Romania: I Padri Fondatori (II). Gheorghe Asachi, Ion Heliade Rădulescu, Vasile Alecsandri

Il genio proteiforme delle generazioni intellettuali romene dell’Ottocento continua col grande Gheorghe Asachi. Asachi nasce nel marzo 1788, a Herța, in Moldavia. Nel 1795 la famiglia si trasferisce a Lemberg (Leopoli), odierna L’viv (Ucraina), e Gheorghe, oltre alla lingua romena, impara presto il latino, il polacco e il tedesco. Nell’Università di Lemberg studierà filosofia, ma seguirà anche corsi di ingegneria e architettura, senza però conseguire titoli accademici. Trasferitosi a Vienna per motivi di salute, frequenta corsi di astronomia e matematica, ma si cimenta anche nella poesia e nella pittura. E proprio grazie al comune amore per la pittura, durante un lungo viaggio in Italia, iniziato nel 1808, si lega di affettuosa amicizia con la giovane Bianca Milesi, che gli ispirerà numerose liriche, scritte in italiano e tradotte in romeno dallo stesso autore.
Insieme a Rădulescu, Asachi è il più appassionato degli italianisti romeni. Già nel 1811 aveva pubblicato un sonetto in lingua italiana sul «Giornale del Campidoglio» e scritto, in romeno, un’ode in versi classici, l’apprezzata Cătră Italia. Lo sconfinato amore per la terra di Dante gli farà scrivere: «In questo giardino dell’Universo, dove dolce suona la favella, un romeno della Dacia viene a trovare gli avi, per baciarne la cenere nei sepolcri e apprendere le loro virtù».
Tornato in Moldavia nell’agosto 1812, Asachi diventa funzionario per il Ministero degli Esteri; nominato professore nella scuola Trei Ierarhi di Iași, tiene corsi di aritmetica, algebra, geometria, ingegneria e architettura. Le lezioni vengono impartite in lingua romena, e in questo modo Asachi dimostra che nell’insegnamento di tali materie è possibile prescindere dal greco.
Dal 1822 al 1827 riveste la carica di funzionario diplomatico della Moldavia presso la corte imperiale di Vienna, primo romeno a conseguire un tale incarico. Rientrato a Iași, sempre più consapevole della triste condizione del Paese, e segnatamente del mondo contadino, inizia un’ineguagliabile opera di promozione culturale che investirà la letteratura, la musica, il teatro, la stampa, la pittura. In particolare, riorganizza e dirige la Scuola Trei Ierarhi, pubblica il primo numero della rivista «Albina Românească» (L’ape romena), partecipa alla redazione dei Regolamenti Organici, (che costituiranno la base del futuro Stato romeno), all’apertura dell’Accademia Mihăileană (la prima istituzione per studi superiori creata nella Moldavia) e del Conservatorio Filarmonico Drammatico di Iași (1836).
«Albina Românească», primo giornale in lingua romena apparso in Moldavia, rifletterà fedelmente la personalità di Asachi, che ne è proprietario e redattore. Più che seguire le idee innovative propugnate dagli intellettuali pașoptiști (aggettivo da patruzeciși opt, «48» in romeno, da 1848, l’anno dei moti rivoluzionari), in gran voga a quel tempo, la rivista punterà sulla diffusione di una cultura ad ampio raggio, occupandosi di argomenti come la medicina, la coltivazione della terra, la gestione del patrimonio boschivo, la situazione commerciale nei Principati, le innovazioni tecnologiche e scientifiche, e persino i prezzi delle merci importate ed esportate dai porti romeni sul Mar Nero!
Trascurando le decine di altri prestigiosi incarichi che gli furono conferiti, e venendo all’attività letteraria di Asachi, ci sembra opportuno iniziare da un giudizio critico di Călinescu, che inserirà Asachi (insieme ai Văcăreștii, a Ioan Budai-Deleanu, Dinicu Golescu, Costache Conachi e altri) nel novero di quelli che definisce Clasicii întârziați, ovvero esponenti di un classicismo romeno manifestatosi in ritardo rispetto a quello occidentale. È un divario che non sfugge al grande critico letterario, che nell’intento di dare un’interpretazione organica allo sviluppo della letteratura romena prende come riferimento la cultura occidentale.
