironico da ciò che va ineludibilmente contestato; se Tzara andava contro il lirismo elegiaco tipico della tradizione poetica nazionale di tipo borghese, Vișniec contesta il regime comunista vissuto in Romania e, allo stesso tempo, denuncia la deriva capitalistica dell’Europa «suicida» dei nostri giorni, come si legge in diverse scene della pièce.
Nonostante l’opera sia ambientata negli anni della Prima guerra mondiale, per riferirsi ai paesi che hanno partecipato al conflitto, Matei Vișniec impiegherà spesso la parola «Europa», senza fare alcuna differenza tra gli schieramenti, lasciando intendere al lettore che forse la questione intende giocarsi su un piano più attuale. Probabilmente è in questa parola, nella parola «Europa», che il drammaturgo vuole catturare l’attenzione, a partire forse dalla discrepanza esistente tra l’idea inizialmente auspicata di una comunità europea, costituita da una pluralità di lingue, culture e tradizioni, protetta da una forma di capitalismo moderato dalle varie costituzioni, a quella che oggi sembra diventare sempre più un’organizzazione sovrana, che non tiene conto delle differenze dei popoli, imponendo una lingua e una moneta unica, volta a tutelare gli interessi economici di enti privati e transnazionali come la BCE o delle singole élite capitalistiche. Queste ultime, nella pièce di Vișniec, sembrano essere incarnate dai personaggi dei Vegliardi che compaiono nella scena 17, intitolata La conferenza segreta e universale, e in cui si legge: «I vegliardi appaiono uno alla volta, solenni e austeri. Ognuno di loro porta al collo un’etichetta indicante il paese di provenienza».
Non mancano, del resto, anche negli articoli giornalistici di Vișniec alcune riflessioni che non solo analizzano la questione del capitalismo, ma anche dei poteri finanziari sovranazionali che dominano i popoli europei. [17] Ecco come lo scrittore immagina il discorso che un «buon» padre capitalista farebbe a suo figlio:

Ti indebiterai fino alle ossa per comprare case e altri beni, anche a prezzi astronomici e sarai orgoglioso di possedere i più grandi introiti d’Europa e sarai anche orgoglioso che nel tuo paese si installeranno migliaia di imprese da tutto il mondo, ma quando scoprirai all’improvviso di essere rovinato e che il tuo salario verrà ridotto del 25%, non provare a capire cosa è accaduto, continua a lavorare e ascolta ciò che ti dice il Governo. [18]

