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    Un progetto per diffondere la
cultura italiana nei principati romeni a metà ottocento
 
       
     
     Marco Antonio Canini è personaggio  noto e studiato da diversi ricercatori a partire da Nicolae Iorga [1]. Veneziano  ed esule dall’Italia dopo le esperienze rivoluzionarie del 1848-49, fu in terra  romena a più riprese per motivi personali, cioè come esule dalla patria in  cerca di un ubi consistam e di un assestamento per la sua vita piuttosto  avventurosa, ma anche con incarichi politici di carattere segreto, almeno nel  1862, nonché in età più avanzata come corrispondente di guerra (1877-78) [2].  Il periodo più lungo che trascorse tra i romeni coincise con gli anni  1856-1859. Reduce da una esperienza non breve a Costantinopoli, il veneziano  giunse dapprima a Galați dove rimase per un tempo indeterminato cercando di  guadagnare la vita per sé, la moglie Luigia Calegari [3] e il figlioletto [4]  svolgendo attività di docente privato. Ben più a lungo restò a Bucarest, senza  mancare di viaggiare attraverso la Valacchia e la Moldavia (era a Iași al  momento della duplice elezione di Alexandru Ioan Cuza cui dedicò la sua Inno  alla Romania) [5]. Furono anni di notevole produzione scrittoria, ma anche  di iniziative di carattere culturale e pratico. 
      Tra queste  ultime una ha qualcosa a che vedere con il compito che molti anni dopo si diede  la Società Dante Alighieri nel mondo e, a partire dal 1901, in terra romena. Canini  ebbe l’idea di creare un grande istituto di studi – d'istruzione secondaria – per  i giovani dei Principati danubiani, studi incentrati sulla cultura italiana. Vi  era l’intenzione di affiancare (e forse di fare concorrenza) alla cultura  francese che era diffusa fuori di Francia e che aveva preso piede pure tra i  romeni, anche in ragione del fatto che alcuni giovani di buona famiglia erano  partiti da Bucarest e Iași per recarsi a studiare in Francia: una vicenda ben  nota sulla quale è tornato in una sua recente monografia Antonio D’Alessandri. [6]  Era una vera impresa finanziaria e culturale. Invero già cinque anni prima a  Costantinopoli Canini aveva concepito qualcosa di simile con il rappresentante  del Regno di Sardegna presso il Sultano, Romualdo Tecco. Nella capitale  ottomana aveva constatato che era bene rappresentata la cultura francese, ma  nella sua versione cattolica, per opera dei lazzaristi e delle Suore di Carità.  Non era rappresentata quella laica, che riprendeva i principi della Rivoluzione  francese. Tecco e Canini avevano, dunque, pensato a creare un istituto  scolastico medio superiore che vedesse affiancate e diffuse la cultura francese  laica e quella italiana. In Romania, pochi anni dopo, il veneziano riprese  l’idea in forma più articolata e in parte diversa. 
      Il progetto  aveva un suo contesto sia nel mondo intellettuale romeno, sia nell’attività  dello stesso Canini. Intanto non si può non citare la funzione essenziale delle  scuole nel processo di Nation building, anche quando esso non era  pensato necessariamente allo scopo di dare vita a uno Stato nazionale. Si  vedano, ad esempio, le considerazioni di Iacob Mârza di molti anni fa sulla  diffusione delle scuole romene in Transilvania, allora inclusa nell’Impero  absburgico, a partire dal Settecento sino al 1848 [7]. Inoltre va ricordato con Cornelia Bodea che «the  struggle in the period 1849-1859 would be waged for the realization of the  first stage, for the Union of Principalities» [8]. 
      È noto poi che tra  i romeni di un certo peso era la corrente italianistica o italianeggiante che  faceva capo a Ion Heliade Rădulescu. Come si sa, si guardava all’affinità delle  lingue italiana e romena, nel momento in cui quest’ultima era in una fase di  sistemazione / normazione, non fosse altro che per il progressivo abbandono  dell’alfabeto cirillico a favore di quello latino. Del 1838 e, rispettivamente,  del 1841 erano due scritti di Rădulescu dal titolo significativo: Paralelism între dialectelele român şi italian. Forma sau gramatica acestor două  dialectetele e Prescurtare de gramatica limbei româno-italiene. Si  può dire che Canini fosse pienamente in linea con tale posizione, come rivela  la sua unica opera scritta direttamente in romeno, gli Studi istorice  asupra originei naţiunii române. [9] In essa non mancava di fare paragoni  tra il romeno e i dialetti italiani, ma dimostrava anche il significato  politico che avevano tali accostamenti, talora arditi, polemizzando con  personaggi del calibro di Ion Brătianu [10]. Più in generale, il veneziano, in collaborazione  con Ion Valentineanu [11], aveva cercato di rinsaldare la posizione della  cultura italiana in un campo dove era già ben costituita: il teatro lirico.  Aveva infatti tradotto in romeno la sintesi della trama di diverse opere  italiane (Verdi, Donizetti) per il pubblico romeno, e si spinse fino a tradurre  l’intero libretto della Norma di  Bellini, opera di qualche significato politico [12]. 