Asachi scriverà novelle a sfondo storico, favole, satire sociali e, menzione d’onore, opere teatrali. Nel 1816, quando ha solo 28 anni, diventa il precursore del teatro drammatico romeno, con un’opera, Mirtil și Hloe, ispirata alla vicenda pastorale di Dafni e Cloe, e che fu tradotta dal francese ed elaborata dallo stesso Asachi. Qui rifulgono la volontà, la passione, l’amore per la cultura di questo moldavo: l’opera viene rappresentata non in un teatro, ma nella dimora privata del funzionario di corte Costache Ghica, e gli operai e i tecnici chiamati ad allestire il mini teatro sono assunti e pagati dall’autore! Ma nella prima rappresentazione teatrale della storia romena rifulge un altro merito di Asachi, ossia la sua convinzione che per creare e diffondere una cultura nazionale sia necessario utilizzare un linguaggio letterario al quale familiarizzare i cittadini romeni di ogni classe. Un tale processo passava necessariamente per una migliore definizione di regole grammaticali e ortografiche (ancora parzialmente incerte nella lingua romena), e lo sviluppo di un moderno sistema scolastico. Asachi agì in ambedue le direzioni: per la prima questione afferma che nessuna lingua meglio dell’italiano potrebbe facilitare lo sviluppo della letteratura romena, e la poesia in particolare. Di conseguenza, propugna la sostituzione dell’alfabeto cirillico con quello latino, e l’adozione nella lingua romena della semplice ortografia italiana, adeguandola, ove necessario, alle particolarità fonetiche e morfologiche del romeno.
Per la seconda questione, Asachi rimane una delle personalità romene più importanti di ogni tempo.  Infatti, per dotare la Moldavia di un sistema scolastico più avanzato, convince alcuni maestri transilvani, che già adoperano il romeno nelle loro classi, a trasferirsi nel Seminario del monastero Socola di Iași. Nel 1828 fonda l’Istituto Ginnasiale Vasiliano, aperto anche a studenti di famiglie povere, che nel giugno 1835 diventerà l’Accademia Mihăileană.
Asachi, in questo modo, raggiunge due risultati importantissimi: incrementare la popolazione scolastica e smentire le idee di chi riteneva la lingua romena inadeguata per impartire un insegnamento elevato.
A dispetto di queste fantastiche doti, Asachi non eccellerà nel campo letterario. Ma tanto di cappello: iniziatore del teatro drammatico, creatore della letteratura popolare diffusa attraverso i periodici, pioniere dell’apertura di scuole superiori in Moldavia, rimane uno degli intellettuali più fecondi dell’intera storia romena, una sorgente inesauribile di idee e iniziative volte a migliorare il patrimonio culturale e morale del suo popolo.

Târgoviște è un’antichissima città della Valacchia, di cui fu capitale sino a quando, nel 1659-60, obbedendo al diktat dell’Impero Ottomano, il principe Gheorghe Ghica spostò la capitale del Principato a Bucarest.
Nella prima metà dell’Ottocento, Târgoviște diventa una culla fecondissima per la poesia romantica romena: la città, infatti, diede i natali a Vasile Cârlova (1809-1831), considerato da molti il primo poeta romeno moderno; a Grigore Alexandrescu (1810 ca.-1885), poeta, narratore e direttore di numerosi Enti e Istituzioni politiche e culturali; inoltre, il 6 gennaio 1802 nasce a Târgoviște uno dei maggiori protagonisti dell’intera storia romena, Ion Heliade Rădulescu.
Nel sangue e nella fisionomia di questo gagliardo valacco si mescolano elementi romeni, orientali e balcanici (la madre era greca). Quando aveva otto anni, la famiglia si trasferì a Bucarest e Ion Heliade (o Eliad), in accordo con la didattica del tempo, fu iscritto a una scuola greca. Il ragazzo si rivela intelligentissimo e caparbio: un giorno ode un popolano che recita in lingua slava alcuni brani dell’Alexandrìa (apocrifo in lingua greca del III secolo, noto in Occidente come Romanzo di Alessandro) e ne rimane folgorato. Procuratosi il libro, apprende con facilità i caratteri cirillici da un dipendente del padre, e in breve è in grado di leggere l’intera opera.
