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    Appunti di filologia testuale e restauro del cinema 
       
     
     Già gli anni ’70 e ’80 sono stati un periodo di crisi del cinema a più  livelli: non solo economica, ma anche per quanto riguarda la sperimentazione  formale; un cinema che sempre meno si manifesta come linguaggio ed esperienza  estetica originale sul mondo, divenendo sempre più uno spettacolo per le masse  affamate dello status socio-culturale derivante dal consumo di arte, di  quell’arte definita da Walter Benjamin «feticcio-merce». 
      «Uno degli arcani di cui il meretricio [della modernità] divenne  depositario solo con l’avvento della grande città, è la massa. La prostituzione  inaugura la possibilità di una comunione mistica con la massa. Ma l’avvento  della massa è contemporaneo a quello della produzione di massa» [1]. «In  verità, la civiltà industriale-burocratica che è risultata vittoriosa in Europa  e in Nord-America ha creato un nuovo tipo di uomo che si può descrivere come l’uomo  dell’organizzazione, come l’uomo automa, e come l’homo consumens [o oeconomicus]. Egli è, per di più, homo mechanicus; con  ciò intendo un uomo-aggeggio, profondamente attratto da tutto ciò che è  meccanico e orientato contro ciò che è vivo. [...] Il nostro scopo principale è  di produrre cose, e nel corso di questa idolatria per le cose, noi ci  trasformiamo in beni di consumo. Le persone vengono trattate come numeri. [...]  L’approccio agli uomini è astratto, intellettuale. Ci si interessa alle persone  come ad oggetti, alle loro proprietà comuni, alle regole statistiche del  comportamento di massa, non agli individui viventi. Tutto questo si accompagna  al crescente ruolo del sistema burocratico. In giganteschi centri di produzione,  in città giganti, gli uomini vengono amministrati come se fossero cose; [...]  Ma l’uomo non è destinato ad essere una cosa, se diventa una cosa viene  distrutto, e ancor prima che questo avvenga, egli è disperato e vuole uccidere  la vita» [2]. 
    Il gusto popolare, diceva Gramsci, «si è formato non alla lettura e alla  meditazione intima e individuale della poesia e dell’arte, ma nelle  manifestazioni collettive, oratorie e teatrali» [3]: quello del pubblico giovanile, in particolare, che è  divenuto in questi ultimi anni significativa parte in causa, anche per il suo  accresciuto potere economico diretto, si è costituito attraverso i mass  media e gli universi culturali della musica giovanile,rock specialmente.  «Si osservi come norma generale che quanto più freddo è il messaggio, secondo  la definizione di McLuhan, e più scarsa è la sua precisione, più iterativo  dev’essere il messaggio per compensare il  “rumore”  della  comunicazione» [4]. 
    