Rifacendosi agli eventi del marzo 2009 – quando il governo di centrodestra Băsescu, durante gli anni della crisi economica in Romania, aveva previsto una riduzione del 25% del salario dei funzionari pubblici e un aumento dell’Iva dal 19 al 24% [19] –, Vișniec introduce qui inoltre la questione più globale della concorrenza dei lavoratori a basso costo, che vede i paesi più sviluppati ospitare ciò che Marx definiva nel Capitale «l’esercito industriale di riserva», ovvero il fenomeno della disoccupazione in quanto prodotto dell’economia capitalistica [20]. Nella fattispecie, i lavoratori provenienti da realtà più povere e impiegati come manodopera nei paesi più sviluppati – senza diritti, senza coscienza di classe, senza rivendicazioni oppositive e disposti a fare tutto in cambio di un compenso ai limiti della sussistenza, e quindi disposti anche ad abbattere la forza lavoro –, costringono i lavoratori del paese ospitante a vedersi ridotte le percentuali dei propri salari. Il problema non è chiaramente da ricercare nella «fame» di lavoro di tale manodopera, ma piuttosto nel sistema globalizzato che, dietro false politiche di integrazione, genera un conflitto di classe, su scala planetaria [21], tra i lavoratori europei e i lavoratori senza diritti in Cina o i lavoratori sfruttati in Africa, con la pretesa di compiere azioni umanitarie volte ad aiutare i paesi più deboli.
Matei Vișniec inserisce ironicamente il Cabaret Dada nelle assurdità dell’ideologia comunista e in quelle del mondo globalizzato. Il primo, che diventa l’oggetto di discussione nel dialogo tra il fotografo e la sua ragazza: «Il comunismo è una soluzione rivoluzionaria di organizzazione della società tramite l’abolizione della proprietà privata e la gestione in comune della ricchezza nazionale», viene trasformato nella pièce esattamente nel suo opposto: «Viva il comunismo dadaista…». Attraverso quest’affermazione, pronunciata dai rivoluzionari (i personaggi della pièce che appaiono nella scena 22), il drammaturgo ha voluto nella derisione togliere al comunismo il suo apparente rigore, la sua rigida ideologia, le sue forme sclerotizzate e paranoiche per enfatizzarne le stravaganze, le assurdità e le sue più profonde contraddizioni interne, tipiche invece del Dadaismo (per evocare forse il mondo globalizzato), proseguendo con affermazioni del tipo: «Il solo interlocutore serio del comunismo è Dada…»; «Dada e il comunismo si nutriranno reciprocamente, avanzeranno mano nella mano, inventeranno parole nuove senza contenuto…» e infine «Dada significa tutto, quindi Dada vuol dire comunismo, comunismo non significa nulla, quindi Dada vuol dire tutto… ».
Sempre attraverso un’esasperazione grottesca della dittatura comunista, il drammaturgo mette inoltre in scena dei dialoghi inquisitori tra Il Signor Dada e Tristan Tzara/Lenin. Si tratta di colloqui apparentemente incoerenti, ripetuti più volte all’interno della pièce, che sembrano alludere agli interrogatori della polizia segreta di stato, la Securitate, negli anni più bui del comunismo di Ceauşescu.
In Romania, come negli altri paesi sotto l’influenza dell’Unione Sovietica, gli interrogatori avevano lo scopo principale di mantenere in funzione la macchina del terrore, su cui si basa ogni regime totalitario. Infatti, come sostiene Hannah Arendt, un regime raggiunge il suo apice quando le vittime vengono scelte in modo del tutto casuale e arbitrario. Tutto ciò accade nel momento in cui le dinamiche totalitarie eccedono ogni criterio tradizionale di potere, quando la polizia segreta entra in azione persino dopo aver liquidato l’opposizione, per passare infine a ottenere il dominio totale. [22] Tuttavia – avverte Matei Vișniec – nessun governo contemporaneo è del tutto immune da questa possibile deriva: «Tutti sanno qualcosa su come funzionava l’indottrinamento all’epoca del comunismo. Alcuni l’hanno vissuto […] e le nuove generazioni hanno scoperto diverse cose […]. Tuttavia, viene poco analizzato l’indottrinamento del mondo occidentale e della nuova era capitalistica» [23].
Ciò accade, come sostiene Byung-Chul Han, per il semplice fatto che la società odierna, non avendo un senso di appartenenza, non avendo un «noi», vive nell’indifferenza e nell’apatia politica, accompagnata da una crescente infantilizzazione della società, evidente nell’uso della propria lingua demolita dal linguaggio dei tweet e dei like [24] (nel Cabaret Dada, infatti, si legge: «La distruzione della lingua è fondamentale per la vittoria di Dada, per instaurare l’idiota universale… L’idiota universale dovrà parlare per luoghi comuni e per cliché»). In tali condizioni, non potrà mai mettersi in opera un agire comune che sviluppi un senso critico di fronte a nuove forme di «indottrinamento». Inoltre, come nota Vișniec, si tratta di una forma di potere molto più subdola e complessa:

Su come ci indottrina la società dei consumi e soprattutto sulla dottrina ultraliberale che è stata dominante negli ultimi due decenni si parla molto meno. […] perché si tratta di una forma di lavaggio del cervello più sottile, meno diretta di una puramente ideologica. È una forma di indottrinamento infinitamente più complessa con la quale noi stessi siamo complici e a cui partecipa la macchina mediatica e la nostra fame di immagini, i nostri complessi storici e soprattutto la distanza, […] siamo lontani dal nostro modello supremo che è quello americano [25]

