La specificità della comunicazione tramite le arti visuali, con riferimento alla scultura

Abbiamo scelto un titolo parlante per la nostra ricerca, per dimostrare che l'arte è un tipo di comunicazione senza barriere linguistiche e culturali. La presente indagine cerca di far luce su diversi aspetti legati alla storia dell'arte, con riferimento speciale alla scultura fatta a Carrara, perché qui, senza esagerare, è patria degli scultori provenienti da tutto il mondo che comunicano tra loro in un modo speciale.
Il nome della città rimanda, per antonomasia, al marmo, se pensiamo alla fama della località, guadagnata grazie a questo prezioso materiale. Artisti di tutto il mondo sono venuti e continuano a venire qui per cercare i loro blocchi nelle montagne in cui, come Michelangelo, tentano di intravedere la forma delle opere future che saranno create poi nelle celebri botteghe ai piedi delle Apuane.
Come in ogni altra arte, nella scultura un'opera è il risultato dell'azione di fattori legati all'individualità dell’artista, ma anche all'ambiente dove vive, se teniamo conto che questo è soggetto non solo ai condizionamenti estetici, culturali e sociali e soltanto in minima misura linguistici. Nelle recenti ricerche in sociologia delle arti, senza trascurare le teorie consolidate secondo cui l'opera d'arte è un oggetto unico, in cui l'artista si esprime, si insiste sul fatto che qualsiasi creazione acquisisce il suo diritto a esistere solo quando entra a far parte della produzione culturale. (Finocchi 2005, 13) E la ricezione dell'opera non dipenderà dalla lingua parlata dall'autore dell'opera ossia da quella di chi guarda l'immagine. Il successo dipende soprattutto dal modo in cui l'autore riesce a comunicare il suo messaggio estetico attraverso segni visivi, trasposti poi, in parte, in parole, da critici e storici dell'arte nelle loro ricerche. Un'analisi del modo in cui la comunicazione si è fatta attraverso la scultura a Carrara deve registrare cronologicamente le variazioni storiche e sociali, ma anche quelle interne ai sistemi culturali, estetici e comunicativi che interferiscono, determinando in vari contesti spaziali e temporali un complesso di cambiamenti e innovazioni, che possono spiegare la specificità della scultura contemporanea.
Pertanto, per comprendere come sia possibile che il linguaggio della scultura praticata a Carrara riesca a superare i limiti geografici e linguistici, dobbiamo tenere conto anche degli elementi costitutivi che compongono la sfera più ampia della sociologia dell'arte e della cultura, ma anche del quadro più generale del nostro problema, più precisamente la storia e la geografia della penisola italiana. Per il nostro argomento, siamo interessati a ricercare specialmente l'ambiente di creazione dell'oggetto scultoreo e meno la sua ricezione, cercando di evidenziare le dinamiche sociali e culturali specifiche di questo luogo dove artisti provenienti da tutto il mondo, che parlano lingue diverse, vengono a realizzare sculture. Di conseguenza, il loro linguaggio comune sarà quello specifico del campo della scultura, dell'estrazione e della lavorazione del marmo, in particolare, e quando appaiono difficoltà di comunicazione, nel trovare termini corrispondenti per un materiale, uno strumento o un metodo o una tecnica, si ricorre o a un linguaggio internazionale, noto a tutti, o al linguaggio universale del gesto.
Nelle cave apuane, i cavatori, cioè i minatori delle cave di marmo, sotto il sole cocente e i riflessi abbaglianti dell'oro bianco, che da lontano sembrano un lucido strato di neve, parlano poco, ma con un tono alto, perché i macchinari impiegati nello sfruttamento e nella lavorazione coprono la voce umana. Questo perché, come ci racconta chi pratica da tempo l'estrazione del marmo, devono avere occhi e orecchie buone per osservare e ascoltare la montagna, che è viva e in movimento (Nacinovich 2023, passim). Tra loro, i minatori usano il dialetto carrarese o carrarin (carrarino) (Luciani 2003, passim), come lo chiamano gli abitanti del posto, che costituisce un'isola linguistica tra l'area toscana e quella ligure-lunigiana. Dopo una giornata di lavoro in cui sono esposti a ogni genere di pericolo, davanti a un bicchiere di vino, i minatori di Carrara diventano più comunicativi e parlano con piacere delle loro famiglie, della vita durissima nelle cave, a volte lontani da casa, dormendo in baracche e lavorando al vento, al sole e alla pioggia. Raccontano anche con orgoglio del loro atteggiamento anarchico, adottato per realizzare i loro ideali di libertà e uguaglianza sociale e per migliorare le condizioni di lavoro.
