Timişoara multiculturale, tra sviluppo storico e articolazione etnica

Lo scorso 3 agosto Timişoara ha fatto festa, commemorando – come ogni anno, a partire dal 1999 – il 3 agosto 1919, quando la città poté beneficiare dell'autonoma amministrazione romena, dopo il dissolvimento dell'Impero austro-ungarico. Paradossalmente, prima del 1999, Timișoara festeggiava il 18 ottobre, ricordando il medesimo giorno del 1716, quando Eugenio di Savoia conquistò la città, aprendo la via agli oltre 200 anni di dominazione austro-ungarica.

(Sfilata delle truppe romene in Piazza dell'Unità, 3 agosto 1919)

Conosciuta oggi soprattutto come città della rivoluzione romena che nel dicembre del 1989 portò al crollo del regime comunista in Romania, ai tempi dell’impero austro-ungarico Timișoara era nota piuttosto come «la piccola Vienna». Non a caso, molti dei primati di Timișoara appartengono all’epoca imperiale: nel 1718, la fondazione della più vecchia fabbrica di birra dell'Ungheria storica e poi della Romania; nel 1728, l’inizio della canalizzazione del Bega, il primo canale navigabile dell’Ungheria storica e poi della Romania; nel 1760, la prima città dell'Impero asburgico con illuminazione stradale con lampade; nel 1771, l’edizione del primo giornale d’Ungheria e nello stesso tempo primo giornale in lingua tedesca del sud-est europeo, «Temeswarer Nachrichten»; nel 1854, il primo servizio telegrafico dell’Ungheria e poi della Romania; nel 1855, la prima città dell'Impero asburgico con le strade illuminate a gas; nel 1881, la prima rete telefonica dell'Ungheria e poi della Romania; nel 1884, la prima città europea con le strade illuminate con elettricità; nel 1886, il primo servizio di ambulanza dell'Ungheria e poi della Romania; nel 1895, la prima strada asfaltata dell'Ungheria e poi della Romania; nel 1897, le prime proiezioni cinematografiche dell'Ungheria e poi della Romania; nel 1899, il primo tram elettrico dell'Ungheria e poi della Romania. Nel 1953, Timișoara era l’unica città europea ad avere tre teatri di stato in romeno, ungherese e tedesco, segno della sua storica multiculturalità.


Timişoara, una complessa storia di stratificazioni culturali

La storia di Timişoara è costituita dalla successione di vicende socio-politiche e dalla sovrapposizione di strati culturali e dei loro significati. Una storia complessa e tormentata che si perde nel paleolitico, per ritrovarsi come provincia romana della Dacia ripensis [1], nel castro di Zurobara [2] (Zambara [3]). A testimoniare quest’antica origine sono i nomi geto-dacici dei principali fiumi che circondano o percorrono il territorio del Banato: Danubio (Donaris), Mureş (Maris), Timiş (Tibisis).
Poi il feudalesimo porta, nella prima metà del secolo X, al voivodato del Banato, con fortezze e una numerosa popolazione autoctona romena che cercava di opporsi all’incursione dei magiari, insediati nella pianura pannonica. Nel secolo XI, il Banato fu però conquistato dallo stato feudale magiaro e poi organizzato in comitati.Nel secolo XII, ne sono menzionati documentariamente tre: Timiş (1177), Cenad (1197) e Caraş (1200). Il comitato di Timiş aveva come centro militare e amministrativo la fortezza di Timişoara. Il nome di Timişoara, come quello del comitato, conserva l’antica denominazione del fiume Timiş, trasmessa dagli autoctoni che, nonostante le varie dominazioni presenti nel territorio, hanno imposto negli atti di cancelleria dei conquistatori l’appellativo «Tymes» oppure «comitatu Tymisiensi», mantenuto tale quale in tutti i documenti redatti in latino nella seconda metà del secolo XIII (il primo risale al 1266, ai tempi di Stefano, re d’Ungheria e duca di Transilvania) e nei primi decenni del XIV.
La fortezza di Timişoara era situata su un terreno paludoso solcato dai bracci irregolari dei fiumi Timiş e Bega [4], cosicché le cartine la registravano come una piccola superficie rettangolare fiancheggiata da corsi d’acqua; era, dunque, isolata anche dal piccolo sito rurale che si trovava nelle immediate vicinanze. Di conseguenza, la fortezza svolse piuttosto un ruolo militare e amministrativo, in quanto abitata da soldati e funzionari, mentre la zona rurale accanto, popolata da contadini, era prevalentemente agraria.
A partire dal secolo XIV, la popolazione aumenta, vi si stabiliscono nuovi artigiani e negozianti, che conferiscono alla città un carattere sempre più commerciale, oltre a quello militare e amministrativo dovuto allo statuto di capoluogo di comitato. L’attivazione del mercato cittadino è confermata anche dal cospicuo numero di monete straniere scoperte in questa zona: accanto alle monete magiare dell’epoca di Andrea II o di Béla III, c’era tutta una serie di monete di Colonia, Baviera, Boemia, Strasburgo, Trier, Metz, Aquileia ecc. Ciò dimostra che, già all’epoca, esistevano forti legami commerciali tra Timişoara e l’Europa Centrale. 
Tra il 1315 e il 1323, la città, conosciuta anche con il nome ungherese di Temesvar, diventa la residenza regale di Carlo Roberto d’Angiò, che temeva la corte di Buda. Prima però, nel periodo 1307-1315, il re vi fece costruire il «Castello», al di fuori della fortezza, in un quartiere che ulteriormente denominato Palanca Mica. Vale a dire che, da centro politico di resistenza contro l’anarchia nobiliare, Timişoara arrivò facilmente ad ospitare la corte regale, come accadde anche sotto Sigismondo di Lussemburgo, che giunse qui per la prima volta nel 1389 e vi trascorse molto tempo, fino al 1436.