A differenza dell’indottrinamento indiretto da parte di un potere permissivo come quello della società dei consumi e del mondo globalizzato, il potere totalitario, che limita la libertà dell’individuo, deve ricorrere a divieti e comandi per poter far valere la sua voce, perché in una dittatura il cittadino avverte la legge come un’imposizione estranea, che non gli appartiene e che non tutela la sua libertà. In una situazione del genere, la propagazione del potere risulta essere molto fragile perché incontra prima o poi la resistenza del popolo ed è quindi destinata al fallimento. In uno stato di diritto presente nel mondo globalizzato, invece, il cittadino non avverte l’ordinamento giuridico come una costrizione estranea: anzi, esso rappresenta per lui la sua stessa libertà. [26]
In realtà, questi due tipi di potere, che agiscono secondo logiche divergenti, non sono molto diversi tra loro; ciò che fa la differenza è soltanto la mediazione tra stato e cittadino. Più è carente la mediazione tra i due, più costrizioni si producono. Mentre più è alto il livello di mediazione, che consente al potere e alla libertà di corrispondersi, più il potere è stabile. [27]
In un altro articolo, Vișniec dichiara che il comunismo è stato sconfitto dal punto di vista ideologico dalle etichette, dalle «buste» e dagli «imballaggi occidentali». Probabilmente nessuno, a parte Vișniec, aveva mai considerato la loro forza sovversiva, il cui effetto sugli individui negli anni del comunismo in Romania è stato molto più forte di quanto si possa pensare: «tutti i prodotti che arrivavano avevano un doppio impatto, uno estetico e l’altro emozionale […] nessuno buttava un imballaggio venuto dall’Occidente» [28]. Questi oggetti, introvabili nei paesi dell’est Europa, recavano con sé un messaggio anti-comunista, e siccome in tali paesi non c’era libertà d’espressione, gli individui protestavano con l’uso delle buste di plastica. È come se queste portassero con sé la scritta «abbasso il comunismo».
Il comunismo però è caduto, e da quel momento in poi il capitalismo non ha più avuto una reale minaccia in grado di sovvertirlo. Neanche il terrorismo islamico è stato capace di mettere seriamente in discussione il sistema capitalistico. Gli eccessi di questo nuovo apparato non vengono tuttavia notati dalla maggior parte degli europei dell’Est, che non da molto tempo sono sfuggiti al comunismo, e che hanno la tendenza a passare facilmente da un estremo all’altro, autocensurandosi di fronte all’evoluzione dell’ultra-liberalismo [29]. Le aberrazioni del capitalismo vengono oggi analizzate, con grande spirito critico, soprattutto dagli occidentali, afferma il drammaturgo, in particolar modo dagli americani che non disdegnano di mettere in discussione proprio il loro modello. Tra questi, Matei Vișniec menziona lo scrittore Neil Postman e il suo libro Amusing Ourselves to Death del 1985 [30], con cui viene denunciato l’abbrutimento dell’uomo nell’assopimento critico richiesto dall’entertainment e il modo in cui la televisione distrugge la democrazia.
Importata dagli Stati Uniti, la tv commerciale e i suoi format improntati alla spettacolarizzazione della mediocrità e, negli ultimi tempi, del cattivo gusto,sono penetrati poi anche in Europa, diffondendosi in maniera capillare e rispondendo alle stesse esigenze d’evasione dello spettatore oltreoceano, giungendo anche negli ex paesi comunisti, i più affamati, forse, fra tutti di libertà e di sapere. Nel Cabaret Dada Matei Vișniec non manca di affrontare anche il fenomeno tv, creando appositamente delle scene ambientate in un «banale studio televisivo». Ad esempio la scena 28, la penultima della pièce, descrive in maniera realistica, senza dover ricorrere all’assurdo e al nonsense – per il semplice fatto che in tale contesto la realtà non ha bisogno dell’immaginazione letteraria per sembrare ridicola –, ciò che accade in uno dei tanti programmi «culturali»a cui il pubblico globalizzato è ormai abituato da tempo ad assistere passivamente e talvolta con delizia.
Concludere una trasmissione televisiva con un litigio, oppure semplicemente basarla su di esso, è diventato ormai un cliché a cui oggi la maggior parte dei reality non può rinunciare (e in questo anche i social hanno imparato bene la lezione dal loro predecessore dal tubo catodico), poiché sono consapevoli che lo spettatore di massa, vedendoli, provi un certo godimento e una certa libertà dalla propria vita quotidiana spesso circondata da insoddisfazioni, creando così una riserva di positività e riducendo, per converso, tutti i suoi malcontenti, almeno per qualche ora e delle volte anche per giornate intere. Però come tutti gli eccessi, che vanno oltre la propria economia del profitto, possono generare un intasamento, un ostacolo, e portare al collasso un sistema: a un certo punto la comunicazione potrebbe non comunicare più nulla, l’informazione non informare più nessuno e la produzione non essere più produttiva, dando luogo così a una «catastrofe per reversione totale» [31], come scrive Baudrillard in La trasparenza del male: un cancro che divora le proprie cellule.
Il rischio che si corre potrebbe essere dunque quello di un’irreversibile implosione, come avverte Han; non essendoci più nemici visibili poiché sono quasi tutti morti insieme alle dittature e alla caduta del muro di Berlino, tutta la pressione che una volta veniva esercitata verso l’esterno ora non farebbe altro che dirigersi verso l’interno, producendo tensioni e rifiuti che potrebbero far scoppiare il sistema dal didentro. [32] Bisognerebbe in un certo senso farsi spingere dall’esasperazione, dalla nausea per poter affrancarsi da un sistema ormai corrotto, protestare «a suon di pugni di tutto il proprio essere teso nell’azione distruttiva», avrebbe detto Tristan Tzara parlando del Disgusto dadaista nel Manifesto del 1918 [33]. Ma fortunatamente la sua dichiarazione poetica sopravvive e resiste nel Cabaret Dada di Matei Vișniec; meno fortunato invece è il fatto che, a distanza di un secolo, poco o nulla si possa fare, forse, per impedire che tale fenomeno si ripeta ciclicamente.

