Il canto «Tamar» di Angelo Manitta, visto dalla traduttrice Fondatore della rivista internazionale «Il Convivio» e dell’omonima Accademia, della rivista di Scienze Umane «Letteratura e pensiero», il professor Angelo Manitta è autore di numerosi e interessanti libri di letteratura (poesia e narrativa, storia, critica letteraria e saggistica) apprezzati e tradotti in diverse lingue, come il poema fiume Big bang. Canto del villaggio globale, «una grandiosa e ricchissima opera, folta di reinventati personaggi della storia e della letteratura… un poema unico nei nostri tempi per complessità e invenzione», per citare G. Bàrberi Squarotti. Sono tante le cose da dire sulla ricchezza contenutistica di questo enorme poema e sulla sua struttura poetica, nella quale si combinano forme originalissime di versificazione e di stile, come risulta dalle numerose prefazioni e presentazioni del poema intero o dei suoi singoli canti. Ma questa fiaba non è più quella raccontata ai bambini, con Principi Azzurri e Fate Morgane, perché nell’atmosfera delle notti in cui nascono le «passioni delle antiche mietitrici» (pasiuni ale vechilor secerătoare), «I cuori mutevoli degli amanti / bruciano polverosi libri, / asciugano frasi d’amore, / sfilano capelli innamorati / con mani in tempesta e fiocchi / … vestiti d’ombre di luce, / mutata in braccia fanciulle.” (Inimile schimbătoare ale iubiților / ard cărți prăfuite, usucă fraze de dragoste, pictează fire de păr îndrăgostite / cu mâini tempestuoase și fulguinde … / învăluiți în umbre de lumină, / ce devin brațe de fete). La drammatica vicenda, che segue il malefico piano costruito da Amnon nella sua mente, viene annunciata con versi che colpiscono per l’innaturale domanda che il principe fa a sé stesso: «Come può restare intoccata / una vergine dagli occhi di dea? / Il suo viso strazia e transuma / le mie notti accaldate d’amore. / Lubrici sensi travolgono / i miei pensieri. Mille volte / mi sono detto di amarla, / ma mille volte il suo viso / è sparito nella nebbia di miele. / Mi sono ritrovato vuoto, / e ho tentato di comporre parole / d’amore, canti di poesia, / ma il corpo debole non sopporta / ondulate ciocche di zafferano, / sparse al vento: il cuore / sembra fermarsi d’un tratto», (Cum poate rămâne neatinsă / o fecioară cu ochi de zeiță? / Chipul ei chinuie și schimbă sensul / nopților mele încălzite de dragoste. / Porniri desfrânate îmi tulbură / gândurile. De o mie de ori / mi-am spus că o iubesc, / dar de o mie de ori fața sa / a dispărut în ceața de miere. M-am trezit gol, / și am încercat să compun cuvinte / de dragoste, cântece, poezii, / dar trupul slab nu suportă / șuvițe ondulate de șofran, / împrăștiate în vânt: inima-mi / pare că se oprește brusc). Tamar diventa un’ossessione per Amnon, che troverà, aiutato dal suo amico altrettanto cattivo, Ionadab, un giovane «amico di evasioni notturne», il vile metodo della menzogna per avvicinarsi alla sorella: «Tamar, Tamar, Tamar, / quale dolce parola il tuo nome, / quale bellezza interiore nasconde / il tuo turgido volto d’orgasmo, / quale emozione d’angelica frenesia / suscitano i tuoi teneri sguardi. / Le tue parole sono più belle / della voce di Dio. Non senti, / tu, come ribolle il mio cuore? / Non senti quale vorace passione / travolge il mio corpo? Anche il tuo, / io m’immagino, è prigione d’amore». (Tamar, Tamar, Tamar, / ce cuvânt dulce e numele tău, / ce frumusețe interioară ascunde / chipul tău dăruitor de plăceri, / ce emoție de frenezie angelică / trezesc privirile tale duioase. / Cuvintele tale sunt mai frumoase / decât chiar vocea lui Dumnezeu. Nu auzi, / tu, cum se înfierbântă inima mea? / Nu simți ce pasiune lacomă / îmi doboară trupul? Chiar și al tău, / bănuiesc, este o închisoare a iubirii). Impressionante è la scena della violazione di Tamar, paragonata a una «colomba bianca», simbolo della sua purezza: «Le braccia robuste afferrano / il candido corpo. Il debole / sguardo si ferma nel vuoto. / La bianca colomba, trafitta / dal