      Ecco come Canini  descrive il suo progetto in un libro di memorie che pubblicò a Parigi nel 1868  e di nuovo nel 1869 (il titolo era Vingt ans d’exil e di esso non fu mai  pubblicata una versione italiana): «Ho percorso la Romania, nel 1858,  raccogliendo delle sottoscrizioni per la fondazione di un collegio italiano,  dove volevo invitare come professori degli emigrati italiani molto preparati […]  ho percorso tutta la Romania al fine di raccogliere delle sottoscrizioni per la  fondazione del mio collegio. Ogni sottoscrittore si impegnava a dare 600 o 300  franchi, a delle condizioni che erano indicate nel progetto che avevo  pubblicato… Dovunque fui ben accolto” [13]. A queste parole seguiva la  descrizione dei paesaggi romeni, anche quelli fatti di terre non coltivate e  deserte, che poté ammirare durante il suo lungo giro a bordo della diligenza  postale (carrucioara de posta) finendo per conoscere la Romania più  degli stessi romeni. Sono pagine di notevole interesse antropologico e  sociologico che qui però tralascio, mentre basta dire che il mezzo di trasporto  usato (“un véhicule tout en bois, sans un clou en fer”) era molto pericoloso  perché instabile su un terreno accidentato [14]. 
      Il cosiddetto  collegio ebbe un’ambiziosa denominazione (Institutu  filologo-sciinţifico-comercialu pentru educaţiunea junimei) (sic) che fu  pubblicizzata con una brochure, data alle stampe a più riprese: i  sottoscrittori avrebbero avuto qualche peso nella gestione dell’istituto, ad  esempio per scegliere chi ammettere gratuitamente. [15] Per realizzare la sua  idea Canini raccolse in varie parti di Romania sottoscrizioni di personaggi  influenti quali alti prelati e uomini politici, tra i quali spiccavano Ștefan e  Nicolae Golescu, nonché Gheorghe Magheru. L’elenco era, però, molto più lungo. [16]  Il veneziano aveva ottenuto dal governo delle lettere di presentazione per i  prefetti delle varie province e per gli abati dei monasteri. Non a caso egli  girò a lungo attraverso il Paese, proprio per incontrare questi personaggi e  ottenere delle sottoscrizioni, quanto più fosse possibile. Per informazioni gli  interessati all’iniziativa potevano fare capo al “Naţionalul”, il giornale di  Vasile Boerescu, il quale era anche a capo dell’Eforia per l’Istruzione  pubblica. [17] Come si capisce, era un sostegno significativo. 