Irma Carannante




Di seguito, per gentile concessione dell’Editore, frammenti tratti dal volume Matei Vișniec, Il Cabaret Dada, testo romeno a fronte, traduzione e cura di Irma Carannante, Criterion Editrice, Milano 2022.





Da «Il Cabaret Dada»

SCENA 5


Vengono proiettate le terribili scene della prima guerra mondiale, inframezzate da altre in cui i fondatori del Dadaismo dicono quel che pensano di DADA.

TRISTAN TZARA: No, Signore e Signori, noi non abbiamo inventato il Dadaismo.
HUGO BALL: Il Dadaismo è stato inventato da uno studente serbo di nome Gavrilo Princip che il 28 giugno del 1914 ha ucciso con una pistola, a Sarajevo, l’arciduca Francesco Ferdinando, l’erede al trono imperiale austro-ungarico, e sua moglie, la duchessa di Hohenberg.
EMMY HENNINGS: Il Dadaismo è stato inventato da un certo Fritz Haber, ebreo tedesco, che nel 1918 ha vinto il premio Nobel per le sue ricerche sui gas tossici. In seguito un membro della sua famiglia è morto nelle camere a gas a Auschwitz.
RICHARD HUELSENBECK: Il Dadaismo è stato inventato una bella mattina del 22 aprile a Ypres, in Belgio, dove l’esercito tedesco ha lanciato il primo attacco con il gas mostarda, chiamato poi iprite. I volti dei mille soldati francesi uccisi hanno in seguito ispirato alcuni pittori espressionisti.
MARCEL IANCU: Il Dadaismo è stato inventato anche da un’unità canadese sul fronte di Ypres. Per difendersi dai gas tossici tedeschi, i soldati canadesi urinavano su fazzoletti e stracci mettendoseli poi in faccia. L’ammoniaca contenuta nell’urina reagiva al cloro dei gas tossici attenuandone gli effetti soffocanti.
JEAN ARP: Il Dadaismo è stato inventato il 22 agosto del 1914 nella provincia belga del Lussemburgo, non lontano da Rossignol, dove l’esercito francese ha perso in un solo giorno 27.000 soldati.
SOPHIE TAUEBER: Il Dadaismo è stato inventato dai cavalli. Per la precisione, da quel milione di cavalli morti durante la prima guerra mondiale.
TRISTAN TZARA: No, Signore e Signori, non siamo stati noi ad inventare il Dadaismo. Il Dadaismo è stato inventato nel dicembre del 1914 quando i soldati francesi e tedeschi, sebbene tra di loro fossero nemici, hanno voluto festeggiare insieme il Natale sul fronte, tra le due trincee.

