Una preposizione da trapiantare: ‘întru’ nei testi di Constantin Noica

L’oggetto di questa breve riflessione è: come tradurre in italiano la preposizione ‘întru’ quando la si trova in un testo di Constantin Noica? La domanda implica problemi molto specifici, che si trovano a metà strada fra la linguistica e la filosofia, e che hanno a che fare con la comprensione non solo di qualche passaggio testuale ma, diremmo, dell’opera intera del filosofo rumeno [1]. Questa circostanza, cioè che un autore che ha scritto moltissimo sembri dover dipendere a un certo punto da una sola preposizione, è curiosa e perciò, forse, interessante.
In parte almeno essa ha a che fare con il rapporto speciale che Noica instaurò con la sua lingua. Nessuno fra gli autori della sua generazione che pure ne conta di assai validi, e forse nessun autore rumeno in generale, ha rivolto tanta attenzione alla questione della lingua e della traduzione in termini teorici e pratici quanto lui.
Su questo aspetto, precisamente ai fini del nostro discorso, vale la pena soffermarsi brevemente. In primo luogo, riguardo ai termini pratici, Noica fu anch’egli traduttore, e tutt’altro che occasionale. Mentre scriveva il suo opus primum alla metà degli anni Trenta era già impegnato con la prima traduzione da lui pubblicata, quella di due opere che Descartes scrisse in latino e ancora inedite in rumeno: le Regulae ad directionem ingenii e le Meditationes de prima philosophia, seguite dalla kantiana De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis. Ottenuta la laurea, fatto il debutto editoriale, allacciati rapporti di assai feconda collaborazione con riviste letterarie della capitale rumena, Noica tradusse almeno otto romanzi dall’inglese, di genere giallo o avventuroso, forse allo scopo di assimilare meglio la lingua, forse per guadagnare qualcosa (benché fosse di famiglia benestante) o, infine e soprattutto, forse perché riteneva che, come ripeté spesso in seguito, l’esercizio della traduzione stimola e affina il pensare. Non per caso, molti anni più tardi, a chi lo visitava a Păltiniș per chiedergli consigli su come impostare un serio lavoro culturale si informava sulle lingue straniere conosciute dall’aspirante intellettuale e gli raccomandava in primo luogo esercizi di traduzione [2].
Poco prima dell’ingresso in guerra della Romania nel 1941, Noica assieme ad alcuni amici ideò una vasta e ambiziosa impresa di traduzioni filosofiche, la quale venne però troncata dalla violenta instaurazione del regime comunista. Il Nostro arrivò comunque a tradurre, commentare e pubblicare in tempo bellico alcuni lavori, fra cui l’hegeliano Differenz des Fichteschen und Schellingschen Systems. Parallelamente tradusse tre romanzi dal tedesco.
Noica fu poi per un ventennio bandito per motivi politico-ideologici dalla circolazione libraria (oltre che da quella fisica, visto che fu prima spedito al confino e poi incarcerato). Rimasero di conseguenza allo stato di progetto alcuni lavori, come ad esempio la traduzione di tutto Sant’Agostino (questa idea non fu mai realizzata, ma neppure mai abbandonata da Noica. Postuma, nel 1994, venne pubblicata la traduzione, conservatasi in manoscritto, del De magistro). A partire dai secondi anni ’60 quando, finalmente, poté riproporsi al pubblico, riprese senza meno anche l’attività di traduttore: i Commentari ad Aristotele di Porfirio, alcuni trattati naturalistici dello stesso Aristotele, la Logica di Coridaleos (questa dal greco al francese, nella speranza di darle maggiore circolazione), per citare solo alcuni lavori.
Non è un’esagerazione sostenere che Noica fu per tutta la vita un prolifico traduttore [3], esortando anche in questo modo i suoi connazionali a fare conoscenza con culture diverse, a “camminare fra gli stranieri”, come diceva, “per ritrovar meglio noi stessi” [4].
In secondo luogo Noica si dedicò a non superficiali studi di filologia rumena, passando molte delle sue giornate fra dizionari storici e grammatiche. Certo, il suo interesse era più filosofico che filologico. Egli non si riprometteva di descrivere o risolvere specifici problemi di linguistica ma di afferrare piuttosto il senso autentico di parole o locuzioni rumene, ottenuto il quale ogni rumeno dedito alla filosofia poteva aggiungere, a parere di Noica, un nuovo elemento al suo strumentario concettuale (del resto, quali strumenti ha il pensiero argomentativo che non siano verbali?).  In questo giocò senza dubbio un ruolo l’esempio di Heidegger, un filosofo che Noica stimava molto e di cui aveva avuto modo, in un paio di occasioni, di ascoltare direttamente le lezioni. Heidegger, a dire il vero, non era se non l’esempio più prossimo. Tutti i filosofi che hanno voluto rinnovare la loro disciplina hanno fatto, da Platone in poi, più o meno dolce violenza alla lingua. 
Gli aggiustamenti terminologici di Noica erano comunque tutt’altro che capricciosi ma valorizzavano, almeno secondo il Nostro, le indicazioni che la stessa lingua rumena dava a chi era disposto ad ascoltarla.
