La devozione e la ragion di Stato in «Soccorso a Dorotea» di Maria Bellonci

Come si può conciliare la ragion di Stato con l’onore e la fedeltà senza compromettere o sacrificare i propri sentimenti e i propri cari? Una domanda non facile a cui cerca di dare una risposta nelle sue opere la scrittrice Maria Bellonci (1902-1986) che analizza le intricate dinamiche politiche del Rinascimento italiano, approfondendo la complessità della vita cortese, mostrando come, spesso, agli interessi politici si intreccino questioni di onore, di lealtà, di affetti familiari e, come le scelte e le ambizioni politiche, abbiano, inevitabilmente, conseguenze profonde e a volte drammatiche, nella vita delle persone.
Maria Bellonci, conosciuta ai più come l’ideatrice e l’organizzatrice, assieme al marito Goffredo, del più prestigioso concorso letterario italiano, il premio Strega, nato nel secondo dopoguerra con l’intento di contribuire alla rinascita culturale del Paese, è stata una figura di intellettuale di spicco del Novecento; scrittrice, giornalista e critica letteraria, è considerata una delle voci più autorevoli della cultura italiana del secolo scorso.
Amante allo stesso modo dell’arte [1] e della storia, Maria Bellonci, fin da giovane studia, con passione e curiosità, fonti, documenti, lettere private e opere d’arte, focalizzando la sua ricerca verso uno dei periodi più interessanti della cultura e della civiltà italiana: il Rinascimento.
Il suo personale interesse per l’età rinascimentale ha una svolta decisiva nel 1930, a seguito della richiesta ricevuta da Giulio Bertoni, filologo e critico letterario, di catalogare alcuni oggetti appartenuti a Lucrezia Borgia, da un elenco di gioielli della dama ferrarese che lo stesso Bertoni aveva rinvenuto. In particolare la giovane Bellonci è attratta da un’armilla su cui era riportato un distico di Pietro Bembo, e per questo motivo decide di approfondire la conoscenza della famosa figlia del papa Borgia, con ricerche e studi, prima a Roma, presso i Musei Vaticani, e poi a Mantova, presso l’Archivio di Stato, dove conosce e collabora con lo storico Alessandro Luzio, uno dei maggiori studiosi del Rinascimento. [2]
In seguito, si avvicina alla narrativa, attingendo spunti e racconti proprio dalle intricate vicende delle Signorie italiane, come gli Sforza, gli Estensi e i Gonzaga, per raccontarne le vite, i grandi avvenimenti e soprattutto le figure femminili che hanno lasciato un’impronta significativa nella storia.
La peculiarità della scrittura di Maria Bellonci è la capacità di fondere il rigore storico con la libertà narrativa attraverso una prosa ricca di dettagli e sfumature che restituiscono al lettore la complessità e la ricchezza del passato, come evidenzia Geno Pampaloni in Storia in buone mani, introduzione a Tu vipera gentile [3], «ella cerca semplicemente una situazione di verità umana, per cui delle vicende, delle figure, dei sentimenti che vivono nel suo romanzo si possa dire, di nuovo manzonianamente, “allora com’ora, come sempre” […]. Per un poeta la storia, come per il filosofo la libertà, è un frammento di eterno.» [4]
Si tratti quindi, di biografie narrative o romanzi storici, come la critica negli anni ha cercato di definire le opere di Maria Bellonci, la sua ricca produzione letteraria, dà un contributo unico e prezioso alla letteratura del secondo dopoguerra, basti pensare al capolavoro e testamento Rinascimento privato, romanzo con il quale la scrittrice vince, postumo, proprio l’amatissimo premio Strega.
