I filtri dell’iconografia veneziana in Transilvania

Avvenuta la liberazione della Transilvania (nel 1685) e del Banato (nel 1718) dall’occupazione ottomana, e in seguito alla loro annessione ai territori della Casa d’Austria, l’arte in questo territorio ha risentito forti trasformazioni, perdendo sempre più le caratteristiche rinascimentali di moda nell’Europa Occidentale post-tridentina o gli influssi bizantino-balcanici. Ci si avviava così verso una nuova forma espressiva, non solamente dal punto di vista artistico, ma anche da quello del rapporto fra spazio pubblico e spazio privato, in cui gli elementi di tipo occidentale acquisivano un’importanza sempre maggiore, fino a prevalere.
Il barocco – come forma d’espressione artistica – fu introdotto in Transilvania dalla Compagnia di Gesù e dalle autorità imperiali nell’ambito di un programma predeterminato, anche se qualunque altra corrente artistica avrebbe potuto servire ai fini dichiarati della Società. Ma l’utilizzo di tale corrente artistica venne a garantire un intreccio di elementi e messaggi che servirono subito ai loro scopi, rendendo peculiari la sua importanza e ruolo nella diffusione della fede cattolica.
Anche se nell’ambito dei dibattiti formulati intorno a questo tema, negli ultimi decenni del XX secolo, si arrivò alla conclusione che lo «stile gesuita» non esisteva (dato che gli artisti che lavorarono per l’Ordine usarono il Barocco come forma di espressione artistica), per quanto riguarda la Transilvania del Seicento e del Settecento si può parlare, comunque, di uno stile profondamente trasformato dai gesuiti, specialmente nel campo dell’architettura e pittura religiosa. Così, il principale punto di riferimento per l’architettura barocca transilvana – la chiesa dei gesuiti di Cluj – fu quello di Vienna (Jesuitenkirche), un modello ripreso poi anche nelle chiese dell’Ordine di altre città transilvane (Târgu-Mureş, Baia Mare, ecc.), ma anche nelle chiese greco-cattoliche. A sua volta, il barocco viennese trova le proprie radici negli artisti veneti, fondatori dell’Accademia viennese, i quali ripresero, a loro volta, i modelli romani, avendo sempre in mente la chiesa madre: Il Gesù di Roma. Per tanto possiamo parlare di (almeno) due filtri che vengono ad anteporsi e attraverso cui il barocco si propagherà nel territorio transilvano (il filtro veneto e quello austriaco).
Non solo l’architettura trova le radici nei modelli degli artisti viennesi ma anche la pittura, che, sotto l’insegna dell’imitazione, non risaltò in opere significative e non portò alla costituzione di una «scuola» locale che avrebbe potuto svilupparsi in un suo stile specifico. Ma rispose alle necessità immediate di culto e diffusione delle idee religiose, nello spirito di un Ordine che poneva al centro più la sua missione pastorale e la vitalità della propria fede che la promozione della bellezza artistica. Allo stesso modo, i collegamenti tra le pitture d’altare transilvane e i modelli veneziani (identificati nelle opere di Francesco Polazzo o Giovan Battista Gaulli), oppure i modelli architettonici (firmati da Andrea Pozzo), filtrati attraverso il modello austriaco, collocano lo spazio transilvano nell’ambito di quello centro-europeo. D’altro canto, l’utilizzo di modelli locali da parte delle autorità austriache (icone bizantine) rappresentò un metodo per legittimare la propria presenza nel territorio, un’identificazione (parziale) e una «fidelizzazione» alla percezione religiosa e artistica dei neoconvertiti. In tal senso, il caso dell’icona miracolosa di Nicula rappresenta, in realtà, non un’eccezione, ma un modello che ci riconduce a Vienna (allo Stephansdom) e poi a Roma (la Salus populi romani).