È questo il caso, fra altri esempi possibili, della preposizione ‘întru’, che qui a noi interessa soprattutto come compito affidato ai traduttori. ‘Întru’, a giudizio di Noica, presenta la difficoltà di essere un ‘operatore filosofico’ offerto dalla lingua rumena che non si rinviene in altre lingue (almeno nelle maggiori europee). O, per essere positivi, è un accesso alla migliore comprensione dell’essere che si ottiene tramite la lingua rumena in particolare.
Prima di cominciare, come si deve fare in questo tipo di ricerca, dallo storico della traduzione, proviamo a fissare qui in poche righe quel che potrebbe riempire più di un volume (“întru è una filosofia intera”, diceva il filosofo) ovvero cosa significa ‘întru’, per Noica.
Questa preposizione segnala niente meno che la millenaria contrapposizione filosofica fra essere e divenire è arbitraria. Le cose che sono, dice Noica, non partecipano di un essere omnicomprensivo, perfetto e soddisfatto (di tipo eleatico) né risultano da un divenire inarrestabile e cieco (di tipo eracliteo, nelle sue varietà possibili). Le cose né sono né diventano ma diventano nell’essere o, per loro malasorte, diventano nel divenire. Con l’introduzione di queste due originali categorie si dà conto del fatto che l’essere è fluido e che il divenire ha una consistenza, superando l’asserita incommensurabilità fra i due termini. Un essere mosso e un divenire che sa sedimentarsi non sono neppure più rappresentabili come poli opposti. E infatti il reale ammette e ricerca la conciliazione fra di essi, essendone nient’altro che il risultato. Quando la conciliazione ha effettivamente luogo, si assiste a un divenire nell’essere (che salva il reale non da un inesistente nulla ma dal caos). Una vibrazione diventa a un certo momento un’onda; ha acquisito un maggiore quantum d’essere, ha trovato lo sbocco verso un senso più alto: un’onda contribuisce alla realtà più di una vibrazione. Detto quantum però non è stato calamitato da fuori ma deriva da un efficace approfondimento della cosa (nel nostro caso: della vibrazione) nel suo stesso essere. La vibrazione è una vibrazione perché prende consistenza se diventa un’onda [5]. Il divenire serve l’essere, l’essere approfitta del divenire: i due termini collaborano, benché in modi diseguali, non pari, e anzi quasi gerarchici, col divenire che aspira all’essere e l’essere sempre pronto ad accogliere quel che porta di valido il divenire. In questi casi si arriva fra i due storici antagonisti a una vera e propria fusione (non a una composizione, che lascerebbe le parti distinguibili).
Altre volte invece, per mille motivi, la collaborazione fra essere e divenire non riesce: la vibrazione continua a vibrare, non fa che vibrare, diviene nel divenire. C’è, ma è come se non ci fosse perché non ha niente da aggiungere, non matura, è ripetitiva, e con ciò è chiusa alla dinamica dell’essere.
I due divenire però non determinano in nessun caso due realtà diverse, estranee o addirittura ostili l’una all’altra: la realtà è unica e l’unica realtà si compone secondo i due ordini del divenire, gerarchicamente disposti quanto al valore.
Le fondamentali categorie ontologiche noiciane (ripetiamo: divenire nell’essere e divenire nel divenire) riprendono, come si vede, i vocaboli forse più collaudati della filosofia europea. Ora però essi si trovano messi in relazione ad opera di una preposizione che dice appunto in che modo sussista tale relazione. È una relazione di tipo ‘întru’ che, dopo quanto si è esposto sopra e tenendo un occhio ai nostri fini di traduttori, possiamo definire come uno stato in luogo che si muove, un moto a luogo che sta. 
Ma sentiamo finalmente Noica stesso: “Întru înseamnă și ‘în spre’ și ‘în’, spune ‘nici înăuntru nici în afară’, și una și alta, este un fel de ‘a nu fi în’ înțeles ca un ‘a fi în’, sau mai degrabă, un ‘a fi în’ înțeles ca un ‘a deveni în’“.[6] (“Întru significa sia ‘verso’ che ‘in’, dice né dentro né fuori, sia dentro che fuori, è una specie di ‘non essere in’ inteso come ‘essere in’ o piuttosto un ‘essere in’ col senso di ‘divenire in’“).
E qualche anno più tardi: “.. ‘întru’ a venit să exprime ființa dinăuntru, parcă, sugerind că ‘a fi’ înseamnă ‘a fi întru ceva’, adică a fi în și nu pe deplin în ceva, a se odihni dar și a năzui … el indică o odihnă care e și neodihnă…”. [7] (“... întru è comparso a esprimere l’essere dal di dentro con l’indicazione che ‘essere’ significa ‘essere verso/in qualcosa’, cioè essere in qualcosa e però non completamente, riposarsi e però anche sforzarsi. Indica una quiete che è anche tensione”).  