 

SCENA 17
(La conferenza segreta e universale dei vegliardi)


I vegliardi appaiono uno alla volta, solenni e austeri. Ognuno di loro porta al collo un’etichetta indicante il paese di provenienza. Circa quindici personaggi sono sufficienti per dare sapore e mistero a questa scena.

I paesi rappresentati sono: Francia, l’Impero britannico, l’Impero asburgico, l’Impero germanico, l’Impero ottomano, l’Impero russo, il Regno d’Italia, l’Impero giapponese, il Regno di Serbia, il Regno di Romania, il Regno di Grecia, il Sultanato d’Egitto, gli Stati Uniti, ecc.
Alcuni vegliardi, invitati alla conferenza segreta, hanno ancora un passo abbastanza deciso, altri invece avanzano tremando, altri ancora si aiutano con un bastone o si fanno aiutare da qualche valletto. Tre o quattro appaiono su delle sedie a rotelle con cui si muovono da soli, altri vengono spinti da degli individui con dei camici bianchi che hanno tutta l’aria di essere dei dottori. Due o tre vegliardi vengono portati sul letto di morte, con tutta una serie di tubi che escono dalle loro bocche o dalle loro vene per la trasfusione del sangue. Alcuni rantolano, altri sputano, altri ancora hanno un respiro così corto da produrre una specie di sibilo. Per questa scena può essere realizzato un grande concerto di rumori prodotti dai vari organi: cuori che battono in maniera irregolare, pance da cui si sentono i brontolii dello stomaco, ani che sprigionano gas…
I vegliardi si posizionano intorno al tavolo della conferenza. Ciascuno saluta il proprio vicino, hanno luogo effusioni di simpatia, alcuni si abbracciano fragorosamente, ad alcuni scende persino una lacrima.
Infine, il VEGLIARDO1, colui che conduce la conferenza, batte un martelletto da giudice e chiede che venga fatto silenzio.

VEGLIARDO 1: Silenzio, per favore. Silence. Silenzio, silenzio! Meine Herren… Chiudete il becco, per favore! Achtung! Non perdiamo tempo, che non ne abbiamo abbastanza… Dunque… Siamo tutti d’accordo che le cose così non vanno bene. I nostri figli sono dei mascalzoni.

Tutti i vegliardi approvano urlando, scuotendo la testa, battendo i pugni sul tavolo e i bastoni a terra.

VEGLIARDO 1: Silenzio! Siamo d’accordo sul fatto che non sopportiamo più i nostri figli, che li odiamo. Questi delinquenti non desiderano altro che vederci andare all’altro mondo. Questo vogliono, prenderci il posto il prima possibile. Vogliono prendere possesso dei nostri beni per andare a puttane, nei casinò, nei cabaret e alle corse dei cavalli.

Applausi, reazioni di esaltata approvazione.

VEGLIARDO 1: Nel nostro seno abbiamo covato delle serpi. Cosa possono mai volere questi ingrati se non prenderci il posto, se non fare quello che vogliono con i nostri soldi, con le nostre case, con le nostre carrozze, con i nostri negozi, con le nostre aziende, con la nostra industria, con le nostre banche, con tutto quello che abbiamo messo da parte… Diciamolo chiaramente, qui, a questa Conferenza segreta: i nostri figli desiderano la nostra morte!

Vive reazioni di approvazione. Uno dei vegliardi soffoca per l’indignazione e viene soccorso da un infermiere che gli dà da bere dello sciroppo.

