Letteratura migrante in lingua italiana. Il caso dell'Albania

Il tema delle produzioni letterarie degli scrittori emigranti in Italia si è guadagnato un posto di rispetto nell’universo letterario italiano. Tali produzioni incidono in modo rilevante nell’immagine dell’emigrante in Italia, tanto che si parla di opere che, al di là del loro valore letterario, costituiscono uno strumento per superare i confini ancora così condizionanti il modo di pensare degli italiani e la loro immagine degli immigrati in Italia. La produzione letteraria albanese degli autori migranti ha avuto un ruolo e una funzione culturale specifica nella società italiana: opere di poesia e prosa di autori albanesi fanno parte del dialogo interculturale che promuove la conoscenza della cultura albanese e del fenomeno dell’emigrazione degli albanesi in Italia. Il presente contributo intende presentare il panorama di un movimento letterario cresciuto e maturato in un breve arco di tempo, rispondendo alle seguenti domande: chi sono gli scrittori migranti albanesi, parte della letteratura migrante italiana? Quali le prospettive della letteratura italiana della migrazione nel terzo millennio?

Letteratura migrante in lingua italiana: origini e sviluppi

La letteratura migrante prodotta in lingua italiana è un campo di studio assolutamente recente, i cui primi testi vengono pubblicati all’inizio degli anni novanta. Il primo studioso in Italia a individuare e definire la letteratura italiana della migrazione è Armando Gnisci, docente di Letteratura Comparata presso l’Università La Sapienza di Roma. Nel suo volume Creolizzare l’Europa: letteratura e migrazione – che raccoglie quattro saggi pubblicati tra il 1992 e il 2002 – si possono riconoscere alcuni punti di base da cui ha preso avvio il dibattito su questo fenomeno. Si tratta di un fenomeno letterario in pieno sviluppo, un processo da analizzare e considerare nei suoi aspetti particolari e in un contesto che cambia continuamente. Come conseguenza della globalizzazione, la letteratura della migrazione in Italia rappresenta il movimento letterario più importante da un secolo a questa parte, il più grande movimento letterario dal Futurismo, in grado di rinnovare la lingua letteraria. Questa nuova letteratura in lingua italiana include varie categorie.
Nella prima categoria troviamo migranti che raccontano la propria esperienza diretta, dal viaggio all’inserimento nella società. Storie quasi sempre costruite su una base autobiografica. Ci si riferisce a testi pubblicati soprattutto una ventina di anni fa, testimonianze sul trauma migratorio. Dalla metà anni ’90, poi, hanno iniziato a crescere gli scrittori migranti, persone che già scrivevano nel proprio paese ed emigrate in Italia per ragioni letterarie e culturali. Si tratta di innamorati della lingua italiana o di figure incompatibili con la situazione culturale del paese di provenienza. Dopo questi momenti “di gloria”, la letteratura migrante conosce una fase di crisi. L’attenzione mediatica su questi temi va scemando e le grandi case editrici perdono interesse alla pubblicazione: l’esotismo migratorio non attira più e gli autori sono costretti a cercare altre strade. La crisi approda a una nuova, originale stagione: gli scrittori si moltiplicano, abbandonano i coautori, giungono a uno stile più maturo, scrivono liberamente, senza paura di sbagliare, contenendo lo slancio autobiografico.
Dopo la prima fase centrata sulle difficoltà della vita da migrante, si passa a una fase di creatività fortemente ancorata agli elementi culturali del paese di provenienza. Fondamentale rimane il bisogno di comunicare, di aprire una finestra sugli usi e costumi del paese di appartenenza, di valorizzare la propria cultura che effettivamente viene ignorata nel paese di accoglienza. Questa fase si definisce come quella degli «scrittori italiani di seconda generazione», una definizione valida a diversi livelli. Anzitutto in senso sociologico, perché indica la generazione dei figli di non italiani ovvero figli di genitori venuti ad abitare in Italia. In secondo luogo vale in senso linguistico, e volendo anche psicolinguistico: questi autori, infatti, appartengono a un contesto di plurilinguismo, piuttosto che a una situazione di generico multilinguismo o poliglottismo, e questa particolarità crea nuove situazioni non solo di natura linguistica in senso strettamente tecnico. Il bilinguismo, o il trilinguismo, fa sì che a parlare contemporaneamente lingue diverse – e tra di esse la lingua che spesso è stata ed è nemica, poiché usata come forma di dominio, di discriminazione e di respingimento – non sia soltanto la vita pubblica, ma anche la vita interiore, ad esempio la fantasia o la memoria, e perfino – o soprattutto – il dolore. E tutto ciò non può non comportare modi diversi di relazione con il mondo [1].
Un terzo aspetto è quello culturale-formativo: per i figli degli immigrati l’italiano non è più una lingua imparata lungo la strada materiale e simbolica dell’integrazione, ma una lingua appresa a scuola [2]. Ormai sono attivi oltre 300 scrittori migranti, anche di seconda generazione, situazione che prefigura una possibile espansione futura. È una letteratura che sta ridisegnando anche una nuova geografia della letteratura mondiale, quindi anche europea, e l’Italia non può sottrarsi a questi movimenti che, insieme alle persone, investono tutte le sfere della società. Esistono ormai studi critici e strumenti di ricerca al riguardo, come il volume sopracitato di Armando Gnisci, nonché siti Internet che fungono da piattaforma per autori migranti e per interventi critici sull’argomento (si vedano la rivista Kúmá. Creolizzare l’Italia, diretta dallo stesso Armando Gnisci, e El Ghibli). Disponiamo inoltre di uno strumento eccellente e utilissimo come la banca dati BASILI (la sigla sta per Banca Dati Scrittori Immigrati in Lingua Italiana), fondata nel 1997 da Armando Gnisci e consultabile sul portale del Dipartimento di Italianistica, Musica e Spettacolo dell’Università di Valona.

