I mass media italiani e lo stereotipo albanese

Il crollo del regime comunista in Albania, in sincronia con il crollo dei regimi del comunismo anche nei paesi dell’Europa dell’Est, ha svincolato gli albanesi isolati per cinquant’anni. La caduta delle barriere politiche e l’aprirsi di concrete possibilità di vivere in occidente ha giocato fortemente nei fattori di mobilitazione dei flussi emigratori. Con la caduta del regime comunista, l’Albania conosce un’accelerazione dei flussi di emigrazione internazionale così consistente da renderla  uno dei paesi più interessati da tale fenomeno in tutto il mondo. Le cifre elaborate dall’ISTAT mostrano una perdita di popolazione dovuta all’emigrazione di circa 600.000 persone nel periodo 1989-2001, mentre il governo albanese arriva a calcolare una presenza di cittadini albanesi all’estero di 1.093.000 nel 2005.

Ma l’emigrazione albanese è particolare, sia per il modo violento e spettacolare in cui si è svolta, sia per gli stereotipi, le problematiche, la paura, l’insicurezza e il sospetto che l’hanno accompagnata in tutti questi anni. Il problema dell’immigrazione si mise, in modo drammatico, al centro dell’attenzione di politici e  opinione pubblica particolarmente tra il marzo e l’agosto del 1991, quando sulle coste italiane arrivarono diverse ondate di immigrati albanesi.  La foto qui sotto pubblicata è eloquentemente drammatica. Le navi stracariche di albanesi che approdarono in Italia non portavano solo persone in fuga per mancanza di libertà politica o per le misere condizioni economiche. Molti di loro erano saliti sulle navi per avere la possibilità di vedere l’Italia e il mondo. Non sono pochi quelli che in gruppo, con spirito di avventura, sono saliti sulle navi dirette Italia.


Nave strapiena di profughi albanesi (marzo 1991)

Davanti a queste immagini drammatiche gli italiani reagiscono in modi diversi. Per il sociologo Rando Devole, «gli italiani si sono fatti cogliere impreparati, perché la maggioranza di essi non si erano posti i problemi connessi con la presenza di immigrati (di diversi) nella loro società;  di  fatto pochi ne avevano incontrati, se non occasionalmente» [1].
Gli italiani avrebbero seguito gli eventi  attraverso  la  televisione,  avrebbero scoperto il fenomeno attraverso i giornali, avrebbero giudicato insieme con gli operatori dei media. I mass media hanno la facoltà di presentarci fatti, persone, eventi, dei quali spesso non abbiamo avuto un'esperienza diretta nella nostra vita, ed è normale che se continuano a mostrare una cosa che non conosciamo associandola sempre a fatti negativi, automaticamente tenderemo ad avere di quella cosa una concezione negativa. La loro azione informativa e comunicativa fornisce un apporto rilevante alla costruzione della realtà contemporanea. Per esempio, nel momento in cui un italiano legge sul giornale di un reato commesso da un albanese, e ha degli amici albanesi, non arriverà mai a sostenere che gli albanesi sono tutti delinquenti. Però, finché la conoscenza del «diverso» avviene soltanto attraverso i mezzi di comunicazione di massa, il rischio è quello di generalizzare, di coltivare stereotipi del tutto assurdi. Significativa in questo ambito è la questione degli albanesi, di come sono stati visti e raccontati in Italia durante questi anni.

