L’istroromeno: alcuni aspetti del contatto con il croato

Ho già scritto qualcosa (vedi bibliografia) a proposito dell’istroromeno, che i parlanti nativi chiamano vlwaški (vl. d’ora in poi). Si tratta di una lingua neolatina dell’Istria, trasmessa fino ad oggi solo oralmente. Dall’Ottocento in poi, alcuni studiosi ed eruditi, specialmente romeni, hanno cominciato a visitare le zone in cui la lingua si parlava ed a trascrivere i testi orali che man mano ascoltavano dai parlanti. È facile capire come i primi testi trascritti siano più volte imprecisi sia per la variabilità delle pronunce sia per le incertezze dell’alfabeto [1].
Una comunità di contadini e pastori, che parlavano questa lingua, si era stanziata in Istria (ora Croazia) forse già prima del secolo XV, o perché fuggita dai Balcani di fronte ai Turchi, o anche per altre ragioni. Dagli alloglotti essi venivano chiamati vlahi, esonimo che per lo più essi rifiutavano per se stessi, mentre invece si servivano di denominazioni derivate dai toponimi dei loro villaggi: nel XVII secolo è testimoniato anche il termine Rumeri [2]. D’altronde la sfera semantica del termine vlahi è molto più vasta, e nel Medio Evo comprendeva non solo le popolazioni latinizzate dei Balcani, ma anche altre popolazioni della stessa regione, comprese sotto la denominazione di Magna Vlahia [3].

La continuità della lingua

Questo gruppo linguistico, che a metà dell’Ottocento pare fosse ancora abbastanza numeroso in Istria (forse 3000 parlanti), con il tempo è andato man mano assottigliandosi, fino a ridursi ai pochi minuscoli villaggi di oggi situati a ovest del Monte Maggiore [4]. Esso tuttavia era riuscito per secoli, nell’isolamento in cui viveva, e sebbene non fosse supportato né da una tradizione scritta né da un qualsiasi altro tipo di istituzione culturale, a conservare la propria lingua, esito estremo, insieme con gli altri «dialetti» romeni, della latinità balcanica [5], nonostante fosse a stretto contatto con popolazioni che parlavano altre lingue, e soprattutto dialetti istriani slavi e italiani: ma il contatto linguistico, specie con lingue slave, iniziato d’altronde molto precocemente già nelle terre d’origine fin dal VII secolo, in una lingua minoritaria come questa, aveva dato luogo, oltre ad un diffuso bilinguismo (e plurilinguismo) per la necessità di interagire con le popolazioni circostanti, anche ad intensi fenomeni di mescidanza, stimolati dal fatto che, mentre la lingua d’uso quotidiana era sempre il vl., in realtà sotto l’Austria, che sosteneva apertamente la croatizzazione dell’Istria interna, l’amministrazione, la scuola (quando esisteva) e la chiesa erano croate, come poi sono state italiane sotto l’Italia a partire dal 1918 [6], e di nuovo croate dopo l’occupazione da parte della Jugoslavia comunista nel 1945. Fu questo evento che provocò la diaspora della piccola comunità in tutto il mondo, con gravi conseguenze linguistiche, sociali, culturali.
Da recenti informazioni avute dall’Istria, risulterebbe che i parlanti colà rimasti non superino la quarantina a Žiʹywan, e la settantina nei villaggi meridionali [7]. È estremamente difficile calcolare quanti siano i parlanti nel mondo, anche perché spesso si tratta di persone o famiglie isolate: forse arrivano a 500/600 unità, ma c’è chi pensa ad un numero molto inferiore. Paradossalmente è a New York che vive la comunità più numerosa, forse meno di 300 persone, per necessità plurilingui, come lo sono anche sia quelle disperse nel mondo sia quelle rimaste in Istria. Spesso è persino difficile dire qual è la vera lingua d’uso nelle famiglie istroromene sparse nel mondo, e persino in quelle rimaste in Istria, perché anche in casa si parlano almeno due lingue: ormai sono frequenti i matrimoni misti e le nuove generazioni molto spesso non conoscono la lingua.

