La migrazione romena in Italia: panoramica e tendenze

In felice sintonia con la Settimana della Cultura Italiana organizzata lo scorso febbraio dall’Università di Bucarest e soprattutto con la sua seconda giornata, consacrata alle varie prospettive sull’immigrazione romena in Italia, lo scorso 19 marzo l’Istituto Italiano di Cultura di Bucarest ha dedicato allo stesso tema un’interessantissima conferenza. Oltre alla suddetta sintonia, un’altra importante occasione dell’evento è stata la pubblicazione dell’ultimo Dossier Statistico Immigrazione, giunto nel 2017 alla sua ventisettesima edizione, con i dati statistici e le analisi delle tendenze del 2016 e relativi problemi. Si tratta della più ampia raccolta scientifica di dati statistici in materia di immigrazione in Italia, frutto di un’enorme ricerca che si svolge di continuo da molti anni. Iniziata nel 1991, quando la Caritas di Roma ha avviato l’analisi dei cambiamenti demografici, sociali ed occupazionali prodotti in Italia e in Europa dal fenomeno migratorio,  e del contesto mondiale che li nutre, tale ricerca ha coinvolto in breve tempo anche la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes, per poi, nel 2004, costituire il Centro Studi e Ricerche IDOS. Il Centro è nato principalmente per curare la redazione, la pubblicazione e la diffusione del Dossier Statistico Immigrazione, ma anche per poter estendere le proprie ricerche e per promuovere una serie di attività di sensibilizzazione degli specialisti e della popolazione sui più importanti risvolti dell’immigrazione, ossia la lotta alla discriminazione e la tutela e l’integrazione dei migranti.

Quest’ultimo volume del Dossier è stato realizzato, come dal 2015 in poi, dall’IDOS in partenariato con il Centro Studi Confronti, in collaborazione con il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) e con il sostegno dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi. Già chiaro come orientamento, per le istituzioni implicate, il volume comprende, oltre le preziose statistiche, ampie analisi raggruppate per sezioni (Il contesto internazionale ed europeo, Flussi e presenze, Integrazione e pari opportunità, Il mondo del lavoro, I contesti regionali), introdotte da editoriali che avviano a una lettura senza pregiudizi dei dati presentati e che segnalano le carenze che, risolte, potrebbero creare un migliore sviluppo umano e una società più armonica.

Naturalmente, il Dossier comprende il fenomeno d’insieme dell’immigrazione in Italia, dove i romeni costituiscono una parte significativa in particolare in alcune regioni e ambiti lavorativi; perciò la conferenza, legata sì alla visione complessiva del volume ma rivolta a un pubblico romeno, ha presentato i risultati di una ricerca specifica sulla migrazione romena e altamente significativa per le relazioni fra l’Italia e la Romania. Il relatore, Antonio Ricci, membro dell’équipe di curatela del volume, ricercatore senior presso la redazione del Dossier e con all'attivo una vasta attività pubblicistica e grande esperienza in conferenze nazionali e internazionali, ha saputo ritagliare con esattezza e interpretare acutamente e spregiudicatamente il settore relativo all’immigrazione romena. Tenteremo di riassumere alcuni punti di questa conferenza esemplare per la sua impostazione (su statistiche e cifre esatte con fonti sempre dichiarate) e strutturazione (per precisi campi di ricerca), e interessantissima per le interpretazioni che ne emergono.

La migrazione romena in Italia dal 1990 (cioè subito dopo la caduta del regime comunista in Romania) e fino al 2017 si percepisce nelle sue vere dimensioni solo se proiettata sullo sfondo più ampio della diaspora romena nel mondo nello stesso periodo, dove, nel generale e spettacolare aumento dell’emigrazione romena, l’Italia registra una crescita 25 volte superiore, mentre nel quadro della mobilità complessiva all’interno dell’Unione Europea nel 2016 (e senza prendere in considerazione i cosiddetti invisibili, i clandestini o i temporanei non registrati), la mobilità romena risulta essere quasi la metà. Già questi numeri indicano un fenomeno importante che dovrebbe interessare in eguale misura entrambi i Paesi. L’attrazione esercitata dall’Italia sui romeni, che ha probabilmente anche cause linguistiche e psicologiche, ha sicuramente cause economiche, cui si aggiungono (secondo alcuni sociologi) il background religioso dei romeni di alcune regioni, da una parte, e dall’altra le politiche italiane di ingresso più permissive che altrove. 
Il flusso migratorio romeno in Italia, sebbene continuo, può essere suddiviso in alcune tappe determinate da decisioni politiche internazionali: il 2002, con l’abolizione del visto per permanenze al di sotto dei tre mesi, e il 2007 per l’ingresso della Romania nell’UE con l’accesso condizionato alla libera circolazione sono due momenti seguiti da un forte afflusso di romeni in Italia. Da allora in poi il quadro generale dimostra una costante crescita della presenza dei romeni in Italia, anche se all’interno del quadro si registra un grande dinamismo demografico tra nuovi arrivi, ritorni a casa, nuovi nati e migrazione temporanea.