      La cifra  sottoscritta fu alta, forse 100.000 franchi, ma probabilmente non furono  versate in anticipo le quote promesse, ma solo 7-800 franchi. L’estensore  romeno di una voce enciclopedica su Canini (Diaconovich) [18] parla di 80  sottoscrizioni da 50 galbeni.  Si  può ritenere che questa fu la principale causa del fallimento dell’iniziativa  cui si accompagnarono voci calunniose sullo stesso Canini. È difficile dire se  a questi restarono soldi in tasca [19]. Se così fu, essi servirono per nuove  iniziative culturali e persino politiche. È interessante che per il console  austriaco Karl von Eder invece «il ricavato della sottoscrizione [...] fu  utilizzato per fare propaganda rivoluzionaria nel Paese» [20]. Se Canini se ne  servì per stampare nel 1859 il Buletinul resbelului din Italia con il quale  sostenne (il 25 maggio 1859 apparve il primo numero) la guerra all’epoca in  atto sui campi del Lombardo-Veneto, allora il console austriaco aveva ragione.  Curiosamente non fu von Eder a ottenere la chiusura di quel giornale (che  peraltro, con la fine delle operazioni militari, aveva cambiato di titolazione  in Libertatea şi înfraţirea poporiloru [sic], prima di essere costretto  a porre fine alle pubblicazioni) e l’avvio di un processo contro Canini, bensì  il suo collega francese Louis Béclard perché, alla notizia dell’armistizio di  Villafranca (a seguito del quale il Veneto restò all’Austria per altri sette  anni) il veneziano non si era trattenuto dall’attaccare pesantemente Napoleone  III [21] 
      Trovare un corpo  insegnante e garantire gli stipendi, riuscire a fare iscrivere un numero di  studenti tale da consentire all’istituto vita autonoma e persino un profitto, tutto  ciò non doveva essere affatto una cosa semplice. Né si poteva contare  indefinitamente sull’appoggio di persone influenti, disposte magari a dare un  primo aiuto, ma non a impegnarsi a lungo nel tempo, senza vedere qualche frutto  dell'attività intrapresa. Anche il console sardo Annibale Strambio parlò delle  voci calunniose su Canini, ma non poté appurare la verità perché era giunto a  Bucarest quando la questione si era già chiusa [22]. 
      Si sa che  l’Ottocento fu il secolo del recupero e valorizzazione di Dante Alighieri, come  di recente ha illustrato Fulvio Conti con il suo Il  Sommo italiano: Dante e l'identità della nazione. [23] Tale fenomeno  che aveva le radici nell’ultimo Settecento e aveva trovato spazio sin  dall’inizio del XIX secolo, si accentuò soprattutto negli anni che precedettero  la ricorrenza del secentesimo della nascita del grande fiorentino, che cadde  nel 1865. Nell’Impero russo limitrofo ai Principati romeni, ad esempio, Dante,  già ben conosciuto a molti intellettuali, fu oggetto di corsi universitari  tenuti da Michelangelo Pinto [24] presso l’Università Imperiale, poi console  d’Italia a San Pietroburgo, e proprio nel 1865 fu fondata la Società italiana  di beneficenza nella capitale zarista, come ricostruì molti anni fa Marco  Clementi [25]. Ebbene, il nome di Dante non ricorre negli scritti di Canini di  quello scorcio degli anni Cinquanta, se non di sfuggita. Nel 1860, in una sua  polemica con il croato Eugen Kvaternik riguardante una frontiera ancora  inesistente [26], fece ricorso ai notissimi versi in cui il poeta fissa al  golfo del Quarnaro i confini dell’Italia:  
    Siccome  a Pola là presso al Quarnaro 
      Che  Italia chiude e i suoi termini bagna 
      Fanno  i sepolcri tutti il loro baro. 
    Originale anche la spiegazione del  termine ‘baro’ secondo Canini tipico dell’istro-veneto. Il ‘baro’ sarebbe un  rialzo poiché Dante avrebbe visto nella sua visita all’abbazia benedettina di  San Michele Sottoterra, in Istria, degli antichi tumuli sepolcrali che si  stendono ai suoi piedi [27].  
      Ma non altro si  trova di memoria dantesca nelle pagine caniniane. Eppure, il veneziano era un  letterato di un certo livello e, oltre a scrivere libri e saggi di politica o  memoria, fu autore sia di versi sia di raffinati studi filologici, di cui si  giovò un importante nome dell’accademia italiana come Paolo Emilio Pavolini,  padre del gerarca fascista Alessandro [28]. Curiosamente nel 1884 Canini,  tornato a vivere nella natia Venezia, sollecitò la raccolta e l’invio di libri  italiani a Bucarest, come testimonia la corrispondenza con lo scrittore e  politico Giovanni Faldella. Principale esponente del comitato che si costituì  allo scopo fu il sindaco della città lagunare, il conte Dante Serègo Alighieri  (1843-1895) in carica dal 1880 al 1889 [29]. Suo padre Piero o Pietro  (1815-1872) aveva portato nel 1865 a Firenze, per il VI centenario dantesco, la  bandiera di Verona abbrunata perché la città era ancora staccata dal regno  d'Italia; e aveva partecipato anche alla commemorazione in Ravenna dove nel  1863 era stata fondata una loggia massonica intitolata a Dante Alighieri.  Infine, nel novembre del 1866 era stato eletto deputato al Parlamento italiano,  poiché il Veneto era entrato a far parte del regno d’Italia [30].  
