A Roma, un museo in biblioteca

Chi entra nell’imponente sede della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, a Castro Pretorio, non può o non dovrebbe attraversare distratto e assorto il primo e generoso atrio per precipitarsi nel secondo – introduzione funzionale a tutti i servizi offerti dalla biblioteca. Dovrebbe invece fare attenzione alla grande scritta «Spazi 900», piazzata a destra, che lo invita ad accedere alla mostra dedicata alla letteratura italiana del Novecento. La mostra offre un percorso nella letteratura del Novecento attraverso poeti e scrittori che, per citare le parole degli organizzatori, «hanno profondamente segnato con la loro scrittura il secolo e che trovano nelle collezioni della Biblioteca Nazionale una ricca testimonianza di opere e documenti autografi». Le due gallerie della mostra, che si succedono senza interruzione, sono dedicate una, alla prima metà del secolo, a cominciare da D’Annunzio e continuando con Pirandello, Svevo, i futuristi, Onofri, Sbarbaro, Ungaretti, Saba, Montale, Quasimodo; la seconda «prende avvio da scrittori e poeti amici di Pier Paolo Pasolini»: Moravia, Ginzburg, Bertolucci, Caproni, Penna. Ma Pasolini, perno di gran parte della cultura italiana della seconda metà del secolo, ritorna anche nell’epoca successiva, quella di Vigolo, Calvino, I novissimi, Fortini, Zanzotto ecc. fino a Dario Bellezza e Amalia Rosselli. Centrale è stato nel concetto degli organizzatori il legame organico fra il percorso letterario del secolo con la Biblioteca Nazionale, con i suoi documenti, le sue collezioni, i suoi autografi, donde l’invito ai lettori a toccare, per così dire, con mano la concretezza e la vitalità letteraria di quel secolo. Tale centralità, naturale in questo luogo, è ancora più comprensibile quando si legge che l’ideazione e la progettazione della mostra appartiene ad Andrea De Pasquale, direttore della biblioteca. Meno naturali e meno attesi sono il fiuto museografico, l’intelligenza e il buon gusto con cui la mostra è stata allestita sì da destare sul momento un’inaspettata emozione e da lasciare una traccia duratura nella memoria.

L’idea di corredare le grandi biblioteche pubbliche di spazi espositivi e, dunque, di varie mostre, è piuttosto frequente e diffusa in tutto il mondo. Perciò l’interesse che giustifica la sosta consigliata qui al lettore, persino a uno frettoloso, non deriva dall’originalità di questa mostra ma dall’intelligenza e dalla sensibilità di cui si parlava prima. Vi si entra percorrendo una specie di golfo mistico, un corridoio in cui una luce misteriosa illumina a tratti grandi pannelli rossi che spiegano gli intenti e il concetto degli organizzatori, mentre a sinistra sfilano accanto, in grandi fotografie, le figure dei più amati poeti e narratori del Novecento e per terra si accendono citazioni che ti invitano, leggendole, a entrare. E poi, miracolo! Ci si trova nella vera stanza di Elsa Morante, quella di via dell’Oca 27, nell’attico affacciato su Piazza del Popolo: le librerie alle pareti con i suoi libri di lettura e di studio, la scrivania con sopra la sua ultima macchina da scrivere, la sua collezione di dischi; le persiane sono abbassate e la luce filtra fioca sui ritratti, sulla chitarra dimenticata in un angolo, su Elsa stessa: lei guarda dalla finestra, con accanto i suoi due gatti – i gatti presenti anche nelle sue poesie – e sembra viva in quella foto a grandezza naturale. Nel silenzio si sente il ticchettio della macchina da scrivere e a volte un miagolio; insomma si penetra davvero nell’affascinante e segreta officina di una delle più profonde e tormentose coscienze letterarie del Novecento.

