Cioran, il pensatore del paradosso liberatorio. In margine al libro-intervista con Leonhard Reinisch

Ogni volta che si legge Cioran è impossibile non imbattersi nei suoi paradossi. Sia che si tratta dello studioso cioraniano esperto, sia del lettore occasionale alle prime armi, entrambi concordano sul fatto che l’approccio paradossale è ciò che meglio definisce e caratterizza i pensieri, gli aforismi e lo stile della prosa del filosofo romeno. Si potrebbe dire che Cioran sia diventato con gli anni uno “specialista” dei paradossi, dal momento che per lui l’uomo è per sua natura un essere paradossale.
I miei paradossi è un’intervista concessa da Cioran a Parigi al giornalista tedesco Leonhard Reinisch nella primavera del 1974 e trasmessa il 10 agosto dello stesso anno dall’emittente pubblica radiofonica BR (Bayerische Rundfunk, München). Essa è apparsa di recente anche in Italia presso La scuola di Pitagora editrice, a cura di Antonio Di Gennaro con la traduzione di Annunziata Capasso e Mattia Luigi Pozzi. Il lettore italiano può dunque avvalersi di questo prezioso documento per confrontarsi con il pensiero e l’opera di Cioran, un filosofo secondo cui «la libertà è […] l’unica forma di salute».
Attraverso la conversazione con Reinisch è possibile riscontrare come Cioran, con l’avanzare degli anni, cominci a prediligere l’oralità della parola (a «parlare la filosofia» per dirla con Derrida), rispetto al testo scritto. Leggendo I miei paradossi ci si accorge subito che si tratta di un filosofo che si esprime contro i sistemi onnicomprensivi e contro i discorsi condotti dall’alto, in terza persona.
Nell’intervista di Cioran si dà vita ad una concezione del filosofare in prima persona per orientarsi concretamente verso una sottile esplorazione dell’esistenza individuale che non può essere né sminuita né messa in discussione, il che da una parte lo avvicina alla sensibilità di Pascal, Kierkegaard e Dostoevskij, dall’altra lo mette in polemica contro l’esistenzialismo di Sartre di cui scrive: «Per me Sartre non significa nulla. La sua opera mi è estranea e la sua figura, in realtà, non m’interessa. Nemmeno L’essere e il nulla. In qualche modo, tutto questo è superficiale per me. Egli ha descritto “il nulla”, ma dal di fuori, tutto è, come dicono i francesi, “costruito”».
Ed è proprio a partire da questo «esistenzialismo soggettivo» di Cioran, opposto all’«esistenzialismo oggettivo» di Sartre, che si possono comprendere i temi religiosi che vengono trattati nell’intervista, come pure la discussione sull’esistenza di Dio e del diavolo, la sua visione dell’inizio e della fine del mondo, del destino dell’Europa e dell’uomo in generale. Inoltre, viene ricordata una interessante conversazione sul Peccato originale tra Cioran e il Cardinale Daniélou. Un altro riferimento significativo è quello relativo al rapporto del filosofo di Rășinari con lo gnosticismo, e con la visione dei Bogomili e dei Catari che è alla base de Il funesto demiurgo (1969).
Ma forse ciò che colpisce di più nel caso di Cioran sono le affermazioni sulla mistica e in questo senso abbiamo delle parole emblematiche: «Ho sempre letto i mistici e nella mia vita ho anche avuto esperienze mistiche. Ad esempio, prendo come punto di riferimento della mia vita un’esperienza che ho vissuto circa trent’anni fa, forse più. Successe tutto improvvisamente, sentivo che il tempo – passato, presente e futuro – si era concentrato in me a tal punto che ero diventato il centro del tempo. Allora ho iniziato a leggere molte cose sulla mistica, perché credo che in me ci sia una tendenza mistica [...]». Per Cioran, tale mistica significa l’ingresso nella dimensione di ciò che sfugge alla sfera del pensiero. Si tratta dell’esperienza di ciò che l’uomo è, quella che emerge nella solitudine infinita e durante le crisi religiose senza la fede. In questo spazio, irraggiungibile da un punto di vista concettuale, si configura una situazione mistica, intendendo con mistica «l’espressione suprema del pensiero paradossale» (come afferma nel Crepuscolo dei pensieri), che si pone come alternativa al nichilismo.
Per tornare al tema principale de I miei paradossi, bisogna sottolineare il significato etimologico del paradosso che esprime un’affermazione che appare contraria alla comune opinione (doxa) e alle convenzioni culturali di un determinato periodo storico. A tale proposito, filosoficamente parlando, Cioran con i suoi paradossi invita ad andare oltre i luoghi comuni, cosa che fa di lui uno dei più autorevoli moralisti del XX secolo e che Saint John Perse una volta ha definito come «il più straordinario saggista francese dopo Valéry». Il significato del paradosso cioraniano viene evidenziato molto bene da Reinisch nella postfazione del volumetto: «Conosco pochi libri, e pochi uomini, i cui paradossi si dissipano in un consenso così gioioso, così liberatorio come in Cioran e nella sua filosofia pirronista. Questi paradossi, infatti, alla fine non appaiono più tali, bensì paralleli, allo stesso modo in cui egli vive la sua vita».
Naturalmente si tratta di un pensatore sui generis che incarna profondamente un’esperienza esistenziale paradossale in cui convivono il pessimismo e la gioia. Lo afferma in un altro luogo, sullo stesso sottofondo del paradosso: «Gli entusiasti cominciano a diventare interessanti quando sono costretti a misurarsi con il fallimento e quando il disincanto li rende umani. Chi riesce in tutto è necessariamente un superficiale. Il fallimento è la versione moderna del nulla. Per tutta la vita sono stato affascinato dal fallimento. Un minimo di squilibrio è indispensabile. A chi è perfettamente sano psichicamente e fisicamente manca un sapere essenziale. La salute perfetta è aspirituale» (Un apolide metafisico, p. 249).
Le parole di Cioran ricordano dunque ciò che Fabrizio de André sosteneva in una celeberrima canzone: «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior». Ecco, è questo il paradosso che ci mostra anche Cioran: la vera arte nasce dal fallimento, dallo squilibrio dell’esistenza. Ma è proprio dal profondo del buio che può nascere un raggio di luce: il raggio della nostra umanità.


Ionuț Marius Chelariu
(giugno 2017, anno VII)