‘Întru’, insomma, pur essendo una preposizione con senso spaziale non è nello spazio, è una spazialità sui generis, quella che si ritaglia una cosa che si realizza, diventando nell’essere. Il movimento di ‘întru’ si osserva quando una cosa (un oggetto, un processo, un pensiero) si impegna di più e prende meglio piede nel suo rispettivo campo ontologico (come una molecola che diventa idrocarburo, come una lingua che si grammaticizza, come un pensiero che diventa un’idea, dice Noica). Perché in effetti: “către ființă nu mergi ca și cum ar fi ceva exterior, căci ființă este tot ce este mai apropiat lucrurilor … către ființă mergi si devii, așa cum merge și devine totul, fiind în același timp în ea” (Cuvînt p. 31).
(‘Verso l’essere non ti muovi come se fosse qualcosa di esteriore, dato che l’essere è quel che di più vicino c’è alle cose… verso l’essere ti muovi e diventi, così come tutto si muove e diventa, trovandosi in esso contenuto”).
Ma se è possibile crescere nell’essere significa che anche l’essere complessivamente cresce. “L’essere si è sottratto alla fissità e si è dato una scossa”. (Sentimentul p. 78). Questo ci dice o ci fa capire ‘întru’.

ii
La preposizione ‘întru’ è di evidente derivazione latina, dall’avverbio ‘intro’. In latino ‘intro’ si unisce, almeno in epoca classica, a verbi transitivi o intransitivi che esprimono un moto a luogo: andare, portare, chiamare (abi intro, cibum intro ferre, intro vocare, etc). Non aveva proprio nulla a che fare con lo stato in luogo? Di regola no. Corrisponde perfettamente, dicono i dizionari, al greco eiso che a sua volta è composto da eis, sempre indicante moto, e –o, per l’appunto un suffisso avverbiale. Però la regola non doveva essere ferrea se Quintiliano (I,5-50) volendo dare un esempio di solecismo, ovvero di sgrammaticatura, cita il caso in cui ‘intro’ compare ad esprimere uno stato in luogo. E’ chiaro che Quintiliano non avrebbe deplorato quest’uso scorretto se nessuno vi avesse fatto ricorso. In effetti qua e là, in certe fonti arcaiche, ‘intro’ compare “cum verbis quietem significantibus” però, avverte il Lexicon totius latinitatis di Forcellini, “raro admodum” (rarissimamente).  
L’evoluzione di ‘intro’ che ha dato in rumeno ‘întru’ ha portato invece, se dobbiamo dare credito a Noica, a una perfetta ed equilibrata fusione fra i due aspetti di moto e stato, che tanti rompicapi provoca ai traduttori.
Passeremo subito a loro, non senza aver segnalato, però, una circostanza interessante: il primo traduttore di ‘întru’ nella sua particolare accezione filosofica, fu Noica stesso. Nel 1984 compose in terza persona una breve autobiografia intellettuale per una rivista padovana di filosofia. Noica la scrisse ed essa fu pubblicata in tedesco sotto il titolo Selbstdarstellung. E qui, fra molte altre informazioni, leggiamo che l’autore “unterscheidet zwischen einem Werden zum Werden und einem Werden zum Sein”. Ritroviamo insomma la postulata mirabile ricchezza semantica di ‘întru‘ portata al livello di ‘zu‘.
Proprio nel periodo in cui cominciò a elaborare la sua teoria ontologica incentrata su ‘întru’, ovvero fra gli anni ’40 e ‘50, Noica stava studiando in modo particolare Hegel, che per lui era, e rimarrà anche in seguito, il paradigma del filosofo. Su un punto però Noica compiangeva Hegel: che la lingua tedesca non avesse dato a un così formidabile pensatore un qualchecosa di paragonabile a ‘întru’. In effetti, possiamo aggiungere noi, per esprimere il passaggio di una cosa da una sua ipostasi meno riuscita a un’altra più riuscita Hegel oscilla fra due forme: ‘in più accusativo’ e ‘zu più dativo’ [8]. La differenza, ci pare, consiste in questo: che col ‘zu’ si muove qualcosa dall’interno (per il principio secondo cui il fiore diventa frutto: die Blüte wird zur Frucht) mentre con ‘in’ la cosa viene sussunta in un ambito da essa prima distinto, benché a lei non proprio estraneo.
Per rendere la pienezza di ‘întru’ nessuna delle due soluzioni inconsapevolmente offerte da Hegel e dalla lingua tedesca, poteva sembrare del tutto soddisfacente, ma faute de mieux Noica scelse la prima. Cosa perse in concreto in questo modo? Perse, pare a noi, una tonalità dell’intimità fra il divenire e l’essere (una mancanza che noicianamente potremmo dire si fa sentire nella stessa filosofia di Hegel). ‘Zu’, infatti, svolge correttamente il compito di segnalare un passaggio o, meglio, un trapasso, perfino una trasformazione ma niente più. Non ha la memoria né la responsabilità per il dopo che sono la vera gloria di ‘întru’ [9]. Non si implica. Forse ‘in’ questa memoria, di per sé, l’avrebbe avuta ma il problema è che il tedesco non ammette la costruzione ‘werden in’ più accusativo. La lingua costringe o, per dir meglio, disciplina il pensiero. Che avesse ragione Noica nel compatire Hegel?     