Quando Gheorghe Lazăr, nel 1818, apre una scuola romena a Bucarest, Rădulescu è tra i primi allievi; grazie alla precocità intellettiva passa presto dalla condizione di studente a quella di coadiutore di Lazăr e quando questi, nel 1822, lascia Bucarest, il giovanissimo Ion si adopera per tenere aperta la scuola. Nel 1827 collabora con Dinicu Golescu alla fondazione della Societatea Literară, prima associazione politico-culturale della Romania. L’8 aprile 1829, lo stesso Golescu riesce a ottenere dalle Autorità russe il placet per pubblicare un giornale, il primo in lingua romena: è il «Curierul românesc», e Rădulescu, che ha solo 27 anni, ne è editore e redattore.
A seguito alla morte di Golescu, nel 1830 la Societatea Literară si scioglie. Le idee e le iniziative che Rădulescu aveva condiviso con il grande amico e sodale si riversano interamente sulle sue spalle; in pochissimi anni, questo intelletto multiforme realizza una serie incredibile di iniziative.
Nel 1833, insieme a Ion Câmpineanu, Costache Aristia e altri studiosi, fonda la Societatea Filarmonică, che ha come scopo principale la promozione del teatro nazionale (ma, più o meno segretamente, anche di veicolare idee politiche e sociali). Rădulescu si dedica soprattutto all’ambito letterario; in questa veste, apre una scuola d’arte drammatica, traduce e fa rappresentare il Mahomet di Voltaire e l’Amphitryon di Molière, cura la pubblicazione della prima rivista teatrale romena, la «Gazeta Teatrului Național»; il successo che arride all’iniziativa convincerà alcuni boiari ad acquistare il terreno sul quale verrà edificato il Teatro Nazionale.
Nel 1834 il Principe Dumitru Alexandru Ghica sale sul trono della Valacchia e Rădulescu diventa uno dei suoi più stretti collaboratori. Nominato Ispettore Scolastico Generale, contribuisce alla fondazione di oltre 4.000 scuole, per le quali vengono stampati programmi didattici nell’alfabeto latino, in sostituzione di quello cirillico.
Nel 1836 (e sino al 1847) inizia a pubblicare il «Curierul de ambe sexe», rivista che ha lo scopo di dare una maggiore vitalità alla letteratura romena; sempre nel 1836 raccoglie la già notevole produzione letteraria nel volume Culegere din scrierile lui Eliad, de prose și de poesiă. Stiamo parlando di un uomo che, a questo punto, non ha ancora 35 anni!
Quando ho iniziato a interessarmi di Rădulescu, non riuscivo a capacitarmi della vastità dei suoi interessi. C’è per esempio il Rădulescu che traduce Dante e la Gerusalemme Liberata del Tasso. C’è il linguista, consapevole della necessità di fissare le regole di una nuova ed esauriente grammatica romena e di promuovere un’autorevole lingua letteraria. Tuttavia, assumendosi direttamente questo compito, Rădulescu alterna iniziative lodevoli ad altre in cui mostra un’esagerata inclinazione filo-italiana.
Nella Gramatica Românească (1828) propone una semplificazione dell’alfabeto cirillico e la sostituzione al romeno di un idioma italiano di sua creazione. In Breve sguardo sulla lingua e sull’origine dei romeni (1836), e in due successive pubblicazioni del 1841, ribadisce le affinità e i parallelismi fra lingua romena e lingua italiana, auspicando l’introduzione dei caratteri latini. Nel 1847 pubblica un Vocabolario di parole straniere in lingua romena, in cui torna a suggerire l’eliminazione dei vocaboli di ascendenza slava e ungherese, e la loro sostituzione con termini di origine latina o italiana; quando però arriva a sostenere che italiano e romeno sono dialetti derivati dal latino e a propugnare una lingua romeno-italiana, non può evitare le critiche di diversi letterati e studiosi, fra i quali Eminescu.