Prima che gli albanesi cominciassero ad emigrare verso l'Italia, dell'Albania non si sapeva nulla. Buio totale. Per gli italiani la casella «Albania» era vuota. A un certo punto sono iniziati i primi esodi sulle coste pugliesi e il modo in cui questi esodi sono stati rappresentati dai mass media ha trasmesso all'opinione pubblica lo stereotipo dell'albanese. Questo stereotipo si è installato saldamente nelle coscienze degli italiani proprio a causa del fatto che dell'Albania non si conosceva nulla e, nell'ignoranza, i mass media hanno giocato un ruolo decisivo.
Senza pensarci due volte, i media hanno aumentato i toni allarmistici avvertendo l’opinione pubblica italiana per altri esodi albanesi e iniziando così una campagna di stigmatizzazione.  L’immigrazione veniva descritta come un fenomeno minaccioso fortissimo e violento. Titoli allarmistici come quello de «La Repubblica», Invasione albanese, tornano i disperati del mare [2] creano nell’opinione pubblica l’idea sbagliata dell’albanese criminale  e violento. Si è creato una sorta di mito mediatico per cui l'albanese veniva considerato un rischio per l'ordine pubblico, un rischio per la salute pubblica (perché portavano malattie) e un rischio per la morale pubblica (lo sfruttamento della prostituzione). Sono bastati pochi mesi ed i media italiani sono riusciti a creare nell’immaginario collettivo lo stereotipo dell’albanese violento e criminale.

L'Albania nei media italiani: un mondo sconosciuto

La rappresentazione dell'Albania dai media in questi anni è stata quella di un mondo sconosciuto, e gli albanesi sono stati descritti come delle persone «provenienti da un mondo chiuso e a lungo impermeabile alle sollecitazioni esterne, abissalmente diverso e abitato da un’umanità inferiore; un universo senza regole, immerso nella preistoria dei valori». (Melchionda 2003, p. 88). A parte qualche cenno ai cinquant'anni di regime, i media rappresentano un'Albania senza storia o, se ci va bene, come un popolo che ha fatto un viaggio nel tempo dal medioevo ai giorni nostri. Le indagini del 2002 presentate nel Dossier Statistico Immigrazione, tramite l'analisi di 1.205 articoli, hanno concluso che «parte della stampa italiana è ancora legata al sensazionalismo, allo spettacolo e al dramma» [3].
Riguardo ai temi più esposti i media hanno rischiato di riprodurre e accentuare le disuguaglianze sociali ed essere strumenti di prevaricazione sulle minoranze. Pur non essendo gli unici responsabili nella diffusione di sentimenti di discriminazione o chiusura, hanno avuto un ruolo notevole nell’amplificare il fenomeno e rafforzare stereotipi, pregiudizi, discriminazioni, già presenti nella società.  Dalle stesse indagini risulta che sono stati quasi sempre a valenza negativa (Legge Bossi- Fini/sanatoria 28,4%, clandestini/sbarchi 23,2%, lavoro 10,5%, intolleranza 7,9%, criminalità 5,1%, prostituzione 3,7%). Inoltre, si è constatato che anche la terminologia con la quale si parla dell'immigrazione è negativa: clandestini, sbarchi, criminalità, prostituzione, sono argomenti che alimentano nell'immaginario collettivo la creazione di stereotipi negativi agendo sul delicato binomio sicurezza/insicurezza.
Comunque, nell'indagine si evidenzia come sia opportuno, accanto a questo fronte in cui l'immigrazione appare come «emergenza», «invasione» o «inciviltà», citare una serie di servizi di approfondimento, saggi e inchieste di giornalisti che hanno valorizzato il processo di integrazione in atto e le virtualità positive dell'immigrazione, pur senza nasconderne i problemi.

Italia, quotidiani e immigrazione: Articoli per argomenti (2002)


Argomenti

n. articoli

%

Argomenti

n. articoli

%

Clandestini/Sbarchi

280

23,2

Prostituzione

44

3,7

Criminalità

61

5,1

Religione

53

4,4

Intolleranza

95

7,9

Altri temi

203

16,8

Lavoro

127

10,5

 

 

 