Sviluppo urbano e struttura delle comunità etniche

La storia incise sullo sviluppo urbano di aree con una specificità ben definita, riflettente la struttura delle comunità etniche, identificate inizialmente come comunità confessionali. Nel 1342, Timişoara ottenne la qualità di «civitas», un riconoscimento della sua strutturazione oramai più complessa nello spazio abitato da una popolazione cattolica prevalentemente ungherese. Il vecchio sito rurale diventò la «città» propriamente detta, con una notevole densità di abitanti. Le cartine del tempo provarono poi la comparsa di un nuovo quartiere, Palanca Mare, collocato eccentricamente rispetto alla «città». I due quartieri col nome di Palanca erano abitati da una popolazione romena.
Una volta che Giovanni Hunyadi (Iancu de Hunedoara), governatore del comitato di Timiş e voivoda di Transilvania (dal 1441), poi reggente d’Ungheria (1446-1453), vi stabilì la sua residenza, l’urbe divenne un punto strategico importante sul piano militare nella lotta antiottomana. Egli combatté valorosamente contro i turchi; la più clamorosa in ambito europeo fu la vittoria di Belgrado nel 1456, quando aveva respinto l’attacco di Maometto II. Sempre in questo periodo, al posto del vecchio Castello, distrutto da un terremoto, fu costruito un nuovo Castello, più grande, secondo la tecnica del tempo e con l’aiuto di architetti italiani. Sul piano demografico, il regno del Hunyadi, seguito da quello di Pavel Chinezul, nominato governatore del comitato di Timiş e del Banato di Severino nel 1478, vide, fino alla fine del secolo XV, l’aumento della popolazione ortodossa (romena e serba), che si era rifugiata in questa zona per sfuggire all’invasione ottomana ed era stata poi colonizzata nei quartieri Palanca Mare e Palanca Mica.
Il secolo XVI portò instabilità politica e sociale in tutta la regione, un vero e proprio periodo di anarchia che culminò nell’assedio della fortezza di Timişoara da parte dell’esercito rivoluzionario di Gheorghe Doja, durante quel movimento conosciuto nella storia come la guerra dei contadini romeni del 1514 contro la tirannia della nobiltà. Poi, la caduta di Belgrado in mano ottomana (1521) e la sconfitta di Mohacs (29 agosto 1526) condussero al crollo del regno d’Ungheria e all’instaurazione della dominazione turca. Di conseguenza, il Banato e la Transilvania formarono un principato autonomo sotto la sovranità turca. Timişoara fu ripetutamente assediata e, nel 1552, conquistata.
La dominazione turca durò 164 anni, fino al 1716, e portò notevoli cambiamenti all’assetto della popolazione: la comunità musulmana, sempre più numerosa, venne privilegiata. I sudditi furono organizzati in comunità confessionali, tra cui quella cattolica di lingua ungherese e quella ortodossa (romena e serba). Al periodo ottomano risale la cosiddetta «città dei Rascieni», nel quartiere Palanca Mare. Di fatti, la popolazione ortodossa del Banato era chiamata col termine di «rascian». Proveniente dal tedesco, la voce indicava l’origine serba, ma poiché l’ordinamento della chiesa ortodossa nella regione era sotto l’autorità serba, essa finì per significare «ortodosso», compresa la popolazione romena. Nella stessa epoca ebbe inizio un’altra comunità – quella ebrea, formata da due gruppi: ebrei spagnoli ed ebrei tedeschi.


