Linguistica niculesciana, una rubrica dedicata agli scritti di Alexandru Niculescu

Apriamo in questo numero una nuova rubrica in cui proporremo ai nostri lettori una scelta di scritti di Alexandru Niculescu (1928-2024). Nel numero di febbraio 2025 abbiamo già rievocato la sua figura di maestro e di studioso della lingua e della civiltà romena, sottolineando in particolare l’attenzione che ha dedicato tutta la vita ai rapporti con l’Italia e con la lingua italiana.
Il lungo, sessantennale, lavoro scientifico di Niculescu procedeva di articolo in articolo, come è tipico della ricerca linguistica. La gran parte dei suoi libri, miniere di tesori, erano raccolte di articoli precedenti, che nei libri indicavano una prospettiva particolare, una linea generale di unione, spesso esplicitata nel sottotitolo e nella introduzione. Così i quattro libri Individualitatea limbii române între limbile romanice (I: 1965, II: 1978; III: 1999, IV: 2003), così quasi tutti gli altri libri. Gli articoli di Niculescu sono decine e decine e sono apparsi fin dai suoi inizi sulle riviste accademiche romene, ma quasi subito anche all’estero, scritti nel suo lapidario e sintetico romeno, ricco di pointes e di vivaci formule conclusive. E anche, spesso, di punti esclamativi! Ma appaiono quasi subito anche suoi scritti in francese, che era allora la lingua franca della linguistica come delle altre scienze, o in altre lingue. Tra queste ha un posto di rilievo l’italiano, che appare più frequentemente, ma non solo, negli anni in cui insegna a Padova (1965-1971) e a Udine (1986-2002).
Ecco quindi delle ragioni validissime per ripubblicare per i lettori di alcuni articoli di Niculescu, in romeno nell’edizione romena della rivista, e in italiano in quella italiana di “Orizzonti”. La loro scelta è stata in parte condizionata da ragioni pratiche, la reperibilità dei testi; ma ha seguito comunque alcuni criteri base: documentare, sia pure in forma minima, la produzione giovanile come quella matura e tarda, testimoniare della varietà, spesso sorprendente degli argomenti trattati, dare, nella versione romena, un suo saggio autobiografico.
Chi conosce sia il romeno che l’italiano si ricordi di consultare le versioni di “Orizzonti” nelle due lingue. Buona lettura!

Lorenzo Renzi


Lessico della rivoluzione romena nel sec. XIX


1. Gli studi storici intrapresi in Romania si sono occupati meno di quanto fosse necessario degli aspetti lessicali, concettuali e terminologici dei movimenti rivoluzionari romeni dei secoli XVIII-XIX. Per quanto poco specializzati nel campo strettamente linguistico dovessero apparire tali approcci, la ricerca dei concetti di rivoluzione è una componente significativa del lessico della cultura romena. Non dobbiamo dimenticare che gli uomini politici di rilievo, rivoluzionari pienamente partecipi, teoricamente e praticamente, al corso degli eventi, avevano una chiara idea socio-politica e si avvalevano spesso di un'approfondita conoscenza dei problemi del loro tempo. Alcuni di loro si erano formati nelle scuole occidentali, a contatto con l’Europa romanza e germanica dei sec. XVIII-XIX. Studiare, quindi, la lingua dei proclami di Tudor Vladimirescu di Padeș, o di Bucarest, il proclama di Islaz, Protestația poporului român în Cîmpul Libertății, indagando sul lessico relativo alla cultura politica di certi uomini e di un'epoca che non rientrano nella belletristica, ma che non sono, per questo motivo, prive di interesse per l’evoluzione della lingua letteraria romena, significa studiare la storia della cultura. Talvolta i rivoluzionari stessi sono scrittori e uomini di cultura: letterati come Petru Maior, I.B. Deleanu, in Transilvania; Iordache Golescu, B.P. Mumuleanu, I. Ghica, I.H. Rădulescu, in Valacchia; lonica Tăutu, Costache Negruzzi, in Moldavia, per non menzionare coloro che, indirettamente o direttamente, hanno redatto i documenti dei movimenti rivoluzionari (Gh. Lazăr, Simion Barnuțiu, Al. Papiu Ilarian). I momenti rivoluzionari coincidono, così, con i momenti della storia letteraria romena.
La circolazione internazionale della cultura (per la quale cfr. Niculescu 1978, pp. 99-115) ha trasmesso da una rivoluzione all'altra, nell'ambito della lingua e della cultura romena, concetti socio-politici: termini utilizzati dalla Scuola Transilvana, da Gheorghe Șincai o Petru Maior, li ritroviamo più tardi in Valacchia nei documenti del movimento di Tudor Vladimirescu e, più tardi, nei Regolamenti Organici, ma soprattutto nei manifesti della rivoluzione del 1848. Il momento 1848 è rappresentato da scrittori (come Bălcescu, I.H. Rădulescu, I. Ghica, C. Bolliac e molti altri) la cui attività rivoluzionaria costituisce una componente della loro opera letteraria.

