La guerra in Romania nel 1916 raccontata dalle pagine del «Corriere della Sera»

Il presente articolo si sofferma sul modo in cui il «Corriere della Sera», il maggiore e più autorevole quotidiano nazionale, si occupa della vicende politiche e militari della Romania durante il primo conflitto mondiale [1]. Il ruolo della stampa, infatti, fu determinante non solo durante ma anche prima dello scoppio delle ostilità. Proprio sui quotidiani si combatté tra interventisti e neutralisti. Benito Mussolini, dopo aver lasciato la direzione dell’«Avanti!», organo del Partito Socialista italiano, fondò «Il Popolo d’Italia» dalle cui pagine promosse la campagna interventista. I quotidiani italiani più diffusi del periodo, «La Stampa» e il «Corriere della Sera», sostenevano posizioni opposte. Il primo era neutralista, il secondo, interventista.
L’arco di tempo considerato è il 1916, l’anno in cui la Romania entra in guerra e nel volgere di pochi mesi conosce fulminee vittorie e altrettanto rapide sconfitte [2]. Possiamo classificare gli articoli pubblicati in tre categorie: articoli di carattere generale, il cui scopo è di far conoscere ai lettori la storia romena e i contenuti culturali e ideologici che spingono il paese balcanico a intervenire nel conflitto a fianco dell’Intesa (questi articoli sono composti da storici o da giornalisti di notevole rinomanza nazionale e internazionale); articoli informativi degli avvenimenti politici e bellici riguardanti la Romania, firmati solitamente da inviati; editoriali, solitamente non firmati, in cui si esprime la linea del quotidiano.

Articoli di carattere generale

Tra gli articoli del primo tipo sono da segnalare quello pubblicato il 28 giugno del 1916 a firma di Vico Mantegazza [3] sulla storia della Bucovina, importante teatro di guerra in quei giorni e regione strategica per la sua posizione geografica ma anche ricchissima di differenti tradizioni religiose.
Un importante articolo, affidato allo storico Pietro Silva [4], sostenitore del principio di nazionalità, venne pubblicato il 10 settembre 1916, nella seconda pagina, in cui si descriveva la condizione della popolazione romena in Transilvania [5] allora sotto la dominazione asburgica. L’articolo è sorretto da un continuo confronto tra l’Italia e la Romania, entrambi paesi che a lungo hanno conosciuto la dominazione austroungarica. Il conflitto mondiale è presentato, dallo storico italiano, come l’atto finale dello scontro che nazionalità, a lungo oppresse, hanno sostenuto affinché fosse ricostituita l’integrità territoriale.  
L’articolo senza dubbio più significativo di questa prima categoria è quello pubblicato il 6 aprile del 1916. A firma di uno dei maggiori storici italiani del ’900: Gioacchino Volpe [6]. L’articolo è pubblicato in terza pagina, quella dedicata alla cultura.
Volpe nell’elzeviro cerca di dimostrare che l’ostacolo maggiore alla formazione di un grande Stato unitario dei romeni non è costituito dalla Russia, che pure occupa la Bessarabia, bensì dalla coalizione tedesco-magiara. La Romania è, a giudizio di Volpe, un paese più carpatico-danubiano che balcanico e con una rilevante posizione strategica: attraverso di essa, infatti, si poteva creare un’ampia zona di continuità sia a vantaggio degli Imperi centrali sia a favore della Triplice Intesa. Tuttavia i Balcani rappresentano la via attraverso la quale la Romania poteva riprendere i contatti con l’Italia e la Francia, contatti interrotti dalla predominante influenza tedesca nella penisola balcanica. L’influenza che era, in quel periodo, intensa e articolata e spaziava dall’economia alla politica, alla cultura. Anche l’Italia, nota il Volpe, ha conosciuto l’influsso teutonico, ma in Romania esso si è manifestato in modo ancor più oppressivo.