L'epoca austro-ungarica e l'opera storica di Francesco Griselini

Nel 1716, la conquista del Banato ad opera delle truppe imperiali austriache capeggiate da Eugenio di Savoia, dopo una serie di battaglie soprattutto nelle regioni di confine, aprì una nuova epoca nella storia della città, sotto il segno della prosperità. La provincia, con il nome di «Banato Timişan», fu dichiarata dominio della corona e affidata ad un’amministrazione militare (Landes Administration des Temeser Banats), subordinata al Consiglio di guerra della Camera aulica. Il governatore, che era anche comandante militare, aveva la sua residenza a Timişoara. Il Banato è rimasto sotto l’amministrazione militare fino al 29 settembre 1751, quando essa fu sostituita dall’amministrazione camerale (civile-provinciale), rappresentata da Administraţia cezaro-regească a Ţării Banatului (l’Amministrazione regale del Paese del Banato), diretta da un presidente aiutato da sei consiglieri. Questa è durata fino al 1778, quando il Banato fu incorporato all’amministrazione dell’Ungheria. È importante notare che dall’iniziativa del primo presidente dell’autorità sopra menzionata, il conte Villana Perlas Francesco, marchese di Rialpo, nacque la Compagnia di Commercio Timişoara-Trieste, che svolse la sua attività tra il 1759 e il 1775 con lo scopo di commercializzare i prodotti del Banato: bovini, sego, miele, cera, tabacco, grano e cereali in generale.
Il 21 dicembre 1781, Timişoara ottenne da parte dell’imperatore Giuseppe II il diploma di municipio (città regale libera), che fu poi rinnovato da Leopoldo II e, nel 1790, inserito nelle leggi del Paese. A sua volta, Francesco I confermò, con l’atto n. 1687 del 1824, il diploma conferito da Giuseppe II.
Uno dei testimoni più autorevoli di quei tempi è Francesco Griselini, nato a Venezia il 12 agosto 1717, rinomato scienziato che trascorse due anni e mezzo (settembre 1774-febbraio 1777) nel Banato, dove accompagnava il barone Giuseppe de Brigido, nominato, nel maggio del 1774, presidente dell’Amministrazione del Banato. Il 24 agosto Griselini si recò in questa regione, passando per Monfalcone, Trieste – qui lo raggiunse il barone de Brigido – Lubiana, Varazdin, Kanjiza, Pécs, Osijek, Petrovaradin, Novi Sad, Becej e Kikinda. La notte tra il 21 e il 22 settembre, i due viaggiatori entrarono nella fortezza di Timişoara. 
Apprezzato dal barone, Griselini godette nel Banato di tutte le facilità per svolgere le sue ricerche, subito concretizzate in vari studi, consacrati specialmente all’antichità romana e ad alcuni aspetti di storia naturale, pubblicati tra il 1776 e il 1779 sul «Giornale d’Italia» e sul «Nuovo Giornale d’Italia». Ma la più importante opera redatta durante il suo soggiorno a Timişoara fu una monografia del Banato che fece stampare, in un primo volume, presso la tipografia del milanese Gaetano Motta, nel 1780: Francesco Griselini, Lettere odeporiche ove i suoi viaggi e le di lui osservazioni spettanti all’istoria naturale, ai costumi di vari popoli e sopra più altri interessanti oggetti si descrivono, giuntevi parecchie memorie dello stesso autore, che riguardano le scienze e le arti utili, tomo I, Milano, 1780. Con i quattrocento fiorini ricevuti dall’imperatrice Maria Teresa, alla quale dedicò questo primo volume, e con la promessa di un nuovo appoggio finanziario, Griselini volle far pubblicare un secondo volume, che avrebbe dovuto comprendere anche numerosi disegni, ma che, per motivi sconosciuti, non uscì più. Quasi contemporaneamente alla pubblicazione del testo italiano fu stampata la traduzione tedesca, nella variante integrale del manoscritto [5]. Essa costituì poi la base della traduzione romena e serba.   
Come testimoniato anche dall’opera di Griselini, la rinascita della città avvenuta in sessant’anni, tra il 1716 e il 1776, è dovuta all’«immortale» Carlo VI e alla sua «gloriosa» figlia, Maria Teresa. Il progetto imperiale fu affidato al primo governatore del Banato (1716-1733), il feldmaresciallo Claudius Florimund Mercy, il quale era dotato di tutte le qualità necessarie per tale impresa. Per ciò che riguarda Timişoara, egli si impegnò a farla diventare una delle più belle ed eleganti città della monarchia; per il Banato, provvide all’aumento del numero dei villaggi e dei loro abitanti, favorendo l’arrivo di coloni tedeschi, italiani e spagnoli. Così erano i nuovi villaggi Sînpetru, Zădărlac, Beşenova Nouă, Peciul Nou, Deta, Kudric, Pişchia e Guttenbrunn (oggi Zăbrani), abitati da svevi e altre etnie dell’Impero. Mercydorf (Merţişoara, oggi Carani) prese il nome dal suo fondatore e fu popolato da italiani. Ad Aradul Nou, sul fiume Mureş, ed a Giarmata furono portati molti tedeschi, separati dai romeni. A Becicherecul Mare, Mercy fece venire spagnoli di Biscaya, che chiamarono la località Barcelona Nouă; ma questo nome si perse, come gli stranieri che, a differenza dei serbi del posto, non poterono sopportare l’aria contaminata delle paludi accanto e morirono quasi tutti.
Un’altra figura ragguardevole di questo periodo è proprio il sopra citato barone Giuseppe de Brigido, presidente dell’Amministrazione del Banato per due anni e sei mesi (tra la metà del 1774 e l’inizio del 1777), al quale succedette suo fratello, Pompeo de Brigido.