È evidente comunque che di fronte alla chiara indicazione di Noica la causa era finita e ‘zu’ non poteva non diventare per il tedesco la soluzione standard. In particolare ciò vale per Stefan Moosdorf e Christian Ferencz-Flatz, che hanno curato la traduzione delle Scrisori despre logica lui Hermes l’unica opera noiciana integralmente tradotta, a quanto ci risulta, in tedesco [10]. Ma è plausibile che essi siano stati guidati anche da quello che Noica chiamava “il soffio della lingua” (‘suflarea limbii’ Sentimentul, p. 146, da intendersi probabilmente nel senso di souffleur, suggeritore) tedesca, la quale avrebbe in generale una preferenza per il divenire, a scapito dell’essere [11]. Il movimento del divenire è quella parte di ‘întru’ che ‘zu’ copre. Ma è appunto una parte. 

iii
All’inizio del suo lavoro intitolato Creaţie şi frumos în rostirea românească Noica fa un’osservazione sulle lingue naturali e sulle traduzioni: “ … alla fin fine qualsiasi cosa può tradursi in ogni lingua: possono tradursi libri interi, poemi, pensieri, perfino espressioni tipiche. Ma non si possono tradurre singole parole”. Perché? Perché, dice Noica con un’immagine efficace, “una parola è un albero. Che sia nato sulla tua terra o che vi sia caduto come un seme da un altro mondo. Ha messo le radici nell’humus del tuo paese, si è nutrito delle sue piogge, è cresciuto e ha dato corso alla sua natura sotto un sole che non è lo stesso da nessun’altra parte e, così com’è, non può essere facilmente cambiato di posto, trapiantato, tradotto” (Cuvînt p. 241). Tuttavia, prosegue Noica, se si scoprisse “una pianta da frutto che cresce su suolo rumeno e solo qui, saremmo tenuti a darne conto”. Non sarebbe giusto limitare intenzionalmente le conoscenze degli altri popoli. Allo stesso modo “se nella nostra lingua sono apparsi vocaboli e significati che possono arricchire il pensiero umano [ovvero universale, dz] ma non sono apparsi in altre lingue, siamo tenuti a darne conto”.  (Sentimentul, p. 5). 
L’intento sarebbe lodevole, ma fare quest’opera di chiarimento solo in rumeno rischia di restringere assai il numero dei suoi beneficiari. Occorrerebbe, perché sia efficace su vasta scala, portarla a termine anche in altre lingue, occorrono traduttori. Ma come tradurre ‘întru’, pianta verbale cresciuta solo in Romania, avendo chiara coscienza che piante di questo tipo non possono essere facilmente trapiantate? E in mancanza, per di più, di un’indicazione esplicita del capo giardiniere, come è invece avvenuto per il trapianto tedesco?
Riprendiamo dunque il filo lasciato in sospeso poco fa e vediamo lo storico di questa traduzione precisando, per tutte le evenienze, che la breve esposizione che segue non mira in alcun modo a fare le pulci a qualcuno, per l’evidente sterilità di un simile triste esercizio. Al contrario: anche dove, magari, si avanza un’opinione diversa, fa piacere rendere omaggio a chi ha fatto scelte che o si stabilizzeranno nell’uso o serviranno comunque a rassodare il terreno per i passi futuri. Per quel poco o quel tanto che una traduzione richiede in termini di pensiero, si tratta anche qui di un pensare assieme.
Un eminente romenista francese Nicolas Cavaillès nel 2009 per la prima e, per quanto sappiamo, unica traduzione francese di Devenirea întru fiinţă, l’opera sistematica dell’ontologia noiciana, ha scelto fra le possibilità che gli offriva la sua lingua di tradurre ‘întru’ con ‘envers’ [12]. Questa preposizione ha un grande vantaggio dalla sua: dal punto di vista morfologico coglie perfettamente nel segno. E’ formata da ‘en’ e ‘vers’, stato e luogo in uno, entrambi espressi a chiare lettere: non era questo che si cercava? Era questo senza dubbio, se non che l’uso, ovvero la massima regola della lingua secondo il precetto oraziano, ha fatto perdere a ‘envers’ anche il pallido ricordo delle sue origini [13] e gli ha assegnato, per dir così, un compito del tutto diverso, che consiste nell’esprimere l’idea di ‘nei confronti di’ (‘en face de’; ‘vis à vis de’) o ‘riguardo a’ (‘à l’égard de’). Se esce da uno di questi autonomi significati, che sono i due che il Grand Robert e i dizionari novecenteschi di regola gli attribuiscono, ‘envers’ si ritrova solo in costruzioni fisse come ‘envers et contre tout’, con significato poco lontano da ‘malgrado tutto’, ‘a dispetto di tutto’. Con il che ‘envers’ verrebbe ad assumere un che di rigido, quasi un’aria d’impuntatura che sarebbe agli antipodi della qualità fluidificante di ‘întru’. Che in tal modo si rischino malintesi ci pare confermato da una curiosa circostanza. Cavaillès ha pubblicato la sua traduzione presso l’editore tedesco Olms di Hildesheim. Nel suo sito l’editore presenta brevemente il contenuto dell’opera in francese e in tedesco [14]. Ma la presentazione tedesca, evidentemente tradotta da quella francese, non ha, come avrebbe se fosse tradotta dal rumeno, il canonico ‘Werden zum Sein’ che abbiamo visto sopra e che a un tedesco può sembrare spontaneo, ma reca ‘Werden gegenüber dem Sein’. ‘Gegenüber’ viene da ‘envers’ e non da ‘întru’, e quel che a noi interessa segnalare è che ‘envers’ comporta appunto l’idea di ‘gegenüber’, ovvero di ‘stare a fronte di’ e nello spazio semantico creato da ‘envers’ non solo non c’è intimità ma neppure momentaneo contatto né tendenza o aspirazione al contatto. Anzi, mettere a fronte nel senso di ‘gegenüberstellen’ vale come opporre e perfino contrapporre due cose. Tutto il contrario della conciliazione ricercata e stabilita da ‘întru’ [15].