Ma il problema principale, sottolineato dallo storico italiano, è l’assenza, in Romania, di una borghesia nazionale a vocazione produttiva. I romeni sono, infatti, per il 90% contadini. Questa è stata la loro forza in passato, la causa del «miracolo della loro conservazione». Ma oggi, sostiene Volpe, rappresenta un elemento di debolezza dal punto di vista della libertà politica, dei rapporti sociali e dell’organicità nazionale.
L’economia è nelle mani di minoranze straniere. Le città abitate prevalentemente da etnie non nazionali e per questa ragione le città non costituiscono i centri di elevazione e di direzione delle forze nazionali. E tra queste minoranze il ruolo preminente è esercitato dai tedeschi e in particolare da tedeschi di origine ebraica.
Orbene, con una Germania potente nei Balcani la Romania non può che vedere svanire le proprie aspirazioni a costituire il fulcro di una futura federazione danubiana e sud danubiana, oltre a essere tagliata fuori dai suoi vitali legami con il Mediterraneo e l’occidente latino. Le sarebbe impedita, inoltre, la formazione di una borghesia nazionale organicamente connessa con le masse contadine, dove risiedono le radici profonde della nazione. Ma, ovviamente, la presenza tedesca nella penisola balcanica costituirebbe un impedimento insormontabile al tentativo di riunificare in un unico organismo statale le popolazioni di origine romena stanziate in regioni, in quel periodo, sotto la dominazione straniera, per la maggior parte austriaca e ungherese.
Volpe quasi invita la Romania a uno sforzo che, sebbene lo storico non menzioni esplicitamente, coincide con l’entrata in guerra a fianco delle forze dell’Intesa e sia di stimolo a raccogliere sotto la bandiera della romanità l’intero popolo. È noto che le due coalizioni che si contrapponevano nel conflitto tentarono in ogni modo di convincere la Romania ad abbandonare la scelta della neutralità e a entrare in guerra dall’una o dall’altra parte [7]. L’articolo dello storico italiano appare, quindi, come lo strumento di una battaglia politico-culturale (che coinvolgeva politici e intellettuali italiani, in particolare quelli più vicini alle posizioni nazionalistiche), volta a convincere la Romania che la difesa dei propri interessi nazionali passa attraverso la rinuncia della neutralità e l’alleanza con la Triplice Intesa [8].
Le condizioni socio-politiche sono, a parere di Volpe, favorevoli. Infatti, se la borghesia è incapace, per il suo cosmopolitismo, ad assumere la direzione del processo di unificazione nazionale, questo compito può essere assolto dalle masse contadine che, negli ultimi due secoli, hanno conquistato la libertà e la sicurezza economica con il possesso della terra.
Quindi, per il Volpe è possibile parlare di un irredentismo romeno a somiglianza di quello italiano. E il cuore dell’irredentismo romeno non può che essere rappresentato principalmente dalla Transilvania allora sotto la dominazione ungherese. Qui Volpe svolge una critica ai liberali italiani, i quali nell’Ottocento guardarono come dei fratelli i patrioti ungheresi che combattevano per l’indipendenza dall’Austria e che dopo l’autonomia concessa dalla monarchia asburgica all’Ungheria, quest’ultima si mostrò dispotica nei confronti dei romeni presenti in Transilvania.
Quindi, conclude Volpe, solo la sconfitta degli Imperi Centrali potrà assicurare la riunificazione dello Stato romeno.

Articoli informativi degli avvenimenti politici e bellici riguardanti la Romania


Il secondo genere di articoli è invece vasto e variegato quanto agli argomenti. Per esempio, il 2 gennaio compare un ampio articolo di Arnaldo Fraccaroli [9], inviato di guerra del «Corriere», da Salonicco sulla situazione dei Balcani nel primo anno e mezzo di Guerra, in cui vaghi sono gli accenni alla Romania.