Etnie in movimento: comunità confessionali e luoghi di culto

Il nuovo regime portò un notevolissimo cambiamento all’assetto della popolazione, cambiamento determinato anzitutto dalla ritirata dei cittadini musulmani. Benché il dominio ottomano a Timişoara fosse durato 174 anni, non è rimasta di questo periodo che un’iscrizione in turco.  
Fino al 1730, la maggior parte della popolazione dei suburbi – Palanca Mare e Palanca Mica – era «rasciana» (romena e serba). Nel museo di Timişoara si conserva il sigillo della comunità ortodossa: «Sigillum Gentis Rascianorum Greci Ritus, Sigillum Cittis Temesvariensis G. R. Rascianorum, Sigillum Suburbii Temesvariensis Rascianorum Greci ritus» [6].
Con il consolidamento del potere e la nuova organizzazione amministrativa del territorio annesso all’Impero austriaco, sotto forma di provincia imperiale (Kronland), cominciarono le colonizzazioni di popolazioni tedesche di confessione cattolica, fatto che provocò trasformazioni urbanistiche importanti. La città del periodo ottomano fu interamente smantellata, come pure le sue impronte, cancellate dalla memoria collettiva. Il principe Eugenio di Savoia decise di espellere «i Rascieni, gli Ebrei e gli altri infedeli». Mentre i «Rascieni» vennero effettivamente espulsi dalla fortezza, gli ebrei furono tollerati e rimasero nel cosiddetto «quadrilatero», conosciuto all’inizio come «Judenhof». Entrambe le collettività ebree si trovavano in questo perimetro, la spagnola da un lato della porta, la tedesca dall’altro. Dopo il 1776, ebbero un solo capo rabbino, divenuto anche giudice, che esercitava l’autorità su tutti gli ebrei della regione del Banato. Questa doppia comunità, la quale contava circa 370 persone nella seconda metà del secolo XVIII, ottenne nel 1760 il diritto di costruire nella città la sua prima sinagoga, sia per il rito sefardita, sia per l’askenazita. Piano piano gli ebrei arrivarono ad essere segnalati anche nei due principali suburbi, Iosefin e Fabric, dove abitavano in un piccolo quadrilatero riconoscibile dalla presenza di un tempio israelita.    
Nel 1744, la struttura dei quartieri rispecchiava oramai la collocazione delle più importanti comunità confessionali. La fortezza, il suburbio tedesco (ted. Meierhof, rom. Maierele germane, poi, dal 1773, Iosefin, dal nome dell’imperatore Giuseppe II) e la zona sud del suburbio Fabric (con questo nome a partire dal 1744) comprendevano la maggior parte della popolazione cattolica (tedesca ed ungherese) ed erano sotto l’autorità di un magistrato tedesco. Gran parte del suburbio Fabric, invece, presente nelle cartine quale «suburbio illirico», accanto a quello «rasciano» / «Raatzen Dorf» (il quartiere romeno denominato più tardi Mehala), era sotto l’autorità di un magistrato «rasciano». 
Significativi per tale disposizione delle comunità confessionali, identificate con singole comunità etniche, sono i luoghi di culto. Nella prima metà del secolo XVIII, nella città c’erano quattro chiese romano-cattoliche: la Chiesa di Santa Ecaterina, una delle più antiche, risalente al secolo XV, trasformata ulteriormente dai turchi in moschea e demolita nell’«epoca austriaca», durante i lavori di costruzione delle nuove fortificazioni. Sempre al periodo anteriore alla conquista turca risale la Chiesa di San Giorgio (Sfântul Gheorghe), divenuta, nel 1552, la principale moschea della città e collocata nella piazzetta che ne prenderà il nome. Una volta allontanati i turchi, dopo l’instaurazione della monarchia asburgica, la chiesa fu rinnovata e cominciò ad appartenere ai frati gesuiti i quali, però, costruirono qui una chiesa nuova, a cui aggiunsero, nel 1726, anche un seminario teologico che funzionò fino al 1778.  