VEGLIARDO 1: Bene, noi però ci rifiutiamo di farci defraudare, di subire quest’abuso, di essere messi in panchina, sputati in faccia, presi in giro… No!
VEGLIARDO: No! Giammai! Basta!
VEGLIARDO 1: Signori, miei cari amici, miei commorenti… Per far abbassare la cresta a questi parricidi bisogna che inventiamo qualcosa di nuovo…
VEGLIARDO 2: La maggiore età a 60 anni!
VEGLIARDO 3: Prolungamento della leva! Quindici anni di servizio militare obbligatorio.
Applausi, ovazioni.
VEGLIARDO 4: Una nuova rivoluzione in tutti i nostri paesi. Tutte le rivoluzioni finiscono col divorare i propri figli. Mandiamoli tra le fauci di una nuova rivoluzione!

Applausi, chiasso.

VEGLIARDO 5: Le rivoluzioni non sono sufficienti. Abbiamo bisogno di nuove guerre. Sono passati quarant’anni da quando non abbiamo più avuto una vera guerra in Europa.
VEGLIARDO 1: Sì, abbiamo bisogno di una guerra, ma questa volta abbiamo bisogno di una grande guerra, immensa. Une grande guerre. Una guerra mai vista prima. Signori, siete qui per valutare la nuova invenzione del nostro comitato di saggi: la guerra mondiale!
TUTTI I VEGLIARDI: Ohoho!
VEGLIARDO 1: Bene… Bene… la prossima guerra, se Dio ci aiuta e se sapremo cosa fare, non risparmierà nessun impero, nessun regno, nessuno stato… Arruoleremo tutti questi rammolliti, tutti questi approfittatori, tutti questi mocciosi e li manderemo a combattere in una lunga guerra…
VEGLIARDO 2: Di un anno!
VEGLIARDO 3: Di due anni!
VEGLIARDO 4: Di tre anni!
VEGLIARDO 5: Di quattro anni!
VEGLIARDO 1: Fate un po’ di silenzio, per favore… Silence! Achtung! Dunque, per ricapitolare… Il nostro piano consiste nella creazione di una macchina ufficiale, internazionale, emozionale, eroica e irreversibile destinata ad uccidere i nostri figli… Siamo d’accordo?
VEGLIARDO: Sìììì… Oui… Yes…
VEGLIARDO 1: Il nostro problema consiste pertanto nell’ucciderli nel maggior numero e nel minor tempo possibile, prima della nostra morte. È evidente che non possiamo ucciderli con le nostre mani. Ma possiamo orchestrare tutto in modo tale da… i francesi uccideranno i figli dei tedeschi e i tedeschi i figli dei francesi…
VEGLIARDO 2: I russi uccideranno i figli dei tedeschi e i tedeschi i figli dei russi…
VEGLIARDO 3: I turchi uccideranno i figli dei russi e i russi i figli dei turchi…
VEGLIARDO 4: Gli austriaci uccideranno i figli degli italiani e gli italiani i figli degli austriaci…
VEGLIARDO 1: In breve… Il nostro patto, oggi, sarà: noi uccidiamo i vostri figli e voi uccidete i nostri… […]

 

SCENA 27


TRISTAN TZARA e tutti gli altri personaggi, stanchi morti, si siedono all’estremità del palcoscenico. Si passano una bottiglia d’acqua e poi un asciugamano col quale si detergono il sudore. Una sigaretta passa di mano in mano.