      L’omonimia e soprattutto  la discendenza del sindaco di Venezia erano una coincidenza che avvicinano  molto tenuemente Canini e Dante Alighieri. Si può ricordarne un’altra legata al  centoventesimo anniversario della Società Dante  Alighieri di Bucarest che questo volume ha ispirato. Nel 1877 sui campi di  battaglia in Bulgaria Canini, al seguito dell’esercito russo impegnato contro  quello ottomano, conobbe ed ebbe collega come corrispondente di guerra Giuseppe  Marcotti, il quale scriveva per Il Fanfulla di Roma (precedentemente per  un anno pubblicato a Firenze tra 1870 e 1871). Questi era allora molto giovane  tanto da interrompere l’invio dei suoi articoli per tornare in Italia a  sposarsi, ma dell’esperienza sul basso Danubio trasse il suo primo libro: Tre  mesi in Oriente. Ricordi di viaggio e di guerra (1878) [31]. Anni dopo fu segretario generale della  Società Dante Alighieri, dal 1900 al 1906 e alla morte fu nominato socio  perpetuo. Come dicevo, si tratta di un’altra coincidenza poiché Canini, defunto  nel 1891, non ebbe nulla a che fare con la Dante Alighieri, né sembra abbia  mantenuto rapporti con Marcotti dopo la comune esperienza di corrispondenti di  guerra. 
    Alla conclusione di  questo scritto, torno al progetto per cui ho usato per Canini il termine  precursore, se pure mancato. Nel 1868 egli lamentava non solo il fallimento dei  suoi tentativi di dieci anni prima, ma anche il fatto che, quando essi avrebbero  trovato una diversa e più fortunata realizzazione, di lui non ci sarebbe stato  alcun ricordo. Ecco le sue parole, tradotte dai Vingt ans d’exil: «Il  progetto concepito dal povero Tecco e da me, a Costantinopoli, e il mio grande  progetto a Bucarest saranno probabilmente ripresi con il tempo da altri… Noi, i  primi picconatori, noi saremo dimenticati: non c’è bisogno di dirlo. Che  importanza ha se il bene sarà fatto!» [32]. Possiamo dire che Canini aveva  torto: non è stato dimenticato. 
       
     
    Francesco  Guida 
    Università Roma Tre 
        (n. 11,  novembre 2023, anno XIII) 
         
          
        NOTE 
           
          [1] Nicolae Jorga, Un précurseur de la confédération  balkanique, in «Bulletin de la Séction historique de l’Academie roumaine»,  II, 1913, pp. 43-56; Nicolae Jorga, Un pensatore politico italiano all’epoca  del Risorgimento, Marco Antonio Canini, ivi, XXII, 1938; anche in Atti del  XXIV Congresso di storia del Risorgimento [Venezia, 10-14 settembre 1936],  Roma, 1941, pp. XXI-XXVIII; Walter Maturi, Le avventure balcaniche di Marco  Antonio Canini nel 1862, in «Studi storici in onore di Gioacchino Volpe»,  Firenze, Sansoni, 1958, II edizione, pp. 561-643; Angelo Tamborra, Canini,  Marco Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 18, 1975;  Francesco Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini,  Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984. 
          [2]  Francesco Guida, Marco Antonio Canini corrispondente dal fronte di guerra  russo-turco nel 1877, in "Archivio storico italiano", CCCXXXVII,  1979, pp. 335-424. 
          [3]  Luigia Calegari probabilmente era figlia di un maestro d’orchestra che viveva a  Costantinopoli, dove visse anche Canini nei primi anni Cinquanta fino al 1856:  i due, dunque, si sarebbero incontrati nella capitale ottomana. L’orchestra  portava il nome di Garibaldi e aveva una sua cifra patriottica, tanto da  rifiutarsi di suonare per il rappresentante absburgico presso la Sublime Porta. 
          [4]  Non se ne conosce il nome e forse morì in tenera età. I coniugi Canini ebbero  un altro figlio, nato a Corfù nel settembre 1859, cui fu imposto il nome di  Italo Emilio. Francesco Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco  Antonio Canini, cit., pp. 120-124. 