La grande opera ontologica Devenirea întru ființă è stata tradotta in inglese da Aldair Blyth ed è stata editata dalla prestigiosa Università Marquette del Wisconsin [16]. Traduttore ed editore fanno escludere che si siano adottate soluzioni in modo superficiale o affrettato. Il titolo del libro è dunque Becoming within the Being, con quel ‘within’ che equivarrebbe al nostro ‘entro’. Equivarrebbe, se nella sua lontana storia o in qualche suo significato secondario, raro o rarissimo, avesse, come ha l’italiano ‘entro’, il debole riflesso di una idea di moto. Ma non ce l’ha, secondo l’Oxford English Dictionary. Dunque? Dunque si deve ritenere che il traduttore abbia considerato così preminente il fatto che “tutte le cose che sono, sono nell’essere” come scrive Noica, da sottolineare in maniera esclusiva questa collocazione, la quale dovrebbe assorbire anche lo scatto, il movimento almeno logico che marca l’aggancio all’essere che qualcosa ottiene quando diventa in esso. Non siamo in grado di dire perché il traduttore inglese abbia preferito ‘within’ a ‘into’ che a un non inglese come chi scrive sarebbe parso poco meno che una soluzione comandata [17]. Ma per il mancato utilizzo di ‘into’ deve esserci qualche ottima ragione se nella recente letteratura inglese su Noica domina il ‘within’, seppure accompagnato di regola da un caveat sulla sostanziale intraducibilità di ‘întru’. Solo in casi esemplari, cioè quando l’autore vuole sottolineare lo speciale significato rumeno della preposizione si abbandona il ‘within’ per un più esplicito ‘within/towards’ [18] oppure ‘in(to)’ [19], che per ovvi motivi, però, non può mantenersi per un libro intero.    
Nella sua bella introduzione alle Șase maladii ale spiritului contemporan Vasilica Cotofleac, che è anche la traduttrice del libro in castigliano [20], illustrando al lettore spagnolo alcuni tratti fondamentali del pensiero di Noica si sofferma a lungo su ‘întru’. Vi si legge dunque che ‘întru’ si potrebbe rendere con ‘dentro’ e ne presenta i motivi. Primo, per ragioni filologiche in quanto ‘dentro’ e ‘întru’ derivano entrambi dal latino intro. Secondo, perché ‘dentro’ ha, a parere della Cotofleac, “la capacità di sostenere, oltre al senso spaziale, anche l’idea di lasso temporale (ad es. dentro de un mes), la quale suggerisce apertura e divenire”. Terzo, perché ‘dentro’ fonde, “per analogia, il senso di ubicazione e di sviluppo nella prospettiva di una meta, di un obiettivo”.
Ciò nonostante la traduttrice alla fine consiglia di usare non ‘dentro’ ma ‘dentro en’, vale a dire: ‘el devenir dentro en el ser’, e questo “in nome della vetustà dell’espressione, affine all’arcaismo della preposizione rumena, che conferisce a quest’ultima il suo timbro inconfondibile”. La Cotofleac trova che questa traduzione molto si avvantaggi della sua “risonanza medievale”. In effetti la traduttrice corrobora il suo argomento con esempi di utilizzo di ‘dentro en’ che partono dal XII secolo (El mio Cid) e si fermano al XVI (Las Moradas).