Aspetto e azionalità

Il vl. ha continuato a vivere fino ai giorni nostri, ma da secoli, come ho già accennato, aveva subito un profondo processo di mescidanza specie con parlate slave dell’Istria, e in particolare con i dialetti croati ciakavi. Forse non è azzardato dire che il grado di compenetrazione tra croato e vl. avrebbe in ogni modo portato, in un lasso di tempo più o meno lungo, ad una lenta dissoluzione del vl. a favore del croato istriano, e tuttavia il danno maggiore sta avvenendo sotto i nostri occhi nella dispersione dei parlanti nel mondo a causa degli eventi successivi alla seconda guerra mondiale.
Il contatto linguistico con il croato non si è limitato al prestito di elementi del lessico, ma ha riguardato anche elementi importanti della struttura morfosintattica. Tra gli stessi prestiti lessicali, colpisce l'alta frequenza dei verbi: il verbo però non costituisce un elemento periferico della frase e della lingua, anzi ne rappresenta il nucleo. Il passaggio per prestito di forme verbali già di per sé indica che il processo di contaminazione tra le due lingue era ed è piuttosto avanzato.
Un indice molto evidente delle conseguenze del prolungato contatto con lingue slave è offerto dalla presenza in vl. di prefissi e infissi verbali, presi dal croato, per esprimere sfumature azionali-aspettuali del verbo, con valori praticamente identici a quelli del croato; anche in vl. infatti, la prefissazione verbale segnala l’aspetto perfettivo in contrapposizione all’imperfettività dei verbi di base senza prefisso, come pure anche i valori azionali istantaneo VS durativo, nonché quello iterativo o continuativo e quello inversivo. Ma ciò che è più importante sottolineare è che questi morfemi non solo entrano in vl. insieme ai verbi slavi a cui sono originariamente legati, ma si uniscono autonomamente anche a radici verbali latine, intaccando la matrice stessa della lingua.
Al contrario la lingua romena, alla cui famiglia neolatina naturalmente il vl. appartiene, pur avendo ricevuto anch’essa molti prestiti da lingue slave, non conosce l’aspetto verbale espresso mediante prefissi o infissi o altre forme diverse (eccetto che in una piccola zona del Banato), ma lo segnala, come l’italiano, attraverso tempi diversi e non per morfemi specifici. È vero che anche in romeno i prefissi verbali sono molto numerosi e produttivi, ma i verbi a cui sono legati derivano dal latino insieme al loro specifico prefisso e non esprimono valori aspettuali [8].
Le lingue slave invece hanno sviluppato sistematicamente l’opposizione aspettuale imperfettivo VS perfettivo, e per lo più mediante prefissi. È molto significativo, quindi, che diversamente dal romeno, il vl. presenti lo stesso fenomeno [9].

