Mariana Marin, la «poetessa in jeans». Traduzioni inedite

Mariana Marin nasce nel febbraio del 1956 a Bucarest, città in cui consumerà la sua intera esistenza, breve, travagliata e profondamente «poetica», conclusasi prematuramente nel marzo del 2003. Frequenta l’università di lettere ed entra in contatto con il «Cenacolo del lunedì» (attivo dal 1977 al 1983, quando fu sciolto dal partito comunista che lo riteneva sovversivo), organizzato da Nicolae Manolescu e frequentato da alcune delle personalità poetiche che più tardi si ricostituiranno nel gruppo dei cosiddetti Optzecişti: Mircea Nedelciu, Alexandru Muşina, Mircea Cărtărescu, Ion Bogdan Lefter, Traian T. Coşovei, Ioan Es. Pop, Nichita Danilov, Ion Mureşan, Gheorghe Crăciun, tra gli altri, insieme a Mariana Marin, saranno i protagonisti di un grande cambiamento, creatori di un nuovo modo di scrivere e vivere la poesia.

La generazione degli anni ’80 infatti (nota anche come «generazione in jeans ») avrà il grande merito di ripensare il rapporto tra poesia e realtà, e proprio il «Cenacolo del lunedì» rappresenterà uno dei nuclei di propulsione del cambiamento. La Romania complessa e frammentaria dell’ultimo decennio di regime, la Romania stanca e soffocata nella cortina della dittatura è appunto la realtà in cui si muovono gli Optzecişti. Si tratta di un confronto che si sviluppa in modi diversi, nei vari modi in cui l’individuo entra, o cerca di entrare in contatto col contesto: analisi, decostruzione, rifiuto – onorico o alcolico –, distorsione, contaminazione. Soprattutto, si tratta di descrivere il reale, smontarlo, analizzarlo.
Di fronte a quest’attitudine, molta critica ha formulato il concetto di postmodernismo romeno, le cui peculiarità pare assumano, in primo luogo, carattere generazionale: la «generazione in jeans» sente di appartenere e formare essa stessa un nuovo nucleo poetico con nuovi intenti, e si autodefinisce in essi attraverso vere e proprie formule, come «nuova sensibilità», «presa sul reale», «la poesia che scende in strada». Una sorta di tensione programmatica di fronte al reale [1]. In questo senso, «l’ala lunedista», a cui Mariana Marina apparteneva, cerca di superare l’astrazione modernista in favore di una dimensione più umana quanto pragmatica della scrittura poetica. La poesia allora diventa descrittiva, «enumera all’infinito oggetti e superfici in evoluzioni poetiche orali, torrenziali» [2], in testi lunghi, disordinati e pieni di immagini provenienti dalla vita reale, restituite al lettore distorte in soggettività, ironia e linguaggio colloquiale. Una sorta di neo-espressionismo che racconta l’individuo all’interno e all’esterno di sé, diventando allo stesso tempo poesia engagé, poesia di strada, secondo l’esempio della Beat Generation d’oltreoceano.

Mutilarea artistului la tinereţe (La mutilazione dell’artista in gioventù) è la penultima raccolta dell’autrice, pubblicata nel 1999. Uno dei temi principali, già suggerito dal titolo, è la condizione dell’artista e della sua opera, raccontata attraverso il filtro di un’interiorità ripiegata su se stessa, autentica fino all’ossessione, sincera fino al sarcasmo. Mariana Marin racconta il poeta come un individuo ontologicamente diverso dagli altri individui, «minoritario», traumatizzato dal rapporto col reale, col sociale, da cui è respinto con forza. In questo senso, una delle immagini più ricorrenti nella sua scrittura è la metafora dell’esplulsione: il poeta è gettato in un mondo a cui non può adattarsi e che gli dimostra giorno per giorno la propria inadeguatezza di individuo ai margini e tuttavia all’interno, nel bel mezzo del mondo di cui scrive, in cui al di là di tutto vive. Il poeta allora è preso in una sorta di movimento contraddittorio, in cui affronta e fugge allo stesso tempo, in cui tentenna di fronte alla possibilità di implicarsi o ritirarsi dal reale, per il singolo tramite dell’opera poetica.

