Il cinema romeno, protagonista a Roma

Tra il 6 e il 9 giugno 2019 si è tenuta a Roma la IX edizione del Festival del Film Romeno ProCult. Ho avuto la fortuna di assistervi di persona. È stata una gioia e un’occasione di orgoglio, sentimenti che voglio condividere anche con i nostri lettori italiani.
Organizzato nell’ambito della Presidenza romena del Consiglio dell’Unione Europea dall’Ambasciata di Romania in Italia, l’Accademia di Romania in Roma, l’Istituto Culturale Romeno e l’associazione culturale ProEvent, il festival si è svolto sotto il patrocinio di prestigiose istituzioni dei due paesi (Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale, Regione Lazio, la Rappresentanza della Commissione Europea in Italia, l’Università La Sapienza di Roma), con il sostegno del Ministero per i Romeni all’Estero, FAO – Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, Casa del Cinema, Zètema Progetto Cultura, Villa Borghese, e in collaborazione con Rai Cinema e 01 Distribution. Ho elencato a proposito tutte queste istituzioni per far capire quale rete bisogna costituire per un simile evento.

Il festival ha avuto un’anteprima il 29 maggio quando è stato presentato per l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura (FAO) il documentario Verza, patate e altri demoni del regista Șerban Georgescu: con un tema, una tecnica e ambienti originalissimi, il film, che presenta l’esperienza personale del regista in mezzo ai contadini del villaggio di Lungulețu, racconta la stentata trasformazione dell’agricoltura romena dopo la caduta del comunismo. Però l’apertura ufficiale del festival ha avuto luogo la sera del 6 giugno, nell’elegante sala conferenze dell’Accademia di Romania in Roma – splendido edificio interbellico, magnificamente collocato nella capitale italiana, che continuo ad ammirare e ad amare. Nella sala strapiena, in presenza di alti rappresentanti di varie istituzioni, l’Ambasciatore della Romania in Italia, George Bologan, e il Direttore dell’Accademia di Romania in Roma, Rudolf Dinu, hanno sottolineato il ruolo fondamentale del cinema nel mondo di oggi per l’informazione e la mediazione culturale e la parte notevole che spetta alla cinematografia romena nel far conoscere al mondo il vero volto della Romania e la sua creatività. Nei giorni successivi il festival si è tenuto presso la Casa del cinema, ambiente romano dedicato solo alla cinematografia, collocato nel cuore verde di Roma, il parco di Villa Borghese.

Il titolo del festival, «Romania Film Fest – Sulla cresta dell’onda», si è dimostrato quanto mai azzeccato per la qualità e originalità delle pellicole proposte. La scelta dei film fatta dagli organizzatori intendeva, da una parte, illustrare le tendenze e la varietà della cinematografia romena attuale, dall’altra, far conoscere al mondo aspetti culturali, sociali, storici e politici della società romena. Le 14 produzioni romene, presentate in lingua originale con sottotitoli in italiano, comprendevano, oltre a un documentario poetico (La Romania indomita del regista Thomas Barton-Humphreys) sulla natura incontaminata, magica e fragile, della Romania che nasconde un’immensa varietà di ecosistemi in continua lotta per la sopravvivenza, 9 lungometraggi e 4 cortometraggi artistici recenti che alternavano dramma, commedia e film lirico. Volendo trovare un filo comune fra tutti i film artistici presentati al festival ripeterei la caratterizzazione fatta dagli stessi organizzatori: «lo scorrere del tempo vissuto dall’animo umanoche trasforma il passato in ricordo, il futuro in attesa, il presente in intuizione; la storia collettiva e le piccole storie individuali sembrano prendere forma unicamente in funzione dei sogni, delle speranze, della felicità e della malinconia di chi le vive, diventando misura transitoria e soggettiva dell’esistenza umana». L’inaugurazione è stata fatta dal pluripremiato film-poema Octav del regista Serge Ioan Celibidachi, che tratta il malinconico distacco dai propri ricordi. Il dramma Scendiamo alla prossima, del regista Tedy Necula, rievoca invece l’incendio devastante del club «Colectiv» che causò la morte di 64 persone, tragedia riflessa nelle coscienze dei superstiti, mentre Charleston del regista Andrei Crețulescu, riprende il tema delicato di un triangolo rivelatosi dopo la morte di uno dei coniugi e rivissuto drammaticamente dall’altro.  Il contrappeso è venuto dalle spassose commedie Gli anni del sabato sera, che racconta con umorismo come si divertivano gli studenti romeni nell’ultimo decennio del comunismo romeno, e 6.9 della scala Richter, sulla crisi esistenziale, trattata in chiave comica, di un attore di fronte al proprio fallimento, alla depressione della moglie, all’egoismo del padre e all’ossessione dei terremoti, entrambe dell’ormai celebre e premiato regista, sceneggiatore e attore Nae Caranfil; oppure  la Storia di un perdigiorno di Paul Negoescu,che dipinge ironicamente il bamboccionismo odierno, frequente in Romania come in Italia. Due altre pellicole sono invece difficilmente inquadrabili nelle categorie drammatiche classiche, perché intrecciano dramma e commedia, sorriso e ghigno, e rivelano verità conturbanti con una rara franchezza: Un passo dietro ai serafini di Daniel Sandu che presenta l’angosciosa esperienza di alcuni adolescenti in un seminario teologico ortodosso dei nostri giorni, e il cortometraggio di Bogdan Mureşanu Il regalo di Natale in cui un padre di famiglia scopre, alla fine della dittatura di Ceauçescu,  che il figlio aveva inviato una letterina a Babbo Natale dove esprimeva il maggior desiderio del padre: la morte del dittatore.