2. Il linguaggio rivoluzionario assorbe una serie di concetti scaturiti dalla parlata popolare. Se gli scrittori e gli intellettuali operavano nelle zone di cultura di linguaggio rivoluzionario, l'azione delle comunità popolari ha comportato una serie di termini di lingua parlata. Le rivoluzioni erano, in primo luogo, opera di alcune forze sociali, più vaste o ristrette numericamente, le cui aspirazioni erano comprese nei concetti ridati attraverso parole popolari: queste parole diventavano parole chiave di una mentalità, di uno stato d'animo della rivoluzione. E di queste, quante ne conosciamo? Alcune sono prese dal linguaggio degli scrittori rivoluzionari, altre da documenti pubblici, amministrativi e giuridici dell'epoca; la maggior parte, invece, si perdono nella dimenticanza. Le larghe operazioni di recupero del lessico rivoluzionario, la sua analisi contestuale e socio-culturale, sono davvero preziose, sia per la linguistica che per la storia.
Fortunatamente possediamo imponenti raccolte di documenti delle rivoluzioni romene. Le lettere di Tudor Vladimirescu, documenti della sua rivoluzione, sono a nostra disposizione, raccolte dapprima da N. lorga nel 1914 e, più tardi, nei corposi volumi coordinati da A. Oțetea. Allo stesso modo abbiamo a portata di mano la ricca raccolta di documenti Anul 1848 în Principatele Române.
Accanto a queste anche altre raccolte, di più piccole proporzioni e di valore ristretto, sono utili: l'opera di Vl. Diculescu, Viața cotidiană a Țării românești în documente (1800-1848), Cluj 1970, ha raccolto alcuni documenti «editi ed inediti, oltre ad alcuni stralci della stampa dell'epoca» (p. 7), permettendoci di esaminare l'area di circolazione dei termini e dei concetti delle rivoluzioni che tormentavano allora le terre e gli abitanti della Valacchia.

3. A maggior ragione si rende necessario, in simili circostanze, l’intervento della linguistica. Bisogna riconoscere che i linguisti hanno accordato troppa poca importanza a queste zone socio-culturali della lingua. Se disponiamo di opere sui nostri rivoluzionari di rilievo (N. Bălcescu, T. Vladimirescu, Al. Papiu Ilarian, C.A. Rosetti, I. Tăutu ecc.), non abbiamo intrapreso sotto il profilo linguistico, contestuale, una attenta lettura dei concetti socio-politici che appaiono nei nostri scrittori. Costituendo rare eccezioni, le opere di I. Budai-Deleanu, Gh. Șincai, P. Maior, I.H. Rădulescu, Costache Negruzzi, Ion Molnar Piuariu e di molti altri, sono state studiate dal punto di vista dei concetti socio-politici dell'epoca. Ancor più è benvenuta l'opera del Prof. Klaus Bochmann, Die HerausbiIdung des modernen politisch-sozialen Wortschatzes im Rumänischen in der ersten Hälften des 19 Jahrhunderts (tesi inedita di dottorato, Leipzig 1976), in cui per la prima volta si riesce a raccogliere ed ordinare, sottoponendoli ad un'attenta analisi semantica, gli elementi lessicali principali del lessico socio-politico romeno dei secoli XVIII-XIX. Ciò che deve invece essere aggiunto a tali ricerche è il seguire nel tempo e nello spazio la circolazione dei concetti: così si potrà dimostrare la continuità del linguaggio rivoluzionario da una generazione all'altra, da una zona romena all'altra, cioè, praticamente da una rivoluzione all'altra. In realtà tra le rivoluzioni romene di Transilvania e di Valacchia esiste una stretta e diretta comunanza di ideali e di lingua.

