La lezione di Kierkegaard sul conformismo religioso e l’odierno ambientalismo mainstream (I)

Premessa

È difficile non condividere l’opinione di Robert Lee Perkins secondo cui Kierkegaard è stato un «pensatore cristiano radicale» [1]. Seguendo l'esempio socratico, il danese ha profuso per tutta la vita i suoi sforzi al fine di rendere i suoi contemporanei attenti all'idea religiosa [2]. Si può dire infatti che tutta la sua opera sia stata dedicata a chiarire l'esigenza della fede cristiana, riscoprendone il significato originario, tramandato nel Nuovo Testamento, e allo stesso tempo sottolineando l'eterogeneità del cristianesimo rispetto al cosiddetto «umano generale» [almindelige menneskelige] [3]. Kierkegaard è stato anche un vivace polemista religioso che in nome dell'umana onestà ha contestato l'ipocrisia e il conformismo religioso, rifiutato la commistione tra Chiesa e Stato e attaccato l'idea, assai diffusa alla sua epoca tra il clero, che il cristianesimo potesse sentirsi “a proprio agio” nel secolo.
Prima di ogni altra cosa, però, Kierkegaard ha cercato di sollecitare i suoi contemporanei affinché coltivassero la soggettività e l'interiorità. Diventare se stessi è infatti il compito a cui ciascuno è chiamato nell’intero arco della propria esistenza. Anti-Climacus presenta la realizzazione del sé, cioè il processo mediante il quale il sé diviene se stesso, nei seguenti termini: «Il sé è la sintesi cosciente di infinito e finito che si rapporta a sé, il cui compito è di divenire se stesso, il che può avvenire solo nel rapporto a Dio» [SD 33-34]. Diventare pienamente se stessi implica dunque anche il diventare cristiani, o almeno riconoscere ciò come compito.
In quest’ordine di considerazioni, Kierkegaard ha percepito e denunciato nel conformismo una grave minaccia, ancor prima che per il cristianesimo, per ogni essere umano che aspiri a diventare se stesso. In nessun caso l’uomo deve rinunciare alla propria forma per paura degli altri esseri umani. Quando ciò accade, il singolo individuo diventa liscio come una «pietra che rotola» o come una «moneta corrente», vive cioè a proprio agio in questo mondo, lodato da tutti, ma in realtà è disperato.

«Vedendo la massa degli uomini intorno a sé, essendo indaffarato in ogni tipo di occupazioni mondane, diventando esperto di come va il mondo, un uomo simile dimentica se stesso, dimentica qual è, in senso divino, il suo nome, non osa credere in se stesso, trova troppo rischioso essere se stesso, molto più facile e più sicuro essere come gli altri, diventare una copia, diventare numero, uno della massa» [SD 33-34].

A questo proposito è interessante notare che nella maggior parte dei casi in cui Kierkegaard parla di «imitazione», come valore fondante della vita cristiana, preferisce usare il termine Efterfølgelse, che deriva da un verbo di movimento che significa «seguire», a Efterligning, derivato invece dall'antica radice norrena líkr, glíkr («ciò che ha la stessa forma, ciò che è conforme») [4]. Il cristianesimo è una strada da percorrere e non un modello a cui conformarsi; oppure, in termini latini, il cristianesimo risiede nella sequela e non nell’imitatio. Se da un lato questa scelta lessicale sottolinea il divenire come dimensione costitutiva dell’esistenza, dall’altro getta luce sull’attacco di Kierkegaard al conformismo religioso del proprio tempo.
Il nostro scopo è ora vedere se e come l’attacco al cristianesimo istituzionalizzato possa avere una certa rilevanza anche per l’attuale scenario religioso, che è ovviamente molto diverso da quello in cui il filosofo danese visse e operò.


