Tre poeti italiani al Festival Internazionale di Poesia di Bucarest, edizione XV

Si è conclusa di recente la XV edizione del Festival Internazionale di Poesia di Bucarest, grandioso incontro delle più diverse e vitali voci liriche di tutti i continenti, dialogo multilingue tra nazioni, generazioni, tendenze e correnti. Ecco dunque che sono già quindici anni che la laboriosa e intelligente équipe del Museo Nazionale della Letteratura Romena di Bucarest, con a capo il suo instancabile direttore Ioan Cristescu e con l’aiuto di quel mirabile costruttore di ponti fra culture e lingue che è il poeta Dinu Flămând, direttore artistico del festival, attragono verso la poesia un numero incredibile di istituzioni romene e straniere, di sponsors e di partners media, creando un evento-calamita non solo per i poeti e i lettori di poesia della Romania ma anche per molti poeti, editori, critici e traduttori stranieri. Come nel passato, anche quest'anno dibattiti, letture pubbliche live in molte lingue, presentazioni di libri, mostre, workshop, tutto condito con concerti e performance in spazi deputati o non convenzionali, si sono succeduti ininterrottamente. Era impossibile seguirli tutti, perché molti eventi  si svolgevano in parallelo. Vorrei menzionare solo una première inconsueta e incantevole: il secondo giorno del festival, sotto un sole splendente, nella freschezza del mattino, una ventina di invitati al festival, poeti stranieri e romeni, sono venuti a Mărțișor, cioè alla poetica casa-museo del grande poeta romeno Tudor Arghezi, dove, nel vasto giardino, ognuno di loro ha piantato un ciliegio, attaccandovi una targa con il proprio nome e un verso che lo rappresenta meglio. In seguito, si è bevuto un bicchiere di vino, assagiato i deliziosi dolci fatti in casa, i poeti hanno letto poesie di Arghezi o proprie in varie lingue. È stato l'incontro poetico più amichevole e caloroso, il più naturale e umano che si possa immaginare. Tra i poeti che hanno zappato e piantato c'erano, naturalmente, i tre italiani invitati al festival. Vorrei presentarli qui ai nostri lettori. Ma prima desidero ringraziare l'Istituto Italiano di Cultura di Bucarest, personalmente la sua calorosa direttrice, Laura Napolitano, che ogni anno non solo sostiene materialmente la presenza italiana al festival, ma instaura anche un rapporto affettuoso e accogliente con ciascuno dei poeti invitati. I tre poeti italiani presenti al festival quest'anno e che hanno piantato ciliegi nel giardino di Arghezi erano: Elisa Donzelli, Marco Fazzini e Christian Sinicco. Ho avuto il privilegio di tradurre le poesie recitate da ciascuno di essi alla maratona di letture pubbliche del festival e poi di trascorrere insieme alcune ore indimenticabili tra discussioni letterarie e confessioni. Li presento brevemente ai nostri lettori, cui offro in italiano (e nell'edizione romena, in romeno) anche le poesie da loro lette in quella serata magica del giardino del Museo.
           
                                   

ELISA DONZELLI (n. 1979)

Poetessa di solida formazione filologica, formatasi all'Università «La Sapienza» di Roma sotto la guida di grandi docenti, teorici e critici letterari, è attualmente essa stessa docente di letteratura italiana contemporanea presso la celebre Scuola Normale Superiore di Pisa e specialista delle opere di grandi poeti del Novecento come Caproni, Sereni, Bertolucci. Persona raffinata e delicata, mente aperta e naturalmente cordiale, la Donzelli si impegna con ottimismo e coraggio in progetti culturali di grande respiro.




Viaggio di nozze


l’animale che fugge con Europa sul dorso
non è più il Dio della mia costellazione.
Serviva scendere in Africa,
vedere l’accoppiamento delle leonesse
schierate davanti al leone a caccia
del solo bersaglio da centrare,
e il giorno dopo la cucciolata
in festa intorno alle madri
e la mia testa che vuole
sporgersi dal veicolo – abitacolo
semiaperto a cinque porte “non lo sai
che è vietato quello che stavi per fare?
che gli animali nella savana vedono
solo le ombre di noi umani?”.
Hai avuto paura per me quando
la più anziana si è accorta che c’ero
e il ranger le ha puntato il fucile contro.
Non so se avremmo procreato
il figlio che portavo dentro
se la testa non fosse uscita dal mezzo
o fossi rimasta senza ombra, senza
vedere l’Africa con le sue apartheid
sino al Capo di buona speranza
mentre avvisto balene e non vedo
leopardi che tu per me riesci a vedere.
Questo nostro continente
in lotta per i diritti di un solo
mare che da sempre io studio
amo, così antico istruito non sa
che per nascere bisogna
sporgersi farsi ombra,
qualche volta morire.

