«Romania, la nostra fede è la nostra vita». Testimonianza di uno straordinario documentario

In attesa del Viaggio Apostolico in Romania che Sua Santità Papa Francesco compirà dal 31 maggio al 2 giugno 2019, per visitare le città di Bucarest, Iaşi e Blaj e il Santuario mariano di Şumuleu Ciuc, ripercorriamo ora un viaggio che racconta di uomini, grandi uomini, che hanno sofferto e pagato con la loro vita per la più nobile delle cause, la loro Fede. La serie di documentari I militi ignoti della fede, di cui fa parte anche quello dedicato alla Romania, ideata dal giornalista Lorenzo Fazzini e curata dal regista Pupi Avati, è infatti un viaggio visivo, e di testimonianza, nei paesi dell'Europa orientale, dove la fede cattolica è stata perseguitata violentemente durante i regimi comunisti. In questa serie di documentari prodotta e trasmessa dalla Rai e da Sat2000 nel 2014, si raccontano sia le grandi figure che hanno pagato col martirio l’opposizione, sia anche e soprattutto tanti sconosciuti, preti, suore, frati e laici, che con la loro lotta e sacrificio hanno consentito alla Chiesa Cattolica di sopravvivere. Fu proprio Papa Wojtyla a definire questi uomini «I militi ignoti della grande causa di Dio».
Questo impressionante documentario, in cui la parte dedicata alla Romania si intitola La nostra fede è la nostra vita – Romania, gli anni del terrore, è stato scritto e diretto da Umberto Rondi e ci fa rivivere con estrema intensità la tragedia dimenticata, complessivamente rimasta sconosciuta a molti per anni. Ignota anche a chi ha vissuto e studiato ai tempi di Ceaușescu. Tragedia silenziosa che ha colpito migliaia di uomini e donne, i militi ignoti della fede, che hanno patito fino alla morte per la loro testimonianza di fede contro la ferocia della dittatura comunista.
Arresti, maltrattamenti, omicidi, torture, imposizioni. La chiesa greco-cattolica romena fu abolita da un giorno all’altro per decreto. Un sacerdote che racconta la clandestinità collettiva: messe, battesimi, matrimoni, ordinazioni, tutto rigorosamente proibito. Chiese, scuole, ospedali, tutto ciò che era cattolico venne chiuso o concesso alla chiesa ortodossa. Uno scenario di persecuzioni, di dolore, di inumanità. Inverosimile guardandolo con gli occhi di oggi. Impossibile descrivere l’intensità di questo documentario, le parole non riescono ad esprimere la realtà e la crudezza delle sue immagini. A testimonianza riportiamo solo poche frasi di uno dei tanti martiri della chiesa greco cattolica romena, il vescovo Ioan Ploscaru, tratte dal libro Catene e terrore:
«La solitudine in cella può essere compresa solo da chi l'ha vissuta. Se qualcuno ha una fantasia più vivace, gli propongo una piccola digressione. Uno spazio completamente vuoto: solo una brandina di ferro in un angolo, nessun altro mobile. Unicamente squallide pareti, sgretolate e umide ... Un vetro opaco non lascia penetrare la luce naturale. Neanche un frammento di cielo: non puoi osservare, neppure per un attimo, il volo di un uccello... Una lampadina giallognola, sempre accesa, schizza disegni sinistri che si ingigantiscono nella fantasia di chi è morto di fame, di colui che li guarda per lungo tempo. Non parli con nessuno: silenzio di tomba. A un certo punto ti dimentichi anche come si faccia a parlare ... Non sai niente del mondo, oltre la porta della cella. Non hai giornali, né libri, né matite o un pezzo di carta. Il possesso di una matita o di un foglio di carta è un delitto che viene punito con giorni di carcere duro, con il pavimento allagato e, come cibo, pane e acqua una volta al giorno. All'aria aperta sei condotto forse appena una volta alla settimana, se i guardiani sono disposti a sorvegliarti. I corridoi e il cortile devono essere deserti, perché non devi vedere o essere visto da nessuno. Anche se sei portato a fare una “passeggiata”, sei obbligato a procedere a testa bassa e con le mani dietro la schiena ... Non hai un nome». 