Il Rădulescu letterato continua ancor oggi a dividere la critica; Kogălniceanu, Hasdeu e Călinescu apprezzarono la sua opera, mentre Maiorescu non lesinò critiche nei suoi confronti. Come poeta non sembra più avere il rilievo di un tempo, se si eccettuano alcune liriche riuscite, come la nota Zburătorul (1843) e il poema Anatolida sau Omul și forțele (1870). Rădulescu inizia a comporre mentre traduce dal francese Alphonse de Lamartine, da cui si lascia marcatamente influenzare; in altre liriche lo vediamo attingere a temi stilnovisti e a un retorico petrarchismo (Ahi, maestra Italia!). Né egli si discosta dall’imitazione quando rimane nel solco della poesia romantica, come nella nota O noapte pe ruinile Târgoviștei, scritta nel 1836.
Su questo tema, Rădulescu era stato preceduto dal concittadino Vasile Cârlova, autore di Ruinurile Târgoviștei e sarà seguito dall’altro contemporaneo e concittadino Grigore Alexandrescu, che nel 1840 pubblicherà, sul «Curierul românesc», la poesia Adio la Târgoviște.
Dei tre, Cârlova è il più introspettivo. Assimila la sua sorte a quella delle rovine, con le quali instaura un rapporto quasi personale; le mura, che un tempo testimoniavano la gloria degli avi, ora evocano nel giovane il dolore per il «destino nero» della Romania e un profondo senso di malinconia dinanzi all’inesorabile fluire del tempo.
Rădulescu si sofferma sulla natura che circonda le rovine, dove tutto sembra parlargli: il muschio, le foglie… Inevitabilmente, anch’egli evoca il passato eroico, rivolgendosi ai grandi condottieri ed eroi che misero in fuga i «figli della Luna» al di là del Danubio; tutto questo, nella cornice di una meditazione più ampia sul senso dell’esistenza.
Alexandrescu, disteso fra le rovine, vede un mondo immerso nel sonno, dimentico dei tormenti e della grandezza del passato, degli eserciti, degli eroi: tutto è illusione, tutto è silenzio. È nella natura, in un bosco collinare che ricerca la quiete dell’anima; ma la gioia gli è negata, solo la memoria delle persone care lo accompagnerà nella fuga dei giorni che lo separano da quello, fatale, in cui raccoglierà la cetra e dirà addio al mondo.
Come politico e patriota, Rădulescu riveste un ruolo importantissimo nella storia patria, che culmina con la partecipazione ai moti del 1848, nei quali si erge ad assoluto protagonista. Il 9 giugno 1848 a Islaz, piccolo centro nella regione storica dell’Oltenia, legge il noto Proclama (Proclamația de la Islaz), che egli stesso ha redatto, contenente le rivendicazioni dei rivoluzionari; concepito come una vera e propria costituzione, punta alla modernizzazione del Paese in senso liberale e progressista, nel rispetto dei valori e delle tradizioni storiche della terra romena.
Falliti i moti del 1848, per Rădulescu inizia un esilio decennale, che lo vede soggiornare a Parigi, nell’isola di Chios e a Costantinopoli, in Transilvania, in Belgio, a Londra, poi di nuovo in Francia. Alcuni dei leader rivoluzionari furono piegati dall’insuccesso del movimento quarantottino; non Rădulescu, che da Londra scrisse a diversi capi di Stato europei, rappresentando la secolare, infelice situazione politica del suo Paese.
Giustamente celebre è il brano, concepito dopo un anno di esilio, in cui Rădulescu illustra chiaramente e dolorosamente lo scarso ruolo riconosciuto al suo Paese nello scacchiere politico europeo: «Dalla mia miseria e dal vostro esilio verrà molta luce per la nostra Patria sventurata. Senza questa catastrofe la Nazione non avrebbe scritto così diffusamente per illuminare i suoi diritti e gli stranieri non avrebbero saputo così tanto. Un anno fa, non il popolo, ma nemmeno i deputati dell’Assemblea Nazionale francese sapevano se Bucarest fosse a Bukara o in Tataria. Parlavo con la gente e mi sembrava che stessi parlando con persone di altri Paesi. Ora, il popolo, la borghesia, i letterati sanno che i romeni appartengono alla famiglia latina, cioè ai romani, che sono i fratelli dei francesi, degli italiani, degli spagnoli, dei portoghesi».