4. Il primo e più significativo concetto è revoluție. Possiamo distinguere tre serie di termini che indicano questa nozione: alcuni di origine straniera, colta, altri autoctoni, di origine giuridica e, infine, altri popolari (questi ultimi con particolari connotazioni, di solito peggiorative). Il più antico termine per il concetto di rivoluzione sembra sia rebelie, derivato da rebel (di origine probabilmente latino-italiana), attestato in Foletul novel 1700; nel 1735: rebelie și lotrie (rebel appare nei cronisti valacchi: cfr. ed. Gregorian, I 350; rebellul sau răsvrătitoriul, Gh. Șincai, Hron. Rom., ed. Fugariu p. CLXXXV; cfr. anche rebeles (di origine ungherese), pl. rebelisi; più tardi appare rebelist pl. rebeliști, connotazione peggiorativa, vedi seguito). Nei documenti della rivoluzione del 1821, appare insurecț(ă)oane riferentesi ai moti di Grecia a lor nemernicie insurecțăoane Grechiei 1821, Il, 29; casa insurecțăoanei grecești (id. 30) (cfr. împresăoane), accanto a esurecță (cuibul streinei esurecțăi, 1821, Il, 30), forme, beninteso, modificate dalla grafia di persone incolte. Sempre d'origine straniera è il termine zaveră (di origine bulgara), che delinea la rivolta degli eteristi greci, întîmplarea zăverii (Tiktin, RDW s.v.)
Accanto a questi termini, si utilizzano, per il concetto di rivoluzione anche termini autoctoni. Il più diffuso – con senso dichiaratamente peggiorativo – è răzvrătire. Lo stesso Tudor Vladimirescu, nelle lettere pubblicate inizialmente da N. lorga (riprodotte anche in Documentele 1821, ed. A. Oțetea), usa il termine răzvrătire «movimento di massa, ribellione», riguardo alla rivolta turca di Ada Kaleh: eram să trecu să viu la București, dar, din pricina răzvrătirii ce se urmează, nu poci trece, fiindcă răzvrătorii urmează pînă la Novaci (lorga, 1914, p. 17). Ma quando è informato di alcuni movimenti nel suo stesso esercito, Tudor Vladimirescu ordina înceteze orice duh de răzvrătire (Documente, 1821, I, 396). Ma sembra che il termine non mancasse di connotazione peggiorativa. Un ispravnic (amministratore delegato) invita gli abitanti alla calma, potolind răzvrătirile ce pînă acum s-au urmat (1821, II, 35). Il Divano dei boiari rivolgendosi all'inizio della rivoluzione răzvrătitorului Tudor Vladimirescu, attrae la sua attenzione con una lettera: faptele ce faci sînt urmări răzvrătitoare, iar nu dă patriot precum zici, pentru că turburi norodul (Documente, 1821, I, 242); te vei izgoni cu adevărat ca un răzvrătitor și vei fi învinovățit ca un fărădelege (id., 243); Tudor Vladimirescu stesso parla di acei răzvrătitori cîți sînt de legea noastră (id. 91), e gli ispravnici riferivano al vistiernic (tesoriere) il fatto che pentru o mincinoasă presărare de vorba s-au răzvrătit tot județul (id. 25), condamnînd pe cei ce au avut rău nărav a să răzvrăti (ibid.).
Iordache Golescu, nella commedia Barbu Văcărescu, vînzătorul țării associa il termine răzvrătire a zaveră: după atîta răzvrătire ce a pătimit țara dă zavergii după atîta prăpădenie ce au făcut apostații greci, după atîtea răutăți ce au urmat turcii (PND, 84). Il termine sembra avere quindi un uso giuridico peggiorativo come anche zurbagiu (di origine turca). Più tardi, invece, nel 1848, răzvrătitor diventa del tutto peggiorativo: i documenti dimostrano che gli antirivoluzionari chiamavano gli insorti in nome della libertà răzvrătirori pe nisip. D'altro canto i rivoluzionari avvertivano il popolo che la loro lotta era schernita dai reazionari: apprendiamo in tal modo che zaveră, rebeliști, rebel erano termini peggiorativi per lo spirito rivoluzionario del 1848. Eccone esempi: Să nu ascultați de cei ce vă spun acum este zavera (1848, II, 17); numindrebeliști pe fiii adevărului (id. 311); au avut curajul de a numi rebel pe poporul român atît de clement și candid (ibid.). Accanto a questi, il termine antirivoluzionario più diffuso è stato turburare (obștea... le-a privit ca semnalul turburării, 1848, Il, 227). Il Dipartimento degli Affari Interni avvertiva la popolazione dell'esistenza di alcuni răzbunătoare și tulburătoare mișcări. Il termine appare anche nel 1821 (cfr. all'indirizzo dei caimacani (reggenti): pricină de bănuială și turburare a norodului). Nel 1848, appare nella lingua della stampa, desordr: liniștea se schimbase în desordr (C.A. Rosetti).
L'anno 1848 e la rivoluzione temporaneamente vittoriosa impongono il termine revoluție. Un’interessante definizione di questo concetto troviamo nella Gazeta de TransiIvania del 12 luglio 1848:
Cînd zicem revoluție (Revolution) sîntem cu totul străini a întelege prin acest cuvînt revolte sîngeroase turburări înfricoșate, războaie civile, repezirea statului în anarhie: ferească Dumnezeu!... prin cuvîntul revolutie se întelege o schimbare totală numai a acelor legi și guberne care prin nedreptatea lor apăsătoare de popoare nu mai putea fi suferite (1848, II, 470-471).
La revoluție è diversa dalla revoltă:
Ce-a făcut Țara Românească la 11 iunie, revoluție ori numai revoltă? Să punem mîna pe cuget, să-i judecăm bine scopul mișcării cel principal și să recunoaștem cu sînge rece că, în adevăr, acea mișcare merită numirea de revoluție.
Il termine è attestato in Transilvania (I. Piuariu Molnar nella traduzione Istoriei universale adecă de obște...Buda 1800: aștepte revoluții sau împărecheri groaznice DA s.v.; (un'altra attestazione è in Gh. Șincai, Hron. Rom. III, ed. Fugariu, p. 335); in Moldavia (Albina Românească 1829: revolutiei frantuzești), in Simion Marcovici (1839), in I. Negulici ecc., in generale riferendosi alla Rivoluzione francese od altre rivoluzioni scoppiate nel mondo (nella Gazeta de Transilvania del 1835 si parla di una revoluție în Algir).
Comprendiamo, quindi, che revoluție (in senso politico, beninteso) ha origine in Transilvania nel sec. XVIII: l'etimologia è probabilmente latino-germanica (cfr. Gazeta Transilvaniei del 1848 summenzionata, in cui revoluție è spiegata, tra parentesi, con il termine tedesco), ma l'uso della terminazione in -ție è normale (Niculescu 1978, pp. 116-122). Sul finire del secolo XVIII revoluție in senso astronomico e matematico appare nelle opere di Amfilohie Hotiniul (1790) (cfr. N.A. Ursu 1962, p. 271 s.v.). Il passaggio del termine politico dalla Transilvania ai Principati Romeni deve essersi verificato tra il 1800-1840: ma il fatto che nel 1848 esso appare ancora spiegato tra parentesi (in Gazeta Transilvaniei) potrebbe essere una prova che il termine non andò oltre i limiti della utilizzazione colta. Revoluție era termine moderno connotato enfaticamente al linguaggio dei rivoluzionari (cfr. cauza sacră; prefacerile cele nouă: glorioasa zi a renascerii României ecc.). Ecco un esempio tratto da Pruncul român del 29 luglio 1848: Cine a făcut revolutia noastră? Un om sau zece sau nația românească? Negreșit că nația, căci 10 și 20 și 100 măcar rebeliști, cu toată activitatea lor nu ar fi izbutit să răstoarne atîția spioni, atîția cîrmuitori și sub-cîrmuitori, ațîția miniștri și un prinț stăpînitor...  Revoluția a făcut-o toată nația (1848, III, p. 39). L’espansione e, soprattutto, la generalizzazione del termine revoluție nella lingua romena si osserva dopo il 1848, nel decennio 1850 -1860. Il termine contra-revoluțiune appare sempre nel 1848 in A. Treboniu Laurian, in Transilvania.