– Ne abbiamo abbastanza…
– Signori, guardatevi.
– Siete venuti qui credendo di ottenere qualcosa.
– E ora siete delusi.
– Avete l’impressione di essere stati fregati.
– E neppure vi rendete conto che vi siete fregati da soli.
– Se vi vedeste, scoppiereste a ridere per il vostro aspetto.
– A noi vien da ridere, ma siamo persone educate.
– Non ridiamo mai del pubblico.
– Non gli diciamo mai quanto ci disgusta.
– Non gli sputiamo mai in faccia.
– A teatro c’è una legge non scritta che dice: non dite allo spettatore la verità, non lo insultate, non lo mandate al diavolo, non lo imbrattate di fango.
– Quindi, come vedete, non vi aggrediremo affatto.
– Non vi tratteremo come degli scarafaggi altezzosi e insignificanti.
– Non vi tratteremo come delle talpe, come delle zecche metafisiche o come dei pustolosi esistenziali.
– Non vi diremo che siete senza speranze.
– Non vi diremo che i vostri sguardi ci appaiono vuoti.
– Credete che noi dal palco queste cose non le vediamo?
– Sappiamo che i nostri sforzi di comunicarvi dei messaggi essenziali non hanno alcun risultato.
– Che non portano a niente.
– Che nei vostri cervelli il nulla si è annidato da molto tempo come una serpe.
– Sappiamo che ci siamo dimenati inutilmente, che abbiamo smosso dall’universo enormi cubi di bellezza senza che questi potessero essere visti.
– Signori e Signore, ci dispiace, ma una piccola cosa ve la dobbiamo pur dire.
– I vostri sguardi sono sordi.
– Le vostre orecchie sono mute.
– Il vostro olfatto è cieco.
– E il vostro tatto è balbuziente.
– Ogni volta in cui provate a comprendere ciò che vi diciamo…
– Dal vostro cervello si avverte uno stridio…
– Uno strepitìo…
– Un borbottamento…
– Come se Dio vomitasse nel vostro cervello…
– Sul serio, non ve la prendete…
– Vi diciamo tutte queste cose perché vi vogliamo bene.
– Dal nostro punto di vista voi siete lo spettacolo.
– Non avete idea di quanto ci divertiamo ogni sera vedendovi arrivare…
– Come prendete posto come degli animali ben addestrati…
– Come aspettate poi che accada qualcosa…
– Lo spettacolo della vostra attesa è entusiasmante…
– Delle volte ci emozioniamo fino alle lacrime, soprattutto quando vi vediamo realmente convinti di rimanere fino alla fine.
– Ci piace così tanto vedere le vostre reazioni…
– Sentirvi talvolta scoppiare a ridere…
– Non potete sapere quanto siano importanti per noi quei momenti in cui vi girate per sussurrarvi nelle orecchie insulsaggini varie.
– E comunque, dalla nostra prospettiva, ciò che vediamo non è altro che una sola testa.
– In altri termini, per noi siete soltanto un gigantesco miriapode che muove le sue migliaia di membra e le sue antenne, avendo però una sola testa.
– Una testa immensa, gorgogliante e pericolosa.
– Dai, ammettiamolo.
– Abbiamo paura di voi.
– Normalmente avreste dovuto cacciarci già da tanto tempo dal palcoscenico.
– Avreste dovuto prendere il nostro posto.
– Ma non l’avete fatto.
– È proprio per questo che abbiamo paura di voi.
– Della vostra placidità mostruosa.
– Perché sappiamo che un giorno non riuscirete più a controllarvi e ci divorerete.
– Ci massacrerete.
– Ci calpesterete.
– Assassini quali siete!
– Assassini!
– Criminali!
– Dadaisti!


(n. 9, settembre 2022, anno XII)