La produzione italofona albanese

La produzione letteraria albanese degli autori migranti ha avuto il suo ruolo e la sua funzione culturale nella società italiana. Testi di poesia e di prosa di autori albanesi sono parte del dialogo interculturale che promuove la conoscenza della realtà albanese e soprattutto contribuisce a promuovere la conoscenza del fenomeno dell’emigrazione degli albanesi in Italia. La storia dell’Albania conferma che l’emigrazione ha costituito e costituisce una caratteristica fondamentale del popolo albanese ed ha senz’altro influenzato l’esperienza di vita di una parte considerevole del paese. Essa ha avuto un’influenza significativa anche nei confronti delle società dei paesi di destinazione la cui percezione, più o meno influenzata dal ruolo svolto dai mass-media, ha considerato gli albanesi prima come fratelli da aiutare poi come pericolo da prevenire. Ciò nonostante, gli emigrati albanesi hanno saputo costruirsi un proprio spazio economico e sociale.
Nel periodo compreso tra il 1991 e il 2005, molte famiglie di albanesi hanno lasciato la loro patria per una vita migliore. La difficile situazione socio-economica dell’Albania, le pessime condizioni delle infrastrutture, le poche risorse destinate alla ricerca, le scarse possibilità di carriera e di specializzazione e infine i bassi salari hanno spinto a migrare gran parte degli intellettuali albanesi. La maggior parte di loro ha raggiunto l’Italia, il paese occidentale più vicino all’Albania.
Emblematico è il caso di come questo paese sia stato visto e raccontato in Italia durante questi anni. Prima che gli albanesi iniziassero a emigrare in Italia, dell'Albania non si conosceva niente: dietro il canale di Otranto c'era il mistero, nell'immaginario collettivo degli italiani la «casella Albania» era vuota. A un certo punto sono iniziati i primi esodi sulle coste pugliesi e il modo in cui questi esodi sono stati rappresentati dai mass media ha trasmesso all'opinione pubblica lo stereotipo dell'albanese. Si è creata una sorta di mito mediatico per cui l'albanese veniva considerato un rischio per l'ordine pubblico, un rischio per la salute pubblica («portano malattie!») e un rischio per la morale pubblica (prostituzione e suo sfruttamento). Questo stereotipo si è stabilito saldamente nelle coscienze degli italiani proprio a causa del fatto che dell'Albania non si conosceva nulla e, in questa situazione, i mass media hanno giocato un ruolo decisivo: per anni – e in particolare i quotidiani, con i loro titoli a effetto – i media hanno svolto un lavoro costante di sistematica formazione-deformazione dell'opinione pubblica italiana, coincidente con la costruzione di una «pedagogia della paura e del sospetto». Ci sono stati momenti brutti per gli albanesi in Italia, incluso un acceso dibattito politico che li riguardava in qualche modo. Per questo si è avuto bisogno di reagire, di mettersi in ascolto, e così alcuni albanesi emigranti in Italia hanno portato la loro presenza e la loro esperienza di migrazione all’attenzione della cultura e della società italiana. Lo hanno fatto usando il canale della scrittura e gli strumenti della letteratura, creando una particolare forma di interazione tra la lingua italiana e il bisogno di raccontare la realtà dell’immigrazione. La letteratura migrante degli albanesi nasce dunque per reazione, soprattutto nella prima fase: i primi libri scritti da immigrati albanesi erano testi autobiografici che raccontavano le esperienze personali, l’arrivo in Italia, denunciando il razzismo e le difficoltà incontrate. In questo ambito, gli scritti degli autori albanesi italofoni si uniscono alla voce di molti altri scrittori migranti in Italia. Se ci riferiamo ai dati della già citata BASILI [3], vi troviamo 27 scrittori migranti albanesi, numero che fa dell’Albania il paese più rappresentato nella letteratura migrante in Italia, anche se i rappresentanti più autorevoli sono molti di meno. Uno di loro è il poeta Gëzim Hajdari [4] cui sono stati attribuiti premi e riconoscimenti prestigiosi per la sua opera.