Immagine della chiesa di Cluj Immagine della chiesa di Vienna Prospetto Cluj

L’esempio principale in sostegno di quanto affermiamo è proprio la chiesa ex gesuita di Cluj (che venne inaugurata nel 1724), che rappresenta un punto d’inizio sia per l’architettura che per la pittura barocca nelle chiese della Compagnia di Gesù in Transilvania. Anche se le fonti non offrono dati relativi alla pittura degli altari, ma solamente relativi al cantiere per la costruzione e all’acquisto degli oggetti d’altare [1], gli studi relativi alle pitture degli altari della chiesa di Cluj indicano che probabilmente l’altare principale e quattro degli altari laterali siano opera [2] del pittore Christoph Tausch di Innsbruk (1673-1731), allievo del maestro veneto Andrea del Pozzo [3]. Taush dipinse diverse cappelle e altari specialmente a Vienna e a Praga, ma anche le chiese di Trencin (1712-15), Eger (1716-18), Györ e Breslau (1717-28) [4].

Interno della chiesa di Cluj altare principale Interno della chiesa di Sibiu Interno della chiesa di Vienna

Ritornando però alla struttura architettonica sia della chiesa di Cluj, sia dell’interno di tale chiesa, notiamo la grande somiglianza con quella di Vienna. Qui, Andrea del Pozzo mise in atto probabilmente la sua più evoluta concezione di decorazione di una chiesa, aggiungendo le due torri incluse nella facciata, un altare principale riportante una serie di colonnati di finto marmo rosso, sormontati da un’arcata spezzata che riporta, come anche a Cluj, a chi è dedicata la chiesa: «Asumpta est Maria Gaudent Angeli». La serie di matronei che la chiesa viennese riporta, gli altari laterali, ma anche le statue sulla facciata, fanno parte dalla stessa serie di interventi dovuti a padre Pozzo, che furono in seguito rielaborati nella principale chiesa transilvana dell’Ordine per mano di Cristoph Tausch.
Nel caso della chiesa di Cluj, la grandezza è sottolineata dalla dimensione della facciata, sulla quale sono ubicate le statue dei ss. Ignazio e Saverio, realizzate da Johann Konig, che racchiudono il monogramma dell’ordine, riportante i tre chiodi della passione di Cristo. L’identificazione della chiesa di Cluj, con il suo modello viennese rappresenta la materializzazione di un concetto voluto dalla Casa d’Asburgo: il trasferimento dei simboli del potere in maniera centralizzata, e cioè quel che si trovava nella capitale dell’Impero, doveva ripetersi, anche se in scala ridotta, nei paesi e nei territori dipendenti. Ed era proprio il modello sviluppato nell’ambito dell’Impero Romano dai cesari, dei quali gli imperatori di Vienna si reputavano i continuatori. Inoltre, lì dove non fu possibile realizzare effettivamente l’altare principale in rilievo, si ricorse alla tecnica del tromp l’oeuil, com’è il caso della chiesa gesuita di Sibiu, nella quale l’altare principale è realizzato interamente con questo metodo.

Facciata di Baia Mare Facciata di Targu Mures

Sempre a livello dell’architettura dei gesuiti in Transilvania possiamo notare che il modello di chiesa realizzato a Cluj nei primi decenni del Settecento venne replicato qualche anno più tardi nelle chiese gesuite di Târgu-Mureş e Baia Mare, dove l’Ordine si era meglio radicato. Tali chiese riportano la stessa struttura di facciata, con le due torri campanarie incluse nella facciata, con un altare principale monumentale, a dimostrazione che quanto realizzato da Pozzo a Vienna e ripreso da Tausch a Cluj fu un vero e proprio modello per l’area transilvana. Inoltre, l’altare principale trova nel coronamento lo stesso metodo di rappresentazione come quello viennese, con la dedica della chiesa a: «Magno Deo VNI AC TRINO LAVUS VIRTUS GLORIA».

Facciata delle chiesa di Dumbraveni Facciata delle chiesa di Blaj

Non per ultime dobbiamo ricordare le chiese dei neo-cattolici (armeni e romeni) che furono «dati in cura» ai gesuiti per quanto riguarda la loro fede, che ripresero (volente o nolente) lo stesso modello, come si può vedere nelle chiese di Blaj o di Dumbrăveni. Infatti, per i fedeli di queste chiese, i gesuiti rappresentarono l’elemento di controllo da parte della chiesa cattolica: il vescovo greco-cattolico (romeno) era per tanto «aiutato» in materia di fede cattolica da un teologo gesuita e non di rado tale collaborazione si dimostrò alquanto tesa.