Nel 1859, essendogli stato concesso di rientrare in patria, riprese la lotta di tradizionalista conservatore e intransigente italianista. Nel 1866 è tra i fondatori della Societatea Academică, che diventerà l’anno seguente l’Academia Română, che rimane il più prestigioso consesso culturale della Nazione romena. È il canto del cigno di questo grande intelletto: Rădulescu ne sarà il primo Presidente, ma nel 1870 si dimetterà dall’incarico e andrà via sbattendo la porta, in disaccordo con chi non condivideva i suoi programmi di riforma linguistica. Purtroppo, quest’uomo geniale e infaticabile era anche maledettamente cocciuto e orgoglioso; gli anni che precedono la sua morte, avvenuta il 27 aprile 1872, lo vedranno triste e isolato, a dispetto dell’immane lavoro svolto per lo sviluppo della lingua e della letteratura romena e la costruzione dell’unità nazionale.
Nella Storia critica della letteratura romena (2008), Nicolae Manolescu riporta la celebre esortazione di Rădulescu contenuta in Asupra traducței lui Omer (1937) e indirizzata agli scrittori di un Paese che aveva un disperato bisogno di crescere culturalmente e politicamente: «Non è il tempo della critica bambini, è il tempo della scrittura. E scrivi quanto più puoi, e come puoi, ma non con cattiveria; fare, non distruggere, che la Nazione accolga e benedica chi fa e maledica chi distrugge».
Alla luce della gigantesca opera di questo infaticabile costruttore della Nazione, ci pare più che giustificata la celebre affermazione del critico e storico della letteratura Vasile Alexandrescu Urechia: «Eliad non è un uomo, Eliad è un’età».

Con Vasile Alecsandri entriamo nel cuore del patrimonio folclorico della Romania. Nato nel luglio 1819 a Bacău, in Moldavia, viene iniziato agli studi dal monaco transilvano Gherman Vida; dal 1828 frequenta l’elitario collegio francese Victor Cuenim di Iași. Nel 1834 è a Parigi, dove si iscrive ai corsi di medicina, chimica e legge, presto abbandonati per la disciplina che predilige, la letteratura. Viaggerà nell’amatissima Italia, in Spagna, in Africa e in Oriente, e sarà scrittore, poeta, commediografo, fondatore di riviste culturali, diplomatico, padre del teatro nazionale romeno e leader rivoluzionario e politico.
Come uomo politico, Alecsandri riveste un ruolo di notevole importanza per la storia romena. Nel 1848 scrive la poesia Către români (più tardi ridenominata Deșteptarea României) e insieme a Mihail Kogălniceanu e Costache Negri redige le Dorințele partidei naționale în Moldova (Aspirazioni del Partito Nazionale in Moldavia), manifesto dei rivoluzionari moldavi. Nominato Ministro per gli Affari Esteri nel difficile periodo compreso fra l’istituzione dei Divani di Valacchia e Moldavia e l’Unione dei Principati, nel febbraio 1859 iniziò la delicata azione diplomatica volta a ottenere il riconoscimento, da parte delle Potenze europee, dell’unificazione dei governi nella persona di Alexandru Ioan Cuza. In questa veste, è uno dei primi romeni a tessere rapporti politici con il Regno di Sardegna; è presente alle battaglie di Magenta, Solferino e San Martino del giugno 1859, e al primo di questi scontri dedicherà la poesia La Magenta. Successivamente, verrà eletto deputato (1869) e senatore (1884); terminerà la carriera politica svolgendo le funzioni di ministro plenipotenziario a Parigi, prima del ritiro nell’amata tenuta di famiglia di Mircești, dove morirà il 22 agosto 1890.
La statura letteraria di Alecsandri si fonda su un’attività estesa alla poesia, al romanzo e al teatro. Il teatro romeno è ai primordi, e non poche sono le difficoltà espressive, oltre che organizzative. Così Alecsandri, nel 1852, descrive a Ion Ghica le pastoie che attendono chi vuole misurarsi con un lavoro teatrale: «I drammaturghi romeni devono lottare contro quattro ostacoli molto difficili da superare: 1) la lingua, che versa ancora in uno stato infantile; 2) il pubblico, che assomiglia alla lingua; 3) gli attori, che assomigliano al pubblico; 4) la censura!»