Cautele procedurali

Da quando Kierkegaard ha puntato il dito contro la falsificazione del cristianesimo portata avanti dalla Chiesa di Stato luterana, lo scenario religioso è infatti profondamente cambiato. Si può affermare senza tema di smentita che la religione, almeno in Occidente, non contribuisce più ad alimentare alcun conformismo su vasta scala. È piuttosto vero il contrario. Al giorno d'oggi la religione è diventata una questione marginale o controversa. I paradigmi dominanti sono tutti areligiosi, se non addirittura antireligiosi. La religione inoltre è generalmente percepita come un fattore divisivo e motivo di conflitto tra civiltà piuttosto che un elemento che facilita la comprensione reciproca, la convivenza e la cooperazione tra popoli, gruppi o individui.
Potremmo allora dire che la critica di Kierkegaard al cristianesimo ufficiale sia pienamente riuscita. Quel che egli auspicava si è finalmente avverato. Il clero non occupa più una posizione di rilievo. Le Chiese e le comunità religiose europee vivono una crisi di vocazioni senza precedenti nella storia. I cristiani sono tornati ad essere una minoranza nella società e le loro opinioni in materia di istruzione, matrimonio e aborto, solo per citare alcuni dei temi in discussione, sono minoritarie. È stato pienamente instaurato un regime di separazione tra Stato e Chiesa.
Sebbene lo scopo di Kierkegaard nella sua polemica contro il clero danese fosse quello di combattere il conformismo religioso e la situazione aberrante di una religione che si dichiarava una minoranza «odiata, abbandonata, perseguitata e maledetta a soffrire in questo mondo» quando invece essa era una maggioranza «ammirata, elogiata, onorata», abbiamo motivo di credere in realtà che egli non avrebbe deposto le armi anche qualora si fosse trovato ad affrontare l'odierno conformismo anti-religioso. Scoprire che gli esseri umani sono conformisti per natura, non importa se religiosi o no, cristiani o no, non avrebbe certo sorpreso Kierkegaard, lui che scriveva che «l'essere umano è un ipocrita nato» [HCD 115] e che «noi uomini abbiamo sempre bisogno degli “altri”, del gregge; noi moriamo, ci disperiamo se non siamo rassicurati dal fatto di essere nel gregge, di essere dello stesso parere del gregge ecc.» [Oi 5, 157].
Di fronte ai conformismi di oggi avrebbe probabilmente scrollato le spalle, rassegnato a quella che sapeva essere una verità anzitutto biologica: «l’uomo è un animale gregario» (Aristotele, Politica, I, 1235 a) [5], e la sua sopravvivenza dipende in gran parte dalla sua attitudine ad integrarsi nel gruppo a cui appartiene. Come ogni altro animale gregario, l’essere umano mette in atto meccanismi volti a favorire la sua accettazione all'interno del gruppo. Nonostante la perdita della coda, nel corso della sua evoluzione l'uomo non ha rinunciato al suo atteggiamento gregario e, negli ultimi secoli, gli sviluppi tecnologici nel campo dei mass media non hanno fatto altro che amplificare questo “peccato originale”.
Certo, un mondo in cui il cristianesimo viene rifiutato è perfettamente coerente con il Nuovo Testamento, ma se è per questo, lo è anche l’invito a condannare il mondo. L’attuale conformismo è forse meno scandaloso di quello che dovette affrontare Kierkegaard, ma sicuramente non meno pericoloso. Siamo convinti che il danese non avrebbe mai abbandonato la sua battaglia contro il conformismo, in quanto costituisce una minaccia per l'essere umano nella misura in cui gli impedisce di divenire individuo, e il divenire individuo rappresenta per Kierkegaard la conditio sine qua non dello spirito. In altre parole, l'essere umano non può attingere la dimensione dello spirito senza prima diventare individuo e perché ciò accada bisogna innanzitutto che esca – non “esteriormente” bensì “interiormente” – dalla “massa”.


Il conformismo, un fenomeno sfuggente

I mass media, di cui Kierkegaard aveva chiaramente presentito il pericolo per lo spirito (già allora i giornali e le gazzette contribuivano a livellare al basso i punti di vista) hanno creato le condizioni affinché gli uomini passassero dal compiere lo stesso atto, al pensare lo stesso pensiero, simultaneamente. In seguito all’affermazione della società di massa, il conformismo è stato cavalcato dalle ideologie del XX secolo, le quali hanno dato corpo a totalitarismi responsabili della morte di milioni di individui, prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale. Il tramonto delle ideologie totalitarie ha poi fatto spazio ad altre narrazioni, che traggono la loro legittimità proprio dal rifiuto delle ideologie precedenti ma che utilizzano, in fondo, gli stessi metodi in termini di propaganda e aspirano allo stesso risultato: conformismo, pensiero unico, livellamento delle differenze e appiattimento dell'individuo all’«umano generale».
In un'intervista del 1974, Pier Paolo Pasolini, acuto osservatore e critico della società massificata e consumistica, ha parlato, a tale proposito, di un “fascismo degli antifascisti”:

«Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più. [...] Ecco perché buona parte dell'antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. È, insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo» [6].

