Centenario Bruno Zevi. Omaggio a un grande italiano che ha fatto scuola anche in Romania

Uscendo dal bell’edificio dell’Accademia di Romania in Roma e imboccando via Omero per entrare nel parco di Villa Borghese, dopo pochi passi, a sinistra, si apre una splendida prospettiva sul Viale delle Belle Arti verso l’imponente facciata della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea. La prospettiva nasce dal dislivello tipicamente romano del terreno, qui sfruttato con intelligenza urbanistica per dare spazio a un ampio piazzale in pendenza, attraversato da ordini di maestosi gradini. È una sistemazione urbanistica che racchiude un preciso concetto di spazio comunitario, ossia uno spazio offerto con generosità ed eleganza ai cittadini, per incutere, forse a loro insaputa, il sentimento di continuità storica e culturale fra due luoghi di riferimento della città. E non a caso tale sistemazione porta il nome di Scalea Bruno Zevi. Quest’anno si festeggia il centenario di questo personaggio eccezionale e riteniamo doveroso ricordarlo nella nostra rivista perché i suoi legami con la Romania, come si vedrà, non si limitano alla vicinanza sopra ricordata.

Bruno Zevi, architetto e urbanista, è stato uno dei più importanti teorici e storici dell’architettura a livello internazionale, determinando con i suoi studi e il suo operato, non solo in Italia, un nuovo atteggiamento verso la professione, una presa di coscienza dei poteri e delle responsabilità di quelli che la esercitano nella realizzazione concreta di una società democratica e migliore. L’importanza del personaggio risulta anche dalla portata degli eventi suscitati da questa ricorrenza: innumerevoli appuntamenti organizzati in Italia (Palermo, Firenze, Milano, Roma) da università, ordini professionali e istituzioni culturali, un convegno internazionale della Harvard School of Design all’Università di Cambridge (Massachusetts), un altro a San Paolo del Brasile, un altro ancora a Haifa (Israele); le mostre «Gli architetti di Zevi» a Roma, «Zevi. Restauro come progetto» a Ferrara; le «Passeggiate Architettoniche», ossia visite guidate nei luoghi (di Firenze, Matera, Perugia, Roma, Torino) che ricordano Bruno Zevi, sul filo conduttore di brani tratti dai suoi scritti; e infine, fatto se non più importante sicuramente più diffuso e duraturo, la ristampa della maggior parte delle sue opere, ormai diventate canoniche. Ma chi era esattamente quest’uomo?

Bruno Zevi nasce a Roma, il 22 gennaio 1918, in una famiglia di intellettuali agiati, di fede ebraica. Suo padre, ingegnere, lavora per il Genio Civile, per il Ministero dei Lavori Pubblici e poi per il Comune di Roma, collaborando alla realizzazione di importanti opere pubbliche. Il giovane figlio, nel nuovo clima politico che portava nel 1938 alla promulgazione delle leggi razziali, una volta finiti gli studi liceali, per studiare architettura emigra in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Qui segue la Graduate School of Design della Harvard University, in quel periodo diretta dal celebre Walter Gropius, fondatore del movimento Bauhaus e della conseguente corrente razionalistica. Al razionalismo di Gropius, Zevi preferisce la visuale di Frank Lloyd Wright e diventa un appassionato fautore dell’architettura organica di questi, senza però staccarsi dall’esigenza di moralità e dall’intrinseca democraticità caratteristiche del pensiero e dell’operato di Gropius. Dopo la laurea, conseguita nel 1942, rientra in Europa dove, dal 1943 partecipa alla Resistenza nel movimento «Giustizia e Libertà». Questa militanza politica, iniziata in un momento di urgenza storica, non cesserà neanche dopo la guerra, anzi, diventerà anche un approccio specifico alla propria professione. Ritornato nel 1944 in Italia, dopo la liberazione svolge qui, simultaneamente e ininterrottamente, un numero incredibile di attività in più direzioni: didattica, in quanto insegna storia dell’architettura all’università di Venezia e poi di Roma, fino al 1979; editoriale e pubblicistica, in quanto fonda e dirige per 50 anni le riviste di architettura «Metron» e poi «Architettura. Cronache e storia»e «La Cultura della Vita», e contemporaneamente tiene una rubrica settimanale di architettura sulle riviste «Cronache» e poi «L’Espresso»; organizzativa, in quanto crea l'Associazione per l'Architettura Organica (APAO), fonda e per un certo periodo dirige, in veste di vicepresidente, l'Istituto Nazionale di Architettura (In/Arch); ed è per molti anni segretario generale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (INU). Ma contemporaneamente, e al di sopra di tutto questo, studia e scrive lavori basilari di critica e di storia dell’architettura. Quale riconoscimento di tale ampio lavoro, nel 1979 Zevi viene eletto presidente emerito del Comitato Internazionale dei Critici di Architettura (CICA). La sua prodigiosa attività viene continuata anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2000, grazie alla Fondazione «Bruno Zevi» che custodisce un importante archivio e promuove tramite convegni, premi e pubblicazioni, il pensiero e le ricerche del maestro.

Sono proprio i suoi libri di teoria e di storia dell’architettura che spiegano il suo legame con la Romania: per alcuni decenni, nella Romania del regime comunista – grazie all’intelligenza dei professori che inserivano nella bibliografia obbligatoria alcuni libri canonici di Zevi, grazie all’abilità del rettorato di ottenere il permesso di acquistarli e  grazie ai tempi quando la lingua italiana si studiava seriamente dai futuri architetti e quando i giovani studiavano in biblioteca – la Facoltà di Architettura e di Urbanistica di Bucarest ha trasmesso ai suoi studenti il meglio del pensiero di Bruno Zevi. Così, anche da Zevi, dal suo celebre Saper vedere l’architettura, questi hanno imparato a concepire l’architettura come spazio non come forma, spazio che ha un ruolo determinante nella qualità della vita. Anche da Zevi, dalla sua Storia dell’architettura moderna, hanno imparato che la storia dell’architettura, nella sua materialità, è intimamente legata non solo alla storia del pensiero architettonico, ma anche del pensiero in genere e della società. Anche da Zevi, dalla sua Controstoria e storia dell’architettura,  hanno assorbito l’idea di una critica di architettura militante – ma così diversa dalla militanza cui obbligava il regime – che vedeva il critico come un medico che individua le malattie di una società e mette in moto un possibile trattamento terapeutico nel suo campo. Dal suo Saper vedere l’urbanistica hanno appreso come nella Ferrara del Rinascimento si elaborava il concetto moderno di città. Ma contemporaneamente a questi libri raccomandati ai corsi e richiesti agli esami, c’era la boccata d’aria offerta ai giovani dalla rivista «Architettura. Cronache e Storia», cui la facoltà era abbonata: dalle sue pagine si aggiornavano sulle ultime tendenze internazionali del loro mestiere, si informavano sulle novità apparse alla Biennale di Venezia o alla Triennale di Milano, cui non avevano accesso diretto, insomma riuscivano a uscire dall’isolamento e dai limiti ideologici voluti dal regime. E basta osservare che gli studenti architetti romeni di allora sono i professori degli studenti di adesso per capire la persistenza degli insegnamenti di Zevi e per rendergli un omaggio anche dalla lontana Romania.   



Smaranda Bratu Elian
(febbraio 2018, anno VIII)