«I pazzi scivolano su slitte immaginarie». Versi di Ştefan Damian
Ștefan Damian (1949) è docente di letteratura italiana presso l'Università Babeș-Bolyai di Cluj-Napoca e uno dei maggiori italianisti romeni. Oltre all’attività didattica, autore di numerosi saggi scientifici, egli affianca anche quella di poeta, narratore e traduttore di letteratura italiana in romeno. Ha pubblicato diversi romanzi e volumi di racconti in italiano (ricordiamo Racconti di Transilvania, 1997, e il romanzo La farfalla dalle ali bruciati, 2009). Qui si ripropone in veste di fine lirico con una selezione di versi italiani dal titolo I pazzi scivolano su slitte immaginarie.
Stanno appesi agli alberi che si sciolgono
insieme alla brina: poi si stendono al sole
che li punzecchia con le spine del primo mattino.
Non si muovono: la loro giornata comincia
a mezzogiorno quando cacciano mosche stordite
le poche larve
sgranocchiate come praline
o le ombre dei passanti
crocefisse là. Si ricoprono d'aria
si avvolgono nella speranza di diventare umani
e che nessuno li scansi.
Con gli sguardi appoggiano l'azzurro
o le nubi
a seconda del caso
cadono in estasi come passeri ubriachi
dopo aver beccato semi di canapa
li sembra che solo a loro
sia dovuta la luce e il buio
il caldo e il freddo
distesi equamente
su tutta la rotondità senza senso
del pianeta.
Si fermano ad ogni caduta di foglie:
la paura dell'autunno diventa una droga
a metà estate. Tendono gli sguardi
le orecchie
e come le lumache
aspettano che succedesse qualcosa
mai visto
se non nell'immaginazione.
Vorrebbero pregare:
la paura di perdere la purezza
non glielo permette.
Solo i loro colli si stendono con timidezza
sotto il brivido del vento pazzo
apparso all'improvviso. E continuano
ad esistere tremanti
nel più alto Paradiso
dell'incoscienza.
Dalle statue la bellezza si scioglie
come la fede dagli occhi dei santi
sui muri delle chiese.
Si raccolgono in piccole macchie arricciate
da una leggera vibrazione d'aria.
Ci vengono a dissetarsi gli angeli
e i colombi ingordi
di primavera: si purificano
fino a diventare trasparenti.
«Dov'è la bellezza?» grida un angelo profeta
spinto da altri come ad una manifestazione
senza arrivare a placare la sete.
«Dov'è il futuro? Se non sono puri i giovani
credete voi dell'età adulta
di poter vivere sull'Isola
o dentro l'anello perfetto della bugia
di sempre?»
Nessuno lo prende in considerazione
si fanno segni che ha un buco nel cervello
e non merita
risposta.
Ci vestiremo con sciatteria
ogni volta che vorremmo attraversare
sconosciuti la vita
per aprire il piacere alla pioggia
di cadere più vicina al Giardino.
Così ci scaglierà addosso
l'autunno un castello di foglie e insetti.
Ma noi
non sentiremo alcun peso.
(Forse abbiamo imparato a mimare
come quelli che ci guidano in prossimità alle elezioni).
Toglieremo però dagli armadi
gli abiti pesanti e scuoteremo da dentro
i nostri corpi dell'inverno passato.
Solo così ci accorgeremo
di essere stati assenti
dimenticati tra lettere e pagine di riviste
in cui si annida
il rincrescimento come una droga amena.
I pazzi scivolano su slitte immaginarie
prendono uccelli con reti di ragnatela
si arrampicano assieme agli scoiattoli
sulla scala che porta in cielo.
L'addetta al WC li ferma talvolta:
dà loro biglietti consunti
che spaccia per indulgenze
ed attende a vedere come saranno usati.
«Se sono felici
perché non aiutarli? Non hanno alcun pensiero:
la vita li porta avanti
così come i fossi di scolo portano le pigne
quando si scioglie la neve».
E non aggiunge: «Sono più felici
di me quando lascio aperta la porta
per entrarci l'odore dei fiori
e la luce che ancora si lagna lungo i vialetti.
Perché divisi tra bene e male sono già arrivati
nel Paradiso quotidiano!»
Quasi ogni giorno scoprono una nuova cometa.
Un angelo dice che non ne abbiano bisogno
tanto ce ne sono troppe
e la gente non sa più cosa farsene.
Meglio se le pensino
come fossero frasche secche
o sementi sperdute nello spazio.
Guai se si avvicinassero: le comete sono impertinenti
nel loro movimento senza logica;
provocano l'universo
come un razzo negli anni di piombo.
«È perché gli angeli astronomi» scriveranno poi i giornali
«hanno la nostalgia dello scibile
diventato sempre più un abito
da togliere e rivestire ogni giorno.
Meglio godersi i riverberi della luce
donata dai corpi celesti
che vanno a morire festosamente
per farci felici».
Talvolta lasciano il Giardino
per andare alla mescita
davanti a cui si scontrano i bus come noci nel sacco
si mescolano tra quelli
che stanno attorno ai tavoli del silenzio.
Alcuni escono per sfuggire la puzza delle sigarette
per lasciarsi riempire dal rumore della strada
come le bottiglie
trasparenti
poi tornano
portano sulle teste la luce che zampilla confusa
dei pali su cui si crocifiggono le farfalle.
Si sentono poi inghiottiti di nuovo dall'aria stantia
tentano di opporsi
ma si oppone la volontà
venduta all'asta.
Sul viale
gli angeli ragazzi s'imbattono
negli alberi di pietra che crescono
sulla strada
quando non se l'aspettano.
Tumefati
occhi semiaperti
vedono il cielo più basso
delle stelle che non germogliano
mai.
Il viale si chiama «della Verità»:
è lastricato di buone intenzioni
con indulgenze dure come tegole
ottime da scaraventare contro le teste
dei futuri nemici.
E credono con la fermezza della fede
che il viale porti
dove li aspetta a braccia aperte
la sagoma incerta del loro Altissimo.
Ştefan Damian
(n. 1, gennaio 2021, anno XI) |