Prefissi ed infissi verbali

In vl. i verbi con prefisso preso da lingue slave sono molto numerosi. Nel corpus lessicale del mio Vocabolario (v. bibliografia), che vuole fissare il vl. parlato a ʹBəršćina prima dell’esodo (anni ‘45/’55 circa), prendendo in considerazione solo i verbi che formano coppia con un verbo di base corrispondente, ricaviamo che, su circa 300 verbi prefissati, sono di origine latina circa il 10%.
I prefissi verbali sono numerosi e molto produttivi, ed in vl. teoricamente possono unirsi a qualsiasi verbo, anche con improvvisazioni idiolettiche estemporanee. Essi sono do-, ne-, o-/ob-, od-, p-/po-/pod-/pot-, pri-, pro-, re-/res-/rez-, s-/z-/ze-, ecc. e si presentano con poche varianti fonetiche rispetto a quelli croati.
Il prefisso po-, pod-, pot-, che prendo a titolo di esempio,è uno dei più produttivi, e può essere collegato a moltissime radici verbali, con diversi valori delimitativi e in particolare quello perfettivo e completivo.
In vl. questo prefisso viene frequentemente impiegato con radici slave, per lo più con lo stesso valore che ha in croato:
- be'ri/pobe'ri, raccogliere/raccogliere tutto (cr. pobirati):
     berea ʹzərnele di-mprevwale, raccogli i chicchi da terra;
mek pobeʹri ʹwovale din kokoʹšwar, vado a raccogliere le uova dal pollaio;
- dig'ni/podig'ni, alzare/sollevare (cr. podignuti):
pəra se digʹnea, il pane sta lievitando;
podigʹnea ʹzwalika ča kantrida, solleva un po’ quella sedia;
- rezʹbi/porez'bi, rompere/fracassare (cr.porazbijati):
rezbiya čwa če tekniya, rompeva ciò che toccava;
porezbit-a twot ən kwasa, ha fracassato tutto in casa.
Ma il fatto più significativo è il suo frequente impiego anche con radici latine:
- fu'rwa/pofu'rwa, rubare/svaligiare (lat. furari, rom. a fura):
twatsi furu de nwopte, i ladri rubano di notte;
lj-a pofuʹrwat twot din štwala, gli hanno rubato tutto dalla stalla;
- maritwa-se/pomaritwa-se, sposarsi (detto della donna) (lat. maritare, rom. a mărita)
s-a mariʹtwat dupa ʹfrwatele lu Twone, si è sposata con il fratello di Antonio;
ʹfeatele din sela s-a twote pomariʹtwat, le ragazze del villaggio si sono sposate tutte;
- učide/poučide, uccidere/sterminare(lat. occidere, rom. a ucide)
     s-a uʹčis ən kwasa, si è ucciso in casa;
ʹnuškara bwole poučis-a galjirle, una qualche malattia ha sterminato le galline.
Qualche altro esempio:
kaʹdea/pokaʹdea,cadere (lat. cadēre > cadĕre), kukwa-se/pokukwa-se, sdraiarsi (lat. se collocare); skunde/poskunde, nascondere (lat. abscondere); sur'bi/posur'bi, sorbire, (lat. sorbere);vinde/povinde, vendere (lat. vendere), ecc.
Il vl. ha preso in prestito dal croato anche l’infisso -av-/-iv-,che esprime in ambedue le lingue il valore azionale iterativo/continuativo del verbo: nell’infinito esso è seguito dalla desinenza ossitona -ey (-aʹvey/-iʹvey); anche questo infisso, oltre che in temi verbali slavi, è presente pure in verbi che derivano dal latino:              
- čiʹrwa/čiraʹvey, cenare/cenare solitamente (lat. cenare, rom. a cina):
kən vets čiʹrwa?, a che ora cenerete?;
ən veara čiraveyan pre balaʹdur, d’estate usavamo cenare sul terrazzo;
- štepʹtwa/šteptaʹvey, aspettare/aspettare più volte (lat. expectare, rom. a aştepta):
     šteptwat-a ʹfrwayaru ma nw-a veʹrit, ha aspettato il fidanzato, ma lui non è venuto;
saka damareatsa šteptaveya koriyera, ogni mattina aspettava la corriera;
- tremeate/tremetaʹvey, mandare/mandare spesso (lat. transmitto, rom. a trimite):
tremes-am listu, ho spedito la lettera;
ywa saka zi tremetaveya fečworu-n butiga, lei ogni giorno mandava a chiamare il medico.
Qualche altro esempio: bea/beʹvey, bere/bere abitualmente (lat. bibere); dwa/da'vey, dare/dare sempre (lat. dare); vinde/vindaʹvey, vendere/andar vendendo (lat. vendere);trwaže/traga'vey, condurre/portare ripetutamente (lat. trahere); žu'kwa/žuka'vey, ballare/ballare frequentemente (lat. iocari), ecc.
Talvolta la radice verbale può presentare un’alternanza fonetica:
- ziče/zikaʹvey, dire/andar dicendo (lat. dicere, rom. a zice):                                
ć-am zis ke nu štivu nič de čwa, ti ho detto che non so niente di quella faccenda;
ʹnwarodu zikaveya ke nu-y ʹistina, la gente andava dicendo che non era vero;
- meare/megaʹvey, andare/andare spesso (lat. mergere [10], rom. a merge):
     ren meare saʹpwa kumpiru, andremo a zappare le patate;
megaveya saka šetimwana-n Rika, andava tutte le settimane a Fiume;
- spure/spunjaʹvey, raccontare/continuare a raccontare (lat. exponere, rom. a spune):
spus-a twot kun-a fwost fešta, ha raccontato tutto, come è stata la festa;
nwono spunjaveyt-a la fwok čuda ʹštworiye, il nonno usava raccontare al fuoco molte storie.
Qualche altro esempio: pure/punja'vey, mettere/usar mettere (lat. ponere); ve'ri/vinja'vey, venire/venire spesso (lat. venire):  plənže/plənga'vey, piangere/piangere tutte le volte che… (lat. plangere), ecc.
Anche il prefisso re-, res-, rez-, s-, pure esso di origine slava, può unirsi a verbi derivati dal latino con valore per lo più inversivo:
- le'gwa/rezle'gwa, legare/slegare (lat. ligare, rom. a lega):
     legwat-am ʹtərsurle-n Galačiya, ho legato le viti in Galacia (agrotoponimo);
de nwopte rezleʹgwan breku, di notte lasciamo libero il cane;          
- ənkljide/reskljide, chiudere/aprire (lat. claudere, rom. a închide):
ənkljide uša ku ključu, chiudi la porta con la chiave;                                                           
meʹžen, ke prevtu reskljis-a baʹsearika, andiamo, che il parroco ha aperto la chiesa;
- kər'kwa/reskər'kwa, caricare/scaricare (lat. tardo carricare, rom. a încărca):
     s-a kərʹkwat ku brenta pljira de wapa, si è messa addosso la brenta piena d’acqua; 
reskərkwat-a bərsa de kumʹpir dispre sire, si è tolto di dosso il sacco di patate;
Qualche altro esempio: ənkatswa-se/reskutswa-se, mettersi le scarpe/togliersi le scarpe (lat. *incalceare/*discalceare); kərʹgey/reskərʹgey, caricare/scaricare (lat. tardo carricare), ənmeʹtswa/rezmeʹtswa, imparare/disimparare (lat. Invitiare [11]), ecc.
Anche gli altri prefissi sono molto produttivi: alcuni esempi con verbi dal latino:
nemuyže, prf. di muyže, mungere (lat. volg. *mulgĕre < class. mulgēre, rom. a mulge); oblinže, prf. di linže, leccare (lat. lingere, rom. a linge); priklje'mwa, iter. di klje'mwa, richiamare (lat. clamare, rom. a chema); zedur'mi, prf. di dur'mi, addormentarsi (lat. dormire, rom. a durmi) ecc.