A sinistra invece si apre il percorso generazionale delle due gallerie citate sopra. Sono   spazi che compendiano personalità, opere, fotografie, manoscritti e prime edizioni, accompagnate da eccellenti e ben calibrate spiegazioni. Nelle ultime sale, dedicate alla letteratura recente, sono installati due schermi su cui scorrono filmati di scrittori in situazioni conviviali o ufficiali. Tali ambienti che compiono la dovuta quanto necessaria funzione informativa e documentaria non sono esenti di quell’aura magica che caratterizza tutta la mostra: e ciò grazie a un uso speciale e sensibile della luce, dei colori, dei suoni. Ma la grande magia avviene negli spazi evocativi di alcune figure di spicco, inseriti nella successione cronologica, ciascuno intonato alla tempra e all’opera del suo protagonista: la Deledda sembra rivivere sulla sua sedia, seduta alla sua piccola scrivania, con a un angolo il suo paravento di sapore ottocentesco e la sua bambola; nello spazio Saba si distinguono a malapena nel chiaroscuro fotografie, quadri, mobili e, stranamente, proprio in mezzo, una panca, un invito a sedersi, a fare una sosta. E ci si siede; e allora avviene un altro miracolo: si è invasi, per dieci minuti, dalla poesia di Saba, lette dallo stesso autore; e intanto sul buio delle pareti vengono proiettati, fra cinguettii e qualche latrato di cane, gradualmente, effimere sagome bianche, una casa, un borgo, una terrazza, la libreria triestina di Saba, il profilo del poeta con la pipa in bocca, silhouette che sfumano nel ritmo della voce. Lo spazio Carlo Levi, abbracciato dalla sua libreria, è tappezzato di ritratti dipinti da lui: Pavese, Calvino, Montale e un autoritratto. In mezzo alla stanzetta la luce cade su un vaso bianco, come anche su una pentola, con dentro un mestolo. La luce ci invita a toccarlo, e allora si accendono sulla parete immagini e musiche della Basilicata e rumori e il vento che muove le tende e i campi seminati all’esterno – sequenze del film Cristo si è fermato a Eboli – e voci che rimandano a frammenti suggestivi del romanzo.

Ma per non dimenticare che questa mostra permanente è dedicata non solo alla letteratura e alla biblioteca che la ospita ma anche alla città di Roma, lo spazio più grande, complesso e commovente è consacrato al figlio più amato dell’Urbe, che romano non era, Pier Paolo Pasolini: uno spazio ampio diviso in due da una ricostruzione dell’Arco di Travertino, quello costruito fra le vie Tuscolana e Appia Nuova, che ricorda tanto i romanzi quanto i film di Pasolini. Da una parte dell’arco: gigantografie che ritraggono “i ragazzi di vita” al bar o Pasolini che gioca a calcio con alcuni ragazzini nella periferia romana, uno schermo su cui scorrono immagini sue e di suoi film, e un leggio elettronico dove si può scorrere o sfogliare pagina per pagina il dattiloscritto di Ragazzi di vita. Dall’altra parte dell’arco, la ricostruzione di una misera cucina di campagna, nella parete un buco oltre il quale scorrono immagini ispirate alle atmosfere pasoliniane; e, alle pareti, fotografie e citazioni. E suoni, soprattutto suoni! La sua voce, altre voci, canzoni e rumori, il vento: i suoni della vita. E fra le citazioni, questa bellissima: «La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine che è la mia debolezza».

Descrivendo la mostra ho disegnato piuttosto un quadro, mentre avrei voluto trasmettere un’emozione – emozione dovuta anche alla quasi totale solitudine in cui ho girato per questi ambienti. E questo è un grande privilegio che è ormai a portata di tutti quelli che soggiornano a Roma oppure vi sono di passaggio: perché la mostra, che ha già un’età, è permanente. Ed è ormai un piccolo museo a sé stante, nascosto nella Biblioteca.




Insegna


Corridoio di ingresso


Stanza di Elsa Morante


Elsa alla finestra


Il profilo di Saba sulla parete


Spazio Carlo Levi


Sala informativa


Spazio Pasolini


Nello spazio Pasolini


Motto di Pasolini



Smaranda Bratu Elian
(n. 11, novembre 2019, anno IX)