Al centro del festival, come un perno su cui ruota il complesso rapporto fra passato e presente, sono state collocate, una dopo l’altra, le due splendide trasposizioni cinematografiche in bianco e nero del regista Stere Gulea del romanzo ormai classico di Marin Preda, La famiglia Moromete I e II, realizzate a distanza di 31 anni l’una dall’altra. Sebbene non specialista di cinema, la mia esperienza diretta in quanto spettatrice mi permette di affermare che il festival ha offerto solo film di valore, sostanziosi e grandi interpretazioni. Tuttavia ciò che mi preme rilevare in questa presentazione non è tanto il pregio intrinseco dei film quanto l’impatto dell’evento sul pubblico straniero e ciò che lascia dietro di sé. Ho potuto osservarne l’impatto dal vivo: la sala del cinema è stata sempre gremita di pubblico, tanto italiano quanto romeno, interessato, attento e reattivo.  Perché gli organizzatori hanno avuto l’intelligenza di trasformare quasi ogni rappresentazione in un dibattito. Parte dei creatori delle pellicole, come Stere Gulea o Nae Caranfil, oppure degli attori protagonisti, come Horațiu Mălăele o Adrian Vancica, presenti al festival, alla fine dei propri film hanno dialogato con il pubblico, moderati dall’attore italiano di origine romena Marius Bizău. La maggior parte delle domande sono venute dagli spettatori italiani, impazienti di capire le realtà sociali e politiche romene presentate nei film o le scelte tecniche dei registi o le difficoltà incontrate dagli attori ecc. Le domande piovevano ininterrottamente, il microfono si spostava continuamente tra i presenti, il traduttore si sfiatava, il moderatore è arrivato perfino a pregare il pubblico a non porre più domande perché la sala doveva essere liberata. Fra le domande incessanti degli italiani, anche i romeni intervenivano inserendo commenti, ricordi nostalgici o rabbiosi di esperienze vissute, e alla fine hanno assalito letteralmente gli invitati con pressanti richieste per scattare una fotografia insieme. Se a questa reazione del pubblico aggiungiamo gli interventi di alcuni specialisti molto noti in Italia, come Blasco Giurato, direttore della fotografia dei film Octav di Serge Ioan Celibidachi e Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, vincitore dell’Oscar, o come Romano Milani, storico e critico cinematografico di spicco, è ben chiaro che il festival ha raggiunto le mete che si era proposto. Che cosa si lascia dietro? Sicuramente un nuovo interesse del pubblico per una Romania finora poco conosciuta, mentre per i veri cinefili e per gli specialisti l’attesa impaziente della X edizione del festival, quella anniversaria, dell’anno prossimo.


Ma se il successo complessivo dell’evento è derivato in gran parte dalla qualità dei film scelti e dalla presenza di tanti invitati di riguardo, la buona riuscita del festival, cioè aver attratto un pubblico numeroso, la visibilità nell’Urbe e nella sua nutrita comunità romena, il dialogo bilingue vivace fra spettatori e creatori, la convivialità successiva a ogni rappresentazione sono frutto del lavoro instancabile, dell’accortezza, della competenza e della cordialità della squadra, per lo più giovane, dell’Accademia di Romania in Roma, dell’Ambasciata romena e dell’associazione Proevent, ossia di un esiguo gruppo di persone continuamente visibili in quanto raffinati anfitrioni e interlocutori, ma che prima e durante il festival hanno svolto anche i lavori invisibili necessari alla sua realizzazione, trasformandosi all’occasione in traduttori, tecnici, disegnatori, centralinisti, portieri ecc. Io li ho visti al lavoro e perciò ci tengo a ringraziarli anche qui per questo successo romeno.

.







Smaranda Bratu Elian
(n. 7-8, luglio-agosto 2019, anno IX)