Come il poeta, anche la poesia è bivalente, unico strumento spuntato per penetrare il reale e dal reale ugualmente permeato. La poesia allora è in strada, è sociale, la poesia nella visione di Mariana Marin è incarnata in tutte le cose del reale, della vita quotidiana piena di poesia. Ancora, nel movimento circolare in cui poesia e realtà entrano l’una nell’altra, la scrittura diventa anche connessione umana, legame tra tutti coloro che, per paura o incapacità, vivono una condizione minoritaria, di inferiorità e spavento ma anche di rabbia.
È davvero una poetica neo-espressionista quella di Mariana Marin, che confessa la propria interiorità sofferente senza lamenti o artifici retorici, ma con furia, che urla l’interiorità, negandola, distorcendola. Il mondo interiore diventa ossessione, come argomento poetico principale, eppure allo stesso tempo è rifiutato e consumato dal sarcasmo con cui l’autrice ne parla. Tutto ciò che concerne il riconoscimento o l’affermazione di se, com’è ad esempio la sfera emotiva, è consumato in sequeze descrittive inacidite, sformate, in cui l’ironia corrode gli affetti o direttamente estirpa ogni legame, pietrifica l’anima del poeta e la frantuma. Un’opera poetica intricata, inanellata nei testi e nella biografia di un’autrice tra le maggiori della poesia romena, femminile, contemporanea.

NOTE

1. Mircea Cărtărescu, Postmodernismul românesc, Ed. Humanitas, Bucarest, 2010.
2. Ibid., p. 150.

Nota bio-bibliografica
Marian Marin nasce nel 1956 a Bucarest, dove morirà nel marzo del 2003.
Il suo debutto, premiato dall’Unione degli Scrittori come opera prima, risale al 1981, la raccolta di versi intitolata Una guerra di cent’anni (Editura Albatros). L’anno successivo, nel 1982, insieme ad Alexandru Muşina, Romulus Bucur, Bogdan Ghiu e Ion Bogdan Lefter pubblica il poema collettivo Cinque (Editura Litera). Segue nel 1986 Ala segreta (Editura Cartea Românească) e Gli Atelier (Editura Cartea Românească) nel 1990. La mutilazione dell’artista in gioventù (Editura Museo della Letteratura Romena) sarà pubblicato nel 1999 e insignito del premio per la poesia della città di Slobozia, insieme a quello dell’Unione degli Scrittori per la poesia. Sempre per la stessa opera, ancora nel ’99 vince il premio ASPRO di poesia. Nel 2001 Mariana Marin viene insignita del suo ultimo premio, il Premio Speciale per la poesia «Virgil Mazilescu».

Clara Mitola


Il contratto sociale è buono per natura?

Un imprevisto successo esattamente quando non doveva
e scopri che la demenza che a volte ti domina
è una ramificazione alle tue spalle,
in cui frughi con fatica tra i geni e con forza.
Cosa non ti lascia più vivere?
Non esiste risposta.
Vedi solo come ti degradi giorno dopo giorno,
come la mania si fa sempre più urgente
per-un-nonulla: accidente storico,
una sensazione sgradevole di strangolamento
quando l’ascensore di ferma al tuo piano,
il cappotto quasi rotto quando la primavera è lontana,
il battito che comincia a farsi debole
(allora devi concentrare le energie in un punto preciso del polso
- pare che così dicesse la dottoressa sul treno dei pendolari
in cui ti sentivi sempre male),
i denti che si consumano, la speranza infantile
che solo la letteratura romena può salvarti
oppure un viaggio al di sopra dell’oceano.
Senza invidiarli, osservi affascinata gli uomini equilibrati:
ti sorprendi all’infinito di quanto possano sorridere (che sia un sorriso?),
di quanti consigli possano dare, ricette di resistenza,
con quanta civiltà uniscano il giorno con la notte,
una civiltà allucinante.
No, non li invidi,
solo non credi più tanto che siano reali.
Sebbene la realtà la facciano loro,
non il tuo ghigno stanco, nauseato,
dietro questi occhiali
attraverso cui hai visto troppe cose,
che non ti servono più.

Alienazione, di certo.
Ma alienazione di chi?

 

Contractul social e bun de la natură?

O întâmplare venită exact când nu trebuie
şi descoperi că demenţa care te stăpâneşte uneori
e o încrengătură în spatele tău,
unde cotrobăieşti harnic printre gene şi tare.
Ce nu te mai lasă să trăieşti?
Nu există răspuns
vezi cum te degradezi de la o zi la alta
cum fixaţia se face tot mai grăbit
pe te-miri-ce: un accident istoric,
o senzaţie neplăcută de gâtuire
când liftul se opreşte la etajul tău,
paltonul aproape rupt când primăvara-i departe,
pulsul care începe să cadă,
(trebuie să apeşi atunci energic un anumit punct al încheieturii
- parcă aşa spunea doctoriţa din trenul cu navetişti
în care mereu ţi se făcea rău),
dinţii care se macină, speranţa copilăroasă
că doar literatura română te poate salva
sau o călătorie deasupra oceanului.
Fără să-i invidiezi, priveşti fascinată oamenii echilibraţi;
te miri la nesfârşit cum de mai pot surâde (deşi surâs să fie?),
cum de mai pot da sfaturi, reţete de rezistenţă,
cât de civilizat îmbină ei ziua cu noaptea,
halucinant de civilizat.
Nu, nu-i invidiezi,
doar că nu prea mai crezi că sunt reali.
Deşi realitatea ei o fac,
nu rânjetul tău obosit, greţos,
din spatele acestor ochelari
prin care ai văzut prea multe,
care nu-ţi mai folosesc la nimic.