Nelle sue prose, eleganti e raffinate, in un perfetto equilibrio tra precisione storica e creatività letteraria, si possono vedere i colori vividi degli affreschi del Pollaiolo e del Bramante, l’oro delle miniature dei romanzi cavallereschi, leggere la poesia di Ariosto e di Bembo, ascoltare la musica di Palestrina e di Monteverdi; in un’epoca di grazia e splendore, che Maria Bellonci sa evocare magistralmente attraverso precisi dettagli storici ma, di questa eccezionale epoca della creatività italiana, la scrittrice mette in luce anche la complessità di un mondo sfaccettato, caratterizzato  da intrighi, violenza e passioni, nel quale la politica e la ragion di Stato spesso, prevaricano ogni altro aspetto. Così abilmente ricrea situazioni e ambienti, non solo fisici ma anche psicologici, dischiudendo le porte dei palazzi del potere e entrando nella vita delle stanze, facendo parlare personaggi di un’epoca, solo apparentemente lontana, soprattutto, come afferma Umberto Eco «ci offre un nuovo modo di vedere la storia. Questa fusione tra pubblico e privato, questo saper riscoprire il pubblico attraverso il privato, e al tempo stesso questo farci sentire che questo privato non è invenzione: ecco il segreto di Maria Bellonci» [5] Nel mettere in luce vicende e personaggi della storia, nascosti nel silenzio degli archivi o sintetizzati nei manuali di storia, infatti, Maria Bellonci descrive verità universali, costanti della natura umana, i fatti narrati diventano reali e attuali e le passioni si avvertono come sentimenti umani senza tempo. L’adesione dell’autrice, dunque, al fatto storico «agisce con forza e non solo nelle descrizioni degli ambienti in cui la scrittrice si cimenta, ma anche nelle più sottili, spesso tortuose, implicazioni psicologiche». [6]
Se, tuttavia, i personaggi più noti dei romanzi di Maria Bellonci (fin dal primo ritratto di Lucrezia Borgia), sono famose dame del Rinascimento, un caso a sé è rappresentato dalla protagonista di Soccorso a Dorotea, il secondo racconto,della raccolta Tu vipera gentile: una ragazza poco più che adolescente, appartenente sì alla potente famiglia Gonzaga, ma della sua triste vicenda si trovano tracce solo nelle cronache minori.
La storia trae spunto di un fatto realmente accaduto e le cui fonti sono consultabili nell’Archivio Gonzaga a Mantova. [7]
Dorotea (1449-1467), figlia di Ludovico II Gonzaga e Barbara di Brandeburgo, era stata fin da bambina promessa sposa, in sostituzione della sorella Susanna, a Galeazzo Maria, primogenito del Duca di Milano, Francesco Sforza; questo matrimonio avrebbe dovuto suggellare definitivamente l’accordo politico-militare tra le due Signorie; a quei tempi, infatti, le milizie di Mantova, guidate da Ludovico, appoggiavano e sostenevano il potente Signore di Milano. Per alcuni anni i due promessi, si incontrarono, si scambiarono lettere e doni, così che i loro rapporti divennero sempre più affettuosi, spinti anche dall’accondiscendenza delle madri, Barbara e Bianca Maria, da tempo unite da una profonda amicizia e da stima reciproca, che vedevano con favore l’unione delle due casate. L’accordo matrimoniale, però, venne annullato bruscamente a causa di una presunta malformazione di Dorotea, una gibbosi, tara di famiglia, sulla cui veridicità le due famiglie entrarono in contrasto. Con il pretesto di verificare l’idoneità fisica di Dorotea il Duca di Milano, difatti, aveva richiesto una visita medica ad abundantem cautelam [8]qualche mese prima delle nozze, tale proposta rappresentava un disonore per la casa Gonzaga e una vergogna per Dorotea. I marchesi di Mantova, che si erano sempre dimostrati fedeli alleati dei più potenti Sforza, non accettarono di sottoporre la ragazza a questo disonore e il matrimonio fu annullato. Il motivo reale, che aveva spinto il Duca di Milano ad annullare l’accordo ben presto divenne chiaro a tutti: la speranza di realizzare un matrimonio più vantaggioso per il figlio, con la casa regnante francese. Non passò molto tempo che la giovane Dorotea si ammalò e morì ad appena diciassette anni.