Di indole taciturna, Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 – Roma, 1564) lavorò al fianco di queste persone che contribuirono indirettamente alla creazione dei capolavori del grande scultore. «Michelangelo scolpì qui» è un leitmotiv di cui i carraresi vanno fieri. Per loro, la possibilità di avere Michelangelo a Carrara significava anche l'opportunità di avere un committente valido e famoso, poiché i quantitativi da lui ordinati erano sempre ingenti, considerando le dimensioni delle opere artistiche che voleva realizzare. Sappiamo, ad esempio, che Michelangelo si recava nelle cave e sceglieva personalmente, con occhio esperto, il blocco per la sua futura opera. Lavorò al fianco dei carraresi, eternamente spolverati di particelle minutissime di marmo, poco comunicativi, e, quando si parlava, urlavano addirittura, un'abitudine acquisita, come ho già detto sopra, perché costretti a coprire con la voce il rumore prodotto dagli strumenti utilizzati per estrarre la pietra preziosa. Dopodichéil marmo era stato grossolanamente sgrossato, con l'aiuto dei lizzatori (termine quasi intraducibile in altre lingue) (Istrate 2012, 93), guidati da un capolizza che impartiva ordini precisi a voce alta, e il blocco veniva calato in sicurezza a valle con una specie di slitta di legno (= lizza) su cui, nelle cave di pietra, venivano caricati i blocchi per farli scivolare a valle fino al luogo di carico. Venivano poi trasportati con carri trainati da buoi, con grande cura, lungo la strada chiamata via Carriona, che si snoda lungo il fiume Carrione, fino al porto. Forse proprio per questo motivo la ruota ad aghi dei carri, trainati a volte da 15-20 coppie di buoi, che trasportavano a valle tonnellate di marmo, divenne il simbolo della città, posta come principale motivo ornamentale sulla facciata della Cattedrale di Carrara. Alla base di una delle finestre gotiche della cattedrale si legge un eloquente motto: FORTITUDO MEA IN ROTA (La mia forza è nella ruota) [1].
Probabilmente non è un caso che il nome della città abbia la stessa radice lessicale del nome del fiume e della via, inviando alla forma latina carrus o carrum, che designava un veicolo, solitamente a quattro ruote, trainato da buoi, destinato al trasporto di oggetti molto pesanti [2]. Per il geografo Emanuele Repetti, il toponimo deriverebbe dal francese carrière, che ha l'equivalente italiano cava. Sull'etimologia del toponimo Carrara ci sono diverse opinioni, prive di fonti attendibili, come quella di San Gerolamo. Gino Bottiglioni, anch'esso con fonte non verificabile, affermava che il nome della città deriverebbe dalla forma ligure KAR(R)A (=pietra), a cui si aggiunge il suffisso -ARIA, che avrebbe designato il luogo in cui fu rinvenuta una grande quantità di pietra [3].
Michelangelo non parlava molto mentre lavorava e possiamo trovare una spiegazione credibile per questo atteggiamento. Non usava sistemi matematici per trasporre il modello nel blocco di marmo ed era ossessionato dalla soggettività del processo di trasposizione del concetto, intravisto solo da lui, nella pietra. Ne troviamo la testimonianza in uno dei suoi celebri sonetti trovati in Rime (2016, 206):

                            «Non ha l'ottimo artista alcun concetto
c'un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all'intelletto».

Cioè, come spiegano i critici letterari, nell'atto creativo consapevole, l'intelletto guida la mano verso la scoperta della forma, circondata dalla materia inutile che deve essere scolpita, una forma che emerge successivamente attraverso l'azione dello scalpello e del martello, maneggiati con precisione. In altre parole, solo seguendo l'idea della mente la mano riesce a liberare ciò che inizialmente era solo un concetto. Si tratta, quindi, dello sforzo intellettuale e fisico dello scultore nell'atto della creazione. Questo modo di operare del grande scultore ci dà un'indicazione plausibile della sua impossibilità e, forse, incapacità di comunicare quando lavorava: non affidava le operazioni di modellazione delle superfici della scultura a un'altra persona, perché nessun altro intuiva nel blocco monolitico ciò che lui intravedeva. Comprendiamo, quindi, perché, per Michelangelo, la collaborazione e la comunicazione con altri non fossero necessarie nella messa in pratica dell'idea. Il metodo di lavoro di Michelangelo, infatti, non consisteva nel plasmare la materia, cioè «per via di porre», ma «per forza di levare», come diceva l'artista stesso, cioè nell'attaccare il blocco di pietra da una delle sue facce, forzando gradualmente le forme a emergere come dall'acqua di un «bacino» che si svuota lentamente, come metaforicamente espresse il primo storico dell'arte italiano, Giorgio Vasari, nelle Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri (1550).