Aurelia Pop

Pubblichiamo di seguito la testimonianza del regista Umberto Rondi sul suo incontro con la Romania.

Romania, ricordi d’amore


Ho veramente amato molto l’esperienza che ho vissuto in Romania. Un Paese, una Storia che mi sono rimasti profondamente e, lo so con certezza, eternamente nel cuore. Ho amato entrarvi, di notte, attraverso l’immensa e meravigliosa foresta confinante con l’Ungheria. Scendere dalla macchina, guidata dal bravissimo e fido Willy Tonna (il responsabile tecnico delle riprese, affiancato dal fonico e dalla nostra brava e allegra consulente Aurelia Pop) per ascoltare i soavi canti degli uccelli guardando la luna, con un vento fresco e delizioso, il profumo delle piante: già nella gioia che provavo per il lavoro che stava per cominciare. È stata un’esperienza stupenda e anche il miglior auspicio che si potesse manifestare davanti a noi: era come se quella incantevole fauna selvatica, quella marea verde lussureggiante ci dessero, a loro modo, il benvenuto e il loro «buon lavoro!»
Per me il lavoro, dopo la fede, e insieme all’amore, rappresenta la più grande forza, la maggiore motivazione della mia vita, come penso sia per molti di voi. E lavorare per togliere dall’oblio la testimonianza di fede, giustizia e carità di tanti credenti, e in generale, di molta della popolazione romena sotto la dittatura, il sacrificio spesso eroico di chi non volle, come Giuda e come Pietro rinnegare il nome santissimo di Gesù Cristo nostro Salvatore, finendo in carcere, subendo la tortura o venendo addirittura assassinati, tutto questo ti restituisce il senso del mestiere che hai scelto di fare, ti dona la gioia profonda e duratura di essere stato utile e, ancora di più, molto, molto di più, ti fa dire grazie a Dio e grazie alla vita per poter aver conosciuto delle personalità così forti, umane e straordinarie come quelle che la troupe e io abbiamo incontrato. E un grandissimo grazie anche a Pupi e Antonio Avati, produttori di questi due documentari, come di tutto il ciclo I militi ignoti della fede per conto di Tv2000 – i quali, pur sapendo non molto dei miei lavori precedenti, si sono fidati del loro intuito professionale ed umano, illuminato da oltre cinquant’anni di esperienza, affidandomi questa inchiesta. Quanto abbiamo tutti imparato: spiritualmente, storicamente, umanamente. Come siamo tornati arricchiti, e migliorati come persone e, almeno per quanto mi riguarda (alcuni di noi sono atei o agnostici, ma non per questo, naturalmente, meno encomiabili come esseri umani visto che sono bravissime persone) accresciuti nella fede in Dio.
Serberò per tutta la vita, indelebili, i ricordi di quest’esperienza in Romania: tutte le persone intervistate, ognuno ci ha donato una ricchezza straordinaria; Sighet, il Memoriale delle vittime del comunismo, Pitești, l’orrore puro con il tentativo di creare durate il regime una sorta di orribile «uomo nuovo» in cui si voleva estirpare follemente e stupidamente (è impossibile!) l’idea di Dio dall’anima, la meravigliosa figura di padre Vladimir Ghika, un sant’uomo, rispetto al cui nome vorrei solo inchinarmi e rimanere in ammirato e grato silenzio, che ormai molto anziano viene incarcerato per essersi opposto alla dittatura con, e per, la Parola di Dio, e a chi gli chiede, nella cella, «Monsignore, monsignore quando saremo finalmente liberi..? » lui risponde in questo