La diaspora

Altri numerosi fenomeni di mescidanza con il croato si possono osservare nella morfosintassi istroromena. Il contatto secolare con lingue slave, ed in particolare con il croato, ha contribuito a modificare notevolmente il carattere neolatino di questa lingua. E tuttavia non è questa la principale causa per cui la lingua è oggi in grave pericolo di estinzione. Le vere cause sono altre: è vero che l’annessione alla ex Jugoslavia ha portato con sé una ulteriore pesante croatizzazione della lingua, alle volte forzata e programmata; però è stato l’instaurarsi di un regime comunista nelle zone occupate, con il suo seguito di uccisioni, persecuzioni e miseria, che ha prodotto un esodo massiccio della popolazione istroromena, e non solo, dall’Istria, provocando la perdita del contesto naturale in cui nei secoli si era evoluta la lingua; così, nelle più diverse parti del mondo, ma anche in Istria, le giovani generazioni non hanno potuto continuare la tradizione linguistica delle famiglie, perché l’ambiente socio-culturale si è radicalmente modificato: la lingua è rimasta retaggio dei vecchi, che naturalmente sono andati man mano scomparendo. Quando l’ultima persona capace di parlare la lingua sarà morta, potremo dire che la lingua è morta. Quando ciò avverrà è difficile dire, ma temo che non si tratti di aspettare molti decenni. Per questo è indispensabile, finché si può, raccogliere ogni testimonianza della lingua e della cultura di questa comunità, perché ne rimanga almeno il ricordo.


Antonio Dianich
(n. 9, settembre 2015, anno V)