Allo stesso modo, ogni argomento critico contro la religione che si richiami all’esempio di Kierkegaard – a patto di considerare la vicenda di cui il danese è stato protagonista à la lettre e totalmente avulsa dal suo contesto – potrebbe offrire oggi un alibi perfetto all’instaurazione di una nuova religione secolare. Prestiamo ancora attenzione alle parole di Pasolini:

«[…] la vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività concessa dall'alto, voluta dall'alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, la più fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata da tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere ne senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l'antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime» [7].

Il conformismo è quindi un fenomeno estremamente sfuggente e sono pochi i filosofi che possono affermare, a questo proposito, di aver colto nel segno. Crediamo di poter annoverare Kierkegaard tra questi pochi, certamente insieme a un Nietzsche e a un Cioran. Quando una critica ha successo, infatti, colui che muove la critica paga in prima persona e il prezzo pagato da Kierkegaard è stato certamente alto, a riprova del fatto che egli mise il dito dove faceva davvero male. Ogni conformismo, poi, ha la pretesa di presentarsi come anti-conformista. Quando ci opponiamo con forza a un fenomeno e lo stigmatizziamo pubblicamente, quando lo mettiamo sotto tabù – per usare un’espressione cara agli etnografi –, magari un fenomeno ampiamente sostenuto in precedenza, ogni volta che ciò accade, possiamo star certi che nel frattempo si è stabilita una nuova piattaforma di consenso ed è sorto un nuovo conformismo che trova la sua piena legittimazione proprio nella condanna del precedente. In altre parole, si combatte il conformismo di ieri per sostenere quello di oggi.
Questo atteggiamento ricorda l’ipocrisia dei farisei, specialmente le loro dichiarazioni d’intenti rivolte al passato, quando affermavano che se fossero vissuti al tempo dei loro padri, non sarebbero stati complici nel versare il sangue dei profeti (Mt: 23, 30). Kierkegaard aveva ben presente questo passo e non mancò di citarlo, accusando i pastori luterani di essere solo dei «sepolcri imbiancati» [HCD 112].

«Invano vi fate santi, invano, appunto edificando i sepolcri dei giusti, intendete mostrare quanto siate diversi dagli empi che li hanno uccisi: oh, impotenza dell’ipocrisia a nascondersi, voi siete stati scoperti; appunto edificare i sepolcri dei giusti e dire “nel caso che noi”, appunto questo è ucciderli, è essere i veri figli di quegli empi, fare la stessa cosa che hanno fatto loro, questo è dare testimonianza alle opere dei padri, approvarle, “colmare la misura dei padri”; è, dunque, fare qualcosa ancora di peggio» [HCD 117].

Pertanto, se Kierkegaard avesse voluto condurre una critica a buon mercato del conformismo religioso, si sarebbe limitato a criticare la Chiesa cattolica, così da incontrare la generale approvazione e il plauso dei suoi correligionari luterani, da lui rafforzati nella percezione di aver scelto il lato giusto della medaglia. Questo è quello che potremmo definire un buon esempio di anticonformismo conformista. Metaforicamente parlando, una simile critica si sarebbe tradotta in una caccia alle conchiglie. A Kierkegaard però non interessava collezionare gusci di conchiglia vuoti ma catturare il loro «ospite inquietante».
Seguendo le sue orme, dobbiamo innanzitutto evitare il rischio che la nostra indagine possa sfociare in una caccia alle conchiglie. Ma come potrebbe darsi che ciò accada? Se oggi che un vero conformismo cristiano ha cessato di esistere, non sapessimo fare di meglio che continuare a ripetere che Kierkegaard attaccò il cristianesimo maggioritario, denunciando l’ipocrisia e il conformismo religioso della Chiesa luterana danese, etc. non ci limiteremmo solo a riproporre quanto è stato affermato da decine e decine di studiosi – niente di male in ciò – ma, rafforzeremmo il conformismo attuale, cosa ben peggiore della nostra mancanza di idee. L'omertà non consiste semplicemente nel tacere qualcosa. Si può tacere qualcosa anche parlando d'altro, distogliendo l'attenzione dal problema, tralasciando proprio ciò su cui Kierkegaard ha inteso richiamare la nostra attenzione e, cioè, la necessità di dare l'allarme ogniqualvolta l’individuo corra il pericolo di diventare conformista, di soccombere all’«umano generale» [almindelige menneskelige].
Bisogna del resto riconoscere che vi sono una serie di elementi storici indissolubilmente legati all’accusa di Kierkegaard contro l’establishment religioso del suo tempo che fanno apparire oggi datata la sua opera. Tali elementi non possono certo essere trascurati nel valutare la posizione di Kierkegaard ma, al di là delle contingenze storiche, che danno una patina di antico all'intera vicenda, la lezione di Kierkegaard è valida ancora oggi, sostanzialmente perché gli esseri umani hanno continuato a mettere in atto le stesse dinamiche gregarie, specialmente in relazione alla sfera del “sacro”, dinamiche che il danese si è sforzato di contrastare.
In altri termini, la sua polemica contro il conformismo non è venuta meno insieme al mondo da lui criticato e mostra ancora oggi tutta la sua carica decostruttiva, a condizione di riconsiderarla alla luce dei profondi cambiamenti avvenuti nell’arco degli ultimi centocinquant’anni. Per dirla in termini kierkegaardiani, la polemica contro il conformismo non è semplicemente un fatto storico ma una verità storica, nel senso che nella vicenda di cui furono accidentalmente protagonisti Kierkegaard, il vescovo Mynster e il suo successore Martensen, è insito un nucleo di verità che non cessa di interrogarci, giacché, come ha sottolineato lo stesso Kierkegaard, il rapporto con la verità è sempre un rapporto di contemporaneità.