5. Il linguaggio e i concetti delle rivoluzioni romene si trovano in continuità, nel tempo e nello spazio. Una serie di termini e ideologie illuministe della Scuola Transilvana sono passate al linguaggio rivoluzionario del 1848. I più frequenti sono: binile obștii de obște, folosul (cel) de obște: simili costrutti appaiono negli scritti dei letterati transilvani Gh. Șincai, P. Maior, I.B. Deleanu. Ecco invece che gli stessi termini appaiono nei proclami di Tudor Vladimirescu ai cittadini di Bucarest: parla di binele obștii, folosul țării, binele de obște. Al vornic Samurcaş (sovrintendente di Giustizia) chiede che să poftească binele obștii şi al celor ce să trudesc pentru dreptate, inducendo cei ce vor voi binile obștesc să iscălească (il proclama). Sempre egli dichiara che le terre devono să se jertfească spre folosul de obște. L’8 marzo 1821 i boiari riconoscono per iscritto che Tudor Vladimirescu slujește cu noi folosul de obște, facendo propria una delle espressioni care al capo della rivoluzione del 1821. Nel 1848 simili costrutti non appaiono più. Al loro posto si incontra: toți de obște, si parla di binele general, binele public o di progres comun (cfr. N. Bălcescu: frați la fapta unui progres comun).
Un'altra serie di concetti caratteristici è lumină, a lumina, luminat, in senso culturale. Come è noto i termini appaiono spesso nelle opere di S. Clain, Gh. Șincai, P. Maior: per loro l'emancipazione sociale e culturale dei romeni, la luminare, era uno dei sentieri che conduceva alla felicità del popolo. Intorno al 1821, Constantin Diaconovici chiamato a stampare libri romeni (Buda 1821) esprimeva con chiarezza il concetto: toți acuma să se apuce de lucru c-au sosit primăvara luminii neamului românesc (cfr. Niculescu 1978, p. 65). B.P. Mumuleanu chiede luminarea neamului în lege şi credință (Scrieri, p. 90). Gh. Lazar parla di Luminarea nații, ed. I. Eliade Rădulescu afferma in Chemarea dal Curierul românesc del 25 marzo 1846, dorința de luminare și mîntuire, dichiarando con enfasi: voi mendica luminarea şi mîntuirea nației (Diculescu, p. 243).
La rivoluzione di Tudor Vladimirescu non conosce problemi di «illuminazione». Perciò nei documenti del 1821 non appaiono termini di questa serie di concetti. In cambio, la rivoluzione del 1848 utilizza spesso simili termini. Il Governo «provvisorio» si rivolge agli insegnanti e ai professori per a-i trimite în sate a lumina pe frații lor. N. Bălcescu dichiara să luminăm poporul dacă vrem să fim liberi, parlando dei popoli dell’Europa illuminata (Puterea armatăşi arta militară...). A lumina ha anche il senso di a explica revoluția: le vei face deslușirile și îi vei lumina pe săteni si afferma in una circolare di I.H. Rădulescu, allora ministro della Pubblica Istruzione, ai professori. Anche A. C. Golescu chiedeva luminați pe țărani. Altri documenti della rivoluzione del 1848 mostrano come il governo considerasse de neapărată trebuință să se lumineze țăranul, să i se deslușească bine toate foloasele ce-i dăruiește noua Constituție (1848, III, p. 353). L'illuminazione del popolo diventa un'azione di diffusione tra le masse dei principi e degli obiettivi, dei cambiamenti apportati della rivoluzione in nome della libertà, giustizia e fratellanza! Si parla di nedomirirea dei contadini che nu s-au pătruns de firea revoluției ce s-a săvîrșit si chiede che să se deșlușească tuturor locuitorilor de prin sate constituția liberatoare; Gh.  Magheru, lottando per la sacră causă română,annuncia che è necessario a se lămuri poporul care... era aproape a se rătăci din nou de intrigile aristocratice. L’illuminazione equivale alla deIucidazione con chiarimento: l'azione di innalzamento culturale del popolo diventa un'azione politico-ideologica della rivoluzione. Appena in questo periodo rivoluzionario degli anni 1845-1850 possiamo dire che i termini della serie di concetti lumină, a lumina, luminare si generalizzano nella Iingua romena.
Similari constatazioni si possono fare anche per i concetti frăție, frate. Anche questi hanno la Ioro origine nella Transilvania illuminista del sec. XVIII: molte lettere di P. Maior (per es. a Demetrio Caian-Junior, a I.B. Deleanu ecc.), quelle di I.B. Deleanu cominciano con l'appeIlativo frate. L'idea di frăție appare invece con vigore all'epoca della rivoluzione di Tudor Vladimirescu. B.P. Mumuleanu si rivolge con frații mei compatrioți: e Io stesso Tudor nel proclama di Bucarest dichiara: să ne unim dar cu toții, mici și mari, și ca niște frați fii ai unia maici, să lucrăm cu toții împreună (1821). Egli parla di frații noștri pămînteni, intendendo con ciò un'unione fraterna di tutti i contadini sfruttati.
Non sempre allo stesso modo appaiono i concetti frăție, frate, frățietate nella lotta rivoluzionaria del 1848. I rivoluzionari si chiamavano a vicenda frate «fratello» (frate Bălcescule!, frate Golescule!) ed avevano scritto sul drappello della rivoluzione Dreptate și Frăție. Si mirava alla fratellanza di tutti i Romeni înfrățirea, dreptatea și fericirea nației întregi. În toată țeara nu se află astăzi decît frați cu aceleași nume de român, si afferma nel proclama della Locotenența Domnească di Valacchia del 9 agosto 1848: fiți dar ca frați, priviți un frate al nostru în orice român și în bogat și în sărac (1848, III, 53), sottolineando, così, l'unione e la frățietate deII'intero popolo romeno. O nație de frați, de cetățeni liberi, chiedeva N. BăIcescu. Le idee di unità di stirpe, fratellanza nazionale, iniziata in Transilvania all’inizio del secolo, davano frutto solo adesso, in pieno secolo, nella Valacchia rivoluzionaria.
Questa fratellanza nazionale opposta alla dominazione e alle minacce straniere è ciò che N. Balcescu chiama naționalitate: de la 1848 mai cu seamă cuvintele unitate și naționalitate sînt în toate gurile în Europa (Mers. rev.). I.
Il termine naționalitate «nazione» (che sfortunatamente il dizionario deII’Accademia s.v. non attesta che in Bălcescu, A. Russo e I. Ghica) è di origine transilvana. Elena Toma l'ha registrato in «Gazeta de Transilvania» in G. Barițiu 1842: (limba este) un puternic magnet, care românilor dincoace de munți ... pe vremi înainte le chezășuiește pentru naționalitate (Foaia pentru minte, inimă și literatură, V, 1842, 9, p. 69) (cfr. anche l’articolo Naționalitate id., VII, 1842, 19, p. 149).
Da G. Barițiu, da Bălcescu e dagli altri rivoluzionari del ’48, naționalitate è stato introdotto neI linguaggio rivoluzionario. I documenti del 1848 attestano iI termine in Gazeta de Transilvania: zecide mii de români stau gata a se arunca în cel mai mare pericol pentru o singură idee îmbrăcată în vorba naționalitate (Documente 1848, II, p. 473); l’ingresso degli eserciti turchi viene annunciato al popolo romeno sotto l'accusa vin să ne omoare naționalitatea. Naționalitate si aggiunge, infatti, al termine nație attestato dapprima in Paul lorgovici, nel 1799 e continuato ad essere utilizzato fino al 1848 ed oltre.
La serie di termini drept, dreptate ha ugualmente una storia rivoluzionaria più antica. Nel 1821, Tudor Vladimirescu parla della possibilità di a cîștiga deopotrivă dreptățile acestor printipaturi (1821, II, p. 33). Nel 1831-1832 Il Regolamento Organico menzionava drepturile politicești de pămîntean. Appena nel 1848 nel proclama di Islaz appare il costrutto dreptul suveran: popoIuI, avînd dreptul suveran, poate revești cu dînsuI pe oricine. D'altra parte il termine dreptate figura sul drappello della rivoluzione del 1848: Dreptate, Frăție. Diventa in queste condizioni, verso il 1850, un termine politico.