          [5]  La lunga poesia era stata scritta prima, ma ben si adattava a quel passaggio  importante della storia risorgimentale romena, quale fu la Piccola Unione (Mica  Unire). Apparve sul numero 14 del “Naţionalulu” il 25 gennaio 1859. Fu  ripubblicata anni dopo insieme con la versione italiana di Ginta latina di Vasile Alecsandri (che approvò la traduzione di Canini); Alexandru Marcu, V.  Alecsandri e l’Italia. Contributo alla storia dei rapporti culturali tra  l’Italia e la Rumenia nell’Ottocento, Roma, Istituto per l’Europa  Orientale, Anonima romana editoriale, 1929. Marcu parla molto di Canini nel suo Conspiratori şi conspiraţii în epoca renaşterii politice a României: 1848-1877,  Bucureşti, Cartea Româneasca, 1930. 
          [6]  Antonio D’Alessandri, Sulle vie dell’esilio. I rivoluzionari romeni dopo il  1848, Lecce, Argo, 2015. Dei vari romeni recatisi in viaggio oppure per  studio in Occidente va ricordato quale antesignano Dinicu Golescu che lasciò  ampia memoria della sua lunga escursione da Presburgo e Pest, a Vienna,  Venezia, Vicenza (“cu trei teatre”), Brescia (“are cişmele foarte frumoase”),  Milano (“Parisul cel nou”); Dinicu Golescu, Însemnare a călătorii mele,  Bucureşti, editura Eminescu, 1971 (le citazioni alle pagine 118, 123 e 124). 
          [7]  Iacob Mârza, Şcoala şi naţiune (Scoliile de la Blaj în epoca renaşterii  naţionale), Cluj-Napoca, Editura Dacia, 1987. 
          [8]  Cornelia Bodea, The Romanians’ struggle for Unification. 1834-1849,  Bucharest, Academy of Socialist Republic of Romania, 1970, p. 245. 
          [9]  Bucuresci [sic], 1858. Per quest’opera Dan Berindei ricorda Canini presentando  un grande numero di intellettuali romeni che prepararono e concorsero a creare  il giusto clima culturale per l’unione dei Principati di Valacchia e Moldavia;  Dan Berindei, Epoca Unirii, Bucureşti, Editura Academiei RSR, 1979, p.  212 (nel capitolo “Dezvoltarea culturală). 
          [10]  Francesco Guida, Marco Antonio Canini et l'ethnogenèse du peuple roumain,  in "Studia historica", Analele   universităţii "Dunarea de jos", Galaţi, 2002, tom I, pp.  87-101. 
          [11]  Valentineanu nacque a Piteşti, molto giovane partecipò ai moti del 1848 per cui  fu arrestato ed esiliato in Russia. Tornato in patria nel 1856, si avviò al  giornalismo e nel 1859 fondò “Reforma”. 
          [12]  Francesco Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini,  cit, pp. 120-124. 
          [13] Vingt ans d’exil par un ancien  emigré venitien, Paris, Baudry, 1868, p. 153; una seconda edizione  dell’opera fu pubblicata, come si è detto, nel 1869 dal medesimo editore. 
          [14]  Ivi, p. 154. 
          [15]  Ivi, p. 130. 
          [16] Ibidem. 
          [17]  Francesco Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini,  cit., p. 131. 
          [18]  Corneliu Diaconovich, Enciclopedia română, Sibiu, Krafft, 1898, p. 696. 
          [19]  Canini affermò di avere impegnato persino i mobili. Francesco Guida, L’Italia  e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini, cit., pp. 131. 
          [20]  Hof-Haus-Staat Archiv, Vienna, P.A., XXXVIII, Consolato di Bucarest, Von Eder a  Rechberg, 30 luglio 1859. 
          [21]  Dan Berindei, La lutte pour l’Unité de l‘Italie reflétée dans la presse des  Principautés Unies (1859-1860), in « Revue roumaine d’histoire », II, 1963,  1, pp. 17-108. 
          [22]  Archivio storico diplomatico del ministero Affari Esteri, Roma, Rapporti di  Agenzie consolari, Strambio a Durando, Bucarest, 28 giugno 1862, n. 210. 
          [23]  Roma, Carocci, 2021. 
          [24]  Francesco Guida, Michelangelo Pinto, un letterato e patriota romano tra  Italia e Russia, Roma, Archivio Guido Izzi, 1998 [edizione russa: Mikelandzelo  Pinto rimskij literator i patriot meždu Italiej i Rossiej, Sankt-Peterburg,  Liki Rossii, 2011] 
          [25]  Marco Clementi, Ricchezza e povertà straniera nella Russia degli zar. La  beneficenza italiana da Pietroburgo al Caucaso (1863-1922), Cosenza,  Periferia, 2000. 