(Da Uomini blu, Stampa2009, 2023

*


sono la neonata distesa e nera
figlia di un maschio del sud,
di una femmina del nord
la bambina riccia, la piccola
che preferisce i piccoli, dietro
le cene capisce i grandi
il menarca che rompe, sono
la gazzella troppo alta
per la danza classica
l’adolescente che risponde,
schiva i gruppi
che vogliono tutti
io sono l’amore contro i muri,
la ragazza che non vuole
i maschi che vogliono,
che non vuole il lavoro
che vogliono
la giovane donna
che determina gli eventi,
taglia legami ferisce parenti,
la sposa che esibisce,
la compagna che costruisce
l’ostinazione, la sorella
mancata sorella malata,
le figlie, le secondogenite
e il corpo bianco della madre,
l’utero che accoglie il bambino
ed altri animali
io, questo
e altre sono stata
mentre tu, mio io, bussi
mi cambi e non pensi
che per amarti sempre
ho tradito

*midjourney («a metà cammino») è un software artistico di ultima generazione che si basa su Intelligenza Artificiale.

 

Tuaregh. Ode to my parents

blu è il mio nome familiare
e blu è stato il moto dei giorni
diluito sulle pareti ogni volta dipinte
secondo pantone, più azzurro nelle tele
più fondo nei riti, indaco tra gli scaffali dei libri

e blu erano tutte le cose con cui mi spingevo
lontano da voi, negli spazi congiunti poi divisi
dalla paura per giorni di dormire fuori di casa
con la lucina da notte attaccata alla presa.

Forse perché non si poteva dire che il luogo
in cui sono iniziata non è stato a terra
ma su una barca, a largo del mare,
è berbero il ricordo che ho di voi
uomini blu, persone unite



MARCO FAZZINI (n. 1962)

Marco Fazzini (già presente sulla nostra rivista con una lunga intervista nel numero di settembre 2018), anglista, specialista in letteratura inglese postcoloniale, professore all'Università Ca' Foscari di Venezia, vive a Vicenza ed è in realtà un artista estremamente complesso: poeta con molti volumi di versi, pluripremiato traduttore di grandi poeti di lingua inglese, fondatore e direttore della rivista internazionale di poesia «Fili d’aquilone», ideatore e direttore artistico del festival di poesia e musica «Poetry Vicenza», nonché acquerellista riconosciuto internazionalmente e jazzista. È luminoso come si vede nella foto
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St. Andrews

Ho camminato lungo questa spiaggia
un pomeriggio, e poi ancora un altro

smuovendo i piccoli segreti
di conchiglie abbandonate
dentro un fiordo.

Domani saranno forse sabbia,
o detriti che la storia avrà dimenticato.

Un grande corvo sopra un palo
mi scruta dentro il vuoto.
Domani sarò già partito.

 

Welwitschia mirabilis

Un assegai piantato tra dune
e venti e ritorni di dune
gravita ora nel tuo occhio
di conifera nana pulviscoli 
di carne e di osso annotati
dal tempo sopra fogli di nebbia.

Bevendo, bevi tristi battaglie,
fondi d’attese, millenari kraal
deserti, motivi pizzicati sull’arco
d’un boscimano solo che s’attarda
sul tuo cuscino di foglia e trema
nella scheggia d’un sogno.

 

Alla luna

Luna che t’alzi, luna che torni,
Dammi il tuo volto, un giovane volto,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

Amica di sempre, di mille soggiorni,
Cambiami il volto, questa vita che ho colto,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

Ho a lungo vagato, sognato ritorni,
Ma i misteri di sempre mai ho risolto,
Luna che t’alzi, luna che torni.

Lo so che c’è poco ormai da propormi
Mi perdo nel tempo ch’è lento e m’è tolto,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

Odo frusciare e un richiamo di corni,
M’illumini spero nel bosco ch’è folto,
Luna che t’alzi, luna che torni.