NOTE

[1] M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, Milano 1991, p. 30.
[2] La pièce è contenuta nel volume di M. Vișniec, Omul din care a fost extras răul, Cartea Românească, București 2014. Il titolo sintetizza il nome del noto locale d’intrattenimento, dai propositi artistici e politici, fondato a Zurigo nel 1916 da Hugo Ball e da Emmy Hennings, il Cabaret Voltaire, e il movimento rivoluzionario di rottura che ivi nacque, ovvero il Dadaismo.
[3] Per un approfondimento sull’autore si vedano i pregevoli studi di B. Crețu, Matei Vișniec: un optzecist atipic, Editura Universității «Alexandru Ioan Cuza», Iași 2005; E. David, Consecințele bilingvismului în teatrul lui Matei Vișniec, Editura Tracus Arte, București 2015.
[4] I. Boldea, Matei Vișniec: «Literatura era un baraj redutabil în faţa ideologiei, a cultului personalităţii», in «România literară», n. 50-51, 2012: https://arhiva.romanialiterara.com/index.pl/matei_viniec_literatura_era_un_baraj_redutabil_n_faa_ideologiei_a_cultului_personalitii.
[5] I personaggi delle sue pièce sono generalmente coinvolti in dialoghi intertestuali, volti a illustrare il senso fisico e organico della «decomposizione», nella trasformazione fluida dell’umano in fantoccio, e sono dunque portatori di un messaggio considerato sovversivo per il regime ceaușista. Si veda G. Losseroy, Matéï Visniec o l’esperienza vampirica, trad. it. di P. Aiguier, D. Piludu e G. Salidu,  in «Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali», numero tematico Il teatro di Matéï Visniec, impronta dei tempi, an. XV, n. 1, apr. 2009, Titivillus, Corazzano, pp. 16-18.
[6] Estratto dalla conferenza «Teatro e giornalismo», tenuta da Matei Vișniec il 17 gennaio 2016, alle 11:00, nella Sala Atelier al Teatro Nazionale di Bucarest.
[7] Ibidem.
[8] D. Noguez, Lénine Dada, Éditions Robert Laffont, Paris 1989.
[9] T. Sandqvist, Dada East: The Romanians of Cabaret Voltaire, The MIT Press, Cambridge 2006.
[10] M. Dachy, Dada & les dadaïsmes, Gallimard, Paris 1994.
[11] M. Vișniec, Omul din care a fost extras răul, cit., p. 217.
[12] Ibidem.
[13] T. Tzara, Primele poeme ale lui Tristan Tzara și insurecția de la Zürich, prezentată de S. Pană, Editura Cartea Românească, București 1971, pp. 5-6.
[14] Ibi, pp. 7-8.
[15] Id., Poésies complètes, édition préparée et présentée par H. Behar, Flammarion, Paris 2011, p. 53.
[16] Ibi, p. 55.
[17] Ricordando i Vegliardi del Cabaret Dada, Vișniec descrive così gli uomini di potere in un suo articolo: «Ai tavoli dove si sono riuniti gli “architetti” del mondo globale […], coloro che ci organizzano la vita e il futuro sono esclusivamente dei commercianti e dei banchieri, […] hanno bisogno di uno spazio vasto, senza interdizioni, in cui possano circolare liberamente le merci e non gli uomini, le imprese e non la democrazia, i soldi e non le idee» (M. Vișniec, Când capitalismul ne spală creierul, in «Atelier LiterNet», 06 nov. 2010, https://atelier.liternet.ro/articol/10068/Matei-Visniec/Cand-capitalismul-ne-spala-creierul.html).
[18] Ibidem.
[19] Cfr. L. Boia, De ce este România altfel?, ediția a II-a, adăugită, Humanitas, București 2013, pp. 130-133.
[20] Per un approfondimento vedi M. Alberti, L’esercito industriale di riserva, in «Marxismo Oggi», 10 mag. 2017, https://www.marxismo-oggi.it/9-lessico-marxiano/198-sovrappopolazione-relativa.
[21] K. Marx, Opere complete. Il capitale, vol. XXXI, a cura di R. Fineschi, La Città del Sole, Napoli 2012, pp. 788-789.
[22] Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. di A. Guadagnin, Einaudi, Torino 2009, pp. 574-595.
[23] M. Vișniec, Când capitalismul ne spală creierul, cit.
[24] B.-C. Han, Topologia della violenza, trad. it. di S. Buttazzi, Nottetempo, Milano 2020, p. 175.
[25] M. Vișniec, Când capitalismul ne spală creierul, cit.
[26] B.-C. Han, Che cos’è il potere?, trad. it. di S. Buttazzi, Nottetempo, Milano 2019, p. 30.
[27] Ibi, pp. 23-24.
[28] M. Vișniec, Disertație despre rolul ambalajelor occidentale în căderea comunismului, in «Atelier LiterNet», 20 nov. 2010: https://atelier.liternet.ro/articol/10127/Matei-Visniec/Disertatie-despre-rolul-ambalajelor-occidentale-in-caderea-comunismului.html.
[29] M. Vișniec, Când capitalismul ne spală creierul, cit.
[30] N. Postman, Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business, Viking Penguin, New York 1985.
[31] J. Baudrillard, La trasparenza del male. Saggio sui fenomeni estremi, trad. it. di F. Marsciani, Sugarco, Milano 2018, p. 117.
[32] B.-C. Han, Topologia della violenza, cit., p. 176.
[33] Il Manifesto Dada del 1918 è il primo manifesto del movimento ed è stato scritto da Tristan Tzara e pubblicato nello stesso anno sul n. 3 della rivista zurighese «Dada».