Le esperienze di Michelangelo nelle cave di marmo di Carrara, alcune piacevoli e benefiche, altre no, sono narrate nel carteggio dello scultore, attualmente conservato nell'archivio di Casa Buonarroti a Firenze. Antonella Brogi è colei che ha lavorato per due anni alla ricerca delle 342 lettere di Michelangelo, rendendole preziose per gli interessati [4]. Ricordiamo che un'analoga iniziativa esisteva già, ma non era accessibile al pubblico perché risale al 1875, e l'edizione fu curata da Gaetano Milanesi. Si tratta di Le lettere di Michelangelo Buonarroti, pubblicate coi Ricordi ed i contratti artistici. Firenze: Succ. Le Monnier, 1875.
Il passaggio del grande scultore per questi luoghi liguri, di cui si sa che preferiva esprimersi meno con le parole, sebbene le usasse magistralmente nella scrittura, perché, come abbiamo già accennato, è noto anche come creatore di sonetti, ha lasciato testimonianze materiali nella zona. Sembra che ci sia persino una sua scultura sul portale della chiesa di Ortonovo, un piccolo paese a nord di Carrara. Al grande scultore sono poi attribuiti anche un crocifisso nella chiesa del borgo di Castelpoggio e un altro nella chiesa degli Apostoli San Rocco e Giacomo a Massa [5].
Un'altra notizia concreta sulla presenza di Michelangelo a Carrara nel 1525 è considerata l'iscrizione incisa sul celebre bassorilievo di Fantiscritti, oggi museo della cava, dove, tra le numerose firme dei passanti, si legge anche quella del Buonarroti sotto quella data [6].
Tutti questi aspetti hanno contribuito alla creazione e all'alimentazione del mito di Michelangelo e del marmo di Carrara. Le cave di Carrara sono diventate il luogo più ambito per l'approvvigionamento di materiale di altissima qualità, ma anche per scultori provenienti da tutto il mondo che lavorano ancor oggi in laboratori di tradizione. Quando diciamo Carrara pensiamo al marmo per eccellenza, un materiale con cui si sono misurati tutti i grandi scultori italiani, ma anche di altre parti del mondo. Il marmo di Carrara (per i Romani marmor lunensis = marmo di Luni) è un tipo di pietra estratta dalle cave delle Alpi Apuane, noto come uno dei marmi più pregiati. Lo statuario, in italiano, è il nome di una varietà di marmo di Carrara, bianchissimo, traslucido, a grana fine, facilmente e perfettamente scolpibile, solitamente adatto alla realizzazione di statue [7]. Alcune delle più importanti opere architettoniche e scultoree in Italia e nel mondo sono state create con questo marmo che sa «parlare» a chi lo intende.
Il mito di questa ricchezza caratteristica delle Apuane, creato, come ho sottolineato  sopra, anche dalla fama di Michelangelo, è stato continuato nel corso della storia, soprattutto in epoca barocca, da Bernini, che ha lavorato con una predilezione costante con questo materiale. In modo completamente opposto a Michelangelo, egli rinuncia al monolite e utilizza metodi di trasposizione ma, soprattutto, si avvale stabilmente di un gran numero di assistenti, artigiani o scultori, alcuni dei quali sono diventati, a loro volta, noti. Motivandoli finanziariamente nella creazione delle sue opere celebri, nella bottega di Bernini a Roma si comunicava tramite i diversi dialetti d'Italia e la scultura rappresentava il denominatore comune nei loro contatti. Talvolta, tuttavia, Bernini non riconosceva pubblicamente il contributo tecnico e artistico dei suoi collaboratori, il che portava all'emergere di incomprensioni con alcuni collaboratori, ma le controversie erano in realtà legate a cause extralinguistiche. Pensiamo allo scultore Giuliano Finelli (Carrara, 1601-Roma, 1653). Sembra che il motivo dell'interruzione della collaborazione con Bernini, invocato dallo scultore carrarese, sia stato il mancato riconoscimento del suo importante ruolo nella realizzazione di Apollo e Dafne, in particolare nella celebre scena della metamorfosi delle palme aperte in rami di alloro.
