|
|
«Io sono ombra». La poesia di Gilda Vălcan
[…] e Dio gioca con le loro vite
e il Diavolo gioca con le loro menti,
e io danzo schiacciata tra i fiori
sopra la mia tomba
aperta dall’alba all’alba
e comunque non muoio! […]
(Gilda Vălcan, Io sono ombra, Poesie scelte, p. 113)
L’ombra avvolge e lega questa antologia di Gilda Vălcan, Io sono ombra, Poesie scelte (Antologia e trad. a cura di Irma Carannante, Criterion Editrice, Milano, 2021).
Io sono ombra è quasi un’ammissione di completezza, è «danzare schiacciati tra i fiori sopra la propria tomba» (pp.111-113)
«Dare ombra» fu caro a Paul Celan [1] e alla creazione delle ombre soleva guardare Sylvie Plath mentre viveva il mondo attorno a sé.
Se, ne La carne della solitudine [2] lo sguardo di Angela Marinescu si posava oltre a ciò che sentiva esserle concesso, in questo volume di Gilda Vălcan la solitudine diviene un corpo che muta: « […] mi trasformo lentamente, prendo le forme del tuo corpo, / e cieco potrai vederti nel mormorio delle voci che / mi chiamano già con il tuo nome» (p. 83), corpo che implora: « […] e mi inchinerei al cospetto degli dei se potessi vestirmi del tuo corpo […] » (p. 97) e che possiede spasmi: «[…] per indossare / un salvagente mortale / perché il tempo non passa, noi passiamo, il tempo resta lì / e ride degli spasmi del nostro corpo.[…]» (p. 95).
Nei fraseggi contenuti in questa antologia si respira l’interiorità che la poetessa esplica in un continuo dialogo tra sé e l’altro da sé rievocando in questo ‘specchiarsi’ ciò che fu caro anche a Mariana Marin [3] e decretando infine: «[…]siamo tutto ciò che gli specchi hanno potuto conservare / dei nostri volti.» (Siamo, Io sono ombra, p. 37), «Tu sei stato in tante vite, / sei stato io anche ieri / e anche domani lo sarai, / per questo non possiamo incontrarci. / invano ci cerchiamo negli specchi, / lì c’è il contrario di quello che sei / di ciò che sono. […]» (p. 107). La ‘pietra’ di Marta Petreu [4] ne ricorda la determinazione che indomita si posa su persone, parti del corpo e oggetti, in concitate accezioni: «[…] bacerei la pietra del tuo occhio [...]» (p. 33), «[…] che il tempo passa e lascia impronte profonde nella pietra, [...]» (p. 95) e nel mentre, le palpebre resistono: «[...] abitiamo in una casa che sta per crollare, / la mattina ci svegliamo con la calce viva / sulla nostra unica palpebra […]» (p. 105).
È proprio questo resistere di palpebre a vegliare sulla poesia di Gilda Vălcan. Così, il volto si scioglie: «Dove passi / il mio volto si scioglie / all’ombra della tua voce / e non riesce / a pronunciare la parola / che ti condurrebbe sui miei passi […] » (p. 41), ci si nasconde all’ombra degli alberi: « [...] “nulla. mi piace credere che sul tuo corpo / crescano alberi alla cui ombra mi nascondo.” […] » (Oggi resti con me, Io sono ombra, p. 45), in quell’ombra che diviene soglia: «E cosa avrei dovuto fare, uccidervi? / la dolcezza uccide con mille volti / l’abbraccio in cui vi addormento è un veleno / riscaldato all’ora della penombra, lì dove / tutti mi avete abbandonata. […]» (p. 85), «Aspetto, i miei vestiti cadono sulla soglia della porta / resto con la pelle che spoglierebbeanch’essa le arterie» […] (p. 97), «[…] qualcuno guarda nell’ombra il nudo composto di ossa / e si chiede cosa stia aspettando.» (p. 97)
Il filo di solitudine che lega la poesia di Gilda Vălcan si scardina in alcuni fraseggi per essere ricondotta in parole immediate, sconosciute all’autrice, che si scrivono da sole e che per tale ragione si sottraggono all’obbligo del permesso: « […] Se potessi pronunciarti / mettere il tuo nome sulle tue cosce / ferirti / avrei le parole […] », (p. 33), «Sono perseguitata da alcune parole che si scrivono da sole / le trovo quando rileggo le mie righe e so che non sono stata io […] », « […] senza il mio permesso questa parola che resta a me sconosciuta, e mi chiedo, chi mai abita sotto la mia palpebra o sotto la mia / unghia / e a ogni lettera mi scrive parole dirette soltanto a me?» […](Sotto la palpebra, Io sono ombra, p. 61).
Sottrarsi all’obbligo del permesso, sottrarvisi, fino alla certezza della penultima pagina:
I morti mi vogliono
sono andati tra i loro cari per consolarli
ma loro vogliono me
e io non posso morire
non muoio.
alcuni hanno coltelli affilati
attaccati alla mia gola
e tagliano!
non accade nulla.
come se non avessi sangue
come se esistessi solo nella loro mente.
oppure i morti mi hanno già presa
con ogni loro morte
ma non ne sono consapevoli
e continuano a volermi.
hanno reclutato mercenari da ogni orizzonte,
vedo i loro sguardi corrotti
da stupide promesse fatte dai miei morti,
come se il mondo fosse stato creato per loro.
e Dio gioca con le loro vite
e il Diavolo gioca con le loro menti,
e io danzo schiacciata tra i fiori
sopra la mia tomba
aperta dall’alba all’alba
e comunque non muoio!