Due giorni dopo, invece, un lungo scritto di Guelfo Civinini [10] sotto forma di dialogo filosofico, compare nella terza pagina quella dedicata alla cultura. L’autore critica la Romania per non aver decretato la mobilitazione in risposta a quella bulgara. Questa scarsa attenzione dei circoli politici di Bucarest verso la Bulgaria sarà il leitmotiv delle rimostranze che il «Corriere della Sera» rivolgerà costantemente all’attività diplomatica romena. La mobilitazione romena avrebbe probabilmente allentato la pressione sulla Serbia e avrebbe potuto salvare il paese balcanico. Questa responsabilità del governo il Civinini l’attribuisce in particolare al Primo ministro Britano.
Via via che ci si avvicina all’entrata in guerra della Romania, il quotidiano milanese intensifica la pubblicazione di notizie che sottolineano il favore delle forze dell’Intesa e la convenienza che deriverebbe alla Romania dalla sconfitta degli Imperi centrali. Così, ad esempio, il 27 luglio, a pagina 2, è pubblicato un articolo in cui si riporta quanto riferisce il Ministro degli Esteri italiano, on. Sidney Sonnino, riguardo alla Romania di cui si osserva con soddisfazione l’orientamento sempre più marcato a partecipare al conflitto al fianco delle potenze dell’Intesa.
Il 30 agosto a pagina 2 troviamo un breve ma significativo articolo sulle reazioni russe alla dichiarazione di guerra, quasi contemporanea, dell’Italia alla Germania e della Romania all’Austria. Oltre alle dimostrazioni di sostegno davanti alle ambasciate italiana e romena, si evidenzia nelle reazioni della stampa russa, che  le dichiarazioni di guerra dei due paesi appaiono legate da un filo comune, come se vi fosse un accordo tra i due paesi in base al quale la Romania sarebbe entrata nel conflitto solo dopo che l’Italia avesse dichiarato guerra alla Germania (è da sottolineare che un identico collegamento era stato fatto dalla stampa tedesca così come riporta un altro importante quotidiano italiano, «La Stampa» di Torino in un articolo dello stesso giorno il 30 agosto 1916) [11]. Si evidenzia, inoltre, come la guerra all’Austria non escluda quella con la Bulgaria, ipotesi che il «Corriere» sostiene da tempo, poiché la sicurezza della Romania passa attraverso il contenimento delle mire espansionistiche bulgare nei Balcani.
Il giorno successivo, il 31 agosto, in prima pagina, questa volta, dopo un’apertura dedicata alle notizie dal fronte italiano, un lungo e dettagliato articolo è riservato alle vicende belliche austro-romene. Si dà notizia dell’attacco romeno lungo il confine ungherese e della preparazione, definita «perfetta», dell’offensiva in corso; ancora s’informano i lettori sulla conquista di Ruschiuk, dell’azione congiunta dei genieri russi e romeni in Dobrugia (Reni) [12]. Ancora si porta a conoscenza della nomina del generale Colanda a rappresentante dello Stato Maggiore romeno al Quartier generale russo e della nomina del Generale Iliescu a capo dello Stato Maggiore romeno. L’articolo contiene anche informazioni di carattere politico quali la convocazione imminente del Parlamento e la formazione di un Ministero nazionale. Si dà notizia, inoltre, dell’entusiasmo per l’arrivo di truppe russe sia degli incidenti scoppiati a Bucarest tra neutralisti e interventisti; e infine che sotto le sedi di giornali neutralisti, specificatamente «Steagul» e «Seara» vi furono vivaci manifestazioni di protesta. Anche se l’articolista non fa un esplicito riferimento, il richiamo ovvio è agli scontri che vi furono in Italia tra interventisti e neutralisti nei mesi precedenti la dichiarazione di guerra.
Poco sotto, sempre in prima pagina, un trafiletto raccontava di manifestazioni di giubilo con le quali la popolazione di Bucarest accolse la notizia della mobilitazione generale. Analoghe manifestazioni si svolsero davanti l’ambasciata russa.