La poesia di Gëzim Hajdari

Il poeta Hajdari accosta il suo compito di poeta a quello di ambasciatore culturale del suo paese. La sfida del poeta è vivere tante identità. La sua è una scommessa: costruire una nuova cultura umanistica. I suoi versi lo esprimono: Ogni giorno creo una nuova patria / in cui muoio e rinasco quando voglio / una patria senza mappa né bandiere / celebrata dai tuoi occhi profondi / che mi accompagnano per tutto il tempo / del viaggio verso cieli fragili / in tutte le terre io dormo innamorato / in tutte le dimore mi sveglio bambino / la mia chiave può aprire ogni confine.
Hajdari è uno dei poeti più conosciuti in Italia. Le sue composizioni trattano i temi dell'esilio, della solitudine e del viaggio, ma anche dei rapporti con le culture in cui il poeta si trova a vivere. C'è molta Albania nei suoi versi: la sua poesia non è italiana, è un intreccio di culture, sulla linea dei grandi umanisti. La sua poesia è una denuncia, dà voce a un esilio difficile da conciliare con i familiari rimasti in Albania. Un grido di dolore interminabile. Scrive il poeta: «L'Albania fa parte di me perché fa parte del mio corpo, del mio cervello, della mia parola».
La scrittura di Hajdari è oggi un atto morale che si rivolge a tutti. Lo stesso poeta in un intervento del dicembre 2007 presso l’Università di Macerata dice: «Fare poesia oggi in Italia sembra il compito più difficile e, nello stesso tempo, l’atto più stimolante per un poeta migrante... Potrebbe essere una grande occasione per i poeti e gli scrittori migranti di dar vita a una grande arte, capace d’illuminare in tutti gli aspetti e problemi della vita quotidiana. Fondare una nuova etica culturale, una nuova identità della poesia italiana» [5].

Ron Kubati e l'altrimenti nell'altrove

Un altro autore albanese è Ron Kubati, tipico albanese della generazione che cerca «l'altrimenti nell'altrove», secondo la definizione da lui stesso coniata. Dopo aver partecipato, nel '91, al movimento studentesco che mirava a smantellare il regime, si trovò su una delle navi in disuso dei porti albanesi, in rotta verso le coste italiane. Vide in prima persona il fenomeno «mare» che unisce e divide, rende tangibile ciò che prima non lo era e al contempo lo avvolge nella sua misteriosa immensità, lasciandogli le emozioni indescrivibili, presenti nel suo primo libro Va e non torna. Il raffronto tra passato abbandonato e presente estraneo segna la vita dei protagonisti che assomigliano a Ron Kubati e ai numerosi albanesi che hanno scelto l'Italia per la propria formazione professionale e intellettuale. L'albanese di Kubati cerca di costruirsi una nuova vita nel paese d'accoglienza, affermandosi nella sua singolarità, uscendo dagli schemi che lo rinchiudono nella figura dell'immigrato. Sembra che ad alimentare la scrittura sia proprio il riscatto della propria singolarità, nella sfera culturale, economica e sociale, che Kubati stesso considera ormai una parola d'ordine.