C’era poi la Chiesa di San Giovanni Nepomuceno (Sfântul Nepomuk), accanto ad un monastero francescano, eretti entrambi tra il 1733 e il 1736. All’interno del monastero ha funzionato anche la prima scuola elementare di Timişoara. Dopo l’abolizione dell’ordine francescano in seguito alla disposizione del 31 luglio 1788 data dall’imperatore Giuseppe II, l’ordine dei frati piaristi [7], trasferitosi da Sîntana a Timişoara, venne ad appropriarsi il monastero e la chiesa ed ebbe qui inizio un seminario (ginnasio) greco non unito («das griechisch nichtunirte Seminarium»), mettendo così le basi per un insegnamento confessionale di lunga tradizione a Timişoara: nel 1841 la scuola ottenne il rango di liceo (ginnasio superiore), che funzionò ininterrottamente fino all’instaurazione del regime comunista.
Il più notevole edificio romano-cattolico della città, destinato a riflettere l’importanza del culto appartenente all’etnia dominante, è senz’altro il Duomo, costruito tra il 1736 e il 1754 e collocato nella Piazza dell’Unità, proprio in mezzo alla fortezza. L’edificio, realizzato in stile tardo barocco è tipico per questo genere architettonico e l’intera struttura della piazza è modellata secondo questo monumento emblematico per la storia locale.
Le chiese ortodosse, invece, servivano le comunità romena e serba, organizzate in un episcopio comune capeggiato da un vescovo serbo. Di conseguenza, le messe vi erano celebrate alternativamente in serbo e romeno, fino al 1864 quando, dopo forti pressioni, la comunità romena riuscì a separarsi da quella serba, creando il proprio episcopio. Anche se all’inizio gli ortodossi furono poco graditi all’interno della città, la continuità della loro esistenza in questo spazio è attestata da una chiesa considerevole, risalente alla metà del secolo XVIII e conosciuta come cattedrale ortodossa. Accanto ad essa venne eretta la sede dell’episcopio serbo. Col passare del tempo però, la basilica diventò proprietà della comunità serba.
Due dei più antichi luoghi di culto ortodossi ebbero lo stesso destino, anche se costruiti con contributi comuni. La chiesa di San Giorgio, fondata nel 1746 e collocata nella piazza centrale del quartiere Fabric, dimostra chiaramente che la maggior parte della popolazione ivi residente era «rasciana». Questa comunità romena vi fece innalzare un nuovo edificio religioso, ultimato nel 1826 e dedicato a Sant’Elia. La seconda chiesa ortodossa rimasta nel patrimonio serbo era quella di San Niccolò, eretta alla fine del XVIII secolo nel suburbio Mehala; qui ne sorgerà un’altra solo nel primo dopoguerra. A testimoniare l’esistenza di questa comunità di antica tradizione si aggiunse un’altra basilica romena, sempre alla fine del secolo XVIII, ma in un altro quartiere, abbastanza popolato già nel 1718 – Maierele vechi (oppure Maierele române e, dal 1896, Elisabetin, attualmente Bălcescu).