Ampia anche l’informazione sulle ripercussioni in Francia e Inghilterra della dichiarazione di guerra della Romania contro gli Imperi Centrali. Anche in questo caso il «Corriere della Sera» fa esplicitamente riferimento a un parallelismo tra le vicende italiane e quelle del paese balcanico. Parallelismo che troviamo spesso anche sulla stampa straniera.
L’undici ottobre, in prima pagina, è pubblicato un lungo articolo in cui si discute, in modo particolareggiato, della situazione determinatasi nei Balcani. Si pone in risalto come l’entrata in guerra della Romania e l’avanzata in Transilvania avrebbe avuto maggiore efficacia in presenza della contemporanea offensiva da Salonicco e di quella russa. Le difficoltà e i ritardi riscontrate in Grecia e in Russia mettevano la Romania di fronte a un compito che potrebbe rivelarsi troppo arduo per le sole forze del paese. Inoltre, l’ipotesi, rivelatasi infondata, della neutralità bulgara ha peggiorato ulteriormente la situazione. L’articolo prosegue definendo ragionevole la scelta del comando romeno di abbandonare l’offensiva nelle regioni transcarpatiche e attestare la linea difensiva lungo il crinale della catena montuosa. Ma il dato saliente dell’articolo è nella chiusa. Occorre che l’Intesa riconosca la centralità del fronte balcanico. Solo risolvendo a proprio vantaggio il conflitto in Oriente si gettano le basi per la vittoria finale. Cosa fare in concreto quindi? La risposta del quotidiano è chiara e concisa: unità del comando e concentramento degli effettivi e dei mezzi necessari.
Alcuni giorni dopo, precisamente il 15 ottobre in prima pagina, i toni si fanno decisamene più preoccupati. S’informa di un comunicato degli alti comandi della resistenza delle truppe romene (ed è proprio questo il titolo del breve articolo) in Transilvania. Ancora un altro articolo, anch’esso di modeste dimensioni, in cui si fa esplicito riferimento a una ritirata delle truppe romene e dell’assunzione diretta del re del comando delle azioni militari. Infine si annuncia l’arrivo di una missione militare francese guidata dal generale Berthelot.
Ma è nell’articolo intitolato Soccorrere la Romania che si avvia una analisi dettagliata della situazione romena. Si sorvola sugli errori militari, questi sono inevitabili in un conflitto così ampio e prolungato. Il vero e fondamentale errore imputato alla diplomazia romena è di calcolo: ovvero ci si è fidati della neutralità della Bulgaria. La doppiezza dei bulgari diffuse, è questa l’opinione del redattore dell’articolo, negli ambienti politici di Bucarest la convinzione di poter avviare le operazioni militari in Transilvania senza doversi troppo guardare alle spalle. Altro fondamentale errore, commesso questa volta da tutte le forze dell’Intesa, è stato quello di non aver inquadrato l’azione bellica della Romania all’interno della strategia complessiva dell’Intesa. Ciò avrebbe consentito di dirigere lo sforzo bellico romeno, con il sostegno della Grecia, contro la Bulgaria e Turchia, paesi militarmente inferiori alla Romania che, probabilmente, avrebbero potuto essere sconfitti e così privare gli Imperi Centrali di fondamentali teste di ponte nei Balcani. La missione militare francese di Berthelot dovrebbe porre rimedio a questo fondamentale errore strategico. Occorre salvare la Romania, conclude l’articolista, poiché ciò significherebbe volgere le sorti del conflitto a vantaggio dell’Intesa e garantirsi l’apertura di sicure e rapide vie di comunicazione tra l’Europa e la Russia.
Passiamo così ai toni di dolore con cui si annuncia – con grande evidenza, l’articolo compare infatti in prima pagina, il 7 dicembre – la notizia della caduta di Bucarest e dell’occupazione tedesca della città. Oltre a un resoconto sugli scontri e al riepilogo degli avvenimenti bellici precedenti il 6 dicembre.  Si segnala, ad esempio, in modo esplicito che gli eserciti alleati russi e romeni hanno volontariamente abbandonato la capitale per evitare l’accerchiamento che avrebbe consentito ai tedeschi di fare non meno di 350.000 prigionieri. Per questa ragione il quotidiano sottolinea, con una punta di soddisfazione, che la presa di Bucarest ha più un valore psicologico che militare, perché le linee ferroviarie che confluiscono nella capitale erano già sotto il controllo dei nemici.