Scrittura al femminile: Ornela Vorpsi e Anilda Ibrahimi

Ornela Vorpsi è la prima voce femminile nella letteratura di immigrazione, scrittrice albanese che ha pubblicato in italiano «Il paese dove non si muore mai» [6]. Figlia di dissidenti, con una vita divisa tra Tirana, Milano e da qualche anno Parigi, dell'Albania conserva il ricordo dell'incubo, ma anche dell'epico istinto di sopravvivenza di un popolo orgoglioso. Bambina che osserva e subisce ciò che le accade attorno, definisce la sua opera un'opera autobiografica, che però riguarda molti albanesi. Scrive in un italiano asciutto, che sembra la traduzione immediata dell'albanese parlato. Racconta l'Albania vissuta di tutti i giorni, nella sua cruda realtà, con qualche lieve sfumatura di autoironia balcanica. Ornela Vorpsi fa parte della generazione di giovani albanesi tendenzialmente sradicati, che lasciano il proprio paese per darsi allo status di straniero, tra interiorizzazione e conflittualità. Con scrittura fluida e diretta, descrive l'approccio al nuovo mondo, l'estero idealizzato, che disillude mediante gli stereotipi di cui ci si vede vittime, e allo stesso tempo affascina per il mondo multicolore dei prodotti che non c'erano in patria. In una sua intervista, l’autrice descrive così la sua scrittura: «La migrazione ha fatto di me una scrittrice, il caso che sono, perché prima non avevo mai nemmeno flirtato con l’idea di scrivere, anche se la letteratura e la pittura sono i più grandi amori della mia vita. La cosa che ho fatto di più nella mia vita è stato leggere, ma non avevo sognato tanto nel senso di scrivere. Questo esilio mi ha regalato questo caso magnifico per cui io oggi scrivo, mi ha regalato queste lingue straniere con le quali mi è stato possibile descrivere, poiché avevo bisogno di un distacco da quello che racconto e la lingua straniera è un perfetto mezzo a tal fine, ma questo è molto soggettivo e molto personale. E anche questa distanza fisica dal mio paese ha fatto sì che io guardassi un po’ da lontano tutto quello che è successo come una sorta di affresco che da lontano prende forma, e quando sei molto vicino vedi solo i granuli del muro. Quindi per me è stato molto salutare: il prezzo da pagare è stato evidentemente alto, però è stato salutare stare fuori dall’Albania e apprendere molte lingue. Così oggi mi trovo in questa avventura meravigliosa che è la scrittura».
Anilda Ibrahimi è senza dubbio una delle autrici di maggior spicco in questo panorama. Originaria di Valona, si dedica soprattutto alla scrittura di romanzi, letti dal pubblico italiano. Einaudi ne ha pubblicato tre titoli: Rosso come una sposa (2009), L'amore e gli stracci del tempo (2011, di cui sono stati opzionati i diritti cinematografici), e Non c'è dolcezza (2012). Dotata di solida formazione letteraria, Ibrahimi riesce a dialogare con tutti.
Il primo suo romanzo in italiano, Rosso come una sposa, non è un romanzo autobiografico, e tuttavia il suo humus è l’Albania, sua terra madre. Riprende i ricordi, le storie assorbite da piccola, parla di un mondo epico, arcaico, quasi perduto oggi. L'Albania del primo Novecento è un luogo misterioso, magico e caotico, un luogo dove gli opposti convivono da sempre: cristianesimo e islam, tradizioni risalenti all'Impero bizantino come all'Impero ottomano. Ed è anche, e soprattutto, una società fortemente matriarcale, in cui per il potere che si acquisisce diventando suocere le donne passano la vita aspettando con gioia d'invecchiare. Alla scrittrice interessa la maternità in tutte le sue sfaccettature ma anche la rottura con il vecchio mondo, e soprattutto le interessa questa grande tribù che si apre al nuovo.
Nel secondo romanzo, L’amore e gli stracci del tempo, l’autrice parte non dall’Albania ma pur sempre dai Balcani, raccontandone il dramma degli anni 90’. Intrecciando una storia di amore e di guerra, Ibrahimi riesce a trasmettere messaggi di pace. Il romanzo segue le vite dei due protagonisti, Zlatan e Ajkuna, e una piccola folla di personaggi intensi, veri, col loro bagaglio di storie. Ma è per lo più anche uno sguardo politico sulla guerra in Kosovo, dove l’unica strada possibile, secondo l’autrice, sarebbe l’indipendenza. Il messaggio che si intende dare è che è arrivato il momento di convivere in pace e finirla con il circolo perpetuo di violenze.
Nel terzo romanzo, Non c’è dolcezza, Anilda Ibrahimi racconta la storia di Lila e Eleni, due compagne di scuola, innamorate dello stesso ragazzo, Andrea. Lila studia in città, diventa maestra, sposa Niko, il fratello di Andrea e ha tre bambine; Eleni resta in paese e quando il suo amato viene lasciato dalla prima moglie, ne diventa la sposa e soffre con lui per la mancanza di figli. Quando Lila resta incinta per la quarta volta, decide di donare il nascituro alla cognata: è convinta che sarà un’altra femmina, ha voglia di tornare al lavoro e soprattutto vuole fare felice Eleni. Nasce un maschio e con lui Lila sente subito un legame fortissimo. Non ha il coraggio però di infrangere la parola data e dopo tre mesi si separa dal bambino, che cresce convinto di essere il figlio di Eleni ed Andrea. Non ne verrà nulla di buono per entrambe le famiglie. In un’intervista, Anilda Ibrahimi spiega di essere tornata alle atmosfere ancestrali del suo primo libro Rosso come una sposa e di aver scritto una storia fuori dal tempo, per poi, in un secondo momento, collocarla in un periodo storico ben definito. Il personaggio che più l’appassiona è quello di Eleni, la madre adottiva per la quale non c’è dolcezza: ama il figlio, ma da lui non riceve l’amore che desidera e lo stesso succede con il marito che si era illusa di poter cambiare. Incombe sui protagonisti un pesante fatalismo: ognuno va incontro al suo immutabile destino. L’apparizione periodica degli zigani con i loro canti rappresenta la colonna sonora della narrazione e rievoca un mondo di rispetto reciproco e di salde relazioni tra popoli diversi, perdutosi nell’Italia e nell’Europa di oggi.