Legge Bossi-Fini

342

28,4

Totale

1.205

100,0

È in questo modo che si crea lo stereotipo dell'immigrato criminale e più della metà delle notizie sugli immigrati sono di questo tipo. Lo stereotipo positivo agisce molto di meno, di solito riguarda un singolo individuo, un caso pietoso, la vittima di un sopruso, magari una donna, ma questi casi vengono trattati in maniera opaca. È chiaro, quindi, come i media, in particolare i quotidiani con i loro titoli a effetto, per anni hanno svolto un lavoro costante di sistematica formazione-deformazione dell'opinione pubblica, che coincide con la costruzione di una «pedagogia della paura e del sospetto».
La stigmatizzazione degli albanesi ha raggiunto il suo colmo con il massacro di Novi Ligure (21 febbraio 2001), quando una adolescente italiana accusò gli albanesi per l'omicidio di sua madre e del suo fratellino. Erika non riuscì a deviare le indagini della polizia e l'indignazione iniziale antialbanese per fortuna non continuò a lungo. È probabile che questo caso sconcertante abbia segnato una specie di svolta nella rappresentazione mediatica degli albanesi. L'opinione pubblica e i mass media che all'inizio si erano precipitati a puntare subito il dito sugli albanesi, si sono calmati molto dopo che si è scoperto che il delitto era stato commesso dalla stessa Erika e il suo fidanzato. La pressione mediatica nei confronti degli albanesi cominciò a scendere, mentre articoli, titoli e sottotitoli sugli albanesi si spostarono verso le ultime pagine dei quotidiani. Nel frattempo i casi positivi cominciano a vedersi più spesso in riviste e programmi televisivi i quali fanno spazio al loro interno ad artisti, ballerini e calciatori albanesi. Per la prima volta a livello collettivo e nazionale gli albanesi entrano nelle case di quasi tutti gli italiani per emozionare, divertire, far vincere e per essere apprezzati.
Bisogna riconoscere che adesso c'è un calo di pressione mediatica, però c'è nei mass media un autocontrollo un po' forzato, quando dovrebbe venire naturale. Ma non appena succede qualcosa di  clamoroso viene sbattuto in prima pagina. In fin dei conti, se una persona commette un crimine, non ne è certo colpevole la sua etnia. Anche in questi giorni ci sono casi in cui si parla più dell'etnia di un uomo, come se fosse la cosa caratterizzante, piuttosto che del gesto in sé, del crimine in sé. La sua etnia potrebbe avere un'importanza per la conoscenza, per esempio, ma troppo spesso il pubblico non è maturo al punto da distinguere se la sua provenienza venga specificata soltanto per informazione o per stigmatizzare la sua appartenenza etnica.
In conclusione possiamo accennare che nella media italiana c’è la tendenza di drammatizzare e spesso di spettacolarizzare eventi riguardanti agli emigrati albanesi.  Spesso le informazioni sono superficiali e le fonti dell’informazione non verificabili. Tutti questi «difetti in comunicazione» producono articoli superficiali, discriminati e stereotipizzati. Naturalmente, gli effetti negativi di tutta una campagna negativa nei confronti degli emigranti si vede nella reazione  e nel comportamento dell’opinione pubblica.

Il comportamento verso gli immigrati in cinque Paesi dell'Unione Europea

Un monitoraggio svolto dall'Osservatorio della Fondazione Nord Est nel 2002 [4], su un campione di 7.000 unità in 5 paesi europei, ha scoperto che il 23,9% degli italiani considera gli immigrati un pericolo per la propria cultura e identità, il 29,2% una minaccia per l'occupazione e il 39,7% una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone. Riguardo ai primi due argomenti l'Italia si colloca al di sotto della media UE, invece per quanto riguarda l'ordine pubblico e la sicurezza la preoccupazione  rimane sempre alta.

Comportamento verso gli immigrati in 5 Paesi dell'Unione Europea (2000-2002)

 

Gli immigrati sono un pericolo per la nostra cultura e identità

Gli immigrati sono una minaccia per l'occupazione

Gli immigrati sono una minaccia per l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone

 

2002

2000/2001

2002

2000/2001

2002

2000/2001

Italia

23,9

-1,3

29,2

-3,1

39,7

-3,1

Francia

30,5

+5,2

27,7

+0,3

40,2

+4,4

Spagna

25,8

+7,3

31,0

+4,7

34,2

+8,4

Gran Bret..

