Romania: I Padri Fondatori (IV). Titu Maiorescu

Forma fără fond (Forma senza contenuto): questo il giudizio critico che, intorno al 1860, un giovanissimo studioso romeno pronuncia in riferimento alla letteratura (e più in generale alla cultura) del suo Paese. Il critico letterario in erba, che diventerà grandissimo, si chiama Titu Liviu Maiorescu; con quell’espressione, diventata celebre, vuole rimarcare che la produzione letteraria, dopo il 1848, è quasi interamente importata dall’Occidente e subordinata alla politica, e dunque priva di contenuti che siano espressione dell’autentica realtà romena.
Il giovane intellettuale non ignora certamente che la società romena deve molto all’influenza della letteratura francese e di quella tedesca, sia sul piano sostanziale sia su quello linguistico (è egli stesso imbevuto di queste lingue e culture); tuttavia, suona la diana affinché la cultura occidentale sia affiancata dall’elemento nazionale, da una letteratura ispirata e fedele alla vita e agli ideali della società romena.

Maiorescu nasce a Craiova il 15 febbraio 1840. Studia nel prestigioso Collegio Theresianum di Brașov, dove assimila quel misto di formazione classica e scientifica che contribuirà a dare misura e razionalità alla sua prodigiosa attività. Il curriculum universitario è di assoluta distinzione: nel 1859, a soli 19 anni, ottiene il dottorato in filosofia a Giessen, in Germania, e l’anno successivo si laurea in lettere e filosofia alla Sorbona di Parigi; nel 1861, sempre a Parigi, consegue la laurea in giurisprudenza. Tornato in Patria, inizia una carriera professionale multiforme e densa di successi. È dapprima procuratore al Tribunale di Ilfov (Bucarest), poi insegnante in un Liceo di Iași e professore nell’Università della stessa città. Dal 1884 è docente presso l’Università di Bucarest, di cui diventa Rettore dal 1892 al 1897.
Si creda o no alla fisiognomica, i tratti somatici di Maiorescu rispecchiano fedelmente la sua forza di volontà, l’ambizione, la determinazione che mostrerà in ogni ambito della vita. Eppure, la storia intima di un uomo può discostarsi drammaticamente dalla sua immagine e dal suo operato. Nicolae Manolescu, in Istoria critică a literaturii române – 5 secole de literatură (2008), scrive che la pubblicazione (postuma) del diario intimo di Maiorescu, Însemnări zilnice, rivela, al posto dell’olimpico tribuno, «un uomo tormentato dalle vicissitudini della vita, alla continua ricerca di un’oasi di tranquillità, e spesso infelice». In effetti, Maiorescu fu spesso tentato dal pensiero del suicidio, e in un periodo particolarmente difficile della sua vita prese in considerazione l’idea di emigrare in America. 
E tuttavia siamo dinanzi allo stesso uomo che mostra una straordinaria fiducia nelle proprie capacità e sa usare al meglio i mezzi per sfruttarle. È molto orgoglioso, ma l’orgoglio non gli fa perdere di vista l’obiettivo da raggiungere; a seconda delle situazioni, può diventare un fiero nemico, ma sa essere un ottimo amico. La premura che userà nei confronti di Eminescu, quando il poeta inizierà a dare chiari segni della malattia che sconvolgerà la sua mente, ne è una prova evidente.
A seguito del primo crollo nervoso del luglio 1883, Eminescu era stato ricoverato in un sanatorio di Bucarest. Maiorescu (che del poeta, come tutti sappiamo, sarà il primo editore e critico) si adoperò immediatamente per trasferirlo in una clinica nei pressi di Vienna, per garantirgli una migliore assistenza. Nel febbraio 1884, prima che Eminescu iniziasse il viaggio in Italia consigliatogli dai medici, Maiorescu scrisse all’amico queste commoventi parole: «Vede signor Eminescu, la diagnosi della sua condizione passata è oggi possibile, ed è assolutamente favorevole… Ora è uscito dal sogno, come era giusto. Non deve avere nessuna preoccupazione materiale… Ma vuole sapere con quali mezzi è stato sostenuto fino a ora? Bene, signor Eminescu, siano così stranieri gli uni agli altri? Non conosce l’amore (se mi permette di usare la parola esatta, è più forte), spesso l’ammirazione entusiasta che io e tutto il nostro cerchio letterario abbiamo per le sue poesie, per tutto il suo lavoro letterario e politico? Ma è stata una vera esplosione di amore, con la quale tutti i suoi amici (e solo loro) hanno contribuito ai pochi bisogni materiali che la situazione richiedeva. E non avrebbe fatto anche lei lo stesso da quel tanto-poco che avrebbe avuto, quando si fosse trattato di un amico, e ancor più di un amico di questo valore? Quindi non deve preoccuparsi, cerchi di riacquistare quella sua filosofia impersonale che ha sempre avuto, aggiunga un po’ di gioia e festa all’escursione attraverso la bellissima Italia e, al ritorno, riscaldi la nostra mente e il nostro cuore con un raggio del Suo genio poetico, che per noi è e rimarrà la più alta incarnazione dell’intelligenza romena».
L’affetto e le attenzioni per Eminescu (messe in atto, peraltro, con molta discrezione) confermano nei fatti la gerarchia dei valori professionali e spirituali di Maiorescu, che egli stesso, in una lettera a Iacob Negruzzi del novembre 1881, indicava così: «Prima i rapporti umani, poi la letteratura e infine la politica». Dello stesso tenore, l’annotazione di un pensiero di Goethe da parte del giovane Maiorescu del Theresianum: «Perdiamo tutto il guadagno della vita quando non possiamo condividere noi stessi con gli altri». A dispetto di una certa freddezza nei modi, questa propensione («la mia stupida incapacità di godermi qualcosa da solo») lo avrebbe accompagnato per l’intero arco della sua esistenza.
Mentre onora l’innata sete di conoscenza, Maiorescu si adopera concretamente per la vita sociale e politica della Nazione. La Romania ha bisogno di amministratori che sappiano guidare i processi politici in atto dopo l’unificazione dei Principati del 1859, e Maiorescu risponde alla sua maniera: nel 1871 è eletto deputato, poi Ministro dell’Istruzione Pubblica, e successivamente della Giustizia e degli Affari Esteri. Nel marzo 1913 sale alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, e in tale veste presiede la Conferenza di Bucarest del 1913, che pone termine alla Seconda guerra balcanica e ridisegna i confini dei Paesi coinvolti.