L’armonia tra il tono elegiaco, di una infelice storia d’amore, e i temi più cari all’autrice, della ragion di Stato, della brama di potere e della sopraffazione dei più deboli, fanno di questo racconto,un contributo di alto valore artistico, un cameo prezioso che sorprende i lettori per la delicatezza e la profonda commozione con le quali è narrato questo episodio. Al di là del rapporto di veridicità tra la storia realmente accaduta e la finzione letteraria il racconto ci restituisce il dramma del ripudio che si consuma ai danni di una creatura indifesa, insidiata da brame e sotterfugi a lei estranei. Nella realtà storica, come nel racconto, infatti, sulla ragazza si perpetra una gravissima ingiustizia, poiché Dorotea non ha traccia della famosa gobba di famiglia, ma l’umiliazione di doverlo dimostrare, non rappresenta solo un disonore per la giovane, ma un affronto inaccettabile per i Signori di Mantova. La ragazza rifiutata ingiustamente, accetta impotente, con assoluta obbedienza e compostezza le decisioni dei genitori: «È rimasta con i suoi sogni svuotati in un silenzio che le è stato imposto come una disciplina morale». [9]
Nella scelta di raccontare questo dramma intimo, nel garbo con il quale tratteggia la delicata personalità dell’adolescente, che non assume mai nel racconto il ruolo di protagonista, ma rimane in disparte, devota e succube delle decisioni degli adulti, Maria Bellonci riesce a dipingere un affresco capace di restituire, da un lato «il fulgore del Rinascimento, le ambizioni smodate e intemperanti, la magnificenza della natura e dell’arte» [10] e dall’altro la delicata psicologia di una giovane, prigioniera nell’intricata rete delle relazioni politiche e familiari, proprie delle potenti Signorie rinascimentali, «Una montagna di carte d’archivio, così ci appare il dramma sordo di Dorotea […] sfogliando le carte antiche il lungo patimento di Dorotea si sente esalare in sottofondo come il lamento di un prigioniero.» [11] Nessuno si accorge realmente del suo dramma: «Nessuno ha soccorso Dorotea, nemmeno il padre e la madre, tanto appassionati dei figli e tanto forti […] ma l’ingiustizia per loro, trascendeva la persona singola della figlia e si allargava a colpire con un colore di umiliazione e di maledizione tutta la famiglia». [12]
Dai tratti poetici e delicati, di amore filiale, di onore e di orgoglio, cresciuta leggendo i romanzi cavallereschi da cui aveva imparato la fedeltà eroica, Dorotea man mano, prende corpo nel racconto come una graziosa immagine dei ritratti del Mantegna: «In una riquadratura quattrocentesca si colloca questa figlia del secolo, limpida anche se corrosa dalla crudele avventura che sta vivendo: e sembra corrispondere alla donna che Leon Battista Alberti geometrizzò nel suo ritratto di famiglia: dove tutto è previsto, salvo una cosa: che una donna sia un essere umano nato alla libertà.»[13] Dorotea, non può far altro che prendere tristemente coscienza «che non è stato vero l’aspettare, il credere e l’aver fede» [14] e struggersi nel suo dramma, quello di una ragazza che fin da bambina, attraverso infantili illusioni, era stata guidata, spinta, indotta dai propri cari a invaghirsi del giovane e sfrontato Galeazzo, così che il desiderio di realizzare questo matrimonio, era divenuto, con il tempo, anche il suo: «Doveva diventare perfetta principessa le dicevano intorno, degna di un duca di Milano. Ma a lei piaceva una vita gaia e familiare con un po’ di romanzo e un po’ di poesia, senza acrobazie e latinismi.» [15]
Così dai ritratti gentili e leggeri delle figure della Camera degli sposi, Dorotea, inesorabilmente si avvia, nel corso della vicenda, ad assomigliare alle tragiche figure femminili della letteratura, morte per amore: Didone, Ofelia, Ermengarda, attraverso un estremo desiderio di salvezza spirituale che sembra voler tentare di redimere la spietata società quattrocentesca, della quale questa giovane donna ne diventa la vittima sacrificale.