A un finto sognare non voglio più espormi
Ma sono felice quando qui io t’ascolto,
Luna che t’alzi, luna che torni,
Benché tu sia morta, e conto i miei giorni.

 

Così volevo

Così volevo la poesia
materia bianca, accarezzata.
Piuma, petalo o carta
al limitare di un’alba.

In silenzio l’occhio nudo
qui vi splende, si pettina di luce,
perché il desiderio
s’infatui d’orizzonti.




CHRISTIAN SINICCO (n. 1975)

Vive fra Trieste e Roma e conduce un'interessante esistenza double face: da sindacalista Cgil e lavoratore in una concessionaria autostradale del Triveneto, e da poeta, direttore del periodico multimediale «Fucine mute», fondatore della Lips (Lega italiana poetry slam). Promuove la poesia dialettale, per cui ha curato il volume L'Italia a pezzi. Antologia dei poeti in dialetto e in altre lingue minoritarie (1950-2013) (Gwynplaine, 2014) e dirige la rivista «Poesia del nostro tempo». Ha pubblicato tre volumi di poesia Passando per New York (LietoColle, 2005),  Alter (Vydia, 2019), Ballate di Lagosta (Donzelli); alcune sue poesie sono state tradotte in numerose lingue



da Ballate di Lagosta (Donzelli editore 2022)
        
la piccola spiaggia
si è colmata con la marea,
posso vedere tra il mio male
e la bellezza, il nostro male
e tutta la bellezza;
poi i segni invadono
e mi osservo nell’inondazione:
vorrei sapere cosa sono
i cicli della Luna,
come un’ascensione
nella gioia, nei chilometri
da conquistare all’universo

*

l’isola è un uomo,
il suo cuore l’estasi e la sua lingua
estesa ovunque, liquida,
ma dopo la tempesta
i colori dell’erba sono bruciati,
il paesaggio si è raffreddato
e ha spinto un vento ignoto
il ciclone dell’inverno tra le barche,
e nessuno ricorda
le parole disperse sul cielo nero,
i nomi morti nel Mediterraneo

*

e tu tornerai ogni giorno all’alba
con gli spazi vuoti da custodire:
tra le pietre scolpite
la linea della costa
sarà mutata, ed io non saprò
di te, se ti tufferai
o scenderai tra i gradoni
di calcare e poserai
sopra la posidonia
la tua sagoma di uomo
che continuerà a muoversi con le onde,
che continuerà a crescere dopo di me,
dopo la mareggiata
e l’erosione della nostra memoria.

 

Poesie inedite

La via lattea

Vedo in te la via lattea
e ho capito che sono nei sentimenti:
naviga la stella della mia vita,
corrono con la calma
le voci del lounge bar,
assedia il pensiero, il tempo
non fa ragionare;
ferma sulla scogliera
sei lì; sono sul punto di capirti,
passa un pescatore dell'universo
e poi un altro nella stessa oscurità:
rimaniamo soli, e a te va bene
come sono - prima sei stata nel futuro,
quasi hai visto come si ordina la tavola
nel palazzo della realtà, non fosse
che vai oltre la corrente
dove saremo uniti
e i corpi si mescolano, la distanza
tra gli astri nel cielo,
è nel nostro entrarci,
e questo credo
sia tutto.

 

La nostra biografia

ETNAM · VELΘINAL · ETNAM · AISUNAL · ΘUNXERŚ
poi per le umane poi per le divine leggi
Liber linteus Zagrabiensis

In questa distanza sono come Ulisse
nudo e inchiodato all'albero, senza testa per la musica,
che non riesce a smettere di gridare per la tua dolcezza
che penetra la pelle,
la corrente che sbatte sul volume del passato,
sulle rovine delle arene, in una paralisi
di momenti che non ci sono più, con i nostri estremi,
le stelle intraviste e i corpi.
Il contenuto di questo sarcofago è una porta divelta,
il sole esce dal cielo bianco degli Etruschi
e la nostra biografia scivola infinitamente;
le isole senza fondali guardano la nave concava,
la vela quadra, si fanno sempre più vicine:
è una lingua, l'udito è resistente
qui in piedi, tra due finali
che non hanno termine.


Smaranda Bratu Elian
(n. 10, ottobre 2025, anno XV)