Ştefan Damian, «La provocazione dell'aria» è dura come il mondo

È stato pubblicato (in coedizione Studia-Nemapress) il volume di poesie La provocazione dell'aria di Ştefan Damian (1949), poeta, narratore e traduttore di letteratura italiana in romeno, nonché docente di letteratura italiana presso l'Università Babeş-Bolyai di Cluj-Napoca. Ha pubblicato diversi romanzi e volumi di racconti, come anche numerosi saggi scientifici. Ha al suo attivo numerose traduzioni in e dall'italiano. Pubblichiamo una selezione di versi, preceduti dalla prefazione al volume menzionato.

Crediamo che una poesia così essenziale, così priva di retorica, così interna al presente, possa illuminare di una luce diversa il nostro panorama poetico; qui tutto è suggerito p\er immagini sospese che chiedono al lettore di mettersi in causa e di leggere il testo non solo dalla parte di chi l'ha scritto ma anche dalla propria parte di spettatore-attore della stessa realtà. C'è una amarezza consapevole che il destino l'uomo se lo crea e non per il migliore dei mondi possibili, ma per un processo autodistruttivo che non sa frenare e il poeta parla per metafore poiché è troppo doloroso dire chiaramente che il mondo va a morire. Nulla è concesso nemmeno all'amore se non l'esserci e l'essere stato. Viene da pensare da un lato alla poesia onestà di Saba, fedele a se stessa fino a negarsi ogni spazio di liricità: «Il cielo è a qualche chilometro / pesa con tutto l'odore / dello zolfo raccolto nelle miniere / celesti», da un altro lato alle massime morali di Pasolini del tipo: «Chi è disonesto con la non-Verità è disonesto anche con la Verità»; due poeti che Stefan Damian conosce molto bene per aver tenuto per decenni cattedra di italiano all'Università di Cluj-Napoca in Romania. I poeti hanno troppo parlato di divinità al punto da averle consumate e da aver forse consumato anche gli astri: sole, luna, stelle: «Il cielo allagato da troppo azzurro»; i poeti hanno anche troppo creduto alla verità ma senza accorgersi che «La verità è il pane che non arriva mai». Dura la lezione che ci viene dalla parola poetica compatta e composta di Stefan Damian, in questo mondo di frivolezze e superficialità; nessuna concessione alla emozione, alla narrazione, tutto è sintetizzato in parole magiche, segrete, che il lettore ha l'obbligo di riconoscere e decifrare. La disarmonia del mondo si riflette in questi versi alla ricerca di senso più che di musicalità e armonia, categorie che paiono superate dall'urgenza di segnalare il punto di non ritorno, allarme che il poeta dubita possa essere tenuto in conto.
Il danno è fatto e a poco giovano in questo «tempo impazzito» perfino la memoria dei poeti e il loro bisogno di bellezza. Perché descrivere un mondo di bellezza se anche le stelle ti sono «compagne nemiche»? Si possono usare ancora le vecchie categorie di ottimismo e pessimismo per questa poesia? Ci pare che ci sia molto di più di un trasporto dell'animo; riteniamo di poter affermare che c'è una lucidissima visione delle cose che un poeta mai vorrebbe dire. Una poesia che non promette salvezze ma che ci pone davanti alla cruda realtà (i veleni, le atrocità, l'ennesima guerra) e ci chiede di riconoscerla, non una poesia urlata, ma una pacata investigazione sul presente dell'uomo, ostinato nella sua stolidità.
È questa realtà che turba profondamente l'esistenza del poeta e falsa il suo rapportarsi al tempo: il presente, uno sparire per trasparenza, il passato sempre ritornante, «fantasmi, frantumi, fantasticherie», il futuro, o strano o impossibile, fatto di «momenti che non so se mi farà piacere / incontrare».
Non manca in questa poesia qualche sprazzo di cielo: rare farfalle, qualche formica o gabbiano o lumaca, il falco, gli aironi, l'apparire di qualche figura celestiale, ma sono a ben vedere figure per niente rassicuranti come «l'angelo dal collo reciso» e la vita diventa il «contributo sociale / di ogni giorno con sempre / più stupore», «infedele». Nonostante tutto il poeta si dice «contento di abitarla».
Questa poesia interroga ogni uomo in rapporto al suo stare al mondo e chiede una responsabilità che si contrapponga alla vacuità e alla falsità della cosiddetta «civiltà dell'immagine» dove la parola continui a rompere il muro di insensatezza eretto ad arte e l'uomo «senza passato / senza futuro» possa almeno riconoscersi nel presente.

Alessandro Cabianca


Salvezza

La stanchezza d'oggi appiccicata
più d'ogni altra
appendice della morte uccisa
sui muri delle chiese
screpolati dal vento della fede sconfitta.

E tu domandi incredulo
sotto quale colore scrostato
in che affresco
si trovi la salvezza?
Se di salvezza si può parlare
quando la bocca impastata di terra
gorgoglia come un fiume strozzato
prima di arrivare al mare



Trasparenza

Non può essere amico
che dei nemici.
Bocca chiusa dita incrociate
vive con la fame di dire parole
già masticate.
Sotto l'ombrello
dei gesti protettori
la gente è tanto trasparente
fino quasi a sparire.



Ora segreta

I pini in collina respirano
l'odore salato della sera.
Audace il tuo tiepido calore
accanto al mio.
Si incontrano si fondono
come pulsazioni di vento
negli aghi dei rami
che restano vivi d'inverno.
Si sgelano arcani sentimenti.
Ti vorrei ricordare così
nell'ora segreta.



C'era

Nella città abbandonata
trova i ricordi
appesi a rami delusi.
C'è stata
un'ennesima guerra.
Vincitori vinti
vinti vincitori
hanno lasciato segni
di vita che scioglie
le vie lastricate
di parole monche.



Innesto

La mano invisibile fruga
tra i meandri della vita.
Un'altra pagina si riapre
con una purezza eccessiva.
Al tocco
il piacere inonda
i sensi.
Si ubriacano
si distendono come gatti.
Si è contenti:
l'innesto fa germogliare
tutto il suo ardore novello.



Risucchio

La mente
distaccata vaga incredula
tasta l'umidità della distesa
e ti pensa più lontana
ancora: risucchiata dall'aria
abbandonata su uno scoglio
trasparente.
Nel mentre
la mattinata sopporta con docilità
l'umiliazione della luce.
Si attende
con l'anima stesa al sole
il panno grezzo
dell'infelicità.



(settembre 2017, anno VII)