Dall’Impero asburgico alla Romania

Nel 1848 sopraggiunse la rivoluzione liberale ungherese, capeggiata da Lajos Kossuth. L’esercito del generale Bem Jozsef assediò la città nel 1849, per 107 giorni, senza però riuscire a conquistarla. All’assedio partecipò, in qualità di maggiore, anche il grande poeta ungherese Petöfi Sandor, il quale animò i moti del ’48 con il Canto nazionale e morì combattendo contro i russi. La sconfitta dei rivoluzionari ungheresi dalle truppe imperiali austriache fu interpretata come una vittoria dello Stato contro il disordine politico e sociale.
Il 4 marzo 1849, Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria (1848-1916) e re d’Ungheria (1867-1916), promulgò una nuova Costituzione, dividendo l’impero austriaco in 16 «Paesi della Corona». Per impedire l’unità dei romeni all’interno dell’impero, fu creata un’unità amministrativa: «la Vojvodina serba e il Banato Timişan». Nonostante il nome, il nuovo paese era amministrato da un generale austriaco e aveva come lingua ufficiale il tedesco. L’intero territorio della Vojvodina era diviso all’inizio in tre distretti amministrativi, secondo le tre popolazioni, e poi in cinque distretti. Timişoara era il capoluogo della nuova unità amministrativa, statuto che portò a un rapido sviluppo della città. C’è da notare che la Vojvodina rimase unità austriaca fino al 1860. Nello stesso anno, il 27 dicembre 1860, Francesco Giuseppe decretò l’annessione del Banato all’Ungheria.
Dopo la dissoluzione dell’Impero asburgico nel 1918, Timişoara venne finalmente assegnata alla Romania il 28 luglio 1919. A partire dal 1919, si parla dunque del «periodo romeno», il cui principale monumento è la «Lupa capitolina», ricevuta in dono dalla città eterna e inaugurata nel 1926 dalle autorità romene; montata su una colonna alta cinque metri e raffigurante la lupa leggendaria che allattò Romolo e Remo, i fondatori dell’antica Roma, essa è considerata un simbolo della latinità. La sua collocazione nel cuore della città dimostra chiaramente la necessità di esibire in maniera esemplare quell’identità che avrebbe dovuto affermare la propria immagine.
Concludiamo con un’altra prospettiva sulla storia. «Tutto quello che oggi chiamiamo memoria non è affatto memoria, ma – già – storia» [8], scriveva Pierre Nora, distinguendo tra la memoria immediata, conservata nei gesti e costumi, e la memoria indiretta, trasformata col passare degli anni in storia. In questo modo, la memoria di un luogo viene costituita dall’accumularsi nel tempo e dal sovrapporsi nello spazio delle vicende significative e rappresentative per una comunità; e la sua espressione più eloquente non è altro che il monumento pubblico che si rivela, di conseguenza, un «luogo della memoria» («lieu de mémoire»), al tempo stesso materiale e simbolico. Ogni epoca ha i suoi simboli e, per qualsiasi etnia o nazione, esiste una forma di memoria collettiva rappresentata dai monumenti pubblici che portano i fatti storici nella coscienza presente. 
In tale contesto, si potrebbe affermare che le principali tappe nella storia cittadina furono segnate dalla costruzione di tre chiese, ognuna legata ad una comunità locale specifica. Così, la cattedrale cattolica della Piazza dell’Unità è l’emblema della comunità cattolica tedesca, la quale ha vissuto il momento di massima fioritura nella seconda metà del secolo XVIII. La chiesa cattolica del quartiere Fabric, invece, chiamata anche «Millenium» e fondata nel 1896, per celebrare l’anniversario di mille anni dalla fondazione del Regno ungherese, è il monumento rappresentativo dell’amministrazione ungherese (1867-1918). Infine, al «periodo romeno» risale la Cattedrale ortodossa, eretta nel 1940 nella piazza centrale. Con la sua imponente presenza (alta 83,7 m) e lo stile eclettico con elementi bucovineni (tipici della regione storica della Bucovina), essa esprime il forte desiderio di affermazione della comunità romena.  