Se quindi il personaggio di Dorotea prende forza solo nel finale del racconto proprio nel momento nel quale si disvela la sua tragica sorte, i veri protagonisti che si affannano, in un ritmo altalenante di rallentamenti e impennate del racconto, fin dall’incipit, sono i coniugi Gonzaga: «Si specchiarono in viso. Era l’estate 1457 fresca e mutevole». [16]
Il racconto è dunque, anche un inno all’amore coniugale, in un mondo nel quale spesso i matrimoni sono vere strategie politiche, si distinguono Ludovico e Barbara; di loro la storia, quella delle cronache del tempo, ci racconta di una coppia unita da un amore saldo e profondo, coronato dalla nascita di numerosi figli. Maria Bellonci ci restituisce questa eccezionale armonia e stima reciproca  attraverso la descrizione di un matrimonio riuscito grazie alla comprensione e alla fusione di intenti: Ludovico «principe mansueto e letterato, e insieme ottimo uomo d’armi e leale condottiero» [17] e Barbara, che «il raggiare di quel potente umanesimo riscaldava il cuore germanico […] oltre a reggere l’amministrazione della casa» [18], uniti in «Tempi virgiliani di sostanza virgiliana, avrebbe potuto dire Ludovico Gonzaga che il suo Virgilio lo conosceva tutto. Ma qualunque fosse la stagione, loro due, marito e moglie, dovevano risalire al fondo di se stessi e trovare il coraggio di specchiarsi l’uno nell’altro.» [19]
Per i Signori di Mantova la dualità tra ragione di Stato e sentimenti personali, come l’amore familiare e l’onore, emerge come tema centrale nella loro vita politica e sociale, da un lato il bene del governo richiedeva scelte pragmatiche, ma dall’altro l’amore reciproco e verso la famiglia rappresentano un vedere comune, una missione matrimoniale. Una «congiura coniugale» [20], così con un ossimoro la scrittrice definisce e rappresentata il loro matrimonio,cioè il continuo sforzo per tentare di bilanciare le aspettative personali con le esigenze del governo della città, poiché per loro: «La concretezza politica  trafiggeva ogni delicatezza familiare.» [21]
Personaggio secondario ma fondamentale per l’equilibrio del racconto è, invece, Francesco Sforza, spietato e cinico, disposto a tutto per brama di potere, persino a venir meno alla sua stessa parola, trama nell’ombra, prende accordi segreti e nasconde a tutti le sue reali intenzioni, anche alla moglie devota. «Non che l’umanità facesse difetto in Francesco Sforza; ma per quella natura d’uomo, regolata e avvampata insieme, la ragion politica contava se non proprio su tutte le cose almeno su quasi tutte […]. Condottiero, e bastardo di condottiero, Francesco Sforza era arrivato al massimo della fortuna per energia d’ingegno. Aveva imparato bene la guerra, e meglio l’arte di conservarsi integro, di decidere al momento giusto e di scivolare dalle maglie pericolose con la lestezza di un felino senza perdere nulla del suo prestigio» [22]; il Duca di Milano ben rappresenta il Signore rinascimentale, contrapposto agli equilibrati Gonzaga, difatti incarna pienamente le qualità del principe che saranno ben descritte da Machiavelli: «si vede per esperienzia, ne’ nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà.» [23]
Nel racconto, infine, appaiono, ritratti in piccole descrizioni o appena abbozzati da epiteti, molti dei grandi personaggi dell’epoca, politici come Pio II, il Cardinale Rodrigo Borgia, Cosimo dei Medici, Luigi XI, letterati e artisti come Vittorino da Feltre (precettore di Ludovico e dei suoi figli), Mantegna, Brunelleschi e Pollaiolo.
Diversamente dai suoi più grandi successi editoriali, in Soccorso a Dorotea, Maria Bellonci nello scegliere come protagonista una donna non eccezionale della storia, poiché di «Dorotea non si ha notizia che fosse di particolare genialità»[24], vuol mostrare come la vicenda personale, anche di una figura modesta, sia altrettanto eccezionale per intensità e drammaticità poiché «vibra di un sentimento profondo, di diritto alla felicità» [25] e, ancor di più di Lucrezia Borgia o di Isabella d’Este, «tra le prime donne al mondo» [26], che in qualche modo hanno avuto la possibilità di affermarsi, la giovane Gonzaga non ha alcuna possibilità di agire, le «mancano tutte le scaltrezze dell’esperienza» [27]; né può essere aiutata, neppure dai suoi cari, di modo che, inesorabilmente, la sua storia prosegue verso un dramma già destinato. D’altro canto, pur dovendosi silenziosamente piegare alla ragion di Stato, in un estremo desiderio di distinzione, in questo mondo turbolento e affascinante, la figura di Dorotea riesce, a emergere, gentile e solitaria, attraverso la compostezza della sua sofferenza e la devozione filiale: «ella aveva appreso una sola lezione, quella della fedeltà eroica». [28]


Anna Maria Pignatiello
(n. 7-8, luglio-agosto 2025, anno XV)





NOTE

[1] «Sono cresciuta a Santa Maria Maggiore. Là ho imparato a raccontare, seguendo il linguaggio narrativo dei mosaici lungo la navata e sull’arcone, attenta alle cadenze espressive e sostenute, alla ricerca, si può dire, del neorealismo storico» Maria Bellonci, Pubblici segreti 1, Milano, Mondadori, 1965, p. 140.