Alienare, desigur.
Dar alienarea cui?

 

Metà in metà

Ho sempre avuto paura di te.
Sempre ti ho amato da lontano
così come oggi e ancora più lontano
a Parigi che tu non hai visto mai
il ricordo di te passa di insonnia
in insonnia.
Sempre ho temuto che un giorno avresti intuito
che non sono fatta come gli altri, che mi manca qualcosa
e la malattia mi lavora in silenzio
mentre passo di libro in libro.
Oggi posso dire di sapere: niente è più difficile
che uccidere le proprie ombre per metà.
Niente porta la perdita di se
tanto vicino.
Ho sempre avuto paura di te
e adesso lo vedo come trasmetto agli altri la stessa paura nelle ossa.
Si dice che ti assomigli
e non me ne libererò.
Ovunque cercassi di nascondermi
la mezzanotte ti guida
e cominciamo a passeggiare zitte e di traverso
per Parigi che tu non hai visto mai.

Metà in metà.

 

Jumătate în jumătate

Mi-a fost mereu frică de tine.
Mereu te-am iubit de departe
aşa cum azi şi mai departe
în Parisul pe care tu nu l-ai văzut niciodată
amintirea ta trece din insomnie
în insomnie.
Mereu mi-a fost teamă că vei zări într-o zi
că nu-s făcută ca alţii, că-mi lipseşte ceva
iar boala mă lucrează tăcut
când trec din carte în carte.
azi pot spune că ştiu: nimic nu-i mai greu
ca uciderea propriei umbre pe jumătate.
Nimic nu aduce pierdere de sine
atât de aproape.
Mereu mi-a fost frică de tine.
Iar acum văd cum le strecor celorlalţi aceeaşi frică în oase.
Se spune că-ţi semăn
şi nu voi scăpa.
Oriunde aş încerca să mă ascund
miezul nopţii te aduce
şi începem să ne plimbăm tăcute şi strâmb
prin Parisul pe care tu nu l-ai văzut niciodată.

Jumătate în jumătate.

 

Via d’accesso
a Lucian Raicu

Non esiste episodio della vita
senza espressione.
L’iniziazione nel tellurico denso,
nella risata prossima alla morte,
nelle acque limpide che ci purificano
l’anima più tardi.
L’iniziazione nell’esperimento sociale,
prenderne atto nel passaggio dalla parte vero
e del debole.
L’iniziazione nel verbo incandescente
e lui, il verbo, purificandoci e ancora più tardi
il passare degli anni, l’incapacità e la balbuzie,
il semplice obbligo di essere.

Nulla per caso, Dio, nelle tue dispense
fino a sentirlo nell’aria in cui pulsiamo condensandola.

Nulla senza espressione.

 

Calea de acces
Lui Lucian Raicu

Nu există eveniment al vieţii
fără expresie.
Iniţierea în teluricul gros,
în râsul aproape de moarte,
în apele limpezi ce ne purifică
mai apoi sufletele.
Iniţierea în experimentul social,
asumarea lui în trecerea de partea adevărului
şi a celui slab.
Iniţierea în verbul incandescent
şi el, verbul, purificându-ne şi mai apoi
trecerea anilor, neputinţa şi bâlbâiala,
simpla corvoadă de-a fi.

Nimic întâmplător, Doamne, în cămările tale
până la a pricepe aerul în care pulsăm îndesindu-l.

Nimic fără expresie.

                                           

Il segno

Qui esiste un modo di essere in minoranza
anche nel momento
in cui vivi nella più nera maggioranza.
Questo dipende dal modo in cui intendi
passare i tuoi giorni specie in gioventù.
Per esempio, puoi cominciare un nuovo giorno
intonando piano l’Internazionale
oppure una delle canzoncine della tua misera infanzia.
Stessa cosa: non la finirai mai
ad una tavola decente
in pieno periodo di fame popolare.
Questo può sembrare complicato ad alcuni.
Se ti capita di essere poeta
allora le cose si semplificano incredibilmente.
Non hai ancora detto addio per bene
alla gioia del poema caldo
che lui già ti mette fuori dalla realtà
che ami così tanto,
di cui scrivi,
la guarigione a cui vuoi partecipare,
ma che non sopporti più
così come ti è cacciata in gola.
Quanto a me,
rappresentata dalla maggioranza
nella mia patria di minoranza,
con questa mano che trema
quando mi porto un pezzo di pane alla bocca.
non ho molto altro da dire.

