Gino Ruozzi: Giuseppe Pontiggia e gli aforismi

Giuseppe Pontiggia ha sempre avuto una grande passione per il genere letterario dell’aforisma. Lo ho approfondito come studioso e lo ha coltivato come scrittore in diversi testi e libri, inserendolo sovente anche all’interno dei romanzi e definendolo «aforisma narrativo».
Per Pontiggia l’aforisma è esempio di sintesi e di precisione, perché ha la possibilità e la capacità di racchiudere in poche parole concetti ed esperienze estese e profonde. In sostanza: di dire l’essenziale. Questo obiettivo ha distinto l’intera attività letteraria di Pontiggia, per il quale l’essenzialità è stata una ricerca costante e tenace, un lavoro paziente e lenticolare, un traguardo ambito e raggiunto.
L’essenzialità di Pontiggia punta alla verità: essa è frutto di dati, osservazioni e interpretazioni puntuali e sovente smaschera luoghi comuni e ambigue certezze. Servendosi soprattutto dell’uso appropriato e calzante della lingua.

Un primo esempio:

SOLDATI – Operatori di pace.

Quattro parole per una definizione aforistica basata sulla struttura della «voce» lessicale del vocabolario, libro e modello amatissimo da Pontiggia. La voce è «Soldati» e il significato corrispondente è «Operatori di pace». L’effetto è paradossale e comico. In nessun dizionario troveremo questa spiegazione del termine «soldati». Si tratta evidentemente di una definizione ironica che capovolge la tradizionale natura del termine. Pontiggia esprime una contro verità, mostra l’uso falsificatorio del linguaggio e delle cose. Mette in rilievo e stigmatizza le forzature della storia e l’impiego improprio di un termine militare per indicare uno scopo pacifico. Dire che i «soldati» sono «operatori di pace» è una contraddizione in sé e pone in luce l’ipocrisia dominante della politica e della comunicazione di massa, ribadendo la facilità con cui esse si impongono e vengono accettate in modo acritico.
Interpretando la natura sarcastica e polemica propria dello scrittore di aforismi, Pontiggia fa dell’aforisma una pungente freccia di verità. Pensando alla letteratura della Romania, lo assocerei a Émile Cioran, che ha avuto in Italia due amici e sintonici scrittori di aforismi quali Guido Ceronetti e Mario Andrea Rigoni.
Pontiggia lavora molto sulle espressioni e i significati linguistici, che sono matrici e specchi di comportamento. Il titolo del libro in cui è contenuto l’aforisma citato è Le sabbie immobili (1991). Anche per questo titolo egli prende spunto da una frase comune, «le sabbie mobili», indicazione di insidioso pericolo per chi le avvicina. Egli però ne modifica parola e concetto aggiungendo un semplice prefisso, passando dalla nozione di «mobile» a quella di «immobile». Ogni cosa cambia tranne l’avvertimento del pericolo. L’allarme resta, anzi si accentua nella sottolineatura della paralisi sociale e culturale che l’aggettivo «immobile» addita, aggravando la situazione. Tutto è talmente stagnante, ripetitivo, stantìo che la situazione raffigurata risulta ulteriormente peggiorata. L’immobilismo caratterizza la società italiana degli anni Ottanta del Novecento, in cui le persone sono autori e vittime di luoghi comuni e di neologismi che riflettono un preoccupante impoverimento civile e morale. Il moto progressivo dell’umanesimo sembra bloccato, appunto immobilizzato. Anche nelle nuove parole che dovrebbero indicarne l’avanzamento.
Pontiggia osserva e fissa un panorama desolato, in cui si è più spesso automi che individui, oggetti di massa più che soggetti pensanti. Ognuno preso dall’ansia del successo e dell’essere alla moda, pupazzi di una sostanziale alienazione collettiva. Con scene e aforismi spesso grotteschi e ilaro-tragici, egli descrive per frammenti aforistici una società di burattini in cui sono essi stessi a imprigionarsi, per lo più in preda a risibili dèmoni e idoli mediatici, con inequivocabili esiti di pietà e di follia. Ne nasce un teatro «microcomico», per usare il titolo di una sezione di aforismi delle Sabbie immobili di cui riporto di seguito alcuni esempi:

INTER NOS – Inter omnes.

INCREDIBILE – Usato per attirare l’attenzione su ciò che stiamo dicendo, perciò usato continuamente. Suscita rassegnazione in chi lo ascolta, perché non si tratta mai dell’incredibile, ma solo di ciò che è scarsamente credibile. Ho fatto un incontro incredibile (detto per «interessante»). Ma l’interesse di chi ascolta è già scemato. Ho conosciuto una donna incredibile. L’interesse è zero. Incredibile è, alla lettera, solo chi lo dice.

VINCENTI – Basta guardarli.

RILEGGERE – Si usa per i classici che si leggono per la prima volta.

SINCERAMENTE – Lo stesso che onestamente. Sono sinceramente contento per te, credimi. Come credergli?

SALTO DI QUALITÀ – Come diceva Lec, la pulce salta, ma non di gioia.