[2] https://www.treccani.it/enciclopedia/maria-bellonci_(Dizionario-Biografico)/
[3] Raccolta pubblicata nel 1972, il titolo è preso dal terzo racconto Tu vipera gentile a sua volta tratto dal primo verso di una canzone di un anonimo del ’300.
[4] Maria Bellonci, Tu vipera gentile, Milano, Mondadori, 1972, p. VI.
[5] Dall’intervista di Antonio Ria a Umberto Eco, L’alto pettegolezzo psicologico di Maria Bellonci, «Corriere del Ticino», 20 dicembre 1985.
[6] Massimo Grillandi, Invito alla lettura di Maria Bellonci, Milano, Mursia, 1983, p. 29.
[7] Una interessante ricostruzione storica fu redatta nella seconda metà dell’Ottocento dallo studioso Stefano Davari dalla consultazione dei documenti dell’Archivio Gonzaga a Mantova-Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2012 Stefano Davari, IL MATRIMONIO DI DOROTEA CONZAGA CON GALEAZZO MARIA SFORZA 1889.
[8]Clausola del contratto di matrimonio come si legge inLuca Beltrami, Gli sponsali di Galeazzo Maria Sforza, 1450-1468, Milano, Pagnoni, 1893, p. 9.
[9]Maria Bellonci, Tu vipera gentile, op. cit. p. 152.
[10] Massimo Grillandi, Invito alla lettura di Maria Bellonci, op. Milano, Mursia, 1983cit., p. 24.
[11] Maria Bellonci, Tu vipera gentile, op. cit., p. 129.
[12] Ivi, pp. 151-152.
[13] Ivi, p.142.
[14] Ivi, p.152.
[15] Ivi, p.111.
[16] Ivi, p.117.
[17] Ivi, p. 105.
[18] Ivi, p.114.
[19] Ivi, p.103.
[20] Ivi, p.137.
[21] Ivi, p.103.
[22] Ivi, pp. 106-107.
[23] Niccolò Machiavelli, Il Principe, 1550, Cap, XVIII.
[24] Maria Bellonci, Tu vipera gentile, op.cit., p. 110.
[25] Ivi, p. XI.
[26] Maria Bellonci, Rinascimento privato, Milano, Mondadori, 1985, p.116.
[27] Maria Bellonci, Tu vipera gentile, op cit., p. 127.
[28] Ivi, p. 127.


Bibliografia

Alberto Asor Rosa, Novecento primo, secondo e terzo, Milano, Sansoni, 2004.
Maria Bellonci, Opere, Milano, Mondadori, 1994, I e II.
Maria Bellonci, Pubblici segreti 1, Milano, Mondadori, 1965.
Luca Beltrami, Gli sponsali di Galeazzo Maria Sforza, 1450-1468, Milano, Pagnoni,1893.
Carlo Bertelli, Giuliano Briganti, Antonio Giuliano, Storia dell’arte italiana, Milano, Electa, 1994.
Stefano Davari, IL MATRIMONIO DI DOROTEA CONZAGA CON GALEAZZO MARIA SFORZA, 1889.
Massimo Grillandi, Invito alla lettura di Maria Bellonci, Milano, Mursia, 1983.
Giovanni Paccagnini, Maia Figlioli Paccagnini, Palazzo Ducale di Mantova, Milano, Electa, 1974.
Luca Serianni, La prosa di Maria Bellonci, «Studi Linguistici Italiani», XXII, (1996), 1.


Sitografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/maria-bellonci_(Dizionario-Biografico)/ consultato il 24/02/2025
http://www.rmoa.unina.it/6513/ consultato il 24/02/2025
https://thesis.unipd.it/retrieve/8b499471-db50-4bbc-bb27-30fbef54182a/Giulia_Valori_2018.pdf consultato il 25/02/2025
https://doi.org/10.1417/23040 consultato il 25/02/2025
https://edizioni.unistrasi.it/1267/1691/