E veniamo a noi. Il primo traduttore italiano di Noica, Marco Cugno ha firmato per il Mulino due traduzioni: Sei malattie dello spirito contemporaneo (1993) e Pregate per il fratello Alessandro (1994)ma non ha incrociato ‘întru’ nel suo senso filosofico. A dire il vero, nella prima opera citata l’‘întru’ filosofico c’è, però è contenuto in un capitolo che Cugno, evidentemente d’accordo con l’editore, non tradusse, ritenendolo di esclusivo interesse rumeno o romenistico (il capitolo in questione si intitola ‘La crisi del tempo presente e lo spirito rumeno’). Il secondo volume da lui tradotto contiene le memorie carcerarie di Noica e non c’è da sorprendersi se ‘întru’, inteso come operatore ontologico, non vi compare. È curioso che neppure la nuova edizione italiana delle Sei malattie, curata da Mira Mocan per i tipi della Carbonio (2014), contenga una traduzione di ‘întru’, benché si tratti, questa volta, di una versione integrale del libro. Ciò è avvenuto perché la traduttrice ha considerato che ‘întru’ fosse di un’“intraducibile ricchezza semantica” (p. 185) e così quando Noica lo usa proprio per questa sua specificità, nel testo italiano rimane ‘întru’. A noi pare questa una soluzione più che rispettabile. Se il rumeno non fosse quella lingua negletta e periferica che è, la scelta della Mocan porterebbe forse all’internazionalizzazione di ‘întru’, così come si sono internazionalizzati vocaboli intraducibili di lingue europee più sane e di più vasta portata, da Weltanschauung a belcanto o, per restare alle preposizioni, à la. Ciò detto, neppure si deve passare sotto silenzio che la Mocan è stata aiutata, per così dire, nell’esecuzione del suo proposito dal fatto che nel libro da lei tradotto ‘întru’ ha una ricorrenza molto limitata e il vocabolo in forma straniera non appesantisce troppo la lettura [21].     
‘Întru’ ricorre spessissimo invece, com’è ovvio, nelle due parti dell’opus magnum di Noica, la già citata Devenirea întru ființă, e anche per questo, forse, diversa era stata la scelta della traduttrice Solange Daini, la quale utilizzò ‘entro’ (Edizioni ETS, 2008). Questa preposizione condivide con ‘întru’ un aspetto importante per la traduzione come quello etimologico. Come già si è detto sopra en passant, ‘entro’ ha, in sede storica, i titoli in regola anche per quanto riguarda il significato. C’è stato un tempo, segnala l’autorevole Grande Dizionario della lingua italiana di Sergio Battaglia, in cui qualche volta lo si impiegava in unione con verbi di moto e proprio nel senso di moto ‘verso l’interno di un luogo, di un oggetto’, come sarebbe appunto, potremmo dire noi, quella miglior presa nell’essere che risulta da un divenire ‘întru’. È altrettanto vero però che lo stesso Battaglia avverte che questo significato è “disusato” e in effetti gli esempi addotti per un simile ‘entro’ partono da Dante e s’arrestano a Lorenzo Magalotti, un letterato vissuto da Sei e Settecento, il quale già ai suoi contemporanei pareva antiquato, per essere scrittore troppo fedele, nello stile, al da lui venerato Petrarca. Nell’accezione di un più neutro moto a luogo il Battaglia porta esempi che arrivano al primo Novecento, con la Deledda che ha un “gettò entro la fontana”. Ma anche questo è un uso che ha il fiatone, in un modo non dissimile da quello che, sempre nel Battaglia, lo precede e per il quale ‘entro’ vale (o forse si dovrebbe dire: valeva?) come ‘fra’, così che deve dirsi ammissibile l’espressione “benedetta tu entro le donne”.
È giusto segnalare che dizionari di lingua italiana meno voluminosi e più recenti del Battaglia (non si dirà certo migliori!) neppure riportano più questi due significati: parrebbe quasi che ‘entro’ con valore di moto o come sinonimo di ‘fra’ sia sparito. Per il De Mauro il significato fondamentale di ‘entro’ è temporale (‘entro giovedì’) mentre il significato di luogo è “di uso solo letterario”. Lo stesso il Garzanti, il Gabrielli, il Devoto-Oli e lo Zanichelli, per il quale ultimo l’uso di ‘entro’ con stato in luogo non è nemmeno più letterario ma è solo “raro”. Dizionari a parte, crediamo si possa comunque convenire che il moto di ‘entro’ non è più avvertito dall’orecchio dei parlanti odierni dell’italiano (e forse, benché corretto, non è stato tanto diffuso neppure in passato). Se ‘entro’ come preposizione di moto è uscito dall’uso, e come preposizione di stato è in ribasso, per usare un eufemismo, gode invece di piena salute, oltre che come preposizione temporale, in talune espressioni quasi avverbiali che indicano limitazione, basti pensare a ‘entro certi limiti’. ‘Întru’ però noicianamente si invoca, come sappiamo, per segnalare un’apertura, la forzatura di un limite.
Ma, si dirà: scoprendo la valenza filosofica di ‘întru’ Noica non ha fatto quel che il traduttore italiano farebbe impiegando ‘entro’? Non ha preso il filosofo sotto la lente il significato un po’ dimenticato, o usato senza consapevolezza, di una parola, e dopo averlo ripulito non l’ha rimesso in circolazione? La domanda è mal posta. Anche senza voler mettere in conto che l’autorevolezza di un autore è ovviamente molto maggiore di quella di un traduttore, occorre infatti tener presente che in rumeno ‘întru’ non è mai uscito dall’uso come l’‘entro’ con valore locale in italiano. Noica non ha, ci pare, risuscitato una parola morta, o rinvigorito una parola che si trovava in puncto mortis, ma ha fatto emergere i (plausibili) motivi del suo impiego corrente e perfino familiare. Nelle molte pagine che dedica a questa preposizione in nessun punto Noica mostra di apprezzare ‘întru’ a causa della sua vetustà o della sua distanza dal parlare comune. Anzi, trova che il Dizionario della lingua rumena letteraria contemporanea edito nel 1956 sia più confacente al suo argomentare del Dizionario della lingua rumena del 1934, che pure definisce “ammirevole”, per due motivi: il primo è che smentisce l’idea che ‘întru’ sia di uso “arcaizzante”; il secondo che apporta un senso in più rispetto al precedente dizionario, quello di “trasformarsi” (“a se preface”) [22].
