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 |  | Italo Calvino: «Ultima lettera a Pier Paolo Pasolini»
 
  Concludo l’anno 2022 e inizio il nuovo anno 2023 con una sorta di rito di  passaggio. Il 2022 è stato il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini e la  nostra rivista l’ha evocato in ognuno dei suoi numeri, offrendo in anteprima  anche una serie di traduzioni romene di alcune delle sue poesie più belle. Come  anticipato nel numero precedente, l’anno del centenario si è concluso con una  realizzazione di cui sono davvero orgogliosa: la pubblicazione presso la casa  editrice Tracus Arte di Bucarest di due consistenti volumi dell’opera di  Pasolini, due antologie che presentano per la prima volta ai lettori romeni due  aspetti fondamentali della creazione di questo artista in tutti i sensi  eccezionale: la poesia (in versione bilingue) e gli scritti sulla letteratura e  sull'arte. È stato un progetto imponente, realizzato con il sostegno del  Ministero degli Affari Esteri italiano e dell'Istituto Italiano di Cultura di  Bucarest, al quale hanno collaborato in modo impeccabile nove italianiste  dell’Università di Bucarest e dell’Università «Alexandru Ioan Cuza» di Iași, perite  traduttrici. (Pier  Paolo Pasolini, Poesie/Poezii.  Selecție, traduceri și note de Smaranda Bratu Elian și Dana Barangea, prefața  și îngrijirea ediției Smaranda Bratu Elian, Tracus Arte, București, 2022; Pier  Paolo Pasolini, Scrieri despre literatură  și artă. Selecția textelor, prefață și îngrijirea ediției Smaranda Bratu  Elian, Traduceri și note de Corina Anton, Corina-Gabriela Bădeliță, Oana  Boșca-Mălin, Smaranda Bratu Elian, Miruna Bulumete, Aurora Firța-Marin,  Anamaria Gebăilă, Cristina Gogianu, Tracus Arte, București 2022). I volumi sono stati presentati l'8 dicembre 2022,  nell’ambito della Fiera del Libro Gaudeamus di Bucarest, con la partecipazione  di Sua Eccellenza l’Ambasciatore d’Italia, Alfredo Maria Durante Mangoni, e di  importanti personalità della cultura romena quali i poeti Dinu Flămând,  Bogdan-Alexandru Stănescu e Claudiu Komartin, il cui moderatore è stato Ioan  Cristescu, Direttore del Museo della Letteratura Romena.
 
 Il 2023 segna il  100° anniversario della nascita di Italo Calvino e il 150° anniversario della  morte di Alessandro Manzoni. A entrambi cercheremo di dedicare, durante tutto  l’anno, evocazioni, presentazioni di aspetti forse meno familiari ai nostri  lettori e, per quanto possibile, punti di vista incrociati su temi comuni.
 Penso che un  aspetto particolarmente significativo della spiritualità di uno scrittore sia  rivelato dal modo in cui egli giudica gli altri scrittori, del passato ma  soprattutto contemporanei. Per questo ritengo significativa anche l’ultima  lettera scritta da Calvino a Pier Paolo – intesa anche a compiere il passaggio  dal centenario di Pasolini al centenario di Calvino. Tradotta integralmente nell’edizione  romena della nostra rivista, qui viene presentata solo nei tratti essenziali. La  lettera è stata scritta da Calvino pochi giorni dopo la morte violenta di  Pasolini, del 2 novembre 1975, e parla di violenza – tema urgente allora,  urgente anche adesso. I lettori italiani (che la possono leggere integralmente qui)  osserveranno da soli la differenza di approccio tra i due. Qui io vorrei solo attirare  l’attenzione su due aspetti che rischiano di sfuggire a una lettura frettolosa  e di proporre due citazioni che illuminano, a distanza di anni, l’opinione di  Calvino su Pasolini. I due aspetti sono questi: sia Calvino che Pasolini, usciti  da una dittatura di destra, iniziano la propria carriera letteraria con  convinzioni di sinistra speranzose e infiammate. Negli anni successivi, gli  avvenimenti del mondo smorzano i loro ardori, contraddicono le loro speranze così  che, come si vede nella lettera, entrambi giungono a una visione cupa del presente  e del futuro – visione che nel passionale Pasolini appare nelle poesie scritte  dopo il 1960, ed è ovvia e ossessiva; nell'opera letteraria di Calvino invece essa  sfuma o si sublima sotto il velo del fantastico e dell'ironia, in cui il razionale  Calvino che si rifiuta di rinunciare definitivamente alla speranza. Ecco perché  la lettera rivela un Pasolini noto e un Calvino tutto da scoprire. Un altro  aspetto che mi sembra significativo è che il «dialogo» tra i due non riguarda  temi letterari ma un tema morale che coinvolge i valori stessi della nostra  civiltà, e che, di fronte a tale tema, due personalità con temperamenti così  diversi si ergono faccia a faccia, in tutta la loro verità e coscienza – e per  comprendere la bellezza di questo atteggiamento ci si deve ricordare di quell'epoca  turbolenta dell’Italia, di continui cambiamenti e rovesciamenti, quando gli interventi  pubblici degli intellettuali li coinvolgevano non solo spiritualmente ma anche  esistenzialmente.
 
 Le due citazioni intendono invece di rivelare,  a distanza di tempo, due percezioni complementari di Calvino sullo scrittore e  sull’uomo Pasolini, che in poche righe ci offrono un suo ritratto a tutto  tondo. L’una appare proprio nella lettera di cui parlo qui e commenta la  convinzione di Pasolini che il «consumismo» sia la vera fonte di  corruzione della società, quella che distrugge tutti i valori precedenti e al  loro posto instaura un mondo senza principi e spietato. Scrive Calvino: «La  drammaticità di questo suo appello, come di tanti suoi scritti analoghi degli  ultimi tempi, non può non colpirci oggi, come se avesse voluto avvertirci di un  pericolo che sentiva incombere e a cui egli pure correva continuamente incontro.  In ciò egli confermava l’immagine che sempre aveva voluto darci di sé: di  martire-testimone di una sua verità, di apportatore di scandalo ai fini di una  sua predicazione morale.» Ed è un modo drammatico e simpatetico di cogliere la  tensione morale ed esibizionistica dell’intellettuale Pasolini. L’altra coglie  l’essenza del poeta Pasolini, integrando così il suo ritratto: in un saggio  dedicato alla beat generation americana (I beatniks e il ‘sistema’,  nel volume Una pietra sopra) e al  senso della sua ribellione, Calvino fa la seguente osservazione:  «Così povera di ribelli è la letteratura italiana che i  nostri ben pensanti avendo bisogno che ce ne fosse almeno uno per additarlo  all’esecrazione pubblica, hanno scelto il più classico, il più virgiliano, il più  appassionatamente professore di tutti noi, Pier Paolo Pasolini, l'unico per cui  la tradizione è carne della sua carne, l'unico che riporta all’onore proprio le  forme letterarie che erano solo i benpensanti ad amare ancora – la poesia delle  odi civili e quella del popolaresco dialettale –, l'unico che in fatto di  morale ancora crede che tutto sia questione di peccato e di redenzione». Era il  1962.
 
 
 
 
 Smaranda Bratu Elian(n. 1, gennaio 2023,  anno XIII)
 
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