Le statistiche occupazionali, che offrono una mappa esatta delle zone preferite dai romeni (più centro-Nord che Sud) e dei settori che assorbono lavoratori romeni (prevalentemente edilizia, agricoltura e servizi domestici), potrebbero e dovrebbero portare le istituzioni centrali italiane ad interessanti conclusioni sui dislivelli interni del Paese e sulla carenza di mano d’opera nella Penisola; invece, il rapporto fra donne e uomini romeni regolarmente occupati in Italia, il fatto che più di metà di essi svolga un lavoro non adeguato al proprio titolo di studio (in genere superiore al lavoro), l’apparizione di una seconda generazione di emigranti, romeni nati e cresciuti in Italia ma che non sono cittadini italiani, tutto questo dovrebbe costituire per la Romania un cumulo di preoccupazioni, aggiunte alla preoccupazione primaria per il fenomeno stesso dell’emigrazione. Le statistiche riguardanti i costi e i benefici prodotti dall’immigrazione romena in Italia (776 milioni di euro di tasse versate in Italia dai romeni e un contributo stimato dell’1% al Pil italiano), ma anche in Romania (le ingenti somme mandate a casa dai romeni) non fanno che giustificare le conclusioni delle prime e la preoccupazione di questa’ultima.

Due degli aspetti presi in esame sono, secondo noi, particolarmente importanti e urgenti: la dinamica dell’accoglienza dei romeni da parte degli italiani e i rischi di frantumazione delle famiglie romene in cui le donne (le mamme) vanno a lavorare in Italia (specie come badanti).
L’analisi di Antonio Ricci ha confermato con statistiche e con esempi le tappe dell’atteggiamento degli italiani verso gli immigrati romeni: prima, la simpatia postrivoluzionaria, poi la romenofobia (l’anno 2007 dell’ondata di romeni in Italia è stato chiamato dal relatore l’annus horribilis) alimentata da una tempesta mediatica scatenata persino dai maggiori quotidiani che diffondevano non solo notizie allarmiste, ma anche mezze verità o bufale grossolane e confondevano consapevolmente i rom con i romeni; e fino all’attuale tendenza a una convivenza pacifica (non sempre e non dappertutto esente da xenofobia), incoraggiata anche dalla nascita di un’imprenditoria romena che sta cambiando non solo lo statuto economico ma anche quello psico-sociale di una parte degli immigrati romeni. Interessante nell’approccio su questo tema da parte di Ricci è stata la sottolineatura (per la verità non nuova) dell’assenza nella memoria degli italiani (ma anche di tutti noi, che oggi tendiamo a perdere il senso della storia) del ricordo del proprio passato di emigrazione (la conferenza è cominciata con una sezione intitolata Quando i romeni eravamo noi, evidente parafrasi del titolo di un famoso saggio di Gianantonio Stella, con interessantissime statistiche sull’emigrazione italiana, inclusa quella degli italiani nel giovane Regno della Romania).   
Il secondo aspetto, quello della disintegrazione delle famiglie soprattutto in seguito alla partenza delle mamme, produce cambiamenti psicologici e comportamentali tanto nelle persone emigrate quanto nelle famiglie rimaste a casa; specie nei bambini gli effetti sono a lungo termine, spesso traumatici e in alcuni casi anche tragici – effetti che alimentano ormai da parecchi anni non solo la preoccupazione e gli studi degli psicologi,  degli assistenti sociali e dei sociologi, ma anche la letteratura e la cinematografia di entrambi i Paesi (tenteremo di illustrare prossimamente sulla nostra rivista questo tema, nella visuale di alcuni romanzi recenti). E benché la conferenza di Antonio Ricci si sia conclusa con uno spiraglio di luce proiettato verso il futuro, verso, cioè, una mobilità più responsabile e una maggiore integrazione, la frantumazione delle famiglie e l’emigrazione di massa dei romeni, aggiunte al drammatico calo delle nascite in Italia come in Romania, dovrebbero non solo allarmare ma anche spingere entrambi i Paesi a politiche demografiche più consapevoli e lungimiranti, nonché immediate.



Smaranda Bratu Elian
(aprile 2018, anno VIII)