Il canto «Tamar» di Angelo Manitta, visto dalla traduttrice

Fondatore della rivista internazionale «Il Convivio» e dell’omonima Accademia, della rivista di Scienze Umane «Letteratura e pensiero», il professor Angelo Manitta è autore di numerosi e interessanti libri di letteratura (poesia e narrativa, storia, critica letteraria e saggistica) apprezzati e tradotti in diverse lingue, come il poema fiume Big bang. Canto del villaggio globale, «una grandiosa e ricchissima opera, folta di reinventati personaggi della storia e della letteratura… un poema unico nei nostri tempi per complessità e invenzione», per citare G. Bàrberi Squarotti.
Partendo da fonti mitologiche, storiche e scientifiche, l’autore compie un viaggio straordinario nel tempo e nello spazio per identificare l’origine del mondo e i segreti galattici da cui partire per seguire i tratti salienti della storia dell’umanità, con eventi che trattano di pace e guerra, di vittorie e sconfitte, di azioni quotidiane e sentimenti umani, in cui si riconoscono alcuni dei momenti più importanti della nostra vita e del nostro sapere. È incommensurabile l’orizzonte indagato dal poeta che, nelle oltre ottocento pagine di versi dedicati a dei, imperatori e re, presidenti di stati moderni e persone comuni, oppure a scienziati, artisti e personalità che hanno dato un certo contributo alla storia della civiltà universale, riesce a condurci su sentieri poco conosciuti alla ricerca di quel nucleo dal quale è nata la nostra storia millenaria.

Sono tante le cose da dire sulla ricchezza contenutistica di questo enorme poema e sulla sua struttura poetica, nella quale si combinano forme originalissime di versificazione e di stile, come risulta dalle numerose prefazioni e presentazioni del poema intero o dei suoi singoli canti.
Tra i canti rilevanti, dedicati a figure femminili del passato, fanno parte anche La chioma di Berenice (canto 79) e Tamar (canto 85), il primo tradotto in romeno qualche anno fa da Iulia Zenovia Rolle e il secondo, pubblicato adesso dalla casa editrice Eikon, e tradotto, sempre in romeno, da Otilia Doroteea Borcia, che firma queste righe. Mentre Berenice è un personaggio della storia egizia [1] che la fantasia dei poeti ha avvolto nel mito e legato a una realtà scientifica e astronomica, come prova il suo nome dato a una costellazione [2], Tamar (nome che in ebraico significa palma) è invece un personaggio ripreso dall’Antico Testamento. Era la figlia del re Davide, descritta nei Libri di Samuele come una bella principessa innocente, che aveva due fratelli: Assalonne, fratello per parte di padre e di madre, e Amnon, fratellastro per parte del padre, caratterizzato sin dall’inizio dal poeta come «reietto e alienato», il quale «s’innamora follemente del gracile corpo» della sorella, che poi violenta, offende e caccia via, come descrive nei versi: «il male d’amore / penetra, come spina, la sua flebile anima».

La tematica di questo poema, poco trattata ieri come oggi (anche se oggi emerge di più, nel contesto del diritto delle donne al lavoro e alla promozione professionale e sociale), è di massima attualità, perché, come accenna Corrado Calabrò, il prefatore del volume, «questo canto di Angelo Manitta ci fa sentire in modo vivo, coinvolgente, il pathos di una vicenda che ci mette prepotentemente sotto gli occhi realtà che sono anche dei nostri giorni, dinanzi alle quali volgiamo altrove lo sguardo». «L’ingiustizia subita da tante donne offese, prima dalla violenza e poi dall’incomprensione che spesso le accompagna» è denunciata dal poeta che diventa in questo modo un nobile sostenitore delle buone cause umanitarie, del rispetto dovuto alle donne – madri, mogli, figlie – e un vero cantore degli ideali della civiltà cavalleresco-cortese.
Io vorrei esprimere solo il sentimento di empatia che ho trovato traducendo i versi di questo poemetto, in cui i ritratti dei personaggi – buoni e cattivi – e le descrizioni degli ambienti e delle vicende sono creati con un lessico degno del più bel pennello di un pittore. Le metafore, gli epiteti e le immagini poetiche, che presentano ai nostri occhi uno scenario vivo, ci commuovono. Sin dall’inizio, una strofa come: «Una montagna di luce si riversa / sulle ombre fugaci del giorno, / i passi veloci slittano / su vaghi profili di astri». (Un munte de lumină se revarsă / pe umbrele trecătoare ale zilei, / pași repezi alunecă / pe profiluri gingașe de stele), introduce il lettore in uno spazio poetico degno di una bellissima fiaba.