Editoriali

Di notevole interesse è, invece, l’editoriale che compare in apertura della prima pagina del «Corriere della Sera». L’articolo non è firmato, e questo fa pensare a una presa di posizione dell’intera redazione. I toni sono austeri e seriamente preoccupati. L’editoriale, dopo aver ribadito l’entusiasmo con cui gli italiani hanno accolto la notizia dell’entrata in guerra della Romania al fianco degli alleati, sottolinea il profondo dolore causato dalla comunicazione della caduta in mani nemiche di Bucarest. Sebbene dal punto di vista strategico è nulla la perdita di una fortezza vuota che non può più adempiere alla funzione difensiva, ben altra è la portata dal punto di vista politico dell’occupazione della città poiché la sconfitta militare è il segnale di errori e deficienze, che si erano manifestati sin dal mese di settembre, di cui il «Corriere della Sera», che ha sempre seguito con grande attenzione lo scontro sul fronte orientale, aveva puntualmente dato conto ai lettori.
In sintesi quali erano questi errori? Scarsa accortezza nell’offensiva in Transilvania eseguita con truppe divergenti tra loro e prive di collegamenti; aver dovuto ritirare uomini e mezzi dal fronte settentrionale per rafforzare il fronte danubiano aggredito da forze congiunte bulgare e austriache. In una errata valutazione di politica internazionale è da ricercare la causa della complessa e in parte compromessa situazione militare: ovvero aver fatto affidamento sull’immobilismo della Bulgaria o, in subordine, che i bulgari sarebbero stati tenuti a freno dall’intervento russo a sostegno della Romania.
Ma l’editoriale mette in evidenzia anche le inadeguatezze nella preparazione del conflitto: dall’insufficienza dei quadri militari alla scarsità dei mezzi materiali (dall’artiglieria ai collegamenti telefonici).
Ma le difficoltà non possono essere tutte ricondotte alla responsabilità del governo e dei comandi militari romeni. Si deve porre il caso in un contesto più ampio e che investe il modo di muoversi delle forze dell’Intesa. Infatti, l’editoriale si pone, domande che attendono una risposta dai livelli più alti: perché le forze alleate non hanno avuto sentore di ciò che stava accadendo in Romania? perché il soccorso russo è stato lento e tardivo? perché l’entrata in guerra della Romania non è stato posticipato a un momento più favorevole?
La chiusa dell’articolo è angosciato e pone la delicata questione circa la possibilità che la rottura dell’equilibrio verificatasi a Târgu Jiu possa essere ricomposta e quale sia la capacità di reazione dell’esercito romeno.
Il giorno successivo l’8 dicembre, nelle pagine interne si dà notizia, succintamente, di un comunicato romeno che annuncia l’avvenuto sgombero di Bucarest e di quello tedesco sull’occupazione della capitale. Spazio più ampio, sebbene in quarta pagina, è dedicato alle reazioni della stampa austriaca alla conquista di Bucarest. Il «Corriere della Sera», in risposta alla stampa nemica fa perfidamente osservare che i toni trionfalistici sono poco adatti per l’occasione, dato che la città di Bucarest non è stata conquistata in battaglia ma abbandonata volontariamente dagli eserciti alleati. 
Così volge a conclusione l’anno 1916.