Basterebbero queste conquiste per fare di Maiorescu uno degli intelletti romeni più influenti di ogni tempo. Ma all’appello mancano ancora il Maiorescu linguista, letterato, filosofo, pedagogo, saggista e critico letterario.
All’inizio degli anni ’60, il problema della lingua era divenuto uno dei più impellenti, in conseguenza dell’introduzione dell’alfabeto latino al posto del cirillico. Con due studi pubblicati negli anni 1862 e 1864 – il primo volto a suggerire la positiva influenza dello studio del latino sull’educazione morale dei giovani, il secondo contenente regole di lingua romena per principianti – Maiorescu insiste sulla necessità di fissare la grammatica fondamentale della lingua sin dalle scuole primarie. Intanto, nel 1863, insieme ad alcuni giovani studiosi di Iași (Iacob Negruzzi, Petre P. Carp, Vasile Pogor e Theodor Rosetti) crea la società letteraria Junimea. È dalle discussioni in seno a Junimea che scaturirà, nel 1866, lo studio Despre scrierea limbei române, in cui Maiorescu detta norme chiare e semplici per l’ortografia della lingua romena, molte delle quali saranno accolte dalla neonata Accademia Romena per la compilazione del grande Dicționarul Limbii Române.
Nel gennaio 1867 le idee di Junimea trovano espressione nella rivista denominata, su suggerimento di Jacob Negruzzi, Convorbiri Literare. Lo stesso Negruzzi ne fissava così il programma: «Riprodurre e diffondere tutto ciò che entra nel cerchio delle occupazioni letterarie e scientifiche; sottoporre a una critica seria le opere che si pubblicano in ogni ramo della conoscenza; far conoscere l’attività dei circoli letterari e specialmente quelli di Iași e servire come punto di ritrovo fraterno per gli autori nazionali».
L’importanza delle Conversazioni letterarie è incalcolabile. La rivista accoglierà i contributi dei maggiori scrittori dell’epoca: Alecsandri, Creangă, Eminescu, Slavici, Gane, Ion Luca Caragiale, Xenopol, Rosetti, Negruzzi, Conta, Panu. Lo stesso Maiorescu non perdeva occasione per orientare le iniziative culturali e precisare le sue concezioni linguistiche e filologiche. Nello studio O cercetare critică asupra poeziei române de la 1867, aderendo al principio dell’arte per l’arte, difende l’autonomia del giudizio estetico, che vuole svincolato da ogni intento politico. Nel 1868 è la volta del notissimo Ȋn contra direcției de astăzi în cultura română (Contro l’attuale direzione della cultura romena), in cui afferma perentoriamente che la cultura romena, in molte delle sue manifestazioni, soggiace al vizio della «non verità». In particolare, Maiorescu accusa la generazione pașoptistă di limitarsi a recepire e imitare la letteratura e le conoscenze scientifiche provenienti dalla Francia e dalla Germania, trascurando la realtà di un Paese che ha bisogno di crescere nella sua specificità. Maiorescu non ha nessun timore di usare la frusta, e di parlare della «vanità dei discendenti di Traiano», di «cultura d’importazione», di incapacità di comprendere «dove sta la verità e dove sta l’errore». Con la stessa autorità di Belinski per la Russia, suggerisce il nuovo corso della letteratura romena nell’articolo Direcția nouă în poezia și proza română, premendo per lo sviluppo di contenuti attinti dalla vita nazionale e descritti in una lingua letteraria «veramente romena», indicando i modelli in Alecsandri, Negruzzi, Eminescu e Creangă.
Scorrendo le pagine che testimoniano l’attività di Junimea, scopriamo episodi e comportamenti di vera amicizia e goliardia. Infatti, le riunioni di Maiorescu e compagni si svolgevano all’insegna di una contagiosa allegria, che nulla toglieva alla serietà e alla costruttività del convivio letterario.

