Dinu Flămând, «Sogno con Sinisgalli»

Leonardo Sinisgalli (1908-1981), poeta, narratore, critico d’arte, giornalista, disegnatore e pittore, fondatore e direttore di riviste culturali e di programmi radio, genio della pubblicità per parecchi dei gigani dell’industria italiana, e nello stesso tempo ingegnere e matematico, è stato probabilmente la personalità del Novecento che si è avvicinata di più, per l’universalità dei suoi interessi e delle sue realizzazioni e per l’ininterrotta aspirazione di coniugare scienze ed arti, al suo celebre omonimo del Rinascimento. Sconosciuto del tutto in Romania e fino a poco tempo fa quasi dimenticato anche in Italia, in questi giorni in Italia Sinisgalli ritorna, con inaspettato vigore, all’attenzione delle case editrici e dei critici. La casa editrice Mondadori gli prepara una massiccia edizione nella celebre collana I meridiani, curata da un altro grande poeta e critico, Silvio Ramat; la sua regione di origine, la Basilicata, gli dedica incontri e riedizioni, Roma gli tributa dibattiti e convegni dove partecipano prestigiosi specialisti ed autorità. Sensibile al fremito di questo ritorno, il noto poeta e traduttore romeno Dinu Flămând, che da molti anni si adopera, fra l’altro, alla diffusione della poesia italiana del Novecento in Romania, sta preparando un primo e importante volume Sinisgalli per i lettori romeni. Di questo volume prometto ai lettori della nostra rivista un’anteprima in prossimità della pubblicazione del volume romeno nelle librerie. Per il momento, con il permesso dell’autore, gli offro, nella mia traduzione, una poesia recente di Dinu Flămând, ispirata a una sua speciale esperienza mentre traduceva le poesie di Sinisgalli.

Smaranda Bratu Elian


Sogno con Sinisgalli

...«la chiamano Lucania non Basilicata» tentava di suggerirmi
dal primo banco, mentre io alla lavagna barbugliavo
stronzate dopo stronzate. Zero in lettura e in geografia,
asino in matematica, in latino e storia...

e «fuso» vuol dire ciò che nella tua lingua si chiama «fus»
e «tessuto» ciò che tesse tua madre e lo chiami «țesut»
e quando hai sete bevi «acqua» sebbene in bocca abbia «apa»,
ma invano – niente mi entrava in testa...

Andava meglio nell’intervallo, quando tiravamo fuori le monetine
e giocavamo a lanciarle una per una contro la parete
tanto forte che le intaccature sono ancora visibili
sull’intonaco. Ma ora ve lo posso dire: a volte lo lasciavo
vincere, perché il suo palmo fra le monetine era
più piccolo del mio, io contadino transilvano – lui lucano
più gracile di me, più scuro di pelle
forse anche per dispetto ché suo padre era andato via.

Ogni tanto voleva entrare in campo anche quel calvo di Orazio
che era dei paraggi,
ma le sue monete non erano simili
né a quelle di Leonardo né alle mie,
con effigie di Augusto, con volti di dei.

Gli piaceva molto chiacchierare con lo spazzino del villaggio
l’ha presentato una volta anche a me, e spesso
andavamo a nasconderci in un vecchia vigna, e lui vi vedeva delle muse
che gli lasciavano dei versi sulle foglie. A quei tempi
l’Universo intero irrompeva verso di noi.

Mi ha fatto vedere il suo grande segreto: quando calava la sera
i colli a Montemuro cambiavano forma e colore
e il mattino li vedevi a testa in giù.
Sulle creste di quei colli capovolti
se n’è andato a radunare le sue capre
e mi sta aspettando.




Dinu Flamand
Traduzione di Smaranda Bratu Elian
(novembre 2018, anno VIII)