Comunque, in alcuni casi, come quello dell'opera monumentale che è il Baldacchino di San Pietro (1624-1633), la storia dell'arte apporta una necessaria precisazione nell'indicazione dell'autore, poiché, accanto al nome di Gian Lorenzo Bernini, viene aggiunto «e bottega», riconoscendosi così il contributo di diversi artigiani e artisti, che tuttavia rimangono anonimi ai destinatari. Lo stesso accade con il monumento funebre realizzato per papa Alessandro VII, sempre nella Basilica di San Pietro, in Vaticano. Frutto di un'ampia collaborazione tra i membri della bottega, il monumento è tra i successi più interessanti conseguiti dalla squadra di Bernini, che si riserva solo il merito di aver concepito il complesso progetto e il ruolo di supervisore dei lavori. Vale la pena notare che il Baldacchino di San Pietro gli dà l'opportunità di collaborare con il collega, ma anche rivale, Francesco Borromini, originario del Ticino. Questa realizzazione è frutto di un lavoro di cantiere collettivo, che coinvolse Borromini, nella sua qualità di assistente per la parte architettonica, ma anche altri artisti celebri, come gli scultori Stefano Maderno (nato, secondo alcuni, nell'odierno Canton Ticino, Svizzera), François Duquesnoy (scultore fiammingo), Andrea Bolgi, detto il Carrarino, Giuliano Finelli (nato a Carrara), Luigi Bernini (il fratello di Gian Lorenzo) e una schiera di altri anonimi scalpellini.
Nonostante le rivalità all'interno di quella che costituiva la bottega di Bernini, fu qui che venne realizzata la maggior parte della scultura barocca di Roma. La maggior parte degli scultori contemporanei di Bernini collaborò con lui in questo periodo e non ci fu artista che rimase immune alla sua influenza. Fu dunque un napoletano, Bernini, a riunire nella sua bottega di Roma i migliori scalpellini e martellisti dell'Italia ancora non unita, per dare vita al marmo di Carrara. Ognuno aveva il proprio dialetto e proveniva da uno spazio culturale già definito, ma il linguaggio dell'arte della scultura li univa, contribuendo alla creazione di un patrimonio non solo italiano, ma veramente universale.
Un momento importante nella storia di Carrara è l'inizio del XIX secolo, quando la città apuana conobbe un momento di grande prosperità. Fu allora fondata la Banca Elisiana (1807), attraverso la quale Elisa Bonaparte, nominata Granduchessa di Toscana da Napoleone, intese sovvenzionare il settore del marmo, valorizzando gli artigiani locali e attirando in città artisti di diversa provenienza. Carrara diviene così un centro artistico di primo piano nella creazione e riproduzione di sculture destinate alle corti e alle residenze imperiali di tutta Europa. In questo contesto, ricordiamo il contributo di Pietro Tenerani (Torano, Carrara, 1789 – Roma 1869), scultore formatosi a Carrara, che perfezionò le sue abilità con Antonio Canova e nel 1813 a Roma, nella bottega del danese Bertel Thorvaldsen, di cui divenne allievo e collaboratore prediletto. Ottenne prestazioni tali che le malelingue dell'epoca affermarono che gran parte degli elogi tributati al maestro danese fossero da attribuire allo scalpello del giovane discepolo. In realtà, a partire dal 1805, il danese, giunto a Roma, fu costretto ad ampliare la sua bottega e ad assumere assistenti che eseguivano la maggior parte del taglio del marmo, mentre il maestro si limitava a realizzare schizzi e rifiniture. Tuttavia, si può supporre che i rapporti e la comunicazione tra il maestro e i discepoli non fossero tesi, se si considera che Tenerani, nel 1844, alla morte di Thorvaldsen, ne scolpì un ritratto che donò all'Accademia [8]. Sempre nella prestigiosa bottega di Thorvaldsen, dopo gli studi all'Accademia di Belle Arti di Carrara, si affermò un altro scultore carrarese di origine belga, Luigi Bienaimé. Tra gli studenti di Thorvaldsen ricordiamo anche Hermann Vilhelm Bissen (scultore danese), Hermann Ernst Freund (scultore danese), Emil Wolff (nato a Berlino), Ludwig Schwanthaler (scultore tedesco), Eduard Schmidt von der Launitz (scultore tedesco).