6. Le rivoluzioni romene del secolo XIX sorprendono la lingua della cultura romena in pieno processo di occidentalizzazione romanza (per il concetto di occidentalizzazione romanza v. Niculescu 1978, p. 55-58). Una serie di concetti è espressa da termini antichi, tradizionali, ma anche da neologismi latino-romanzi. È il caso del concetto «popolo». Nei proclami di Tudor Vladimirescu appare di solito il termine norod: si parla di norodul Țării Românești, di creștinescul norod, si organizza adunarea norodului,si compiange norodul țării cel amărît și osîndit. Anche i caimacani (reggenti) utilizzano lo stesso termine: scrivono al Marele Vornic del norodul poliției Bucureștilor. Il termine è quasi generale in quell'epoca: lo utilizza Dionisio l'Ecclesiarca (nenumărat norod de oameni au murit (cfr. Diculescu, p. 20), e nel 1824-1830, anche loan Tăutu (vointa opștiască a norodului rădicată în reghim democraticesc, ed. Vîrtosu, p. 294-295).
E tuttavia, accanto a norod in quest'epoca appare popor! Nel 1825, B.P. Mumuleanu scrive:  caut enteresul lor/ nu le pasă de popor. Accanto a popor, ecco anche popol: Tudor Vladimirescu nell'arzmahzar (petizione) alla Porta Ottomana, utilizza la forma popol riferendosi a tot popolul Țării Românești (Mihai Cioranu, Revoluția lui Tudor Vladimirescu, București 1854, p. 17); popol appare anche in una lettera di Tudor al boiaro N. Văcărescu: să-mi arăți d-ta ce împotrivire arăt eu împotriva popolului (Documente1821, I, p. 258). Che abbia conosciuto il rivoluzionario di Gorj questa forma italianizzata? Che sia appartenuta una simile forma agli uomini di cultura transilvani che si affiancarono a lui nella lotta? In ogni caso la forma era conosciuta all'epoca di Tudor.
Nel 1848, il termine popol (popul) avea un marcato senso politico. La rivoluzione è fapta popolului român, che ha sollevato popolul în picioare: popoIuI român avînd dreptul suveran, poate revești cu dînsuI pe oricine. Si parla di popoIuI răsculat (Gh. Magheru), della furia popolului e la Protestatia din cîmpul Libertătii appartiene poporului român (Documente 1848, II, p. 642). Il metropolita Neofit loda junimea și popolul român (Documente 1848, II, p. 248). Nella Gazeta de Transilvania appare spesso popol (popoIuI desemnat își cunoscu libertatea) ma talvolta anche popor (în popor cresce văzînd cu ochii hotărîrea, p. 353). Abbiamo tutti i motivi per credere che popol fosse, ai tempi dei moti del 1848, un termine politico, appartenente ai rivoluzionari, mentre popor il termine comune. Il significato politico appare quindi all'epoca della rivoluzione di Tudor, nel 1821, e si evolve, trasformando popol in termine politico propriamente detto, in epoca 1848.
Il Prof. Klaus Bochmann in un recente articolo pubblicato in România literară (n. 33 [XII] du 16 août 1979), ritiene quasi che fosse individuabile l’uso dei termini popor e norod in funzione della fazione rivoluzionaria o reazionaria cui apparteneva chi li usasse: «esiste nel 1848 una differenza di natura ideologica tra coloro che utilizzano il termine norod e quelli che preferiscono il termine popor. Cosicché, per esempio, il famoso colonnello Solomon, interrogato dopo il suo tentativo di sedare col sangue una manifestazione popolare nel giugno 1848: «ați comandat foc asupra poporului suveran?» risponde: văzînd că norodul vine, am zis d-lui Golescu să se ducă afară ca să zică să se întoarcă norodul. Si può concludere che il rapporto tra i due sinonimi era, a quell'epoca, determinato da fattori sociali e ideologici: popor era il termine utilizzato di preferenza dai rivoluzionari, mentre norod era il termine reazionario. Rispetto a popor e norod, popol era un termine prettamente politico.