Perché è interessante analizzare il modo in cui il «Corriere della Sera» segue le vicende del fronte orientale e della Romania in particolare? Da un lato, sul versante ideologico si gettano le basi per un parallelismo tra le vicende storiche dei due paesi, per tanti aspetti simili ma per tanti altri molto differenti e il quotidiano milanese esalta le prime e sorvola sulle seconde. Il «Corriere», come d’altro canto le élite politiche e i comandi militari erano interessati all’impegno della Romania perché ciò avrebbe consentito un alleggerimento del fronte occidentale e di quello italiano nello specifico. L’importanza del fronte balcanico, così fortemente sottolineata dal quotidiano milanese, è confermata dall’esito tragico che si ebbe in conseguenza della sconfitta romena, allorché gli imperi centrali furono messi in condizione di spostare le truppe dallo scenario orientale a quello occidentale determinando, ad esempio, lo sfondamento dell’esercito austro-ungarico in Italia nell’ottobre del 1917. 
Dall’altro lato, le critiche che lungo tutto il 1916 il «Corriere della sera» muove, durante la ritirata e la conseguente caduta di Bucarest, ai comandi militari romeni e alla strategia politico-militare delle forze dell’Intesa, che aveva sottostimato l’importanza del fronte orientale, ebbene queste critiche il «Corriere» le riprenderà e le rivolgerà, questa volta, al comando supremo italiano, dopo la disfatta di Caporetto del 24 ottobre 1917.



Angelo Chielli
(n. 2, febbraio 2021, anno XI)





NOTE

1. La bibliografia riguardante la Prima guerra mondiale ha raggiunto una mole considerevole, impossibile da riportare in una nota. Ci limitiamo, pertanto, a rinviare al lavoro più esaustivo sull’argomento apparso di recente, J. WINTER (a cura di), The Cambridge History of the First World War, 3 voll., Cambridge University Press, Cambridge 2014. Per ciò che riguarda il modo in cui la stampa italiana trattò le vicende politico-diplomatiche e militari si veda P. Murialdi, Storia del giornalismo italiano. Dalle gazzette a internet, Il Mulino, Bologna 2014; 23 L. Giacheri Fossati e N. Tranfaglia, La stampa quotidiana dalla Grande Guerra al fascismo 1914–1922, in V. Castronuovo, L. Giacheri Fossati, N. Tranfaglia, La stampa italiana nell’età liberale, Laterza, Roma–Bari 1979. Per quanto riguarda, in particolare il «Corriere della Sera» durante la prima guerra mondiale si veda, G. Licata, Il Corriere della Sera e la Triplice, in Il giornalismo italiano dal 1900 al 1918. Atti del VII Congresso nazionale di storia del giornalismo, Trento-Trieste 1968, Trieste 1972; A. Varni (a cura di), La storia nelle prime pagine del Corriere della Sera, Rizzoli, Milano 2016. 
2. Sulla storia della Romania con particolare attenzione all’età contemporanea di vedano, tra gli studi più recenti: F. Constantiniu, Storia della Romania, Rubettino, Soveria Mannelli 2015; F. Guida, Romania, Milano 2009²; K. Hitchins, Romania: storia e cultura, Trieste 2015. Per ciò che attiene alla Prima guerra mondiale si veda il succinto ma denso intervento di F. Guida, La Grande Guerra e la Romania. Alcune riflessioni, in R. Dinu, Firța–Marin, C. Luca (a cura di), La campagna di Romania (1916-1917): esperienze e memoria storica. Atti del Convegno di studi italo-romeno Venezia, 13-14 ottobre 2016, Quaderni della Casa Romena di Venezia, XII, 2017, Bucarest 2017, pp. 7-16.   
3. Vico Mantegazza (1856 -1934), scrittore, giornalista e politico italiano. È considerato il capostipite degli inviati speciali poiché dal 1886 effettuò numerosi reportage da paesi europei, in particolare quelli balcanici, ed extraeuropei. Dal 1915 iniziò a scrivere una monumentale Storia della guerra mondiale (I-VII, Milano 1915-19).
4. Pietro Silva (1887-1954), storico italiano, seguace dell’idea di nazionalità di ispirazione mazziniana. Si occupò prevalentemente di storia diplomatica nel periodo risorgimentale e di storia del Mediterraneo. Non aderì al fascismo, fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. La sua opera più importante è Il Mediterraneo dall'unità di Roma all'unità d'Italia del 1927.