Propulsore del goliardismo di Junimea era Vasile Pogor, che pur essendo uno dei membri più anziani era considerato un enfant terrible, in virtù degli atteggiamenti ironici e scherzosi. Pogor aveva dato un soprannome a gran parte dei compagni, e non lesinava battute salaci nei loro confronti; ogni tanto raccontava aneddoti osceni e scoppiava in sonore risate quando non apprezzava ciò che veniva letto o esposto dagli altri membri. Eppure, il junimista che portava nell’Associazione una ventata di freschezza e di brio era lo stesso che ogni anno rileggeva l’Odissea e l’Iliade!
Nel quadro della valorizzazione dell’elemento nazionale, Pogor inseriva un’occidentalizzazione della cultura più accentuata rispetto ai compagni di Junimea, al fine di arrivare a una società culturalmente pluralistica. Il critico e storico della letteratura Zigu Ornea, in Junimea și junimismul (1998), ha scritto che «se Maiorescu ha conferito una sostanza coerente a Junimea, Pogor le ha dato un pizzico di sale, arguzia, umorismo e – elemento essenziale – scetticismo, ovvero un senso di relativismo».
La «sostanza coerente» di cui parla Ornea non abbandonerà mai lo spirito e l’azione di Maiorescu. Come emerge dalle celebri Critice (1892-93), egli continuò ad adoperarsi affinché nella letteratura emergesse «la rappresentazione commovente della vita del popolo romeno», «il tesoro dei canti popolari», «l’originalità nazionale»; inoltre, ebbe il merito indiscutibile di indicare gli autori (Alecsandri, Eminescu, Caragiale, Slavici, Odobescu ecc.) che «abbandonando la cieca imitazione delle mentalità straniere si sono ispirati alla vita del popolo e ci hanno mostrato quello che è, quello che pensa e quello che sente il romeno nella parte più nobile della sua essenza etnica».
Forse era inevitabile che, in un tale contesto, questo grande intelletto cedesse al moralismo degli iniziatori, a quella «critica giustizialista» (destinata inevitabilmente a stabilire delle gerarchie), di cui parla il critico L. Petrescu nel Dicționarul Esențial al Scriitorilor Români (Bucarest, 2000). A nostro avviso, si tratta di un peccato veniale se consideriamo il contesto storico e l’immenso campo socio-culturale in cui Maiorescu ha svolto la sua azione.
«Primo teorico dello specifico nazionale»; così lo definisce Călinescu nella monumentale Istoria literaturii române de la origini până în prezent. In effetti, mentre studia e diffonde le dottrine filosofiche ed estetiche europee, questo ingegno universale si pone come il massimo orientatore e guida della cultura del suo tempo, ciò che fa di lui una delle glorie eterne della Romania.




Armando Santarelli
(n. 11, novembre 2020, anno X)