Lingua, scrittura e identità in divenire

Gli scrittori albanesi come molti altri scrittori migranti in Italia hanno scelto l’italiano quale lingua di espressione letteraria. La scrittura dei loro testi in italiano sono stati una sfida e un compito piuttosto complicati, perché la scrittura migrante è molto legata alla lingua, ad una lingua in continuo cambiamento. L’italiano per molti di loro viene concepito come uno strumento di comunicazione comune, tra immigrati, ma anche come uno strumento di comunicazione con la comunità italiana. Per il poeta Hajdari, «scrivere in italiano vuol dire sollecitare la lingua italiana stessa e nel tempo medesimo arricchire la letteratura italiana contemporanea. La nostra sfida è vivere tante identità nella nostra identità; la nostra scommessa, costruire una nuova cultura umanistica» [7]. Alla domanda circa la lingua in cui scrive, Ornela Vorpsi risponde: «Quando uno scrive in una lingua cerca di stare in quella lingua; già, essendo straniero, crea delle modifiche interne perché comunque è portatore di un’altra morfologia e sintassi, quindi già usa un italiano scomposto, spiazzato… Scrivendo in italiano non mi sembra di togliere niente all’Albania: per me la lingua è un mezzo, e non perché scrivo in italiano sono italiana, io sono al cento per cento albanese». Gli scrittori migranti albanesi scrivono in quella che per loro è diventata ormai lingua adottiva e sono del tutto coscienti del bisogno di scrivere non solo per essere se stessi, ma anche per dare forma a una nuova identità in evoluzione. Per mezzo della loro scrittura, sono divenuti costruttori di cultura: hanno scelto l’italiano per fare poesia, per creare romanzi e racconti che appartengono a pieno titolo alla «nuova» letteratura italiana.
La letteratura di migrazione appartiene a pieno titolo alla comunicazione interculturale, facendo entrare in contatto mondi e culture diversi. Nel caso della letteratura multiculturale degli albanesi, si tratta di un movimento letterario fiorito e maturato in un arco di tempo molto breve: dalla semplice possibilità di parlare della propria esperienza di migrante, mediata attraverso la rielaborazione del testo da parte di un madrelingua (così per i primi testi editi negli anni ’90), alla graduale piena libertà di espressione. Nel 2003 viene alla luce la prima rivista integralmente on-line rivolta agli scrittori migranti e alle loro opere; porta il nome di un vento del deserto, El-Ghibli, e gli scrittori migranti albanesi vi sono spesso presenti con i loro lavori. Soprattutto i giovani partecipano a concorsi e laboratori di scrittura per testimoniare la volontà di pensare alla cultura come a un’occasione irrinunciabile per andare verso l’altro, per comprenderlo e soprattutto per imparare a conoscere se stessi. Lo dicono molto bene i versi di Valbona Jakova, giovane poetessa albanese, vincitrice nel 2003 del concorso di scrittura promosso dall’Ufficio per la Pastorale dei Migranti dell’Arcidiocesi di Milano e dalla fondazione ISMU: Spinta da una terra all’altra / cado nelle profondità di una lingua primeva… / …indietro, da qui molto lontano…!
Dopo trent’anni di letteratura italiana della migrazione, il grido di aiuto è stato lanciato. Ora c’è bisogno di maturazione. Le sfide che gli scrittori migranti hanno davanti sono molteplici: integrazione, visibilità, spazio, riconoscimento delle proprie possibilità e potenzialità letterarie. Di questo oggi si tratta.


