«Tempo e esistenza. Il problema della coscienza temporale in Cioran». Tesi di Marcella Vitiello

Nel fissare preliminarmente le linee guida che verranno seguite nell’affrontare l’analisi dell’opera di Cioran è opportuno chiarire che cosa in questo elaborato ci si propone di non fare. Infatti, più che stabilire criteri e prospettive attraverso i quali rapportarsi alla riflessione cioraniana appare invece maggiormente edificante riuscire ad imporre, già in una prima esposizione delle ipotesi di lavoro, una linea di demarcazione, un confine da non valicare, affinché gli esiti e le conclusioni di questo studio non ricadano nel già sentito. Quello che in questo contesto verrà dunque omesso è quanto compete la presentazione di Cioran come uomo, ponendo quindi in secondo piano l'indagine delle radici socio-culturali, la nascita romena, il trasferimento a Parigi, l'adozione della lingua francese, aspetti che, come è stato ampliamente portato  alla luce, hanno influenzato la percezione del reale e l'elaborazione filosofica, ma non vi corrispondono specularmente. La prospettiva che questo studio intende invece seguire è volta a riaccreditare Cioran come filosofo, al di là non soltanto delle precedenti interpretazioni ma soprattutto delle intenzioni professate dall'autore stesso. Propositi ed elaborazione compiuta, come si vedrà, non sempre coincidono e l'unico modo di rapportarsi con diligenza ad un testo è metterne in risalto tanto gli elementi dotati di coerenza quanto quelli che incorrono, nel loro prender forma nella riflessione, in contraddizione. Tali incoerenze ed incompatibilità non verranno assorbite e pertanto liquidate attraverso il ricorso alla manifesta asistematicità e frammentarietà del pensiero di Cioran, ma si cercherà di integrarle all'interno di un quadro complessivo che le doti di una precisa collocazione e motivazione, nell'ambito di una riflessione, di cui sarà possibile scorgere tanto la direzione quanto degli esiti determinati.

In questo elaborato si è scelto di porre in primo piano ciò in cui si è scorta la questione nodale dell'intera elaborazione cioraniana, esplicitata nel rapporto che la coscienza del tempo si trova ad instaurare con l'esistenza. Nel privilegiare tale problematica anche l'impostazione di questo studio ha dovuto piegarsi ed adattarsi all'articolazione del discorso, cosicché la struttura e la  partizione in capitoli appaiano esplicitamente rovesciati. La decisione di collocare già nelle prime pagine l'analisi della temporalità, scevra di premesse e di considerazioni preliminari, va di fatto motivata e legittimata dall'urgenza di chiarificare che la disamina attorno al tempo, seppure non in maniera dinamica e progressiva, costituisca una tematica che viene sviluppata con coerenza nell'ambito dell'intera opera di Cioran e che, nella sua  preminenza, riesca ad illuminarne e palesarne non  soltanto l'orientamento concettuale ma anche quello metodologico e stilistico. Al di là della priorità e  della rilevanza che Cioran intende attribuire al vissuto personale, va dunque colta, quale elemento unificante e per questo anche generalizzante, la portata dell'acquisizione della coscienza temporale nell'ambito dell'esistenza individuale, esperienza che, per quanto intuitivamente avvertita nel suo manifestarsi, riesce a trascendere la singolarità del soggetto e la puntualità dell'attimo in cui è colta, rivelandosi nella propria incidenza e problematicità.