falco, resta ferma / tra gli artigli acuminati. La carne, / violata, si macchia di sangue, / gli occhi verdi di giovinezza / si spengono in un lago di pianto. / L’intimo dolore della violenza / provoca, nell’altro, morboso / piacere di frivoli impulsi. / La colomba sbranata dal nibbio / emette labili grida, / silenziosi lamenti di morte, / annichilimento d’animo e sensi». (Puternicele brațe prind / corpul candid. Privirea slabă / se oprește în gol. / Porumbelul alb, străpuns / de șoim, rămâne nemișcat / între ghearele ascuțite. Carnea, / violată, se pătează de sânge, / ochii verzi ai tinereții / se sting într-un lac de plânset. / Durerea intimă a violenței / provoacă, în celălalt, morbida / plăcerea a impulsurilor frivole. / Porumbelul sfâșiat de dihanie / abia mai poate să geamă, / plânsul său este o tăcere a morții, / uciderea sufletului și a simțurilor). Che bel ritratto di Tamar invece costruisce poi Assalonne, il fratello buono, per consolarla, vedendola come fosse una dea: «Sorella dagli occhi di luce, / Tamar dallo sguardo di stelle, / dal viso di luna, perché hai mutato / i tuoi occhi in tenebre, il tuo sguardo / in vuoto, il tuo viso in eclissi? / Tamar, sorella del cuore, / affetto dei giorni, non svuotare / la tua anima, ti prego. Tu svuoti / la mia vita di fratello smarrito, / d’amore che genera pianto. / Non dirmi, no, che Amnon / ha violato il tuo corpo di cristallo. / Non dirmi, no, che Amnon / ha violato la tua anima e spezzato / il respiro. Non dirmi, no, / che ha svuotato i tuoi sensi e ucciso / il desiderio. Amnon ha violato / i tuoi pensieri, ha distrutto le emozioni, / lurido bastardo, morboso / puttaniere che non distingue una sorella / da una madre, un’amica da una puttana. / Taci, sorella, taci. / Non annegare nella tua ferita, / il colore dei corimbi si riaccende». (Sora mea cu ochi de lumină, / Tamar cu clipiri de stele, / cu chipul de lună, de ce ți s-au schimbat / ochii tăi în întuneric, privirea ta / în gol, fața ta în eclipsă? / Tamar, sora inimii mele, / iubirea zilelor, nu-ți goli / sufletul, te rog. Tu sărăcești / și viața mea de frate pierdut, / de dragostea care generează lacrimi. / Nu-mi spune, nu, că Amnon / ți-a violat corpul de cristal. / Nu-mi spune, nu, că Amnon / ți-a violat sufletul și ți-a tăiat / respirația. Nu-mi spune, nu, / că ți-a rănit simțurile și a ucis / dorinţa. Amnon a violat / gândurile tale, ți-a distrus emoțiile, / ticălos murdar, morbid / curvăner care nu deosebește o soră / de o mamă, o prietenă de o curvă. / Taci, sora mea, taci. / Nu te îneca în rana ta, / se reaprinde culoarea corimbelor). Il poeta è riuscito a penetrare tutti i momenti drammatici di questa storia, i rapporti fra i tre fratelli, ma soprattutto il fatto che Amnon ha violato non solo il corpo di Tamar, ma anche la sua anima, la sua mente. È qui il merito di Manitta, che dimostra di essere un sottile psicologo, che sa leggere nel profondo della coscienza umana in qualsiasi momento della vita.
Otilia Doroteea Borcia
(n. 6, giugno 2022, anno XII) NOTE 1. La storia è quella della regina Berenice, moglie di Tolomeo III Evergete che, appena assunto il potere, dovette abbandonare l’Egitto per prendere parte a una campagna militare in Siria: in quell’occasione Berenice fece voto solenne di consacrare ad Afrodite la sua bellissima chioma, se il marito fosse tornato sano e salvo. Al ritorno di Tolomeo ella mantenne la promessa, ma la chioma dopo qualche tempo sparì. Conone, l’astronomo di corte, affermò allora di averla ritrovata in cielo sotto forma di una costellazione che tutt’oggi è chiamata «Chioma di Berenice». Il racconto è narrato, secondo un punto di vista straniante, in prima persona dalla chioma stessa, che, dopo aver ricordato l’accaduto e la sua ‘apoteosi’, si dichiara fiera di aver ricevuto quest’onore dagli dei, ma è anche triste per il fatto che non godrà più di tutte le cure regali che le riservava la sua padrona, per le quali rinuncerebbe al catasterism (cfr. https://it.wikipedia.org› wiki). |