straordinario e meraviglioso modo: «perché, tu non sei libero?», la signora Barbu che tra mille difficoltà drammaticissime, con padre e marito incarcerati, porta avanti la famiglia con una forza d’animo, una sapienza, una fede veramente inenarrabili, e tanti tanti altri! Ricordo con affetto padre Filip Crăciun, rinato al Cielo poco tempo fa, e il suo racconto delle sofferenze subite e anche di una profezia straordinaria che fece sul mio contro. Premessa: Aurelia Pop mi disse «Oggi incontreremo una grande anima che tra l’altro viene considerata un po’ come padre Pio, una persona capace di leggere dritto nel cuore delle persone senza mai averle conosciute prima e dando loro i più preziosi consigli per la loro anima, e quindi per la loro vita». E così fu: ricordo, in particolare, cosa mi disse a un certo punto, in privato, padre Crăciun, nella traduzione che gentilmente mi fece Aurelia: «Un giorno tu sarai come un ambasciatore, un portavoce della Bellezza di Cristo, del Vaticano, della fede nel mondo». Io ero credente ma solo due anni dopo quell’incontro, nel 2015, durante un pellegrinaggio a Lourdes, vivendo un’esperienza meravigliosa, vidi la mia vita cambiare per sempre nella gioia e nella Bellezza meravigliosa di Cristo, della fede e del Vangelo attraverso lo stupendo inabissamento in una conversione che poi avrebbe avuto il punto culminante, veramente celestiale, a Medjugorje: scendendo dal Podboro, la montagna dove avvenne la prima visione della Madonna da parte di uno dei giovanissimi veggenti, e dopo che a mia volta potei vivere un’esperienza non molto dissimile da questa appena citata, vivendo in uno stato d’estasi mistica un colloquio con la Beata Vergine che avrebbe guarito fino all’infinito le mie profonde e dolorosissime ferite scendendo da quella rocciosa e impervia, santa collina, udì nitide, nette, svettanti delle Parole del cuore che senza ombra di dubbio venivano dall’Alto: «Voglio che tu diventi sempre di più un araldo e portavoce della mia Parola nel mondo». E cioè lavorare per la gloria del Signore sia dal mio campo della Comunicazione sia attraverso la mia vita, se saprò, spero, fare qualcosa di buono per Lui. E non è stata questa frase sublime, che avrebbe avuto su di me un effetto dirompente, fortemente attivo e operoso, in qualche modo anticipata da padre Crăciun quando mi disse parole simili, appunto, due anni prima?
Vorrei trasmettere, oltre alla gratitudine per tutto quanto la Romania e i suoi eroici difensori del Vangelo mi hanno dato, così come tanta gente «comune» con i loro sorrisi, la loro disponibilità, il loro umile spirito di servizio e di calda accoglienza, la gioia per avervi potuto compiere un lavoro che per me resterà tra i più significativi e memorabili della mia carriera. E tra i più trasformanti della mia intera vita. È stato, infatti, dopo queste impegnative (entusiasmanti, ma anche molto faticose!) inchieste in Romania nel 2013 e nell’anno seguente, in Albania, che è senza alcun dubbio maturata la mia vera conversione a Cristo che sarebbe poi dolcemente divampata poco dopo,  a Lourdes, appunto, a Medjugorje, san Giovanni Rotondo, ogni giorno, ovunque… Grazie Romania, grazie martiri della fede, grazie popolo romeno! Ecco due brani dalle interviste che ho avuto il grande piacere di poter realizzare per questi due documentari che potete trovare liberamente su YouTube:

- I militi ignoti della fede. Romania, la nostre fede è la nostra vita. Gli anni del terrore (prima parte)
- I militi ignoti della fede. Romania, clandestini di Dio. La sofferta rinascita della Chiesa cattolica (seconda parte)

Dr.ssa Violeta Barbu (Professoressa di Storia, Università di Bucarest)

La repressione, terribile e feroce, che in Romania fu attuata dal 1948 fino al 1965, terminò, almeno con modalità tanto crudeli e sanguinarie, con l’amnistia del 1964 e la conseguente liberazione dei detenuti politici. Seguì poi un periodo di apertura, durato per un decennio, dal 1965 fino al 1975, quando ripresero i legami con l’Occidente, le visite, le relazioni e una certa distensione per quel che riguardava la politica religiosa da parte del regime, che restava sempre, però, un regime dittatoriale.
Gli ultimi 15 anni, dal 1975 fino al 1989, anno delle Rivoluzione, costituirono un’altra tappa di repressione delle Chiese, qualunque esse fossero, sia la Chiesa maggioritaria sia quelle minoritarie, con un’attenzione speciale rivolta al mondo cattolico e al mondo neoprotestante.
La Romania era l’unico paese dell’Est che aveva nel 1990 una percentuale del 90% delle persone battezzate durante il comunismo. Inoltre, il matrimonio in chiesa e le esequie religiose erano pratiche molto diffuse. Questa situazione, che è molto positiva rispetto a quanto succedeva in Russia o in Cecoslovacchia, un paese secolarizzato sin dagli anni ’20/’30 del secolo scorso, prova che la propaganda di partito ha avuto scarso successo sul piano dei sacramenti.
Si raggiunse il culmine nel 1977 con il grande piano di sistematizzazione della città di Bucarest, dopo il terremoto che aveva distrutto il centro storico, i grandi boulevard commerciali della città e causato parecchie centinaia di vittime. Allora Ceaușescu immaginò un progetto di ristrutturazione dell’intera area della città, che comprendeva tra l’altro la demolizione di chiese oppure il loro spostamento od occultamento dietro una cortina di palazzi. Questo accadde dal 1977 fino al 1990 e colpì 18 monumenti religiosi di Bucarest e due complessi monastici, Cotroceni e Văcărești, il più grande monastero ortodosso dei Balcani, fondato all’inizio del XVIII secolo. Quest’offensiva colpiva la fede della gente, perché in Romania non erano mai state demolite chiese dal 1945, come invece era successo in Croazia o in Russia. Quest’offensiva senza pari contro le Chiese fu dolorosamente risentita dalla popolazione, che non ebbe la possibilità di opporsi; del resto tutto veniva compiuto in sordina o di nascosto: durante la notte, arrivavano improvvisamente i bulldozer, le chiese venivano demolite, oppure, nel giro di qualche mese, le chiese più piccole erano spostate dietro i palazzi.
Esiste una storia, forse poco studiata e non ancora veramente scritta, dei vincoli tra le Chiese dell’Est e della Romania – chiese di varie confessioni o riti – e i cristiani dell’Occidente. È ovvio che c’è stato un interesse per capire cosa succedesse oltre la Cortina di Ferro. Ci sono state testimonianze, la cui l’importanza la capiamo solo adesso, dopo quasi 25 anni dalla caduta del Muro, dei modi con cui la società civile dei paesi occidentali ha provato ad avere un contatto, di solidarizzare, di fare testimonianza, di rendere noto che i cristiani dei nostri paesi soffrivano in silenzio. Di questa Chiesa del Silenzio, come è stata chiamata nella stampa occidentale del tempo, si è saputo poco e con grande rischio perché, per esempio, in Romania i viaggi erano estremamente pericolosi, specialmente dal 1980, quando ogni contatto con una persona straniera doveva essere oggetto di rapporto alla Securitate. Non potevi ospitare una persona straniera senza che la polizia politica ti chiedesse cosa succedesse. Potrei fare alcuni esempi concreti. L’Associazione Aiuto alla Chiesa che Soffre era presente in clandestinità in Romania e riusciva a raccogliere informazioni e a sostenere casi individuali di sacerdoti arrestati, le cui famiglie passavano attraverso grandi difficoltà economiche e morali. Un’altra filiera di sostegno è stata quella neo-protestante. Tantissimi sono stati i canali clandestini che hanno portato in Romania il conforto di materiale religioso stampato all’estero, tutte edizioni molto piccole che si potevano nascondere, stampate per esempio dalla Bible Society.