E dunque? Dunque per la traduzione di ‘întru’ il nostro ‘entro’ potrebbe, così come ha fatto in mille altri casi, ammainare bandiera davanti a ‘in’ che, nella sua consistenza materiale minima, condivide con ‘a’ quasi tutto il moto a luogo e quasi tutto lo stato in luogo della nostra lingua.
Che io entri, mi muova o stia in una parte dell’universo, posso compiere tutte queste azioni contemporaneamente soltanto grazie a ‘in’, se le dico in italiano. Questa preposizione ha dimostrato di possedere presso di noi una vitalità cannibalesca. E siccome la linguistica, come ogni altra scienza e cosa al mondo, ama i forti, a ‘in’ si potrebbe forse utilmente ricorrere per facilitare il trapianto della filosofia dell’‘întru’ in Italia [23].
Al termine di riflessioni come questa e alla luce della ricognizione di cui abbiamo dato conto sopra, ci siamo decisi ad utilizzare ‘in’, quando abbiamo trovato la preposizione ‘întru’ nel suo ruolo di operatore filosofico, per la traduzione che avevamo intrapreso dell’opera noiciana Despărțirea de Goethe, ora di prossima uscita presso Rubbettino.

P.S. A dire il vero, c’è un ultimo argomento che ci ha fatto propendere per ‘in’. E’ un argomento che vale a convincere solo coloro che già sono convinti e per questo non lo abbiamo evocato nel testo: l’espressione ‘divenire nell’essere’ è eufonica, per accenti e vocali ovvero per ritmo e armonia. L’estetica musicale può essere invocata quando si deve scegliere fra soluzioni testuali sostanzialmente equipollenti? A nostro parere sì, e tanto più quando si traduce Noica, il più raffinato forse fra tutti i prosatori rumeni novecenteschi. Che poi il traduttore riesca a rimanere stabilmente, per un libro intero, all’altezza fissata dal principio appena enunciato, è un altro paio di maniche.

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Davide Zaffi
(n. 4, aprile 2019, anno IX)



NOTE


1. ‘Întru’ sarebbe, secondo un autorevole commentatore, “il punto d’Archimede” del sistema di Noica. Gh. Geana, Rostirea romȃnească; un individual cu înzestrare ontologică, in A. Surdu, V, Cernica, T. Lates, Centenar Constantin Noica, Editura Academiei Romȃne, Bucarest, 2009, pp. 14-27, qui p. 17.
2. In G. Liiceanu, Jurnalul de la Păltiniș, Humanitas, Bucarest, 2004 [1983], questi temi tornano di continuo (pp. 148, 159, 164, 171, 186, 192 e passim).
3. Per ragioni che discutere qui sarebbe fuori luogo, si deve prendere atto Noica è stato e continua ad essere una figura estremamente divisiva. Spesso gli si riserva ostilità profonda, diremmo viscerale, o gli si confessa ammirazione. Sembra difficile scriverne in un modo scevro da preconcetti. Non è perciò un’eccezione, sul registro dell’ostilità, S. Cotter, S. Cotter, Romania as Europe’s translator. Translation in Constantin Noica’s National imagination, in B. J. Baer, Context, Subtexts and Pretexts. Literary translation in Eastern Europe and Russia, Benjamins Publ., Amsterdam/Philadelphia, 2011, pp. 79-97 che qui citiamo perché si occupa in particolare dell’attività di Noica come traduttore. Muovendo però da una tesi per la quale solo cerca punti d’appoggio, lo studio arriva a conclusioni forzate e, a nostro giudizio, non condivisibili.
4. C. Noica, Între suflet și spirit. Publicistică II, Humanitas, Bucarest, 1996, p. 144.
5. Nella zona dell’umano, ovvero della cultura, la questione si complica perché qui entra in gioco l’imprevedibilità. Vedi per dettagli: C. Noica, Douăzeci și şapte trepte ale realului, Humanitas, Bucarest, 1999 [1969], pp. 124-5.
6. C. Noica, Cuvînt împreună despre rostirea romȃnească, Humanitas, Bucarest, 1993 [1972], pp. 31-32.
7. Noica, Sentimentul, p. 6.
8. Vedi ad esempio l’uso ravvicinato di queste due forme al paragrafo 95 dell’Enzyklopädie (nell’edizione bilingue Bompiani del 2007 a p. 246).