  Le Trinità  

Per quanto riguarda la pittura, nella chiesa gesuita di Cluj trova un posto di grande rilevanza la Santissima Trinità in gloria con gli arcangeli Michele e Gabriele [5]. La scelta di dedicare la chiesa proprio alla santissima Trinità non è stata di certo casuale. Come a Sibiu nell’ex chiesa gesuita (attuale cattedrale) dedicata anch’essa alla santissima Trinità, tale tema si deve collegare a uno degli scopi che i gesuiti avevano in questa area dell’Europa: e cioè la lotto contro il protestantesimo (in questo contro gli unitariani), dato che la pittura rappresentava il mezzo con cui ricollocare l’immagine della Trinità là dove essi lo desideravano.
Dal punto di vista compositivo si può avvicinare l’opera della chiesa di Cluj a quella di Gian Antonio Guardi, Santissima Trinità in gloria con santi, che si trova a Vienna, presso la Gemäldegalerie der Akademie der bildenden Künste [6], dove, considerando le analogie tra le due immagini della santissima Trinità, si possono notare certi elementi comuni.
Dal punto di vista dell’iconografia adottata nella tela di Cluj, essa è strutturata in modo piramidale, divisa in due registri, così come avviene nella tela di Guardi, e, in entrambe, nella zona superiore è rappresentata la santissima Trinità, con Dio Padre e Figlio che si trovano allo stesso livello, mentre tra loro e più in alto, creando una seconda forma piramidale (solito gioco di scena nel Barocco), individuiamo lo Spirito Santo sotto forma di colomba, che, circondato da angeli, discende, grazie all’uso di un trompe l’oeil, dal primo piano. In mezzo ai personaggi divini si ritrova il globo terrestre, che riporta l’insegna della croce, quale diffusione della religione cattolica (universale) sull’intera terra, e del ruolo del missionario della Chiesa e dell’Ordine. Nel registro inferiore, che viene delimitato dalle nuvole specifiche dell’iconografia barocca, sono rappresentati gli arcangeli Michele e Gabriele che sostengono la corona mariana nimbata a dodici stelle, usata per la tela l’Incoronazione della Vergine tramite la santissima Trinità in presenza degli Arcangeli Michele e Gabriele. Gli arcangeli, ricollegabili al Trattato dell’Angelo custode, scritto dal gesuita Francesco Alberini nel 1612, favorirono la diffusione ‘popolare’ di tale iconografia, che così si ritrova in tutti gli ambienti che subirono gli influssi dell’iconografia gesuita. Per di più, in un ambiente dove esisteva anche la tradizione bizantina, in cui gli arcangeli occupano un posto di riguardo, possiamo pensare che non sia casuale la scelta delle iconografie da implementare sul territorio transilvano. Naturalmente, tutto ciò viene rappresentato in conformità ai concetti di bellezza sovrumana, così come aveva stabilito il Concilio di Trento.
Nella pittura del Guardi ritroviamo i due registri: in quello superiore è rappresentata la santissima Trinità, col globo con l’insegna della croce e tutti i personaggi divini similmente a come sono rappresentati nell’immagine di Cluj. Differenze, invece, compaiono sia nel registro superiore dove sono rappresentati santi e martiri, di cui possiamo identificare S. Giovanni Battista, S. Pietro e S. Paolo, sia in quello inferiore, separato da quello superiore in modo simile alla tela di Cluj, dove ritroviamo rappresentati i quattro evangelisti. Siamo così del parere che l’immagine della chiesa di Cluj, datata dopo il 1730, subisce certamente l’influsso dell’ambiente veneziano, dove Guardi, uno dei membri fondatori dell’Accademia veneziana, e con profondi collegamenti col mondo austriaco, ebbe un ruolo importantissimo. Per tanto, le somiglianze tra le due tele ci fanno pensare che l’opera del veneziano potrebbe stare alla base dell’altra, quale prototipo, e dalla quale l’artista anonimo della tela di Cluj avrebbe potuto riprendere diversi elementi.