Pontiggia presta tagliente e caustica attenzione ai modi di dire e ai neologismi recenti, che registra con premura in un aggiornato vocabolario della contemporaneità, a un tempo divertente e tragico: «tragicomico». Il sorriso corrosivo delle Sabbie immobili, afferma Pontiggia,scaturisce da «quella amarezza che nell’età matura non spera più di risolvere le contraddizioni e i conflitti, ma li accetta nella loro presenza irriducibile». Questa accettazione realistica della vita non è supponente bensì cordiale e dà luogo a un’indubbia simpatia per l’essere umano, le sue debolezze, i suoi limiti. Lo sguardo di Pontiggia è orizzontale, non verticale. Egli non pontifica poiché partecipa della comune fragilità umana ma ugualmente non rinuncia al giudizio e alla denuncia. Le sue armi contro la passiva ed euforica omologazione di massa sono la coinvolgente curiosità, il desiderio di sperimentare, l’ironia e l’autoironia. Nel tentativo di accendere la scintilla di un pensiero originale, oggi purtroppo raro.

Nel saggio L’aforisma come medicina dell’uomo (introduzione alla raccolta Scrittori italiani di aforismi, Milano, Mondadori, I Meridiani, 1994), Pontiggia sostiene che la principale qualità dell’aforisma è di «racchiudere, entro i limiti di una definizione, il flusso altrimenti inafferrabile dell’esperienza». Concentrare il tanto nel poco, al servizio di una migliore ed economica comprensione della vita. In questa prospettiva già di per sé terapeutica, l’aforisma è «un aiuto che l’uomo offre a un altro uomo, una guida per evitare l’errore o porvi rimedio, il conforto che l’esperienza può dare a chi deve ancora affrontarla». L’aforisma ha il «carattere dialogico di un messaggio solidale», coniugando virtuosamente «brevità, medicina e prudenza».
Pontiggia si inserisce nella grande tradizione degli aforisti antichi e moderni, da Ippocrate a Guicciardini, da La Rochefoucauld a Nietzsche, Kraus e Canetti, Longanesi e Flaiano. Esattezza, brevità e condensazione, la capacità di dire il massimo di significato nel minimo numero di parole. Qualità classiche secondo Alberto Savinio, che nella voce Romanticismo della sua Nuova enciclopedia aveva esaltato «quella misteriosa facoltà che sa ridurre i valori alla potenza massima e al minimo volume e che comunemente si chiama “classicismo”»; «massimo d’informazione con il minimo ingombro» ha scritto Primo Levi in L’altrui mestiere. «Therefore, since brevity is the soul of wit / And tediousness the limbs and outward flourishes, / I will be brief» afferma Polonio nell’Amleto di Shakespeare (II, 2, 90). Čechov, che si definiva «un accanito partigiano delle storielle brevi» (lettera del 12 gennaio 1883 a Nikolaj A. Lejkin), scriveva che «la brevità è la sorella del talento» (lettera dell’11 aprile 1889 ad Aleksandr Čechov). Per essere brevi occorre concentrazione mentale e lessicale, tensione all’essenziale: un esercizio difficile che richiede pazienza e sacrificio. Sembra una contraddizione ma è così. Lo aveva detto in modo impeccabile Pascal nella sedicesima lettera provinciale: «Ho fatto questa [lettera] più lunga perché non ho avuto il tempo di farla più corta» («Je n’ai fait celle-ci plus longue que parce que je n’ai pas eu le loisir de la faire plus courte»).

L’esempio dei cinquecenteschi Ricordi di Francesco Guicciardini è emblematico. L’esperienza è la base sulla quale si fonda il discorso aforistico, che arriva alla sua formulazione finale col timbro dell’essenzialità e del taglio netto. L’invito del celebre «ricordo» 210 di Guicciardini è magistrale:

Poco e buono, dice el proverbio. È impossibile che chi dice o scrive molte cose non vi metta di molta borra [materiale di scarto]; ma le poche possono essere tutte bene digeste e stringate. Però sarebbe forse stato meglio scerre [scegliere] di questi ricordi uno fiore che accumulare tanta materia.

Commenta Pontiggia: «Ammirevole la e copulativa che unisce il poco e il buono. Noi l’abbiamo sostituita con un ma avversativo e questo ci insegna qualcosa sulla nostra idea dello stile, nonché del lettore».

La presenza dell’aforisma si manifesta in più testi di Pontiggia. Nelle particelle narrative che contraddistinguono il romanzo L’arte della fuga (1968) come nei saggi contenuti nelle raccolte Il giardino delle Esperidi (1984) e L’isola volante (1996). Ma direi soprattutto nel libro Prima persona (2002), composto di 180 pezzi («capitoli») ricavati dall’Album mensile pubblicato sul supplemento culturale “Domenica” del quotidiano «Il Sole 24 Ore» dal 2 febbraio 1997 al primo giugno 2003. L’Album è stata un’esperienza di scrittura morale e civile di altissimo profilo, pressoché unica nel panorama italiano odierno. Pontiggia è intervenuto su una quantità di temi attuali intrecciando in modo inscindibile etica ed estetica, secondo il modello della scuola letteraria lombarda, da Parini a Gadda, di cui egli è stato uno dei migliori interpreti novecenteschi. La misura dei testi inclusi in Prima persona è differente e abilmente variata tra l’aforisma e il saggio breve, l’aneddoto, il raccontino, l’apologo. Mi congedo con questi due esempi rappresentativi:

Le leggi della prospettiva – Non valgono nell’ottica dei valori. I piccoli come vedono i grandi? Piccoli come loro.

Gli errori irrimediabili – Non sono quelli che fai tu con gli altri, ma quelli che gli altri fanno con te. Non te li perdonano più.


Gino Ruozzi
(n. 2, febbraio 2023, anno XII)