7. Un'evoluzione similare ha la serie dei termini slobod, slobozenie, liber, libertate. L'epoca 1821 conosce soltanto la serie slobod, slobozenie. Nel proclama di Bucarest di Tudor Vladimirescu si dice: nimeni din noi nu va avea slobozenia fără de poruncă. Più tardi nel 1829-1832, il Regolamento Organico utilizza allo stesso modo solo i termini slobod, slobozenie. Ecco degli esempi: verice boier sau neguțător român este slobod să călătorească în străinătate; Principatele se vor bucura de o slobodă lucrare a credinței lor și de o întreagă slobozenie de comerț (Trattato di Adrianopoli 1829). Sembra invece che soltanto nel 1849 slobod, slobozenie abbiano assunto significato nell'uso politico. La rivoluzione parlava all'inizio di slobozenie, frăție, unire. Il programma del Partito Nazionale di Moldavia specificava che: norodul va avea slobode bisericile sale. Ma i termini liber, libertate appaiono con particolare frequenza, nel linguaggio della rivoluzione del 1848. In proclami e decreti, gazzette e lettere private, il termine libertate è largamente usato: un țipăt de libertate scoase junimea; libertate, frățietate, dreptate; popolul desdemnat își cunoscu libertatea; libertatea fu izbăvită; arborul libertătii; să nu sugrume libertatea română ecc.sono contesti in cui appare libertate come termine politico. Si parla di Constituția liberatoare, proclamația liberatoare, adunări libere. Bisogna provare invece che la serie di termini liber, libertate appare soprattutto in Valacchia; in Moldavia proprio nel 1848, predominano slobod, slobozenie. Riconosciamo così in Valacchia l'avanguardia romanza della terminologia rivoluzionaria. Alla base dei termini di Valacchia stanno fr. liberté, libérer, libérateur, it. libertà termini politici rivoluzionari nella Rivoluzione francese (1789) e nelle rivoluzioni europee. Si dimostra così, ancora una volta, il carattere colto, della rivoluzione romena del 1848.
D'altra parte la terminologia riguardante l'azione dei rivoluzionari del ’48 rivela preferenze per gli elementi di origine romanza, Guberniul vremelnic diventa dopo poco tempo guvernul provizoriu; gvardia națională diventa guardă e poi gardă; iarmă (armiile turcești trectură Dunărea) diventa armată. Un problema particolare sollevarono i termini adunare, adunanță, mentre adunare diventa termine generale (adunările populare); adunanță (it.) è termine tecnico (adunanță de boieri, de săteni; adunanța popolului (di Blaj) utilizzato nella Gazeta de Transilvania, Doc. 1848, Il, 310). In Valacchia e in Transilvania, la rivoluzione del 1848 si afferma come un momento significativo nel processo di occidentalizzazione romanza della lingua romena.