Nonostante ciò, Alecsandri scrive per il teatro più di 50 opere, passando con disinvoltura da temi amorosi e salottieri al patriottismo, dall’esotismo alla storia e alle tradizioni del popolo, dalla commedia di costumi al dramma sociale. Sa delineare figure che appartengono a tutte le classi e a tutte le professioni, e crea personaggi che resteranno nell’immaginario romeno, come l’energica e simpatica arrivista Cucoana Chirița.
Può sorprendere che questo figlio di un vornic moldavo sia fortemente attratto dal mondo contadino, e che raccolga, in Poezii poporale - Balade (cântice bătrânești) adunate și îndreptate de V. Alexandri (1852-53), alcune delle più celebri e amate composizioni popolari della storia romena, compresa la notissima Miorița e l’altrettanto celebre Manastirea Argeșului (o Leggenda di Mastro Manole). Ma Alecsandri è profondamente legato alla terra natia, e la valorizzazione degli affetti e delle tradizioni del popolo contadino diventa un motivo portante della sua attività letteraria.
Sempre nel 1853, la sua produzione si arricchisce della raccolta di liriche Doine și lăcrimioare. La prima parte, Doine, presenta quadretti naturalistici, personaggi e situazioni bizzarre o grottesche; nelle Lăcrimioare il poeta mette in versi di ispirazione lamartiniana la storia d’amore con Elena Negri (1816-1847), sorella del grande amico Costache Negri.
Vasile si innamora di Elena, che è già sposata, nel 1845, ed è ricambiato appassionatamente. Viaggiano insieme, vivono una storia sentimentale piena e felice; ma Elena ha una grave malattia polmonare e nel maggio 1847, ad appena trentuno anni, morirà fra le braccia dell’amato su una nave diretta a Costantinopoli.
Ancor più che nelle Doine si lăcrimioare, l’intento di rinnovamento della poesia romena si realizza nei Pasteluri, quasi tutti pubblicati sulle «Convorbiri literare» tra il 1868 e il 1870. La raccolta inizia con quanto di più intimistico si possa concepire: al calore di un focolare, mentre fuori infuria il maltempo, Alecsandri rievoca i viaggi nei Paesi mediterranei, vagheggia isole fantastiche e gesta di eroi. Il suo merito è che sa essere originale pur risentendo di influssi francesi e delle descrizioni campestri e bucoliche di Virgilio. Certo, sono quadri idillici, ed è stato osservato che Alecsandri vede la campagna con gli occhi del boiaro fortunato che del duro lavoro contadino mette in luce soltanto il lato pittoresco. In ogni caso, la resa estetica è notevole: i paesaggi rurali e agresti compongono scenari che incantano il lettore, come quando il poeta descrive la lunca di Mircești, la depressione delimitata da boschetti, cespugli e radure che pullula di creature animali.
C’è ancora modo di sbalordirsi per l’attività letteraria di questo ingegno, perché nel 1875 Alecsandri pubblica una prima serie di Legende, poemi e canti epici in cui vengono riflessi valori nazionali e sentimenti patriottici. Non manca l’influenza di Victor Hugo, né una certa retorica, presente soprattutto nella seconda raccolta, Legende nouă (1880); ma di nuovo questo fabbro della letteratura introduce un elemento di originalità, perché Dumbrava roșie, che apre la raccolta di Legende del 1875, è il primo poema epico della letteratura romena.
Brillante, eclettico, modernizzatore, Alecsandri ha due meriti dalla portata incalcolabile: è stato capace di un equilibrio non facile tra le necessità di innovazione e il rispetto per la tradizione; inoltre, le sue raccolte di versi e canti popolari segnano la prima diffusione delle tradizioni e del folclore romeno in ambito europeo.
Titu Liviu Maiorescu, in Poeți și critici (1886), ha espresso un insuperabile giudizio sull’opera di questo grande moldavo. Lo storico della letteratura afferma che nessuno meglio di Alecsandri ha saputo rispondere alle aspettative del suo tempo e a far apprezzare la poesia popolare, la lingua in cui veniva espressa e la bellezza della terra romena. «È in questa totalità della sua azione letteraria», conclude Maiorescu, «che risiede il valore unico di Alecsandri».




Armando Santarelli
(n. 7-8, luglio-agosto 2020, anno X)