Per il nostro argomento, segnaliamo il fatto importante che, in questo periodo, non solo scultori carraresi, ma da tutta Europa, arrivarono a Roma per perfezionare le loro conoscenze, sostenuti a spese delle accademie d'arte dei loro paesi d'origine. E le botteghe di scultura di Canova e Thorvaldsen confermarono che non erano la provenienza e la lingua parlata nelle botteghe a contare, ma il linguaggio della scultura. In una bottega, nel caso di composizioni complesse, si ricorreva alla specializzazione degli artigiani nell'esecuzione di operazioni che richiedevano fatica e tempo. A questo proposito, c'è la testimonianza documentata di Emanuele Repetti:
«Analogo è il procedimento dei grandi artisti di Carrara: essi, nell'organizzare l'esecuzione di un gruppo statuario, o di un importante ornamento, affidano vari lavori preparatori a subordinati, uno dei quali sgrossa, un altro fissa i punti, un altro sbalza le parti principali, e, una volta che l'opera ha lasciato le mani del maestro, altri aiutanti prendono in mano l'opera, chi per lucidarla, chi per lavorare i fiori nei capelli e gli accessori. In questo modo, con grande risparmio di tempo, fatica e spesa, molti partecipano alla creazione, ma solo l'artista è colui che dà vita all'opera» (Repetti 1969, 93).
Informazioni preziose sulla storia dell’impiego del marmo di Carrara nella scultura, soprattutto monumentale, si possono trovare in un pertinente studio di Federico Giannini e Ilaria Baratta (Giannini – Baratta 2022), per cui non ci soffermeremo su questo aspetto.
La formazione e l'affermazione di giovani scultori italiani o stranieri è stata e sarà una sfida per dare impulso all'attività dei laboratori di Carrara. Considerata città-laboratorio, Carrara rimane un punto di riferimento nella storia della scultura italiana, se pensiamo solo alla realizzazione delle opere di Henry Moore o Mario Merz e altri prima di loro. Michelangelo Cave Art Studios, laboratorio di fama internazionale, è stato scelto dai più apprezzati artisti contemporanei come luogo di esecuzione delle loro opere. La squadra di specialisti trovati nei laboratori ha realizzato opere concepite di Jan Fabre, Vanessa Beecroft, Jan Van Oost, Paul McCarthy, Daniel Buren, Nagasawa. Il più delle volte scultori famosi si presentano con un progetto e lo affidano a un gruppo di formatori, modellatori, scultori e rifinitori per ottenere una o più copie della loro scultura. In questi laboratori, ad esempio, è stato realizzato per Maurizio Cattelan il monumento alto 11 metri denominato L.O.V.E, ma è spesso conosciuto con il soprannome di Il dito, perché rappresenta il dito medio in un gesto osceno. E oggigiorno, quando gli artisti si limitano a concepire un'opera, dissociandosi programmaticamente dall'artigiano che la esegue, si registra un numero impressionante di collaborazioni con i protagonisti dell'arte contemporanea. Tuttavia, notiamo con nostalgia e stupore che, laddove Michelangelo arrivò e lavorò, oggi un robot trasforma le idee degli artisti concettuali in un'opera d'arte. Eppure, una volta creato il mito di Michelangelo, il miraggio del marmo di Carrara opera ancora oggi. Eric Scigliano, nel suo libro su Michelangelo (2005), nota che sono molti gli scultori americani che portano Carrara nel cuore, perché solo tra i marmi bianchi delle Apuane è possibile riscoprire il senso di grandezza dell'antica Roma e la maestria degli artigiani rinascimentali.