37,4

+1,8

46,0

-3,9

35,9

+3,9

Germania

22,7

+0,5

41,3

+11,9

31,9

+7,5

Media Ue

27,8

+2,2

35,8

+2,6

36,2

+4,3

Le aeree che sviluppano di più preoccupazioni e stereotipi sono i comuni più piccoli, nei quali il numero degli stranieri è minore. La comunità in queste zone si fa influenzare dai mass media e rimane colpita da cronache clamorose e allarmistiche. Si parla di rapine nelle ville e nei negozi e di tipologie di crimini commessi più dagli stranieri che dagli italiani. Si crea così nell'abitante di provincia un allarme sociale legato all'isolamento e all'impossibilità di ricevere una giusta informazione o dei frequenti contatti diretti con gli immigrati.
La situazione non è così preoccupante per gli abitanti delle grandi città. Loro sono meno spaventati e più tranquilli nei contatti con gli immigrati. Soprattutto nelle grandi metropoli, dove il contatto con gli immigrati è all'ordine del giorno e nonostante le difficoltà che possono esistere, la convivenza viene vista come un problema di integrazione e non di emergenza e di ordine pubblico.

In un sondaggio svolto dalla Swg, nota società di indagini demoscopiche, dal titolo Gli immigrati: come li vediamo..., si nota una grande differenza tra percezioni della gente e realtà. L'idea era di confrontare l'immagine che gli italiani hanno degli immigrati con i dati reali, e le sorprese non sono mancate. A cominciare dalla percezione statistica il 27% del campione intervistato pensa che gli immigrati in Italia siano circa 5 milioni, il 43% che siano 2 milioni e il 15% solo un milione. Mentre, per quanto riguarda i clandestini la risposta non poteva essere precisa, infatti, il 75% pensa che i clandestini siano la metà della popolazione immigrata. Addirittura c'è uno strano 13% che considera tutti gli immigrati come dei clandestini. Sul fronte del lavoro le cose vanno peggio, il 60% degli intervistati è convinto che meno del 50% degli immigrati abbia un lavoro.
Agli immigrati albanesi non è andata bene per niente nel sondaggio. Prima di tutto, sono indicati solo nelle risposte alle domande negative e in quelle positive non appaiono o comunque non risultano tra i primi nelle graduatorie delle risposte. Alla domanda: «Quali sono i meglio integrati nel nostro Paese?», il 17% risponde i «cinesi», il 12% - i «filippini», il 10% risponde i «brasiliani». Gli albanesi vengono percepiti come i più numerosi tra le etnie presenti in Italia, e lo pensa un buon 66%.
Ci sono due situazioni preoccupanti per gli albanesi nel sondaggio. La prima quando si danno una serie di aggettivi (pericolosi, furbi, simpatici, lavoratori, scansafatiche, inaffidabili, umili, pacifici, permalosi, precisi) e si chiede: «Se le dico questo aggettivo, a quali immigrati lo associa?». Gli albanesi vengono associati all'aggettivo «pericolosi», ma anche «permalosi». Va leggermente meglio per i romeni che sono solo «scansafatiche» e «inaffidabili», mentre i cinesi prendono il massimo: «lavoratori» e «precisi». L'altro momento disgustoso è quando il 42% risponde «gli albanesi» alla domanda «Chi le fa più paura?», seguiti dai romeni e marocchini, ma il primato spetta a noi.

Che la percezione degli immigrati in generale e degli albanesi in particolare sia del tutto scorretta ed esagerata, non bisogna sottolinearlo, perché la maggior parte delle risposte non corrisponde alla realtà. Comunque, questi sondaggi servono per riflettere che informazioni discriminanti, parziali, spesso poco professionali è vero che hanno creato e cresciuto il mito negativo degli albanesi.
Ma più che la lettura di sondaggi come quello descritto sopra, la cosa che fa veramente male agli albanesi che vivono in Italia – e stiamo parlando di 400.000 bambini, giovani, studenti universitari, uomini e donne, famiglie intere che hanno deciso definitivamente di far parte della società italiana – è la quotidianità. La vita quotidiana in Italia dimostra che gli albanesi sono una comunità che ha saputo costruire un proprio spazio economico e sociale.
In definitiva, l’emigrazione albanese ha avuto un’influenza significativa anche riguardo alla società italiana la cui percezione, più o meno influenzata dal ruolo svolto dai mass-media, ha considerato gli albanesi prima come fratelli da aiutare poi come minacce ostili da prevenire. Ciò malgrado, gli emigrati hanno saputo costruirsi un proprio spazio economico e sociale. Ai grandi flussi migratori hanno fatto riscontro grandi flussi di rimesse che sono diventate più che mai importanti nella vita economica del paese soprattutto a livello familiare, ma anche a livello nazionale. Hanno attirato l’attenzione per il loro potenziale ruolo di strumento generatore di sviluppo economico e diversi studi, tra i quali quelli promossi dal governo albanese e dalle organizzazioni internazionali, si sono concentrati sugli interventi necessari per trasformare tale potenziale in risultati concreti. Tuttavia il livello delle rimesse tende ad appiattirsi man mano che la migrazione raggiunge uno stadio di maturità, per cui non possono essere considerate una risorsa infinita.