Ma questa fiaba non è più quella raccontata ai bambini, con Principi Azzurri e Fate Morgane, perché nell’atmosfera delle notti in cui nascono le «passioni delle antiche mietitrici» (pasiuni ale vechilor secerătoare), «I cuori mutevoli degli amanti / bruciano polverosi libri, / asciugano frasi d’amore, / sfilano capelli innamorati / con mani in tempesta e fiocchi / …  vestiti d’ombre di luce, / mutata in braccia fanciulle.” (Inimile schimbătoare ale iubiților / ard cărți prăfuite, usucă fraze de dragoste, pictează fire de păr îndrăgostite / cu mâini tempestuoase și fulguinde … / învăluiți în umbre de lumină, / ce devin brațe de fete).
Impressionante è la descrizione della trasformazione di Amnon in un uomo disonesto, in un crudele fratello incestuoso: «Il pallore della morte sprizza dagli sguardi / colorati di ciano, e Amnon sbianca / per Tamar, la sorella luminosa d’aurora, / vergine d’incestuoso possesso di sensi. / Lo sguardo sperduto nel vuoto, / il gran peso della primogenitura, / le dicerie della gente per strada: / contorti pensieri invadono / il cuore del figlio del re». (Paloarea morții țâșnește din privirile / de culoarea azurului, și Amnon pălește / tânjind la Tamar, sora strălucitoare a zorilor, / fecioară, cu un dor incestuos. / Privirea pierdută în gol, / povara de a fi primul născut, zvonurile oamenilor de pe stradă: / gânduri amestecate invadează / inima fiului regelui).

La drammatica vicenda, che segue il malefico piano costruito da Amnon nella sua mente, viene annunciata con versi che colpiscono per l’innaturale domanda che il principe fa a sé stesso: «Come può restare intoccata / una vergine dagli occhi di dea? / Il suo viso strazia e transuma / le mie notti accaldate d’amore. / Lubrici sensi travolgono / i miei pensieri. Mille volte / mi sono detto di amarla, / ma mille volte il suo viso / è sparito nella nebbia di miele. / Mi sono ritrovato vuoto, / e ho tentato di comporre parole / d’amore, canti di poesia, / ma il corpo debole non sopporta / ondulate ciocche di zafferano, / sparse al vento: il cuore / sembra fermarsi d’un tratto», (Cum poate rămâne neatinsă / o fecioară cu ochi de zeiță? / Chipul ei chinuie și schimbă sensul / nopților mele încălzite de dragoste. / Porniri desfrânate îmi tulbură / gândurile. De o mie de ori / mi-am spus că o iubesc, / dar de o mie de ori fața sa / a dispărut în ceața de miere. M-am trezit gol, / și am încercat să compun cuvinte / de dragoste, cântece, poezii, / dar trupul slab nu suportă / șuvițe ondulate de șofran, / împrăștiate în vânt: inima-mi / pare că se oprește brusc).

Tamar diventa un’ossessione per Amnon, che troverà, aiutato dal suo amico altrettanto cattivo, Ionadab, un giovane «amico di evasioni notturne», il vile metodo della menzogna per avvicinarsi alla sorella: «Tamar, Tamar, Tamar, / quale dolce parola il tuo nome, / quale bellezza interiore nasconde / il tuo turgido volto d’orgasmo, / quale emozione d’angelica frenesia / suscitano i tuoi teneri sguardi. / Le tue parole sono più belle / della voce di Dio. Non senti, / tu, come ribolle il mio cuore? / Non senti quale vorace passione / travolge il mio corpo? Anche il tuo, / io m’immagino, è prigione d’amore». (Tamar, Tamar, Tamar, / ce cuvânt dulce e numele tău, / ce frumusețe interioară ascunde / chipul tău dăruitor de plăceri, / ce emoție de frenezie angelică / trezesc privirile tale duioase. / Cuvintele tale sunt mai frumoase / decât chiar vocea lui Dumnezeu. Nu auzi, / tu, cum se înfierbântă inima mea? / Nu simți ce pasiune lacomă / îmi doboară trupul? Chiar și al tău, / bănuiesc, este o închisoare a iubirii).

Impressionante è la scena della violazione di Tamar, paragonata a una «colomba bianca», simbolo della sua purezza: «Le braccia robuste afferrano / il candido corpo. Il debole / sguardo si ferma nel vuoto. / La bianca colomba, trafitta / dal falco, resta ferma / tra gli artigli acuminati. La carne, / violata, si macchia di sangue, / gli occhi verdi di giovinezza / si spengono in un lago di pianto. / L’intimo dolore della violenza / provoca, nell’altro, morboso / piacere di frivoli impulsi. / La colomba sbranata dal nibbio / emette labili grida, / silenziosi lamenti di morte, / annichilimento d’animo e sensi». (Puternicele brațe prind / corpul candid. Privirea slabă / se oprește în gol. / Porumbelul alb, străpuns / de șoim, rămâne nemișcat / între ghearele ascuțite. Carnea, / violată, se pătează de sânge, / ochii verzi ai tinereții / se sting într-un lac de plânset. / Durerea intimă a violenței / provoacă, în celălalt, morbida / plăcerea a impulsurilor frivole. / Porumbelul sfâșiat de dihanie / abia mai poate să geamă, / plânsul său este o tăcere a morții, / uciderea sufletului și a simțurilor).