Afrodita Carmen Cionchin
(n. 9, settembre 2012, anno II)

La cattedrale ortodossa

Il Duomo cattolico

Immagine del 1900.
Kossuth Tér con la Chiesa Serba di San Giorgio e la Casa della Comunità Serba del quartiere Fabric

Immagine del 1910.
Losonczy Tér con il Duomo Romano-Cattolico

Immagine del 1911.
Bega csatorna is Dohánygár (il Canale Bega e la Fabbrica di Sigarette)

Immagine del 1926, con l'ex Ferenc József út.
L’ex Teatro Franz Joseph e il Palazzo della Camera di Commercio e Industria di Timişoara (ultimato nel 1925)


NOTE

1. Il Banato Timişan era quella parte dell’antica Dacia chiamata dopo la conquista romana riparia oppure ripensis, dato che le rive dei due grandi fiumi – il Tibisco (rom. Tisa) a ovest ed il  Danubio (rom. Dunăre) a sud – costituivano i suoi confini.  
2. Località presente nella mappa del geografo Claudius Ptolemaios di Alessandria (cca 150 d.C.).
3. Nella Tabula Peutingeriana, la località Zambara si trova un po’ più a nord rispetto all’attuale Timişoara.
4. L’attuale fiume Bega (o Beghei), che attraversa la città, era chiamato, fino alla metà del XVIII secolo, Timişel o Timişul Mic (Piccolo Timiş). Evlia Celebi, il viaggiatore turco che descrive Timişoara tra gli anni 1660-1664, afferma che la città si trova sul fiume Timişoara, fatto che permette di supporre che il nome della città sia stato identico a quello del fiume che la attraversa (che, a sua volta, è un diminutivo del fiume più grande, Timiş).
5. Franz Griselini, Versuch einer politischen und natürlichen Geschichte des temeswarer Bnats in Briefen an Standespersonen und Gelehrte, I-II, Viena, 1780.
6. Citato nel volume del dr. Nicolae Ilieşiu, Timişoara. Monografie istorică, Timiţoara, G. Matheiu, 1943, p. 76.
7. I Piaristi (detti anche Scolopi) sono un ordine nato dopo la Riforma luterana, fondato dallo spagnolo Giuseppe Calasanzio nel XVI secolo. La loro presenza a Timişoara risale al 1750 circa. Sono principalmente educatori e hanno formato un grande numero di universitari.
8. Pierre Nora, La mémoire de papier, nell’antologia Les Trésors de la Mnémosyne. Recueil de textes sur la théorie de la mémoire de Platon à Derrida, Dresden, Verlag der Kunst, 1998, p. 125.