Crocefissione. Francesco Polazzo Crocefissione. Anonimo, Cluj Crocefissione. Andrea del Pozzo, Vienna

Per quanto riguarda l’opera che rappresenta la Crocifissione che si trova a Cluj, si possono notare vari elementi comuni con la tela che appartiene a Francesco Polazzo [7] (datata 1736 [8] e non 1726 [9]) che rappresenta la stessa scena. La tela, che si trova nella chiesa di Santa Caterina di Bergamo, rappresenta una medesima iconografia, con l’osservazione che l’immagine è riprodotta allo specchio. Da notare, inoltre, anche la coloristica identica delle due pitture e, in special modo, nel caso della rappresentazione della Vergine, alla base della croce, che indica una visione identica delle due pitture. Inoltre i tratti del viso e l’espressione facciale indicano i collegamenti che le due pitture hanno in comune. Ritornando però alla coloristica possiamo notare che tanto le vesti della Vergine quanto quelli della Maddalena hanno le stesse, identiche tonalità cromatiche. Oltre a ciò, nella Jesuitenkirche di Vienna esiste una tela proveniente dalla bottega del Pozzo, dedicata proprio alla Crocifissione, che presenta varie analogie con la tela di Cluj.
Dal punto di vista della composizione, la tela di Cluj è strutturata in modo piramidale, con la Vergine a sinistra, con lo sguardo rivolto a Cristo crocifisso. Le vesti della Vergine corrispondono all’iconografia tradizionale, e cioè abito rosso e manto blu. Le mani, che sono identiche alla pittura di Polazzo, denotano il dolore e la tristezza della tragica scena. Al centro c’è l’immagine di Cristo, su una croce leggermente spostata a sinistra. La forma del corpo è ben evidenziata, atletica, di armoniose proporzioni. A sinistra, invece, si trova la Maddalena, la quale abbraccia base della croce, mentre con la mano sinistra raccoglie nel velo il sangue di Cristo. Dietro al personaggio della Maddalena, si scorge appena Giovanni Evangelista.
Nella tela di Polazzo, che rappresenta la Crocifissione l’iconografia è strutturata in modo identico con la tela di Cluj, con le uniche differenze che qui la Vergine è rappresentata nella parte sinistra della tela, assieme a S. Giovanni Evangelista, che, questa volta, e più visibile. L’immagine della Vergine, come si diceva sopra, è rappresentata allo specchio, però con i tratti identici a quella di Cluj. Sul lato sinistro della tela, è rappresentata la Maddalena che guarda Cristo, inginocchiata, con le braccia alzate in un gesto di disperazione. Vicino alla Maddalena, alla base della croce, compare il calice contenente il sangue del Signore. In un secondo piano, sul lato sinistro sono presenti altri due personaggi, identificabili con Nicodemo e Longino.
Potremmo indicare che l’ordine gesuita, come dicevamo sopra, incluse nella sua nuova chiesa, che rappresentava il centro della diffusione gesuita in Transilvania dopo la conquista austriaca, elementi locali quali l’icona miracolosa che si trova tutt’oggi nell’altare principale col fine di mantenere e attirare meglio i ‘nuovi’ cattolici che ritrovavano in una chiesa romano-cattolica, uno degli elementi tanto cari a loro: un’icona bizantina miracolosa. Allo stesso tempo, nella lotta contro gli antitrinitariani (unitariani) – che erano nella loro quasi totalità ungheresi – ordinarono le tele con i santi patroni d’Ungheria, l’immagine della Madonna protettrice dell’Ungheria (Patrona Hungarie), e altri santi locali. In questo modo avrebbero naturalmente trasmesso l’immagine dell’Ungheria d’un tempo, e cioè quella del grande regno di S. Stefano re d’Ungheria, momento di massima espansione.
Commissionarono, inoltre, le immagini specifiche dell’ordine che dovevano essere il modello dell’insegnamento di S. Ignazio, la storia dell’ordine, e, naturalmente, dovevano indicare il modello da conseguire. Non per ultimo, posero nella loro chiesa le immagini che erano conformi al gusto dell’epoca e dove abbiamo ritrovato gli elementi comuni con la scuola di pittura veneta e austriaca.
In base ai pochi esempi indicati, possiamo affermare che il barocco transilvano è una continuazione del barocco austriaco, e quest’ultimo, a sua volta, è la metamorfosi di idee estetiche provenienti dallo spazio veneto innestato su elementi locali e, potremmo dire, transnazionali. L’ordine gesuita si ritrovò, per tanto, a essere il propagatore non solo della teologia ma anche di una cultura più ampia, che nel nostro caso si materializza negli influssi sulle chiese dell’Ordine in Transilvania. D’altro canto dobbiamo tener conto che fin dalla fondazione dell’ordine il ruolo che l’immagine avrebbe potuto avere fu abbastanza chiaro: rappresentava una delle armi che i gesuiti possedevano e sfruttavano al meglio, creando così strutture architettoniche e pitturali complesse interpretate o riprese in scala nei vari luoghi di diffusione della fede.