Frosina Londo Qyrdeti

 

[1] Per le implicazioni psicanalitiche di questa differenza si veda J. Amati Mehler, S. Argentieri, J. Canestri, La Babele dell’inconscio. Lingua madre e lingue straniere nella dimensione psicanalitica [1990], Cortina, Milano 2003.
[2] A. Gnisci, Creolizzare l’Europa. Letteratura e migrazione, Meltemi, Roma 2003; Nuovo planetario italiano. Geografia e antologia della letteratura della migrazione in Italia e in Europa, a cura di A. Gnisci, Città aperta, Troina 2006.
[3] www.disp.let.uniroma1.it/basili2001
[4] Gëzim Hajdari, poeta di origine albanese trasferitosi in Italia, è uno tra i più autorevoli rappresentanti della letteratura italiana della migrazione: più volte premiato al concorso Eks&Tra, ha vinto nel 1997 il prestigioso premio nazionale per la poesia inedita «Eugenio Montale». In Italia ha pubblicato Antologia della pioggia, Fara Edizioni, Sant’Arcangelo di Romagna 1995 e Ombra di cane, Dimisura Testi, Frosinone 1993.
[5] G. Hajdari, Poesia ed etica (Una nuova identità alla poesia italiana), Kúmá / Interculturalità 15, giugno 2008.
[6] Ornela Vorpsi (1968), scrittrice nata a Tirana ed emigrata prima in Italia e poi a Parigi, dove tuttora risiede, ha all’attivo in lingua italiana due brevi romanzi, scritti e pubblicati in Francia, poi usciti in italiano per Einaudi: nel 2005, Il paese dove non si muore mai, e nel 2007 La mano che non mordi. Nel 2006 ha pubblicato per Notte tempo Vetri rosa.
[7] G. Hajdari, «La diversità e letteratura di migrazione nella letteratura contemporanea italiana e nella società italiana», in R. Sangiorgi (a cura di) Gli scrittori della migrazione, Eks&Tra, Mantova 2002, p. 29.


BIBLIOGRAFIA

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Chiodi L. e Devole R., «Albanian Migrants in Italy and the Struggle for Recognition in the Transnational Public Sphere», in Chiodi L. (a cura di) The borders of the polity. Migration and security across the eu and the balkans, Longo Editore, Ravenna 2005.

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Hajdari G., «La diversità e letteratura di migrazione nella letteratura contemporanea italiana e nella società italiana», in Sangiorgi R. (a cura di) Gli scrittori della migrazione, Eks&Tra, Mantova 2002.

Mauceri M.C., «La scrittura è una coltellata. Educazione siberiana di Nikolaj Lilin», in Kumà,
http://www.disp.let.uniroma1.it/kuma/kuma.html


(aprile 2018, anno VIII)