Che bel ritratto di Tamar invece costruisce poi Assalonne, il fratello buono, per consolarla, vedendola come fosse una dea: «Sorella dagli occhi di luce, / Tamar dallo sguardo di stelle, / dal viso di luna, perché hai mutato / i tuoi occhi in tenebre, il tuo sguardo / in vuoto, il tuo viso in eclissi? / Tamar, sorella del cuore, / affetto dei giorni, non svuotare / la tua anima, ti prego. Tu svuoti / la mia vita di fratello smarrito, / d’amore che genera pianto. / Non dirmi, no, che Amnon / ha violato il tuo corpo di cristallo. / Non dirmi, no, che Amnon / ha violato la tua anima e spezzato / il respiro. Non dirmi, no, / che ha svuotato i tuoi sensi e ucciso / il desiderio. Amnon ha violato / i tuoi pensieri, ha distrutto le emozioni, / lurido bastardo, morboso / puttaniere che non distingue una sorella / da una madre, un’amica da una puttana. / Taci, sorella, taci. / Non annegare nella tua ferita, / il colore dei corimbi si riaccende». (Sora mea cu ochi de lumină, / Tamar cu clipiri de stele, / cu chipul de lună, de ce ți s-au schimbat / ochii tăi în întuneric, privirea ta / în gol, fața ta în eclipsă? / Tamar, sora inimii mele, / iubirea zilelor, nu-ți goli / sufletul, te rog. Tu sărăcești / și viața mea de frate pierdut, / de dragostea care generează lacrimi. / Nu-mi spune, nu, că Amnon / ți-a violat corpul de cristal. / Nu-mi spune, nu, că Amnon / ți-a violat sufletul și ți-a tăiat / respirația. Nu-mi spune, nu, / că ți-a rănit simțurile și a ucis / dorinţa. Amnon a violat / gândurile tale, ți-a distrus emoțiile, / ticălos murdar, morbid / curvăner care nu deosebește o soră / de o mamă, o prietenă de o curvă. / Taci, sora mea, taci. / Nu te îneca în rana ta, / se reaprinde culoarea corimbelor).

Il poeta è riuscito a penetrare tutti i momenti drammatici di questa storia, i rapporti fra i tre fratelli, ma soprattutto il fatto che Amnon ha violato non solo il corpo di Tamar, ma anche la sua anima, la sua mente. È qui il merito di Manitta, che dimostra di essere un sottile psicologo, che sa leggere nel profondo della coscienza umana in qualsiasi momento della vita.
Con questa storia, che pur sembrando normale, perché accade troppo spesso, Angelo Manitta diventa un portavoce della giustizia sociale di noi tutti, in un mondo in cui continuano a esserci persone oltraggiate e ferite per tutta la vita, che invece di essere capite e aiutate a sopravvivere, subiscono anche ingiuste condanne perché non hanno saputo proteggersi dalle violenze. Oltre la forza poetica di questi versi, il poema ha una forza educativa, diventando un grido fortissimo di condanna delle malignità e ingiustizie commesse contro gli innocenti.
Ringrazio Angelo Manitta per avermi offerto l’opportunità di far conoscere la sua voce lirica ed epica, ma anche etica, nella letteratura del mio paese, la Romania, dove è già conosciuto come un pregiatissimo autore d’importanti volumi di poesia e di prosa.







Otilia Doroteea Borcia
(n. 6, giugno 2022, anno XII)


NOTE

1. La storia è quella della regina Berenice, moglie di Tolomeo III Evergete che, appena assunto il potere, dovette abbandonare l’Egitto per prendere parte a una campagna militare in Siria: in quell’occasione Berenice fece voto solenne di consacrare ad Afrodite la sua bellissima chioma, se il marito fosse tornato sano e salvo. Al ritorno di Tolomeo ella mantenne la promessa, ma la chioma dopo qualche tempo sparì. Conone, l’astronomo di corte, affermò allora di averla ritrovata in cielo sotto forma di una costellazione che tutt’oggi è chiamata «Chioma di Berenice». Il racconto è narrato, secondo un punto di vista straniante, in prima persona dalla chioma stessa, che, dopo aver ricordato l’accaduto e la sua ‘apoteosi’, si dichiara fiera di aver ricevuto quest’onore dagli dei, ma è anche triste per il fatto che non godrà più di tutte le cure regali che le riservava la sua padrona, per le quali rinuncerebbe al catasterism (cfr. https://it.wikipedia.org› wiki).
2. La Chioma di Berenice è una costellazione dal grande potere attrattivo. Introdotta da Eratostene, che fa riferimento alla corona di Arianna e poi ai riccioli di Berenice, è ubicata nell’emisfero Boreale; appare a sud est dell’Orsa Maggiore, a nord est del Leone, a ovest di Boote e a nord della Vergine. Nel tempo venne variamente identificata, fino a quando nel 1551, ad opera del cartografo olandese Gerardus Mercator, divenne una costellazione ufficiale e nel 1602 venne inserita definitivamente da Ticchio Brahe nel suo catalogo stellare. A forma di «V», la Chioma di Berenice è costituita da un gruppo di stelle decisamente modeste e riconoscibili al periodo primaverile, nello specifico nel mese di aprile. Cfr. https://www.passioneastronomia.it/la-chioma-di-berenice-tra-mito-e-realta/