8. Il Iinguaggio della rivoluzione romena è caratterizzato anche dalla presenza di alcuni elementi di Iingua popolare. Un lessico autoctono, scaturito dalla parlata quotidiana che, con la ripetizione, la diffusione tra il popolo, l'oratoria rivoluzionaria, diventa terminologia della rivoluzione. Soprattutto all'epoca di Tudor Vladimirescu in lettere, proclami, petizioni, appaiono questi termini rivoluzionari di origine popolare. Lo stesso Tudor Vladimirescu parla di prăpădenia e despoerea del Paese, di saccheggi, kinurile despuierile și desăvîrșitele desmosteniri dei contadini. Denuncia gli innumerevoli patimi și chinuri, neputința și greutățile che gettano i contadini in desăvîrșită desnădăjduire. Ne prăpădirăm și ne stinsărăm de tot, esclama Tudor Vladimirescu in un arzmahzar (petizione). Le parole non sono a caso. Esse hanno un senso socio-politico che osserviamo anche in altri scritti dell'epoca. lordache Golescu, in Barbul Văcărescu, vînzătorul Țării, una satira contro i proprietari terrieri, fa sì che i suoi personaggi popolari parlino nello stesso linguaggio: să nu ne lăsăm lor, că ne stingem cu totul (Primii noștri dramaturgi, ed. Niculescu, p. 63); prăpădenia și dărăpănarea țării (id., p. 62); o să ne prăpădim cu totul (id., p 63). In Chronograful di Dionisio I’Ecclesiarca appare scritto: Hoțomanii... au prăpădit lumea dupe la noi (ap. Diculescu, p. 21). A prăpădi, a stinge, a despuia, a desmoșteni e i sostantivi formati da questi verbi, costituivano una terminologia politica sui generis. Non dobbiamo così trascurare nel linguaggio politico, tali parole popolari, che assumono senso politico generale: nechivernisirea stăpînitorilor țării appare più volte nella critica di Tudor Vladimirescu ai grandi della sua epoca. Sempre così ușurare «esenzione da imposte, alleviamento deII'oppressione» è ugualmente un termine politico (mila și ușurare: acele ușurări ce le dobîndeam ecc.); rane (să cerceteze și de față să vază adîncile rane), neputință, greutăți, năpăstuire ecc. devono essere considerati termini popolari integrati nella lotta politica di Tudor. Ma se questi, scrivendo al clucer Ralet (addetto alle provigioni) parla di norodul cel ars și fript de Dvs. o se dichiara să ne putem izbăvi țara din mîiniIe celor ce au mîncat-o, simili metafore («ars», «fript», «mîncat») dobbiamo considerarle facenti parte della retorica politica con cui Tudor Vladimirescu ha iniziato la lotta, sostenuto dai suoi uomini e dal resto della popolazione.
Non tanto popolare è il lessico della rivoluzione del 1848. I procIami rivoluzionari (per es. quello di Islaz) abbondano di neologismi: gli uomini di cultura si erano adoperati per la Ioro foggiatura.
Gli elementi lessicali popolari del linguaggio della rivoluzione del '48 non hanno connotazioni altrettanto vigorose come quelle del Iinguaggio della rivoluzione di Tudor. Nel 1821, i termini popolari della rivoluzione venivano dal basso verso l'alto, caratterizzando espressivamente l'oppressione secolare dei contadini, mentre nel 1848 gli elementi popolari provenivano dall'alto, dalla classe colta che auspicava «l'illuminazione» del popolo.

9. Tra i termini popolari della rivoluzione devono essere presi in considerazione gli elementi provenienti dal linguaggio religioso. In particolare, questo Iinguaggio è quello della religione cristiano-ortodossa, soprattutto perché in molti movimenti rivoluzionari, i preti ortodossi erano dalla parte del popolo in rivolta. Il verso di Tudor Arghezi ajută, Doamne! Țara e în răscoală, che si riferisce, beninteso, alla rivolta contadina del 1907, è valido anche per le altre epoche della rivoluzione romena. Del resto, un tale stato di cose è caratteristico di tutta la penisola balcanica: l'ortodossia ha avuto un ruolo ben determinato nello sviluppo della coscienza nazionale dei popoli balcanici. Non invano nelle chiese ortodosse troviamo raffigurati santi militari (bulgari, serbi); non invano i martiri greci sono raffigurati in abiti contadini dai pittori di alcune chiese greche e non è neanche casuale il fatto che in alcune di esse del sec. XVI-XVII sia rappresentata la caduta di Constantinopoli per mano dei Turchi. La Chiesa ortodossa ha difeso la causa dei popoli del sud-est europeo.
Ecco perchè la rivoluzione utilizza una serie di concetti religiosi: a izbăvi, a mîntui, mîntuitor, apostoli, martiri, apostat, milă, patimi, oblăduire, lege, credință ecc.
Nell'utilizzazione di concetti religiosi si osservano le stesse differenze socio-culturali che abbiamo osservato anche in altre situazioni. I termini religiosi del linguaggio della rivoluzione di Tudor appartengono ad un vocabolario affettivo elementare: milă, patimi, chinuri, mînia Domnului, netemători de Dumnezeu (cfr. ah, boierule, boierule ce netemere deDumnezeu, Documente 1821, I, p. 395). All'epoca della rivoluzione del 1848 il vocabolario religioso diventa enfatico: si parla di apostați, apostazie, apostoli e martiri. Era chiaro che l'uso del vocabolario religioso era determinato da uomini colti, che costruivano una retorica basata su conoscenze religiose ben radicate nella mente e nel cuore degli uomini. In ciò che riguarda i termini oblăduire, pravilă, lege, credință dobbiamo tener conto del vocabolario tradizionale della legislazione romena: religione e tradizione si uniscono nel mantenere alcuni termini familiari alle masse impegnate nella lotta rivoluzionaria.