 In tale quadro, solo  la filologia letteraria può insegnarci non più a leggere e interpretare  soltanto un testo filmico, ma a possederlo nella sua interezza e ricostruirne  una sua pur incerta ermeneutica. Sono chiare le analogie con la letteratura,  soprattutto per quanto riguarda la trasmissione dei testi, poiché in entrambi i  casi la tradizione dei testi avviene mediante la copia. 
      Tuttavia, sia nel  cinema che in letteratura, la copia tramanda sì il testo, ma anche le sue  corruzioni e alterazioni, dato che ogni copia contiene degli errori. 
      Una prima suddivisione di massima può svolgersi lungo tre paragrafi: 
      1. L’omissione: ovvero un testo può  essere incompleto in quanto presenta delle parti mancanti concernenti singole  specifiche di testo; ma nelle omissioni diffuse il testo è corrotto nella sua completezza  e nella sua linearità. 
      2. L’interpolazione: ovvero l’aggiunta,  localizzata o diffusa che sia, di elementi non presenti nel testo originale. Le  interpolazioni nei testi letterari sono dei meri errori, delle sviste; nel  testo cinematografico, invece, la maggior parte delle interpolazioni sono delle  scelte volute, che vanno a colmare delle lacune presenti, fino ai casi di  interpolazioni accidentali e, perfino, di pittografie, ovvero di ripetizioni. 
      3. L’alterazione: riassume tutte le  altre corruzioni che non toccano la quantità del testo, ma la sua qualità. 
      Esistono quindi varie tipologie di errori: gli errori diretti che si  verificano all’atto della prima copia; gli errori indiretti, ovvero quando ci  troviamo di fronte a copie esatte di testi tuttavia già corrotti; errori  critici, che sono dei tentativi di emendare un testo riconosciuto come corrotto  che, però, producono delle ulteriori corruzioni testuali. 
    Una differenza di fondo tra il testo letterario e il testo cinematografico  è che nel cinema la copia non è consultabile e leggibile, ma diventa a sua  volta supporto per quell’altro testo che è la proiezione. Insomma il testo del  film è quello depositato sulla pellicola, un testo di cui la proiezione e il  pubblico sono parte integrante. 
      Il film come testo per il pubblico è soggetto ad altre corruzioni che  non sono classificabili in una filologia tradizionale, romanza o classica che  sia. Codeste altre alterazioni le possiamo dividere in altre tre tipologie: 
      1. quelle ‘sociali-spettacolari’: dove la peggiore delle ipotesi è che  un testo restaurato non possa essere visto per il cattivo funzionamento dei sistemi  cinetecari;  
      2. quelle ‘mediologiche’, che derivano  dalla trasmissione di un testo attraverso altri canali (ad esempio televisione  e home video) che sono diversi da  quelli originariamente previsti. 
      3. quelle ‘industriali’, causate da una scorretta immissione sul  mercato: ad esempio, una titolazione arbitraria rispetto all’originale. 
      La preservazione di un film si divide fra attiva e passiva. La ‘preservazione  attiva’ raggruppa tutte le pratiche e procedimenti, dall’esame alla selezione  tecnica: conservazione e aggiornamento delle schede, sorveglianza dei siti e  classificazione del materiale custodito. Infine, si ha il restauro tecnico,  trattamento superficiale, duplicazione e controllo della qualità.  
      Invece la ‘preservazione passiva’ è sintomo di deposito e storage; si tratta di custodire i  materiali d’archivio in ambienti ottimali e di non esporli a rischi meccanici. 
    Il restauro si distingue dalla ricostruzione in quanto questa è funzionale  alla presentazione pubblica di una certa pellicola, e si compendia con il rifacimento  del montaggio. Il restauro può essere ‘tecnico’, ovvero l’eliminazione dei  difetti o dei danni di tipo chimico; oppure ‘redazionale’, vale a dire  l’intento di riportare il movie alla  sua forma originale – e comprende come cruciale la ricostruzione delle parti  mancanti. 
      Ogni tipo di intervento deve essere reversibile; il che significa che  ogni documento deve essere a sua volta documentato. Gli obiettivi che un  restauratore deve porsi, nel momento in cui opera su una pellicola, sono  fondamentalmente tre: la volontà dell’autore; riportare la pellicola alla sua  prima proiezione pubblica; e la resa dello stato della ‘copia testimone’. 
      La materia filmica è composta da tre strati: ‘substrato di base’ (supporto), ‘emulsione’ (dove si rivelano i fotogrammi) e ‘vernice’. Un intervento restaurativo interviene  sulla materia e non sulle immagini. Uno dei campi di intervento del restauro è,  ad esempio, la ‘lacuna’, ovvero un’interruzione di tessuto figurativo e  narrativo: essa può essere puntuale, locale o estesa. 
      Il restauro cinematografico deve provvedere non solo alla restituzione  del film, ma deve ristabilirne anche la funzionalità. Il restauro è dunque il  riconoscimento dell’opera d’arte in quanto tale: essa viene riconosciuta nella  sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità, estetica e storica.   
     
    
 Roberto Pasanisi 
      (n. 6,  giugno 2022, anno XII) 
           
       
          NOTE       
            
       
      1. Walter  Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti [1955], tr. it., Torino,  Einaudi, 1981, p. 137.  
        2. Erich  Fromm, Psicoanalisi dell’amore. Necrofilia e biofilia nell’uomo [1964],  Roma, Newton Compton Editori, 19849, pp. 74-75 passim). Cfr. anche l’apologo  chapliniano di Modern Times (1936), nonché quelli – letterarî – di  Aldous Huxley (Brave New World, 1932),  George Orwell (1984, 1950), Ray Bradbury (Fahrenheit 451, 1953),  Roberto Vacca (La morte di Megalopoli,1974) e – cinematografici,  epocali espressioni del ‘immaginario collettivo’ – di Stanley Kubrick (A  Clockwork Orange,1971), Douglas Trumbull (Silent running, 1971),  Boris Sagal (The Omega man,1972),  Richard Fleischer (Soylent green, 1973) e Norman Jewison (Rollerball, 1975). 
        3. Antonio Gramsci, Letteratura  e vita nazionale, Torino 1966, p. 68. 
        4. Román Gubern, Immagine  e messaggio nella cultura di massa [1974], Napoli, Liguori, 1976, p.  191. 
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