Cristian Damian
(giugno 2017, anno VII)


NOTE

[1] Cfr. Nicolae  Sabau, op. cit., p. 107.
[2] N. Sabău, Ibidem.
[3] Per quanto ci riguarda, Andrea del Pozzo lavorò fra l’altro a Roma presso Il Gesù a Santa Trinità dei Monti poi approdò in Austria (nel 1704), alla corte dell’imperatore Leopoldo I. L’iconografia da lui utilizzata venne così ripresa da numerosi artisti che lavorarono in Moravia, Ungheria, Boemia o Polonia
[4] Cfr. N. Sabău, op. cit., p. 108.
[5] Già nel Diario di S. Ignazio, il santo mette le basi di ciò che sarebbe diventata una tradizione ‘barocca’ di rappresentazione:  «Parlando al Padre e considerando che era una persona della santissima Trinità, mi infiammavo di amore per tutta la Trinità […] La stessa cosa sentivo nella preghiera rivolta al Figlio, come pure in quella fatta allo Spirito Santo» e poi, sempre nel Diario era: «pervaso da una devozione grande verso la santissima Trinità» e che non vedeva, «come nei giorni scorsi le Persone distinte, ma quasi in una chiarità lucente sento un essere che mi attira al suo amore».
[6] Rodolfo Pallucchini, La pittura nel Veneto, Il Settecento, Tomo secondo, Electa 1995, p. 18.
[7] Per gli influssi subiti in pittura da Francesco Polazzo si veda Alessandro Longhi, Compendio delle vite de' pittori veneziani storici più rinomati del presente secolo con i suoi ritratti dal naturale delineati ed incisi da Alessandro Longhi veneziano. Aggiuntovi tre brevi trattati di pittura. Venezia 1762, e la sua descrizione:«Francesco Polazzo Veneziano, per il genio che ebbe alla Pittura fin dalla prima età, si può dir, che sia nato Pittore, perché appena giunto agli anni tra la puerizia, e l'adolescenza, affissando gli occhi alle maniere dei più insigni Maestri s'invaghì di quella del Piazzetta, e nel colorire, di quella di Sebastian Ricci, e tra questi due Poli di sì nobil Arte, si fece una maniera da sé che assai piacque; e si vede di lui, nella chiesa de' Servi in Venezia una Tavola d'Altare, che rappresenta la B.V. ed altri Santi dell'Ordine Servita, tutti vestiti di nero, senza confusione, variando con tant'arte le stesse tinte, che è una meraviglia, ed un impegno da valente Professore; che come tale, molte Case Patrizie bramarono delle sue pitture, tanto ne fecero stima; ed in particolare, la Nobil Famiglia Baglioni, che più d'ogni altra l'onorò, con farlo di sé domestico. Morì in Venezia in età d'anni settanta, e fu sepolto in S. Marcuola nell'anno 1753.»
[8] Laura de Rossi, Francesco Polazzo, Edizioni della Laguna, 2004, p. 198.
[9] Pallucchini, cit., p. 65.