E poiché stiamo parlando di comunicazione attraverso l'arte e dell'apertura della gente del posto verso l'altro, cioè verso lo straniero giunto a Carrara, faremo un esempio in tal senso, ricorrendo alle confessioni di Boutros Romhein. È un noto scultore siriano che venne qui per lavorare il marmo, dove rimase, forse anche determinato da una triste esperienza nel suo paese. Una sua opera intitolata Dialogo, che si trovava a Damasco, fu danneggiata da una bomba. Forse è per questo che tutte le sue opere si concentrano sul concetto di apertura e dialogo. Boutros proviene da una minoranza cristiana siriana, ma si è adattato alle usanze locali. Ha fondato qui una famiglia e ha realizzato una residenza artistica per scultori. A suo parere:
«I carraresi si comportano in modo scontroso e credo che ne siano persino orgogliosi. Uno scultore, invece, viene a Carrara perché il marmo è a portata di mano e qui trova grandi maestri e committenti importanti. [...] E la vita è semplice: scultori da tutto il mondo possono incontrarsi al bar, senza dover prendere la metropolitana o fissare un appuntamento via email. Carrara funziona come un villaggio, ma parla dialetto, inglese, arabo e cinese. Se qualcuno scolpisce il marmo, lo riconosci da quanta polvere di marmo ha addosso. […] E non ci vivono solo scultori: artisti plastici di ogni genere trovano asilo e ispirazione in questa città, probabilmente per il clima che respiriamo (non mi riferisco agli inverni freddi e piovosi)» [9].
Un'altra confessione su come viene percepita l'atmosfera multiculturale di Carrara si può trovare in un'intervista condotta da Barbara Monaco alla scultrice fiamminga Sylvie Van den Broeck. Dopo il contatto artistico con Carrara, rivela, dal suo punto di vista, i vizi e le virtù di chi è nato ai piedi delle Apuane:
«Carrara è come il mondo intero perché è assolutamente internazionale, ma, nello stesso tempo, a misura d'uomo: voglio dire, chiunque tu voglia incontrare, lo incontrerai sicuramente in piazza, che sia un artista cinese o americano, e tutto questo, con estrema facilità, senza dover correre da un capo all'altro di una grande città, sovraffollare la tua mente di appuntamenti e orari, con tutto quello che ne consegue. Insomma, tutto quel che ti serve è già qui» [10].
La conclusione dell'intervista alla scultrice belga è una vera e propria dichiarazione d'amore: «Carrarini, io vi amo così: litigiosi e caotici». Con una simile confessione, possiamo concludere che i carrarini, pur essendo rumorosi e orgogliosi delle loro tradizioni, sono aperti ai contatti con il mondo intero.
E per delineare la natura dei Carrarini, ci rivolgiamo anche a una dichiarazione di un abitante del posto, che li definisce così:
«Sai qual è la frase migliore per definire il carrarino? Il contro in testa… Per spaccare il marmo devi capire qual è la linea giusta, il suo verso. Se la segui, tagliarlo è facile. Se invece provi a tagliarlo diciamo al contrario, se vai contro il verso, non ci riesci: non c’è verso, proprio. E quello si chiama contro. Ecco, i carrarini hanno il contro in testa, sono duri, resistono, e non c’è verso di scalfirli. Non c’è verso, proprio» [11].

                Forse è per questo che si considerano anarchici, ma dal significato della parola, ciò che è specifico per loro è principalmente il lato positivo, cioè ciò che implica disobbedienza, libertà, creatività, innovazione e non caos o disorganizzazione [12].
La conclusione intrinseca del nostro approccio è che la scultura italiana, famosa in tutto il mondo, soprattutto tramite le opere in marmo di Carrara di Michelangelo, acquisisce una forte dimensione antropologica e determina la capacità del mondo intero di valutare la specificità culturale di determinati luoghi. Indipendentemente dalla lingua che parlano e dallo spazio geografico di appartenenza, gli artisti si incontrano e insieme traspongono il marmo in opere d'arte. E questo accade soprattutto a Carrara perché, nell'arte della scultura, il materiale è di fondamentale importanza per il raggiungimento di effetti plastici, portatori di messaggi che superano le barriere linguistiche. E questo fenomeno è possibile perché l'arte visiva rappresenta, secondo le teorie degli specialisti, un linguaggio universale. Il migliore che abbiamo a disposizione, perché non ha bisogno di mediazioni: è istintivo, diretto, libero, inclusivo. La bellezza dell'arte costituisce l'alfabeto ideale per comunicare il mondo e i suoi cambiamenti. L'arte visuale è un linguaggio, è un percorso per incontrare persone di culture e lingue diverse. Contiene in sé infiniti segni visuali attraverso i quali comunica al mondo intero e, sebbene ogni popolo abbia la sua simbologia, possiamo affermare, insieme con tutti gli artisti, che, attraverso l'arte, il mondo intero si rimodella e diventa più armonioso, perché tende ad annullare le distanze e a unire nello spirito, nonostante l'esistenza di confini geografici e culturali.