10. L'esame intrapreso in ciò che segue, mostra che il linguaggio della rivoluzione romena ha una struttura etimologica ben marcata. Da una parte esso è costituito da una serie di elementi concettuali-lessicali che provengono dalla tradizione dei movimenti rivoluzionari romeni. I termini transilvani della Scuola Latinista appaiono, come abbiamo visto in Valacchia all'epoca della rivoluzione di Tudor Vladimirescu e talvolta proprio fino al 1848. Non fa meraviglia che alcuni di questi termini al di là dei Carpazi fossero stati usati all'epoca della rivolta di Horia, Cloșca e Crișan, se non anche prima. Sfortunatamente, di questi movimenti rivoluzionari ci mancano dati scritti. Nel lessico tradizionale della rivoluzione romena rientrano termini popolari (patimi, chinuri, slobod, slobozenie, bine de obște, folos de obște ecc.) ma soprattutto si include il vocabolario di origine religiosa (mîntui[re], izbăvi[re], mila ecc.). Queste constatazioni ci permettono di scoprire, così, le parole-forza che animavano e incitavano all'azione le masse popolari. Senza dubbio esse designavano gli obiettivi delle rivolte e delle rivoluzioni romene per la garanzia dei loro diritti, per la conquista della libertà nazionale e sociale. Il lessico tradizionale della rivoluzione romena rappresenta un filone linguistico che esprime le secolari sofferenze del popolo romeno.
La seconda serie di concetti socio-politici è di origine colta. Neologismi (prestiti e calchi), termini che traspongono in romeno, la terminologia delle rivoluzioni dell'occidente europeo (frate, drept, nație, causă sacră ecc.) mostrano che, nell’ambito dei movimenti rivoluzionari romeni, esistevano uomini colti che conoscevano ciò che si verifica in Europa. Questa apertura all’Occidente è più pertinente nell'ambito dei movimenti rivoluzionari del 1848 che portano, nella lingua romena, non solo una serie di concetti rivoluzionari e termini corrispondenti (libertate, frăție neam (ted. Volk), protestație, rebel, drit/drept (suveran), revoluție, contrarevoluțiune, nație, emancipație, naționalitate, sans-culotti, regime ecc.), ma anche una connotazione stilistica enfatica di alcuni termini ed espressioni che caratterizzavano la propaganda politica di piazza, di tipo occidentale (despotism, popul suveran, tiranie, conspiratori, reacționari, inemicii libertății, focul sacru, corupție, a exalta ecc.). Tali esempi provano che la rivoluzione romena, soprattutto quella del 1848, non mancava di legami con i movimenti rivoluzionari dell’Europa contemporanea. Esprimendo le realtà romene, lottando per migliorare la situazione interna, i rivoluzionari romeni hanno conosciuto i procedimenti, lo svolgimento e la terminologia degli altri movimenti rivoluzionari dell’Europa occidentale. Neanche Tudor Vladimirescu ha fatto eccezione: anche nel suo linguaggio appaiono concetti socio-politici europei: patrie (cfr. Fiu al patriei), patriot, dreptate, tiranii (boiari) ecc.. D'altro canto, all'interno del linguaggio colto della rivoluzione romena deve essere fatta una distinzione netta: ci sono nel 1848 una serie di rivoluzionari di élite, come N. Bălcescu, ma anche come I.H. Rădulescu, A. Russo, I. Ghica ed altri che utilizzano una serie di alti concetti politici (alcuni di questi da essi stessi formulati e foggiati: è il caso di N. Bălcescu che parla di ciocoism, plebeianism, pan-romanism ecc.), così come sono gli altri, tipo Gh. Lazăr, che hanno portato, nel linguaggio della rivoluzione di Tudor, concetti e termini di Transilvania (popul ecc.).
Abbiamo motivo quindi, di distinguere nel linguaggio della rivoluzione romena una serie di termini d'azione, di lotta e di organizzazione del movimento (v. ad es. le lettere di Tudor Vladimirescu o le ordinanze di A.C. Golescu, del Gen. Maghern o del Gen. Christian Tell, le disposizioni del governo per il buon funzionamento dell'amministrazione e delle scuole ecc.) accanto a una serie di termini ideologico-politici generali, utilizzati nei proclami, nelle proteste, nella stampa rivoluzionaria (Românul,Gazeta de Transilvania ecc.). Le connotazioni affettive s'incontrano soprattutto in quest'ultima serie di termini. E la rivoluzione ha, così, clivages socio-culturali specifici.
La rivoluzione romena in tutte le sue ipostasi conosciute è oggetto di ricerca, è un problema linguistico e socio-culturale che interessa l’intera storia della lingua, del popolo e della nostra cultura. Essa è strettamente legata all'evoluzione della lingua letteraria, come anche alla parlata popolare, al linguaggio tradizionale e a quello colto, neologico. Lo studio del linguaggio rivoluzionario romeno, nella sua continuità e nel suo rinnovamento permanente, scopre una struttura specifica risultata dall'intreccio continuo della tradizione e del rinnovamento, della concentrazione sulle realtà sociali, culturali, religiose nazionali e di una prospettiva aperta ai movimenti rivoluzionari dell’Europa contemporanea, coinvolgendo sia l'élite della cultura nazionale che una gran massa di parlanti. Non si può conoscere a fondo l'evoluzione e la struttura della lingua romena, senza ricercare il linguaggio della rivoluzione romena.


* Lessico della rivoluzione romena nel sec. XIX in «Revue des études sud-est européennes», XVI, 4, 1979, pp. 735-746.

Alexandru Niculescu
Traduzione a cura della Dott. Maria Pia Russo Chișu

(n. 5, maggio 2025, anno XV)



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