Lo sviluppo economico del paese e in particolare l’aumento delle risorse destinate alla ricerca, le possibilità di carriera così come l’aumento dei salari, diventano obbiettivi sempre più importanti e urgenti in un paese in cui tra tanta perdita di forza lavoro si perdono tanti professionisti, intellettuali, ricercatori e in generale le menti di cui maggiormente necessita l’Albania. Non si sono ancora verificati rilevanti flussi di ritorno, ma sarebbe certamente auspicabile riuscire a far tornare tutte le menti più qualificate che sono partite per la mancanza di prospettive soddisfacenti nel proprio paese.
Sin da poco dopo la caduta del regime comunista fino ad oggi, l’Unione Europea rappresenta la prospettiva verso cui l’Albania rivolge il proprio sguardo e verso cui si concentra gran parte dell’impegno dei governi albanesi. Attraverso una rete di relazioni sempre più strette, l’Albania è diventata un potenziale candidato all’adesione e oggi beneficia del nuovo Strumento di Assistenza di Pre-Adesione in diversi settori chiave come il rafforzamento delle istituzioni democratiche, la promozione dei diritti umani, le riforme in campo amministrativo, giudiziario e quant’altro. Anche la questione del controllo sui confini e l’armonizzazione della legislazione in materia di migrazione ricevono attenzione nell’ampia gamma di 36 requisiti che l’Unione Europea richiede. È anche col supporto dell’UE che si elabora il National Plan on Migration e il Workshop on the National Plan on  Remittances, due lavori di grande importanza per la pianificazione degli interventi volti alla gestione dell’emigrazione e alla canalizzazione delle rimesse verso investimenti produttivi. Seppure l’accesso all’Unione Europea non si presenti come una possibilità nel breve periodo, di certo l’Albania sta lavorando per far sì che tale prospettiva sia sempre più vicina. 



Frosina Qyrdeti e Adriana Gjika
(n. 9, settembre 2013, anno III)

NOTE

1.Devole 1996, p. 44.
2. Devole 1996, p. 56.
3. Caritas. Immigrazione Dossier Statistico, Anterem, 2003, pp.207-208.
4. Fonte: Indagine dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes.

BIBLIOGRAFIA

Barjaba K., Dervishi Z., Perrone L., L'emigrazione albanese: spazi, tempi e cause, in Studi Emigrazione, XXIX, 1992, n°107
Bonifazi C., L'immigrazione straniera in Italia, Il Mulino, 2007
Caritas, Immigrazione Dossier Statistico, Anterem, 2007
Devole R., L'immigrazione albanese in Italia. Dati, riflessioni, emozioni, Agrilavoro, 2006
Mazzara B. M., Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, 1997
Melchionda U., OIM, Gli albanesi in Italia. Inserimento lavorativo e sociale, Franco Angeli, 2003
Misja V., Emigrazioni nderkombetar ne Shqiperi gjate periudhes se tranzicionit, Marin Barleti, 1998
Vehbiu A., Devole R., La scoperta dell'Albania. Gli albanesi secondo i mass media, Paoline, 2006
Villano P., Pregiudizi e stereotipi, Carocci, 2003 UNDP, Albanian Human Development Report, 2001