          [26]  Francesco Guida, L’Italia e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini,  cit., pp. 156-159. 
          [27]  Ivi, pp. 131-132. 
          [28]  Ivi, pp. 437-439. 
          [29]  Ivi, p. 424. 
          [30]  Fulvio Conti, Il Sommo italiano: Dante e l'identità della nazione, cit.,  pp. 69-70. 
          [31]  Il volume fu pubblicato (Firenze, Tipografia della Gazzetta d'Italia) a ridosso  degli eventi nel 1878. Allo stesso Marcotti fu dovuto un robusto e interessante  volume intitolato La nuova Austria, Firenze, G. Barbèra, 1885, dedicato  alla Bosnia-Erzegovina divenuto un territorio amministrato dalle autorità  austro-ungarica per decisione delle Potenze riunite nel Congresso di Berlino, a  bilanciare l’ampliata influenza della Russia nei Balcani orientali. 
        [32] Vingt ans d’exil, cit., p. 151. 
         
           
          Bibliografia 
           
          Dan Berindei, La lutte pour l’Unité de l’Italie reflétée dans la presse  des Principautés Unies (1859-1860), in «Revue roumaine d’histoire», II,  1963, 1, pp. 17-108. 
          Dan Berindei, Epoca  Unirii, Bucureşti, Editura Academiei RSR, 1979. 
          Cornelia Bodea, The  Romanians’ struggle for Unification. 1834-1849, Bucharest, Academy of  Socialist Republic of Romania, 1970, p. 245. 
          Marco Antonio Canini, Studi istorice asupra originei naţiunii române, Bucuresci [sic],  1858.  
          [Marco Antonio Canini], Vingt ans d’exil par un ancien emigré venitien, Paris, Baudry, 1868. 
          Marco Clementi, Ricchezza  e povertà straniera nella Russia degli zar. La beneficenza italiana da  Pietroburgo al Caucaso (1863-1922), Cosenza, Periferia, 2000. 
          Fulvio Conti, Il  Sommo italiano: Dante e l'identità della nazione, Roma, Carocci, 2021. 
          Antonio  D’Alessandri, Sulle vie dell’esilio. I rivoluzionari romeni dopo il 1848,  Lecce, Argo, 2015.  
          Corneliu  Diaconovich, Enciclopedia română, Sibiu, Krafft, 1898. 
          Dinicu Golescu, Însemnare  a călătorii mele, Bucureşti, editura Eminescu, 1971. 
          Francesco Guida, Marco  Antonio Canini corrispondente dal fronte di guerra russo-turco nel 1877, in  «Archivio storico italiano», CCCXXXVII, 1979, pp. 335-424.    
          Francesco Guida, L’Italia  e il Risorgimento balcanico. Marco Antonio Canini, Roma, Edizioni  dell’Ateneo, 1984. 
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          Francesco Guida, Marco  Antonio Canini et l'ethnogenèse du peuple roumain, in «Studia historica»,  Analele Universităţii «Dunarea de Jos», Galaţi, 2002, tom I, pp. 87-101. 
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          Nicolae Jorga, Un  pensatore politico italiano all’epoca del Risorgimento, Marco Antonio Canini,  in «Bulletin de la Séction historique de l’Academie roumaine», XXII, 1938;  anche in Atti del XXIV Congresso di storia del Risorgimento [Venezia, 10-14  settembre 1936], Roma, 1941, pp. XXI-XXVIII. 
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          Giuseppe Marcotti, La  nuova Austria, Firenze, G. Barbèra, 1885. 
          Alexandru Marcu, V.  Alecsandri e l’Italia. Contributo alla storia dei rapporti culturali tra  l’Italia e la Rumenia nell’Ottocento, Roma, Istituto per l’Europa  Orientale, Anonima romana editoriale, 1929.  
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          Walter Maturi, Le  avventure balcaniche di Marco Antonio Canini nel 1862, in «Studi storici in  onore di Gioacchino Volpe», Firenze, Sansoni, 1958, II edizione, pp. 561-643.  
          Iacob Mârza, Şcoala  şi naţiune (Scoliile de la Blaj în epoca renaşterii naţionale),  Cluj-Napoca, Editura Dacia, 1987. 
      Angelo Tamborra, Canini,  Marco Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 18, 1975.
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