5. Sulla situazione della Transilvania si veda S. Santoro, Dall’Impero asburgico alla Grande Romania. Il nazionalismo romeno di Transilvania fra Ottocento e Novecento, Angeli, Milano 2014.
6. Gioacchino Volpe (1876 - 1971), storico italiano. Fu sostenitore del nazionalismo e successivamente confluì nel movimento fascista. Fu deputato al parlamento nella XXVII legislatura (1924-29). Gli interessi storiografici del Volpe si concentrano, negli anni giovanili, sulla storia medievale. Dopo la Prima Guerra mondiale, i suoi interessi si spostano progressivamente dal Medioevo, all'Età Contemporanea.Tra le numerose opere dello storico ricordiamo:Medio Evo italiano (1923), L'Italia in cammino: l'ultimo cinquantennio (1927).
7. Su questo aspetto si veda il recente saggio di R. Dinu, Da alleata a nemica. La Romania e la questione della guerra contro le Potenze Centrali (1914-1916), in F. Guida (a cura di), La Grande Guerra e l’Europa danubiano-balcanica, Il Veltro, LIX, 1-6, 2015, p. 47-64. Sempre dello stesso autore si vedano anche: Italia e Romania nella Triplice Alleanza. Breve storia dell’accessione italiana al trattato austro-romeno del 1883, in I. Carja (a cura di), Unità nazionale e modernità nel Risorgimento italiano e romeno, Presa Universitară Clujeană, Cluj-Napoca 2011, pp. 163-167 e Studi italo-romeni. Diplomazia e società 1879-1914, Editura Militară, București 2007.
8. «Dall’Italia si guardava con interesse a quanto avveniva nel mondo politico e nella società romena durante quei mesi di incertezze, soprattutto in ragione delle analogie», è quanto scrive A. D’alessandri, La scelta romena della neutralità e la stampa italiana (agosto-ottobre 1914), in R. Dinu, Firța–Marin, C. Luca (a cura di), La campagna di Romania (1916-1917): esperienze e memoria storica, op. cit. p. 21.
9. Arnaldo Fraccaroli (1882-1954), giornalista – è stato a lungo inviato speciale del «Corriere della Sera» – scrittore commediografo italiano.
10. Guelfo Civinini (1873-1954), scrittore e giornalista (è stato redattore e inviato speciale durante la Prima guerra mondiale del «Corriere della Sera» italiano).
11. Si rammenti che anche le dichiarazioni di neutralità dei due paesi avvennero quasi contemporaneamente: il 2 agosto quella italiana e il 4 agosto quella romena. Si vedano su questi aspetti gli studi di: S.D. Spector, Romania at the Paris Peace Conference: a Study of the Diplomacy of Ioan I.C. Brătianu, Iași, The Center for Romanian Studies. The Romanian Cultural Foundation1995;  G.E. Torrey, The Roumanian-Italian Agreement of 23 September 1914, in The Slavonic and East European Review, 7, 1966;  Ș. Radulescu-Zoner, Convergences des relations diplomatiques roumano-italiennes à la veille de la première guerre mondiale, in Rassegna Storica del Risorgimento, LXI, 3, luglio-settembre 1974, pp. 427-445; G. Caroli, La Grande Guerra del 1917 nei rapporti tra Italia e Romania, Eunomia, Rivista semestrale di Storia e Politica Internazionali,  VI, n.s. (2017), n. 2, pp. 527-550; E. Costantini, R. Mihai Dinu, Romania. Che farà la «nostra sorella maggiore»? La stampa romena e la neutralità italiana (1914–1915), in R. Brizzi (a cura di), Osservata speciale. La neutralità italiana nella Prima guerra mondiale e l’opinione pubblica internazionale (1914–1915), Mondadori, Milano 2015, pp. 225-242.
12. Sulle vicende belliche romene si veda C. Prodan, D. Preda, The Romanian Army During the First World War, Univers Enciclopedic, Bucharest, 1998.