Nel primo capitolo l’attenzione sarà focalizzata sulla dicotomia tra tempo e eternità, scissione che si manifesta soltanto alla luce della coscienza temporale, cui l’individuo perviene, secondo Cioran, cadendo dal tempo, ossia venendo proiettato al di là e al di fuori di una dimensione, cui precedentemente il soggetto riusciva ad aderire in maniera immediata e spontanea. Ciò che riceve l’appellativo di caduta nel tempo costituisce lo spazio e il campo d’azione dell’esperienza umana temporale nella sua globalità, contrapponendosi al luogo dell’evidenza, ossia della coscienza, cui riesce ad approdare eccezionalmente soltanto chi, attraverso un processo intuitivo e successivamente analitico, colga la scansione, la finitezza e l’inconsistenza di ogni singolo istante. Quanto si manifesta alla coscienza, come semplice processo di comprensione e quindi di appropriazione dell’orizzonte temporale, in cui si è calati in maniera inconsapevole sin dalla nascita, diventa, nell’argomentare di Cioran, il discrimine, non soltanto tra due tipi di approccio al reale, propri dell’uomo comune o viceversa del decaduto, ma soprattutto il limite che la lucidità, intesa come coscienza del tempo, impone all’esistenza individuale. L’approfondimento dei meccanismi propri della temporalità approda infatti all’esteriorizzazione del tempo e arriva  quindi a defraudare il soggetto di quella essenza temporale che gli era   connaturata, impedendogli di proiettarsi, tramite l’atto, nel futuro più immediato. Ogni attimo colto nella propria singolarità e finitezza,  privato dunque della propria realtà e presenza, finisce infatti per confluire, durante il suo stesso svolgimento, nel passato, nell’appena  trascorso, spezzando la continuità della catena temporale e vanificando ogni forma di progettualità. Se la caduta nel tempo, nell’ordinarietà e nella mancanza di lungimiranza che competono a questo tipo di approccio, comporta un’adesione forzata, in quanto inconsapevole, alla  dimensione temporale, riesce d’altro canto a  garantire un’esistenza all’uomo, nella misura in cui lo rende compartecipe alla costruzione del divenire. La coscienza del tempo invece, nonostante goda di preminenza in campo teorico, in quanto visione  chiara  e  consapevole,  impossibilita l’esistenza del soggetto, ponendolo in rapporto ed in costante tensione verso un’anteriorità atemporale, appresa soltanto   mediante intuizione, cui l’individuo non  potrà  ritornare,  per  quanto  si sforzi di non aderire all’incedere del tempo, che si attualizza nel processo storico.

Cioran, lasciando  trapelare  una  forma  di  coinvolgimento  con l’universo storico temporale, di cui si trova a far parte, riserva all’analisi dell’orizzonte storico una notevole attenzione, che sconfina in una critica severa e serrata di ogni forma di compromissione con il divenire e con il progresso, di  cui  l’uomo accelera l’avvento, mediante l’atto. La storia, screditata nel costante confronto con l’anteriorità atemporale, di cui costituisce un’irrisoria deviazione, come ogni fenomeno che cada in seno alla temporalità, verrà quindi  assimilata ad un processo di adattamento al tempo, a un prender forma  dell’essenza temporale costitutiva dell’uomo nell’azione, quale esteriorizzazione del proprio essere e proiezione di senso in un progetto futuro. Sepolta sotto ogni forma di previsione e progettualità si cela l’utopia, in cui Cioran scorge una profezia modernizzata e degenerata, che colloca nel futuro la perfezione e il compimento, che il presente non riesce a  contemplare. La contaminazione della prospettiva utopistica con quella apocalittica si presterà quindi, nell’ambito della sua argomentazione, a esplicitare il terreno in cui verrà ad installarsi l’avvento del post-storico, come tramonto predestinato dell’avventura temporale umana, orizzonte in cui soltanto una forma di sovra-coscienza, in diretto rapporto  con  l’eternità, troverebbe riparo,  senza  cedere  al richiamo di un’esistenza soggiogata alla temporalità.

Nascita e morte, quali limiti dell’esperienza temporale individuale, vengono gravati del sentimento dell’irreparabile, nel loro manifestarsi come eventi singolari irripetibili e quindi come strappi al continuum dell’eternità. La nascita, sottraendo il soggetto all’armonia e alla fluidità dell’indeterminazione, precipitandolo in un nome, in un’identità precisa, assume il valore di mero incidente, di inconveniente, cui l’uomo è costretto a soccombere. Nel sentimento della morte invece, sarà possibile intravedere un’ulteriore linea di demarcazione tra la visione cosciente del decaduto e la cieca adesione alla vita di chi non sappia cogliere in ogni istante l’esistenza nella sua finitezza e provvisorietà.