Una croce calpestata dalle pietre
Un cuore strappato dal petto
Una mente rinchiusa in delirio
Un’anima portata in braccio
Dal solo figlio avuto.
i morti mi vogliono
ma io non sono più.
né qui, né lì, né nella parola.
cercami nell’abbraccio infinito
elargito nel momento in cui ho partorito.
(G. Vălcan, Io sono ombra, Poesie scelte, pp.111-113)
Laura Capra
NOTE
1. P. Celan, Sprich auch du, Von Schwelle zu Schwelle, 1995.
2. A. Marinescu, La carne della solitudine, Antologia della poesia rumena contemporanea, trad. Linda Maria Baros in Confluences poétiques.
3. M. Marin, Poema d’amore, Zestrea de Aur, 2002.
4. M. Petreu, Come a una pietra, Questa non è la mia vita, Ed. Polirom, 2014.
POESIE DI GILDA VĂLCAN
Sotto la palpebra
Sono perseguitata da alcune parole che si scrivono da sole
le trovo quando rileggo le mie righe e so che non sono stata io forse qualcun altro, sconosciuto, invisibile, ha scritto
senza il mio permesso questa parola che resta a me sconosciuta,
e mi chiedo, chi mai abita sotto la mia palpebra o sotto la mia unghia
e a ogni lettera mi scrive parole dirette soltanto a me?
Sono sicura che, se le raccogliessi, se le mettessi in fila l’una dopo l’altra,
nascerebbe la storia di qualcun altro, forse di colui che si nasconde.
(G. Vălcan, Io sono ombra, Poesie scelte, p. 61)
Sub pleoapă
Sînt bîntuită de unele cuvinte care se scriu singure
le găsesc cînd îmi recitesc rîndurile și știu că nu eu
poate altcineva, neștiut, nevăzut, a scris
fără voia mea acest cuvînt ce-mi rămîne necunoscut,
și mă întreb, cine oare îmi locuiește sub pleoapă sau sub unghie
și-mi scrie la fiecare scrisoare cuvinte adresate doar mie?
sînt sigură că, dacă le-aș aduna, le-aș înșirui unul după altul,
s-ar naște povestea altcuiva, poate a celui care se ascunde.
Se potessi pronunciarti
mettere il tuo nome sulle tue cosce
ferirti
avrei le parole
bacerei la pietra del tuo occhio
ti mentirei
odiando il bosco che cresce sulle tue ossa
forse davvero ti ucciderei
(Gilda Vălcan, Io sono ombra, Poesie scelte,p.33)
Dacă aș putea să te rostesc
să-ți aşez numele pe coapse
să te rănesc
mi-aș aduce cuvinte
aș săruta piatra ochiului tău
te-aș minți
urînd pădurea ce-ți crește pe oase
poate chiar te-aș ucide
Abitiamo in una casa che sta per crollare,
vecchio il giorno, vecchio il frutteto,
tagliamo la legna per sostenere il muro
spostiamo la collina, scaviamo nelle fondamenta
e non ci decidiamo a demolire la casa
o ad andare via…
abitiamo in una casa che sta per crollare,
la mattina ci svegliamo con la calce viva
sulla nostra unica palpebra
(Gilda Vălcan, Io sono ombra, Poesie scelte, p.105)
Locuim în casa care stă să cadă,
bătrîna si, bătrâna livadă,
tăiem lemnul pentru a propti zidul
mutăm dealul, săpăm la temelie
șî nu ne îndurăm să dărîmăm casa
sau să plecăm...
locuim în casa care stă să cadă,
dimineața ne trezim cu var nestins
pe unica noastră pleoapă
Nota bio-bibliografica
Gilda Vălcan, nata nel 1973 a Galați, è una poetessa romena contemporanea, nonché una profonda conoscitrice della filosofia classica e moderna. Ha svolto un dottorato di ricerca in filosofia all’Università Babeș-Bolyai a Cluj-Napoca, in Romania, e ha insegnato alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Tibiscus a Timișoara e all’Università di Padova. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia: Pe linia spatelui tău (Sulla linea della tua schiena), Editura Universităţii de Vest, Timișoara 2002, che è stato insignito del premio Timișoara per i giovani poeti dell’Unione degli Scrittori di Romania, Cu uşile întredeschise, (A porte socchiuse), Marineasa, Timișoara 2011, di cui esiste anche una traduzione in spagnolo, Cu uşile întredeschise, (A puertas entreabiertas) trad. Por C. Iliescu Gheorghiu, Onada Edicions, Benicarlo, 2014. Femeia de sticlă (Donna di vetro), Marineasa, Timișoara 2012 e Medusa (Medusa), Brumar, Timișoara, 2018.
(n. 2, febbraio 2022, anno XII)
|
|