9. Il volto più comune di ‘zu’ si mostra nel titolo del libro di Prigogine, che Noica cita in tedesco in un suo lavoro, ovvero Vom Sein zum Werden, dove ‘zu’ indica il passaggio (dell’interesse della cultura europea) dall’idea dell’essere a quell’altra del divenire. Da qui a lì. E’ un po’, ci pare, come il cavallo di Făt Frumos nell’interpretazione di Noica: lo si apprezza perché porta l’eroe nel mondo dell’essere ma poi, svolto il suo compito, lo si può mandare “a pascolare dove vuole”. Non c’è più bisogno di lui (Sentimentul, p. 119). La citazione di Prigogine è in Modelul cultural european, Humanitas, Bucarest, 1993, p. 181. L’opera fu edita in tedesco postuma (1988) ma nella forma già curata e rivista dall’autore con il titolo De dignitate Europae.
10. C. Noica, Briefe zur Logik des Hermes, Traugott, Bautz, 2011.
11. Noica si accredita (Sentimentul, p. 169) con un aforisma (357) della Fröhliche Wissenschaft, il quale recita: ‘Wir Deutsche sind Hegelianer insofern wir dem Werden, der Entwicklung einen tieferen Sinn und reicheren Wert zumessen als dem, was ‘ist’- wir glauben kaum an die Berechtigung des Begriffs ‘Sein’… “.
12. C. Noica, Le devenir envers l’ȇtre, Olms, Hildesheim, 2008.
13. Vedi il Godefroy, Dictionnaire de l’ancienne langue française et de ses dialects du IX au XV siècle. In quella lingua antica ‘envers’ poteva valere anche come preposizione di moto a luogo.
14.  http://www.olms.de/search/Detail.aspx?pr=2002333 (visitato il 28 febbraio 2019).
15. Può essere in ogni caso interessante riportare qui la spiegazione che Cavaillès dà della sua scelta: nell’introduzione al libro citato ”La préposition întru, centrale dans la pensée de Constantin Noica, exprime à la foi le rapport du contenu au contenant (‘dans’) et un mouvement de ce contenu à l’intérieur du contenant (‘à travers’, ‘vers’), une intériorité dynamique, une ouverture dans la fermeture. En l’absence d’une préposition adéquate en français, nous utilisons ‘envers’ qui présente l’avantage de contenir morphologiquement les deux pans sémantiques de ‘întru’, à la foi ‘en’ et ‘vers’. ‘Devenir pour l’être’ serait une formule dans laquelle ‘întru’ se retrouverait bien sémantiquement mais qui enferme l’ontologie noicienne dans une perspective heideggerienne qui n’est pas la sienne. En proposant ‘envers’, plus rare, nous tȃchons de mimer l’innovation opérée par Noica face à la langue roumaine comme face à la philosophie”, p. 5. Tale scelta è autorevolmente avvallata da una studiosa noiciana del calibro di Laura Pamfil, autrice del notevole. Noica necunoscut. De la uitarea ființei la reîntîlnirea ei, Apostrof, Cluj, 2007.
16. C. Noica, Becoming within the Being, Marquette Univ. Press, Marquette, Milwaukee (Wis.), 2009.
17. Dice il citato Oxford Dictionary che ’in’ essendo un avverbio e ‘to’ una preposizione, “the adverb expresses the general direction of motion and the preposition specifies or has reference to a particular point or place”, col che il “general sense” di ‘into’ sarebbe “the motion which results in the position expressed by in or which is directed towards that position”. Segnaliamo che nel Cavaillès citato alla nota 13 si sostiene che ‘întru’ andrebbe reso invece con ‘unto’.
18. O. Gabor, Noica’s Becoming within Being and Mano’s Paradox, in Z. M. Torlone, D. LaCourse Munteanu, D. Dutsch, A Handbook to classical Reception in Eastern and Central Europe, Blackwell, 2017, pp. 300-311.
19. Vedi Cotter, op. cit., p. 80.
20. C. Noica, Seis enfermedades del espíritu contemporáneo, Herder, Madrid, 2009.
21. La stessa soluzione della Mocan è stata adottata dalla Cotofleac per la sua traduzione castigliana di cui si è detto sopra.
22. Cuvînt, cit., p. 33; 37. Vale la pena ribadire qui che a noi non interessa stabilire il significato ‘vero’ di întru, ma quello noiciano, nel caso, beninteso, che si volesse sostenere che fra i due c’è discrepanza.
23. Tocchiamo al volo un problema puramente teorico. In Sentimentul (opera che non verrà mai tradotta in nessuna lingua – e da qui appunto l’astrattezza del problema) Noica spiega a un certo punto quale sia la differenza in rumeno fra ‘în’ e ‘întru’. Ma se l’ipotetico traduttore italiano usa ‘in’ per ‘întru’ che gli resta, ci si potrebbe chiedere, per l’‘în’ rumeno? A nostro parere gli resta ‘dentro’. Noica infatti ripudia l’‘în’ rumeno per la sua immobilità e staticità, cose queste che ‘dentro’ volentieri assume. Infine: se si traduce l’‘în’ opposto a ‘întru’ con ‘dentro’ come si renderà ‘înăuntru’, che Noica nello stesso contesto a volte evoca? Forse in due modi: o tramite ‘all’interno’ o usando ‘dentro’ quando Noica lo usa come sinonimo di ‘în’.