Adesso a Francoforte è inverno.
Inverno è anche qui
in Siberi è inverno.

Da lì, dall’alto,
Rolf Bossert mi fa segno di non tacere,
di continuare
e io gli rispondo con il mio cervello informe
su tutti e tre i mondi allo stesso tempo.

 

Semnul

Există aici un fel de a fi minoritar
chiar şi atunci
când trăieşti în cea mai neagră majoritate.
Asta ţine de felul în care înţelegi
să-ţi petreci zilele mai ales în tinereţe.
Bunăoară, poţi începe o nouă zi
prin intonarea uşoară a Internaţionalei
sau a unui cântecel din copilăria ta săracă.
Totuna: nu o vei sfârşi niciodată
la o masă decentă
în plină perioadă de înfometare a poporului.
Asta poate părea complicat pentru unii.
Dacă ţi se întâmplă să fii şi poet
atunci lucrurile se simplifică uimitor.
Nici n-apuci bine să te desparţi
de bucuria poemului cald
că el te şi situează în afara realităţii
pe care atât o iubeşti,
despre care scrii,
la vindecarea cărei vrei să participi,
dar pe care n-o mai suporţi
aşa cum îţi este băgată pe gât.
Cât despre mine,
reprezentată a majorităţii
în patria mea minoritară,
cu această mână tremurătoare
când îmi duc bucata de pâine la gură,
nu mai am prea multe de spus.

Acum la Frankfurt este iarnă.
Iarnă este şi aici
În Siberia este iarnă.

De acolo, de sus,
Rolf Bosset îmi face semn să nu tac,
să continui
iar eu îi răspund cu creierul meu lăbărţat
peste toate aceste trei lumi deodată.

 

Poema d’amore

Alle volte mi guardo allo specchio
in modo che ci sia qualcun altro in questa casa
che odio da così tanto tempo
che non posso più vivere senza di lei.
La coscienza di sé in definitiva è
una condizione estremamente comoda – un sonno pesante.
Non può che assomigliare ai ricordi
del mio liquido amniotico
che tempo fa nominavo in un’arte poetica.

oppure alla morte
che ha rotto lo specchio
su cui scrivevo questo poema da così tanto tempo
che ora non può più vivere senza di me…

 

Poemul de dragoste

Mă privesc uneori în oglindă
Pentru ca să mai fie cineva în această casă
ce o urăsc de atâta vreme
încât nu mai pot trăi fără ea.
Conştiinţa de sine este în cele din urmă
o stare extrem de confortabilă - un somn greu.
Ea nu poate semăna decât amintirilor
despre lichidul meu amniotic
pe care le numeam mai demult într-o artă poetică

sau morţii,
ce a spart oglinda
pe care de atâta vreme scriu acest poem
Încât el nu mai poate trăi fără mine...

 

Lotta con l’utopia

In lotta con l’utopia ai margini della notte.
E come riproduci sottoterra
la vita della grande letteratura?
Una lotta persa.
Il sapore della stupidità è lo stesso
in tutte le lingue della terra.
E se ora mi toccassi piano gli occhi
non sentiresti che il freddo del metallo
attraverso cui guarderò da adesso alla vita.
Qui, dove la nostra giovinezza
continua ad essere il ricordo dei genitori
della propria giovinezza.
Avevamo da molto i capelli bianchi
quando loro ci infilavano di nascosto sotto il cuscino
la fortuna che tarda a sorriderci.

In lotta ai margini della notte.

La nostra giovinezza – straccio –
che da lustro
alle armi preparate sempre per noi.

 

Lupta cu utopia

În lupta cu utopia la marginea nopţii.
Dar cum să repeţi la subsol
viaţa literaturilor mari?
O luptă pierdută.
Gustul prostiei e acelaşi
în toate limbile pământului.
şi dacă mi-ai atinge acum uşor ochii
n-ai simţi decât răceala metalului
prin care voi privi de acum viaţa.
Aici, unde tinereţea noastă
Continuă să fie amintirea părinţilor
despre propria lor tinereţe.
Aveam de mult părul alb
Când ei ne strecurau pe furiş sub pernă
Norocul ce-ntârzia să ne surâdă.

În luptă la marginea nopţii.

Tinereţea noastră – zdreanţă –
care dă lustru
armelor pregătite tot pentru noi.



Versi di
Mariana Marin
Traduzione dal romeno di Clara Mitola
(n. 5, maggio 2012, anno II)