La lucidità, o meglio la coscienza del tempo, costituisce un’elitaria chiave d’accesso al reale, che da sola rende possibile la percezione dello iato  tra tempo ed eternità, dimensione in cui Cioran colloca il piano più proprio dell’esistenza, tanto da indossare con orgoglio gli abiti del decaduto esemplare e da farsi portavoce e dispensatore di questa consapevole visione. A tal proposito, nella parte finale del primo capitolo, ci si interrogherà sui risvolti e sulle ripercussioni,  che  la  consapevolezza  della scansione e finitezza del tempo sia responsabile di produrre nell’esistenza individuale, palesando i propri  limiti nell’impossibilità di concretizzare fattualmente quanto alla luce della coscienza temporale sia apparso necessario, al fine di divincolarsi dalla compromissione con l’universo storico. Preliminarmente sarà pertanto  plausibile identificare la propensione a trascendere i limiti della temporalità a una forma di titanismo, che abbia come unico fine e sola ambizione  l’elusione  della  dimensione  temporale  ma  che  d’altro  canto porterà alla luce, come contropartita, il vanificare in toto l’azione e la progettualità umana. Coscienza ed esistenza verranno a questo punto a stabilirsi, nell’ambito dell’argomentazione cioraniana, come termini antitetici, come concetti che si negano a vicenda, per cui il vivere alla luce dell’evidenza, acquisita attraverso coscienza, potrà essere assimilato ad una sfida nella quale, per quanto paradossale si riveli, il decaduto non può esimersi dal misurarsi. La riflessione di Cioran, come è stato anticipato, non conosce evoluzioni né si apre a forme di conciliazioni o sintesi ma si manifesta come continua tensione verso il limite, per cui è costretta di fronte ai propri eccessi a  retrocedere.  La nostalgia della dimensione temporale, verso cui la coscienza è mossa in seguito alla caduta dal tempo, si presterà adeguatamente ad  esemplificare  tale  moto  di  regressione, scaturente  dalla  necessità  pratica  di  trovare  dimora  in  una  forma  di esistenza, che consenta al soggetto di stabilirsi, per quanto illusoriamente, come agente.

Il secondo capitolo, compiendo un passo indietro rispetto alla consueta articolazione argomentativa, verterà sulla trattazione degli aspetti formali e metodologici della riflessione cioraniana, nel tentativo di integrare e motivare le scelte stilistiche ed espositive e la peculiare forma di scetticismo, da cui l’intera opera è contraddistinta, all’interno di una prospettiva che sappia tener  conto della problematica della coscienza temporale, in cui precedentemente sono stati ravvisati il motore ed il fulcro dell’argomentazione filosofica di Cioran. In questo contesto, rispetto allo sforzo costruttivo, compiuto nel primo capitolo, volto a rintracciare nella asistematica e frammentaria   produzione cioraniana, una trattazione compiutamente e coerentemente  argomentata, quale è la disamina sul tempo, si cercherà di operare un lavoro di decostruzione dell’immagine stereotipata che la  critica e  l’autore stesso hanno concorso a  edificare, imperniando analisi e dissertazioni prettamente attorno al vissuto e alla vicenda biografica. L’aspetto comunicativo dell’espressione linguistica, la scelta dell’aforisma come forma espositiva, la valenza conferita al dolore in ambito conoscitivo, nonché la pratica dello scetticismo, più che essere legittimati  alla luce delle personali propensioni ed inclinazioni di Cioran, verranno nuovamente letti, trovando concordanza e un’intrinseca coerenza rispetto agli assunti della coscienza temporale e della divaricazione che essa istituisce tra tempo ed eternità.

Il proposito dal quale questo studio è mosso e verso il quale tende ad orientarsi è pertanto ravvisabile nell’individuazione e articolazione di una problematica complessa e per questo suscettibile di molteplici letture, la quale però venga affrontata secondo i modi e le direttive che si confanno all’analisi filosofica, in cui la singolarità e puntualità dell’esistenza individuale e del vissuto personale possono essere valutate soltanto in quanto funzionali al riconoscimento di una condizione universale, in cui faccia da protagonista l'umanità nel suo complesso, nella pluralità di volti di cui concretamente si dota e di cui la personalità di Cioran si fa semplicemente portavoce e interprete.


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Marcella Vitiello
(n. 11, novembre 2015, anno V)