George Dan Istrate
(n. 11, novembre 2025, anno XV)




NOTE

1. Cfr. https://web.comune.carrara.ms.it/pagina1838_lostemmadelcomunelaruota.html9.
2. Cfr. https://www.treccani.it/vocabolario/carro/.
3. Cfr. https://web.comune.carrara.ms.it/pagina1837_origine-e-significato-del-nome-di-carrara.html.  
4. Cfr. https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/20/cosi-ho-salvato-le-lettere-di-michelangelo-e-alla-fine-mi-ha-fatto-ridere-parla-antonella-brogi-la-restauratrice-degli-scritti-del-genio-fiorentino/7088878/.
5. Cfr. https://castelpoggio.typepad.com/il_mio_weblog/2006/12/michelangelo.htm.
6. Cfr. https://web.comune.carrara.ms.it/pagina1843_michelangelobuonarroti14751564.html.
7. Cfr. https://www.fratellimarmo.com/materiali/marmi/marmo-bianco-statuario/.
8. Cfr. https://artsandculture.google.com/asset/portrait-of-bertel-thorvaldsenpietrotenerani/fwGF5f2LnrhpNg?hl=it.
9. Cfr. https://patate-cipolle.com/2015/10/05/gli-scultori-del-far-west/.
10. Cfr. https://www.iltirreno.it/massa/cronaca/2014/07/06/news/carrarini-io-vi-amo-cosi-litigiosi-e-caotici-1.9551296.
11. Cfr. https://www.nazioneindiana.com/2012/07/11/il-contro-in-testa/.
12. Cfr. https://patate-cipolle.com/2015/10/05/gli-scultori-del-far-west/.


Bibliografia

Buonarroti, Michelangelo, Rime. A cura di Antonio Corsaro e Giorgio Masi. Milano, Bompiani, 2016.
Buonarroti, Michelangelo. 1875. Le lettere di Michelangelo Buonarroti, pubblicate coi Ricordi ed i contratti artistici / per cura di Gaetano Milanesi. Firenze, Le Monnier, 1875.
Finocchi, Riccardo, Arte e non arte. Per una sociologia dell’estetica. Roma, Meltemi Editore, 2005.
Giannini,F., Ilaria Baratta, I., Il marmo di Carrara nell’arte. Storia del suo utilizzo nei monumenti, Il 12/11/2022 (https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/il-marmo-di-carrara-nell-arte-storia-utilizzo-nei-monumenti) (visitato il 15 ottobre 2023).
Istrate, George Dan, Note asupra termenilor referitori la sculptură în italiană. Implicații în traducerea în limba română. În «ANALELE UNIVERSITĂȚII DIN CRAIOVA», SERIA Științe Filologice, LINGVISTICĂ, ANUL XXXIV, Nr. 12,2012, p.93-100.
Luciani, Luciano. 2003. Vocabolario del Dialetto Carrarese, 2 tomi. Carrara, Fondazione CRC, 2003.
Nacinovich, Frida, L’orgoglio dei cavatori, quanta fatica per estrarre l’oro bianco di Carrara, in «Sinistra sindacale», 29 Gennaio 2023, nr.2 https://www.sinistrasindacale.it/index.php/periodico-sinistra-sindacale/numero-02-2023/2647-l-orgoglio-dei-cavatori-quanta-fatica-per-estrarre-l-oro-bianco-di-carrara-di-frida-nacinovich (visitato il 15 ottobre 2023).
Repetti, Emanuele. 1833-1845. Dizionario geografico fisico storico della Toscana, contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato, Ducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana. Roma: Multigrafica, 1969, 6v., ristampa anastatica dell’edizione originale, Firenze, A. Tofani.
Scigliano, Eric. 2005. Michelangelo’s Mountain. New York, Free Press,2005.
Vasari, Giorgio, Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’tempi nostri, a cura di L. Bellosi, A. Rossi, Torino: Editore Einaudi, 1991.

Webografie
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/03/20/cosi-ho-salvato-le-lettere-di-michelangelo-e-alla-fine-mi-ha-fatto-ridere-parla-antonella-brogi-la-restauratrice-degli-scritti-del-genio-fiorentino/7088878/ (visitato il 15 ottobre 2023).
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https://artsandculture.google.com/asset/portrait-of-bertel-thorvaldsen-pietro-tenerani/fwGF5f2LnrhpNg?hl=it). (visitato il 15 ottobre 2023).
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