Allo stesso modo, vi erano altri gruppi e associazioni, per esempio quelli che appartenevano ai movimenti ecclesiali, e posso fare due esempi ben noti al pubblico italiano, il movimento dei Focolari e quello di Comunione e Liberazione, che riuscirono a far penetrare in Romania dietro alcuni inviti, sin dagli anni ’70, persone per capire quale fosse la situazione e dare testimonianza della Chiesa del Silenzio.
Un caso piuttosto isolato di resistenza è stato quello di un prete ortodosso chiamato Gheorghe Calciu-Dumitreasa, ex detenuto politico, incarcerato nel periodo 1949-1965. Fu imprigionato la prima volta nel 1948, quando aveva 21 anni, per i suoi discorsi contro le imposizioni del regime, e rimase in carcere per sedici anni. Dopo il 1965 divenne sacerdote e professore al seminario.
Intorno a lui si coagulò un gruppo di giovani perché iniziò a predicare contro l’ateismo e il regime comunista e a protestare tramite Radio Europa Libera, che aveva sede a Monaco di Baviera ed era stata finanziata dal Congresso Americano e trasmetteva in tutti i paesi dell’Est europeo. Lì giunsero le proteste che alcuni di loro avevano redatto e le firme raccolte contro la demolizione delle chiese. Nel 1979 il sacerdote Calciu-Dumitreasa fu nuovamente arrestato e condannato a 10 anni di carcere per i suoi sermoni in cui attaccava direttamente e con grande coraggio Ceaușescu. Fu anche il fondatore del primo Sindacato della Gente Libera di Romania, un sindacato costruito secondo il modello di Solidarność, la Solidarietà polacca. Questo arresto ebbe effetti negativi sul regime, Nicolae Ceaușescu non voleva che lo si sapesse in Occidente, data la sua politica di apertura verso l’Europa di quel momento. Calciu-Dumitreasa aveva ottimi legami con la regina d’Inghilterra, il Generale de Gaulle, Richard Nixon, François Mitterand, con tanti personaggi importanti dell’Occidente, dell’Est. Padre Calciu-Dumitreasa rimase in carcere dal 1979 al 1984, e anche se doveva ancora scontare una pena di 10 anni, fu finalmente liberato grazie alle pressioni dell’opinione pubblica internazionale, di Reagan, Mitterand e altri leader occidentali.
Pur essendo un sacerdote ortodosso, in Romania è stato uno dei più importanti dissidenti di quel periodo, in cui essere dissidenti significava venire espulsi o costretti al domicilio coatto.
È molto importante che questo ricordo, durato per 50 anni, nato dalla sofferenza ma anche da molta luce, la luce data dalla confessione di un senso di quella sofferenza, sia trasmesso alle generazioni future. Del modo in cui possiamo farlo, potremmo parlare a lungo, perché non è cosa facile, e questo per due ragioni: la prima ci viene dai testimoni stessi che il più delle volte considerano la loro esperienza personale difficile da trasmettere... e non trasmissibile. È difficile convincere le persone a parlare di cose che le ha traumatizzate.
Il secondo elemento importante che rallenta la trasmissione della memoria è la pressoché generalizzata mancanza di volontà della nuova generazione di rapportarsi a un passato prossimo che è il passato dei loro genitori o dei loro nonni. Cosa si può fare affinché questi due punti siano messi insieme? Sono tante le cose da fare. Per esempio, per come in Romania è stato concepito, sia a Sighet che a Cluj, il primo dovere che hanno le autorità e le Chiese insieme a loro è l’allestimento di questi luoghi della memoria, come sono stati chiamati da Pierre Nora. Questi luoghi della memoria sono luoghi nei quali i giovani possono andare, possono partecipare ai dibattiti, vedere dei film, fare domande ai testimoni.

Padre Filip Crăciun: «Al tempo del comunismo, alcuni vescovi sono stati incarcerati, altri sono stati costretti agli arresti domiciliari. Marton Aron, che già aveva avuto il coraggio di denunciare vibratamente le deportazioni degli ebrei, si era successivamente opposto al regime comunista che prima gli fece passare cinque anni in carcere, poi gli diedero gli arresti domiciliari dentro la sede vescovile. Gli era vietato di andare in classe, di aver qualunque legame con noi, alunni di Teologia. Non poteva fare altro che andare clandestinamente di notte, nel dormitorio, per insegnare la religione e dove si metteva in ginocchio e cominciavamo tutti a pregare il Rosario... Tutto questo durante la notte. Questo è stato molto doloroso per lui, come per tutti noi».




A cura di Umberto Rondi

(febbraio 2019, anno IX)