NOTE

1. Vari sono i sistemi di trascrizione usati dagli studiosi: il mio metodo si può trovare in forma semplificata nell’articolo già pubblicato su questa stessa rivista (anno IV, n. 6, giugno 2014), e più dettagliatamente nel mio Vocabolario (v. bibliografia). Per lo più segno in corpo più piccolo le semivocali w ed e nei dittonghi ascendenti wa, wo, ea perché sono flebili nella pronuncia, e talvolta svaniscono: ma qui per motivi redazionali sono in corpo normale.
2. Vedi: F. Ireneo della Croce, Historia antica, e moderna: sacra, e profana della città di Trieste, ecc., Venezia MDCXCVIII, libro IV, cap. VII, pagg. 334-335.
3. Vedi: Joannis Lucii, De regno Dalmatiae et Croatiae libri sex, Francofurti MDCLXVI, libro VI, cap. V De Vlahis, pagg. 281-286.
4. Essi sono a nord Žiʹywan (it. Seiane, cr. Žejane),a sud Sušʹnjevitza (it. Valdarsa, cr. Šušnjevica),ʹNwoselo (it. Villanova, cr. Novavas), ʹBəršćina (it. Briani , cr. Brdo),e altre località minori. Tra la lingua del nord e quella del sud ci sono varianti che non impediscono tuttavia una discreta intercomprensibilità: piccole varianti si osservano anche tra le parlate dei villaggi del sud. Come negli altri miei scritti, anche qui mi riferisco alla variante del vl. che si parla (o si parlava) nel villaggio diʹBəršćina, dove è nata mia madre (mio padre era di Sušʹnjevitsa). Anche in seguito qui userò i toponimi originali istroromeni.
5. Il latino balcanico presenta notevoli problemi e divergenze di opinione tra gli studiosi: v. per es. Emanuele Banfi, Storia linguistica del sud-est europeo ecc., Milano 1991.
6. È notevole però il caso della scuola italo-romena di Sušnjevitsa, aperta negli anni 1921-25 dal governo italiano con il titolo di «Traiano Imperatore», ed affidata ad Andrei Glavina, che era un giovane di Valdarsa che aveva studiato in Romania: purtroppo la scuola si chiuse con la morte prematura del maestro nel 1925. Rimangono alcuni brevi testi da lui scritti in vl.
7. Dati provenienti da Viviana Brkarić, che nella scuola croata di Sušʹnjevitsa ha creato un insegnamento elementare facoltativo di vl. (e non di romeno!), con una dozzina di scolari. A Žiʹywan è attivo promotore della lingua Robert Doričić. I due volontari sono supportati da Zvjezdana Vrzić, New York University. Sempre a New York, Marisa Ciceran ha raccolto un gran numero di documenti e testimonianze nel suo sito in internet (v. bibliografia).
8. Sono grato all’amico prof. Petru Neiescu, dell’Università di Cluj, per le precisazioni che mi ha gentilmente fornito a questo proposito.
9. In italiano l’aspetto differenziato come nelle lingue slave non esiste, e questo può creare qualche difficoltà nella traduzione, specialmente di esempi brevi non contestualizzati, come quelli del presente contributo.
10. Per l’etimologia, vedi I.A. Candrea Hecht - Ov. Densusianu, Dicționarul etimologic al limbii române. Elementele latine, s.v. 1080 merge, Bucureşti 1907-1914.
11. Per l’etimologia, vedi I.A. Candrea Hecht - Ov.Densusianu cit., s.v. 895 învăţa.


Bibliografia essenziale

Cantemir, Traian , Texte istroromîne, Bucureşti 1959
Dianich, Antonio, Vocabolario istroromeno-italiano. La varietà istroromena di Briani (ʹBəršćina), Pisa 2011
Dianich, Antonio, ʹNušte de ʹnwarodu č-a gaʹneyt ʹvlwaški-n ʹBəršćina (ʹIstriya). Qualcosa sulla gente che parlava l’istroromeno a Briani (Istria), in Societas et universitas, Studi e memorie in onore di don Severino Dianich (a cura di M. Gronchi e M. Soriani Innocenti), Pisa, 2012
Frăţilă, Vasile – Bărdăşan, Gabriel, Dialectul istroromân. Straturi etimologice, Timişoara 2010
Frăţilă, Vasile, Dialectologie românească (sud- şi nord-dunăreană), Cluj-Napoca 2014
Kovačec, August, Istroromunjsko-Hrvatski Rječnik (s gramatikom i tekstovima), Pula 1998
Maiorescu, Ioan, Itinerar in Istria şi Vocabular istriano-român, Bucureşti 1900; (traduz. ital. di Pantazescu, Elena, Itinerario in Istria e vocabolario istriano-romeno, di Ioan Maiorescu, Trieste 1996
Morariu, Leca, Lu fraţi nostri. Libru lu Rumeri din Istrie. Cartea Romînilor din Istria. Il libro degli Rumeni istriani, Suceava 1928
Neiescu, Petru, Dicţionarul dialectului istroromân, vol. I, A-C, Bucureşti 2011 (volumi successivi in corso di elaborazione)
Puşcariu, Sextil, Studii istroromâne (în colaborare cu M.Bartoli, A. Belulovici şi A.Byhan), Bucureşti 1906, 1926, 1929


Sitografia

http://www.orizonturiculturale.ro/it_studi_Antonio-Dianich.html
http://www.istro-romanian.com/
http://www.vlaski-zejanski.com/