Igor Tavilla
(n. 3, marzo 2024, anno XIV)




Avvertenza sulle sigle e i riferimenti bibliografici

Per citazioni e riferimenti agli scritti di Kierkegaard utilizzo l’edizione critica, Kierkegaard 1997-2013, nella versione elettronica SKS, Søren Kierkegaards Skrifter elektronisk version 1.8.1 ved Karsten Kynde. Le citazioni dalle opere di Kierkegaard sono indicate mediante le sigle riportate qui sotto, seguite dal numero di pagina e inserite tra parentesi quadre all’interno del testo. In particolare, per il diario, i quaderni e le carte (Journaler og Papirer), le sigle presenti nell'edizione critica di questi scritti sono in gran parte di Kierkegaard, che ha raccolto molte delle sue considerazioni in 10 quaderni contrassegnati con una doppia lettera (da AA a KK ), e dal 1846 in altri 36 quaderni contrassegnati con NB (Nota) e una numerazione progressiva. Altre riflessioni e appunti di varia natura sono stati raccolti dai curatori in 15 quaderni (Not[esbøger]) e in carte (Papir[er], 1-596).

AE       Postilla conclusiva non scientifica alle briciole di filosofia, in S. Kierkegaard, Opere, a cura di C. Fabro, Sansoni, Firenze 1975;
HCD   Il giudizio di Cristo a proposito del cristianesimo, in L’istante, tr. it. di A. Gallas, Marietti, Genova 2001, pp. 107-117;
Oi         L’istante, tr. it. di A. Gallas, Marietti, Genova 2001;
SD       La malattia per la morte, tr. it. di E. Rocca, Donzelli, Roma 2011 (prima edizione 1999);
SBM     L’oggetto del contendere con il vescovo Martensen; cristianamente decisivo per un’istituzione, quella ecclesiastica, di per sé dubbia dal punto di vista cristiano, in S. Kierkegaard, Io voglio onestà. Contro le menzogne del cristianesimo ufficiale, tr. it. di I. Tavilla, prefazione di A. Siclari, Castelvecchi, Roma 2016.


NOTE

[1]
R.L. Perkins, Introduction, in Id. (ed.), The Sickness Unto Death. International Kierkegaard Commentary, vol. 19, Mercer University Press: Macon 1987, pp. 1-4.
[2] A. Siclari, Kierkegaard. L’itinerario di un cristiano nella cristianità, Franco Angeli, Milano: 2004.
[3] I. Tavilla, The Reader. The Lover. The Prophet. Views on Kierkegaard, Toronto Circle/KUD Apokalipsa, Toronto/Ljubljana 2023, p. 64.
[4] Ho consultato la versione elettronica di Den Danske Ordbog, https://ordnet.dk/ddo.
[5] Proponiamo di tradurre così la nota definizione dell’uomo come «πολιτικὸν ζῷον», ampliando i margini del termine πολιτικός fino a includere il senso di ἀγελαῖος.
[6] Pier Paolo Pasolini, Il fascismo degli antifascisti, Garzanti, Milano 2018, pp. 71-72.
[7] Ivi, pp. 78-79.